I TEDESCHI

Hobby Scrittura
Grandezza Carattere

Quel mattino il sole era più ardente del solito, la campagna intorno era immersa nel silenzio, i rumori della vicina Via Aurelia giungevano ovattati al mio orecchio.
Ero appoggiato al tronco di un albero cercando di concentrarmi nella lettura di un libro, lo scroscio dell'acqua della vicina fontana mi dava un senso di frescura, era un momento piacevole. La mente galoppava in pensieri irreali, assurdi, propri di un ragazzo di 10-11 anni. La vita, per quanto difficile dato il periodo di guerra, non aveva intaccato il mio mondo, dove regnava un’altra realtà, fuori dal tempo.

All'improvviso, un rumore indescrivibile, nitriti di cavalli, comandi in tedesco, interruppero il mio isolamento, riconducendomi alla realtà. Vidi i cespugli che cingevano l'orto aprirsi alle mie spalle, dovetti fare un balzo di fianco per non essere travolto da uomini e cavalli, erano soldati tedeschi con i loro carriaggi. Uomini e animali quasi irriconoscibili, coperti di polvere e grondanti sudore, si gettarono letteralmente verso la nostra fontana, immergendo il volto nell'acqua per rinfrescarsi, i più fortunati si dissetavano alla cannella della fontana.

Era una scena che colpiva, erano i resti di un esercito in ritirata, il volto di quei soldati era più umano, non più incuteva paura ma un sentimento di pietà. La rassegnazione si stava impossessando di quei rudi soldati, trasformandoli da perfette macchine da guerra in esseri umani. I cavalli al loro fianco erano condotti stancamente per le briglie, essi non erano in condizioni migliori degli uomini, vedendo il fontanone nell'orto con un ultimo sforzo superarono i soldati e, avidamente, si misero a bere affondando il muso in quell'acqua mista a sapone, retaggio di un bucato della nonna.
I soldati si erano letteralmente precipitati sotto il tubo da cui sgorgava la fresca acqua, incuranti dell'acqua che scorreva sul collo, sulle divise impolverate, assaporavano con voluttà quei momenti di refrigerio a lungo desiderati, sembrava che non finissero più di saziarsi, alcuni addirittura scansavano la testa dei cavalli immergendo la propria nell'acqua.

Dopo aver soddisfatto la sete, ognuno si cercava un angolo, sparpagliandosi per l'orto alla ricerca di un angolo ove riposarsi. Le mie sorelle si erano rifugiate in casa protette da nonna; io, al contrario, essendo uomo, mi aggiravo mosso da curiosità tra quei corpi stanchi. Ad un certo punto, passando vicino ad un anziano caporale seduto su una grossa pietra, fui da questo trattenuto per un braccio, ma, non con cattiveria; mi rivolse uno stanco sorriso, come a dirmi di non avere timore, mi prese delicatamente in braccio e mi mise a sedere su un ginocchio; ero impaurito e girai il capo alla ricerca di nonna, ma incontrai il volto del soldato, un volto segnato dalla sofferenza, dalle privazioni, occhi lucidi, arrossati dalla polvere, lacrime silenziose rigavano il suo volto, era una maschera che emanava un senso di pietà. Con la mano libera cercò qualcosa sotto al cappotto, estrasse con difficoltà un portacarte e mi mostrò la foto di un ragazzino della mia età, un ciuffo ribelle e l'aria sbarazzina. Compresi immediatamente il dramma dì quel padre, gli accarezzai il volto, seguitava a piangere in silenzio. Mia nonna, che era uscita correndo in mio aiuto, si fermò colpita da quella scena. Il vecchio caporale mostrò anche a lei la foto indicandomi con il capo, dalle sue labbra riarse uscì un nome, Valter, quello del figlio lontano. Mia nonna, anche lei con gli occhi lucidi, in silenzio gli mise una mano sulla spalla come a confortarlo.

A distanza di anni ricordo con lucidità quell'episodio che, sotto un certo aspetto determinò il passaggio dal modo della fantasia, della giovinezza, al mondo degli adulti. Quella figura di soldato, simbolo dell'uomo succube della guerra, non era il nemico, l'avversario da combattere, ma un uomo sofferente, un fratello...

In quei giorni di caos la morte era in agguato ovunque, sarà stato risparmiato? Avrà rivisto suo figlio? Questa è la domanda che mi ritorna spesso. Il suo desiderio ultimo non era quello di un soldato, ma quello di un padre: poter rivedere il figlio lontano, quel figlio che aveva intravisto in me, in una mattina d'estate, in una terra lontana, nemica.

INFORMAZIONI

Marino Giorgetti

Gruppo Archeologico DLF Roma
Presidente Coordinatore Nazionale dei Gruppi Archeologici DLF
Cell. 338 9145283
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