25 Aprile. La memoria, il monito

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“La vigliaccheria chiede: è sicuro? L’opportunità chiede: è conveniente? La vanagloria chiede: è popolare? Ma la coscienza chiede: è giusto? Prima o poi arriva l’ora in cui bisogna prendere una posizione che non è sicura, né conveniente, né popolare, ma bisogna prenderla, perché è giusta”. (Da “Costume e società”, di Martin Luther King)

Le parole citate da un Grande uomo, quale fu Martin Luther King, ci ricordano che nella vita ci sono dei momenti nei quali si è indotti a ripensare al proprio passato, a tornare con la memoria ad avvenimenti e fatti che hanno contraddistinto il secolo che ci siamo lasciati alle spalle. Il mondo oggi sembra aver perso di vista i tragici avvenimenti che si sono succeduti nel ventesimo secolo, il secolo dei falsi profeti, delle dittature, della follia nazifascista, degli eccidi generalizzati, delle tenebre. Il secolo dove si è consumata l’infamia più grande, dove si pianificò lo sterminio e l’annientamento umano: il secolo della Shoah, di Auschwitz, laddove anche “Dio è morto”, come è stato detto.

Ma il ventesimo secolo è stato anche il secolo dei grandi riscatti, delle spinte d’orgoglio della liberazione di tanti popoli assoggettati a feroci dittature ed al giogo nazifascista. Il 25 aprile 1945 rappresenta per il popolo italiano proprio uno di questi motivi d’orgoglio, in cui uomini e donne presero una posizione “non sicura, né conveniente, né popolare, ma sicuramente giusta”: combattere per la propria libertà e per il riscatto di un popolo intero. Il 25 aprile di ogni anno l’Italia democratica e repubblicana ricorda i caduti ed i combattenti di una ventennale lotta e della Resistenza contro il nazifascismo, ricorda i caduti, i partigiani, (comunisti, cattolici, socialisti, azionisti); ricorda i militari che non vollero aderire alla Repubblica di Salò.

I fatti storici vanno indagati oggettivamente, al di là della retorica della memoria pubblica, senza fare sconti a meccanismi rituali e senza incedere alle sempre presenti debolezze umane. Tante volte s’è parlato della cronaca degli eventi che portarono alla Liberazione ma, nella presente occasione vorrei, invece, approfondire il significato, profondo ed attuale, che quegli avvenimenti hanno e dovranno ancora avere in futuro.

Il nazifascismo, nell’intento di edificare una razza superiore, quella ariana, attraverso l’instaurazione del regno del terrore, lasciava al cittadino due alternative: aderire al regime o esserne vittima designata. Al di là di coloro che aderirono per convinzione, molti aderirono per viltà o per convenienza. Ma vi fu anche chi non aderì, perché come ci insegna la Storia ci sono, ci sono sempre stati e ci saranno sempre, uomini che percepiscono prima di altri e per tempo la realtà e il senso vero delle cose. Anche allora fu così; ci fu chi capì e combatté subito le ideologie totalizzanti e spersonalizzanti che si andavano imponendo nel contesto mondiale. Questi uomini capirono l’orrore ed il delirio su cui si fondava il pensiero unico che rispondeva al nome di fascismo e nazismo e, molti anni prima del 25 aprile del 1945, furono perseguitati, privati degli affetti più cari, torturati, umiliati, condannati dai Tribunali Speciali, sbattuti in galera, spediti al confino, uccisi! Come lo furono i loro familiari: anche loro perseguitati, discriminati, sbattuti a forza nei manicomi, negli orfanotrofi, emarginati per anni.

Fuor di retorica occorre, a distanza di tanto tempo da quegli avvenimenti, non dimenticare mai che, se tutto ciò fu possibile e se quelle dittature si radicarono, dominando per decenni, è perché godettero, vuoi per convenienza, vuoi per effettiva convinzione, di un ampio e a volte fanatico consenso popolare. Basta guardare i filmati dell’epoca per rendersene conto.

I nomi delle località italiane del dolore sono tristemente noti e si chiamano, tanto per citarne qualcuno, Lipari, Ventotene, Ponza, Favignana, Via Tasso a Roma, Casa dello Studente a Genova (entrambi luoghi questi ultimi due, dove la Gestapo torturava barbaramente i patrioti italiani), i campi di concentramento di Fossoli, Bolzano e così via. E poi Marzabotto, le Fosse Ardeatine, Bellona, Sant’Anna di Stazzema, la Benedicta, e l’elenco potrebbe continuare a lungo. Fuori d’Italia ricordiamo i tristemente noti campi di sterminio: Dachau, Mauthausen, Treblinka, Auschwitz-Birkenau e tanti altri. A questi uomini e a queste donne, a queste famiglie che hanno sopportato indicibili sofferenze e che hanno lottato, combattuto e sono morti per le proprie idee occorrerà rendere onore in perpetuo! Altri uomini e altre donne lo capirono dopo; altri ancora non lo hanno ancora capito e non lo capiranno mai.

Voglio qui ricordare brevemente le emblematiche parole di Adolf Hitler: “A dominare sarà una razza superiore, una razza di padroni, che disporrà dei mezzi e delle possibilità di tutto il globo”. E, ancora, ciò che il capo delle famigerate SS, Heinrich Himmler, inculcava ai suoi soldati: “Ci è del tutto indifferente in quali condizioni vivono questi popoli, se nel benessere o nella miseria. Questi popoli ci interessano soltanto in rapporto al nostro bisogno di schiavi per lo sviluppo della nostra civiltà”. Su queste basi si andava costruendo quello che doveva essere il Reich millenario. In Italia si ragionava negli stessi termini, si magnificava la grandezza dell’Impero e si evocava la Roma dei Cesari, dominatrice ed assoggettatrice di tutti i popoli del mondo!

Anche l’Italia subì l’onta delle leggi razziali e le discriminazioni politiche, pure se oggi, come si dirà in seguito, si è cercato di minimizzare e dimenticare. Anche in Italia vi furono tanti propugnatori e divulgatori di tali insani progetti, tra cui molti intellettuali, alcuni ancora viventi che, in applicazione dell’italico trasformismo, dimenticarono subito il loro “scomodo” passato fascista riciclandosi alla caduta del Regime come convinti antifascisti, partigiani dell’ultima ora...
Ma al di fuori di questi casi pietosi e meschini, la verità era che, sotto il Regime nazifascista, le patrie galere erano piene di prigionieri politici e migliaia erano già stati i condannati a morte per aver osato dissentire e ribellarsi al Regime stesso; uomini e donne che combattevano ed offrivano la loro vita per affermare i principi stessi sui quali basare una civile e democratica convivenza.

Nel nostro Paese, ricordiamolo, il prezzo pagato fu altissimo: dapprima migliaia di dissidenti politici imprigionati, molti in seguito uccisi; poi, feroci rappresaglie contro l’inerme popolazione civile che sosteneva i partigiani; oltre quarantamila cittadini e lavoratori deportati nei campi di concentramento italiani e tedeschi. Nessuno era risparmiato: anche i nostri soldati, che dopo l’Armistizio si rifiutarono di consegnarsi ai tedeschi, furono trucidati, come la divisione Acqui a Cefalonia. Ma chi era dalla parte del bene e del male? Forse mai, nel corso della storia umana, si poté stabilire in modo così chiaro chi allora fosse dalla parte giusta e chi dalla parte sbagliata. Ci furono le vittime e ci furono i carnefici!

Ma, come detto poc’anzi, e ripeto adesso, non si può e non si deve nascondere che il regime nazifascista godette per lunghi anni di un vasto consenso popolare e che anche dopo la fine della guerra molti gerarchi e molti autori di crimini orrendi si trovarono, anche con aiuti insospettabili, in una condizione di vita migliore di prima. Questa era l’Europa nell’alba oscura del secolo scorso. Un immenso campo di concentramento e di sterminio. Chi non era imprigionato fisicamente, lo era ideologicamente.
Con la resa dei nazifascisti, il 25 aprile del 1945, tutto questo ebbe termine. E noi, generazioni venute dopo, oggi ci chiediamo, come è potuto succedere? Si poteva prevedere, ma soprattutto prevenire tutto ciò? Perché non ci si accorse in tempo di quanto sarebbe successo? Eppure i segnali erano evidenti, sotto gli occhi di tutti. Come disse un testimone diretto di quegli anni, tutto cominciò quando:
“... vennero per gli ebrei e io non dissi nulla perché non ero ebreo.
Poi vennero per i comunisti e io non dissi nulla perché non ero comunista.
Poi vennero per i sindacalisti e io non dissi nulla perché non ero sindacalista.
Poi vennero a prendere me. E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa”.
Martin Niemoeller (Pastore evangelico, deportato a Dachau).

“Io non dissi nulla”, questa frase è il concentrato della dinamica degli avvenimenti successivi. Il valore della memoria, la lezione della storia, è imparare e tenere bene a mente quello che ci insegnano le generazioni che ci hanno preceduto. Che efficacia può avere oggi il racconto degli ultimi testimoni, ma soprattutto, cosa accadrà il giorno in cui anche l’ultimo partigiano, l’ultimo deportato, l’ultimo che abbia vissuto di persona quei tragici avvenimenti saranno morti? La Storia, lo sappiamo, non si fa né con i se né con i ma, ma soprattutto la Storia ha già sentenziato su torti e ragioni e non si può cambiare. Essa, però, madre e matrigna degli eventi, probabilmente non ha mai insegnato abbastanza agli uomini, perché, passato un certo numero di anni, ecco ricomparire coloro che minimizzano, distinguono, negano, rivedono e rimuovono quello che è stato. Allora la domanda che bisogna porsi deve essere un’altra: oggi quei drammatici avvenimenti potrebbero ripetersi o sono definitivamente sepolti per sempre? Purtroppo, a mio modestissimo giudizio, la risposta è sì: quei fatti potrebbero ripetersi!

Oggi, il “pericolo” si chiama revisionismo, negazionismo, rimozione. Tutto si minimizza, si nega, si revisiona, in altre parole si rimuove. Si giustifica la Storia, si cerca di trovare dei distinguo, delle attenuanti. I revisionisti di professione sono, oltre che molto attivi, decisamente in crescita ed arruolano tra le loro fila, stando alle ultime pubbliche esternazioni, anche insospettabili uomini di religione, di scienza, di cultura. Sono all’opera da tempo, alimentano un clima di insofferenza, sfruttano il disagio che la crisi economica fa emergere, amplificano la paura del diverso, dello straniero, del migrante, sia che appartenga ad una diversa etnia, sia che abbia un colore di pelle diverso. Vengono pubblicati libri che della Storia stessa ne denunciano, approssimativamente, torbidi episodi, che i campi di sterminio erano in realtà semplici luoghi di lavoro, che le camere a gas sono pura invenzione e altre tristi amenità. Alcune conseguenze sono sotto gli occhi di tutti; turpi episodi verso poveri immigrati, gratuita violenza verso persone povere che vivono in strada e che eufemisticamente vengono chiamate “senza tetto o clochard”, picchiati ed a volte bruciati mentre dormono all’addiaccio da persone che si ispirano all’odio sociale e a ideologie violente, già condannate dalla Storia.

Questi sono fatti che si ripetono con sempre maggiore frequenza. Gli stadi di calcio abbondano di croci celtiche, svastiche e del saluto hitleriano “sieg heil”. Questi sono segnali ben precisi, come lo furono allora, e ci fu chi non li vide, chi li vide e “non disse nulla”, chi non si ribellò, finché “non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa”. Ma quanti oggi li vedono? Il fenomeno nasce sempre in sordina, poi cammina su gambe proprie per espandersi. Ad ogni passaggio i negazionisti e i revisionisti si autoconvincono che, dopotutto, può darsi che le cose siano andate in un altro modo. In un passaggio successivo cominciano a credere che la Storia, così come raccontata è la descrizione degli eventi operata dai vincitori e dunque faziosa, parziale, falsa. Ricostruiscono, quindi, loro la verità su come “effettivamente” si sono svolti i fatti. Fanno in altre parole proselitismo. Sarà solo folclore o è la punta di un iceberg che, nemmeno in modo tanto imprevisto, sta emergendo? Costoro non si pongono ma ci pongono la domanda se la Resistenza sia davvero servita a qualcosa. Di sicuro c’è che la memoria corta rischia di trasformarsi in una nuova eclissi.

Come disse Hannah Arendt, riferendosi alla terrificante normalità umana del secolo delle ideologie organizzate, “il male è banale”. E laddove il male appare banale, proprio per questo è ancora più terribile, perché i suoi servitori, più o meno consapevoli, non saranno, come non lo sono stati prima, poi così “diversi dal nostro vicino di casa. I carnefici di sessant’anni fa non avevano la grandezza dei demoni: erano piccoli uomini; si somigliavano e ci somigliano!” Ovvero, tradotto in semplici parole: i sentimenti più banali e apparentemente innocui sono i motori della più estrema umanità.

Ieri come oggi, come domani, come sempre; quindi? A questa semplice equazione vorrei dare una risposta più articolata, perché oggi la gioventù del Grande Fratello, di Facebook e dell’iPOD, deve sapere che parole come libertà, uguaglianza, giustizia, democrazia, non sono concetti acquisiti per sempre, ma sempre necessitano di essere esercitati e soprattutto difesi dagli assalti sempre più pesanti che vengono loro portati. Ma, cosa possiamo poi rimproverare ai giovani, se il modello loro inculcato è il consumismo di massa, che favorisce il conformismo, dove nessuno, orientato dalla diffusione mediatica dei gusti e degli stili di vita, vuole essere diverso dall’altro? Il percorso che si compie, pur senza accorgersene, è un meccanismo perverso, e fa sì che alla fine tutti si somiglino, esteriormente e, in altre parole, la pensino come allora, tutti allo stesso modo.

Se questo ragionamento è vero, occorrerà vigilare e far sì che il 25 aprile sia sempre non una mera data storica, ma un simbolo politico molto importante, che non ci siamo lasciati alle spalle. L’annuale ricorrenza deve servire, quindi, per un esame di coscienza collettivo a salvaguardia delle Istituzioni democratiche e della nostra Costituzione, figlia di quella Guerra di Liberazione che ha riscattato il nostro Paese, e preziosa eredità destinata a perpetuarne i valori fondanti. Ci chiediamo se oggi, dopo 71 anni, festeggiare il 25 aprile abbia ancora un senso, oppure la sua spinta evocativa si già sia completamente esaurita! La spinta propulsiva non si esaurirà se nel 25 aprile non ci interrogheremo solo sui sopravvissuti o sui testimoni diretti di quegli avvenimenti, ma anche su noi stessi, generazioni venute dopo.
La memoria del 25 aprile viva in noi, dunque, come un dovere e al tempo stesso un monito, affinché ci renda sempre vigili per meditare e per non ripetere più i tanti sbagli del passato.

W IL 25 APRILE!

 

INFORMAZIONI

Filippo Di Blasi, socio DLF Genova
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