OSPEDALE MILITARE S. CARLO

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Lungo la Via Aurelia, dopo la contrada S. Antonino e prima della Madonna del Riposo, al culmine della salita, sulla sinistra andando fuori Roma si incontra l'Ospedale S. Carlo, allora ospedale militare. Ogni sera, siamo nel 1944, alla stessa ora, gli abitanti si recavano nella cappella dell'ospedale per partecipare alla funzione religiosa, a cui partecipavano anche i militari mutilati. Tutte la sere nonna Caterina ci conduceva ad assistere alla funzione, in breve tempo imparammo a conoscere molti dei militari feriti e, conseguentemente, anche loro conobbero noi, ci si chiamava per nome.

Erano mutilati prevalentemente agli arti, chi era privo di un braccio, di una gamba o di ambedue, alcuni erano anche ciechi. Quando arrivavamo alla funzione ci salutavamo con un cenno o un sorriso, per loro la nostra presenza era un richiamo alla famiglia lontana, le donne del posto portavano quel poco che avevano, normalmente semplici dolci fatti in casa. In prevalenza i militari erano giovani, la disgrazia non aveva intaccato la loro fiducia verso la Patria, erano allegri e pronti al dialogo, imparai a conoscere i lori nomi e il luogo di nascita, Spesso la mattina mi fermavo al grande cancello d'ingresso dell'ospedale per osservare gli esercizi all'aperto degli amici mutilati, effettuati con vari attrezzi come il cavalletto, gli anelli, ecc. Erano molto bravi, affrontavano con serietà gli esercizi che, date le loro condizioni, certamente richiedevano un impegno e un sacrificio notevoli.

Eravamo in primavera, mentre stavo arrampicandomi sull'albero di susine, facendo acrobazie per prendere i frutti appena rosati, sentii giungere dalla strada un rombo continuo di motori, capii che erano camion tedeschi, qualcosa stava accadendo. Di corsa arrivai sul bordo della Via Aurelia, una autocolonna si dirigeva verso la salita, verso l'ospedale.

olto da un presentimento, presi in mano gli zoccoli e mi misi a correre per sorpassare i camion che arrancavano lungo la salita. Arrivai ansante al cancello in tempo per vedere una scena che mi lasciò impietrito; dalla doppia scalinata esterna dell’ospedale, i militari tedeschi gridando nella loro lingua colpivano con il calcio del fucile i militari italiani che venivano spinti e fatti rotolare lungo la doppia scala, causando loro nuove ferite e addirittura riaprire le vecchie; le stampelle venivano gettate in aria dai tedeschi, un italiano che aiutava l'amico cieco a scendere le scale fu colpito alla testa dal calcio del fucile precipitando dalle scale, mentre il cieco gridava aiuto inutilmente. Ai piedi delle scale i feriti venivano incolonnati e condotti verso i camion dove venivano caricati a forza di spintoni e grida, assistevo ad una scena terrificante, che non avrei più dimenticato, non potevo credere che gli uomini potessero giungere a tanto.

Aggrappato alla cancellata, assistevo piangendo silenziosamente al passaggio dei camion con i miei amici che sicuramente non avrei più rivisto, molti avevano il volto insanguinato, alcuni gridavano il mio nome, andavo con lo sguardo dall'uno all'altro, gridavano di avvisare gli altri del quartiere. I tedeschi stesero un telo sui camion e non potetti più vedere gli amici, ma soltanto sentire le loro grida soffocate che mi sono rimaste per sempre nelle memoria.

INFORMAZIONI

Marino Giorgetti

Gruppo Archeologico DLF Roma
Presidente Coordinatore Nazionale dei Gruppi Archeologici DLF
Cell. 338 9145283
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