“L’amico del popolo”, 25 luglio 2017

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

HADAKA NO SHIMA (L’isola nuda, Giappone, 1960), scritto e diretto da Kaneto Shindō. Fotografia: Kiyoshi Kuroda. Montaggio: Toshio Enoki. Musica: Hikaru Hayashi. Con: Nobuko Otowa, Taiji Tonoyama, Shinji Tanaka.

La vita, il lavoro, il lutto di una famiglia composta da marito, moglie e due bambini, unici abitanti di un'arida isola situata nel mare interno del Giappone. L'esistenza di questo nucleo familiare è scandita dalla continua spola tra isola e terraferma; lo scopo è quello di portare l'acqua necessaria per irrigare le loro modeste coltivazioni e soprattutto per la loro sopravvivenza.

“Film semi-documentaristico ed estremo per l'assoluta mancanza di dialoghi. Un capolavoro che servirà ad esempio per le future produzioni indipendenti”.

(FilmTV)

La vita d'una famiglia di contadini, in un isolotto senz'acqua, al ritmo delle quattro stagioni. D'estate, il padre (Nobuko Otowa) e la madre (Taiji Tonoyama) vanno a prendere sul continente l'acqua per innaffiare i campi. L'autunno descrive un viaggio sul continente; l'inverno le piogge e le fatiche dei campi. In primavera il figlio maggiore pesca un grosso pesce che viene venduto. Poi il bambino muore ed è sepolto. Il film è basato sui ricordi dell'infanzia del regista che ha dichiarato: "Sono nato in una famiglia numerosa in un'isola del Mare Interno (Giappone Occidentale) e ho visto coi miei occhi il duro lavoro dei miei genitori, il trapianto del riso all'inizio dell'estate sotto il sole scottante, la faticosa raccolta nell'autunno, e non dimenticherò mai l'immagine di mia madre che porta sulle spalle due pesanti mastelli d'acqua”.

(Georges Sadoul)

“Scrive Roberto Silvestri nella prefazione del volume curato da Enrico Azzano e Raffaele Meale, Storia del Cinema Giapponese dal 1945 al 1969, L’isola nuda è “il più grande successo internazionale di quegli anni per quanto riguarda il cinema autonomo dalle majors”, realizzato seguendo modi di produzione indipendenti e fuori schema. Non parlato, ma impreziosito da una colonna sonora in cui le voci della natura si fondono con le note musicali, il lungometraggio in bianco e nero scandisce, stagione per stagione, l’esistenza quotidiana al limite di un uomo e una donna che abitano su un isolotto impervio, insieme ai due figlioletti. La protagonista femminile de L’isola nuda, interpretata dalla seconda moglie e musa ispiratrice del regista (Nobuko Otowa), compensa l’assoluta mancanza di tenerezza coniugale con un legame carnale fra lei e la natura: spingere il remo dell’imbarcazione nell’acqua, lavarsi il corpo sotto le stelle, abbracciare la terra nel momento del bisogno diventano atti di estrema e disperata sensualità. L’uomo calcola e organizza l’esistenza razionalmente, nell’illusione di avere tutto sotto controllo, ma la vita e la morte a volte sono imprevedibili e possono portar via ciò che si ha di più caro. Purtroppo, l’isolamento dai propri simili non può che peggiorare le cose”.

(Lucilla Colonna in 2. Nihon Eiga: "L'isola nuda" di Kaneto Shindo - Taxidrivers.it)

“Privo del tutto di istanze nichilistiche, il cinema di Shindo ha continuato, anche in questi ultimi anni della sua lunga e invidiabile carriera, ad indagare l’uomo e la sua natura, con inappuntabile eleganza, lasciandosi andare talvolta ad una velata malinconia, ma senza dimenticare di esprimere la sua condanna nei confronti della guerra e di ogni posticcio e disumanizzante costrutto sociale. Caratteristiche che fanno di questo autore centenario il primo dei dissidenti, l’ultimo degli idealisti”

(Daria Pomponio in 2. Nihon Eiga: "L'isola nuda" di Kaneto Shindo - Taxidrivers.it)

"Il soggetto è semplice, quasi a carattere documentaristico. Nonostante eccessive insistenze, affidandosi unicamente al linguaggio delle bellissime e ricercate immagini, poiché non esiste il parlato ma solo un delicato commento musicale, il regista è riuscito sovente a creare un clima di poesia, rappresentando la dura fatica con un tono di calda e delicata umanità."

('Segnalazioni cinematografiche', vol. 52, 1962)

“Sui pendii di un'isola brulla una coppia arranca: sulle spalle vasi pieni d'acqua per irrigare il campo a cui è legata la loro sopravvivenza. L'isola nuda di Kaneto Shindo parla del Giappone degli anni Cinquanta, delle difficoltà spesso invisibili e dell’umana solitudine. Vera protagonista è l'acqua che nello struggente finale diventerà il simbolo della speranza. Film d'osservazione, immerso nello sciabordio del mare”.

(La Repubblica.it)

“Diceva un vecchio grammatico del Settecento, l’abate Girard, che la proprietà, la semplicità, l’evidenza dell’espressione, congiunte all’altezza del pensiero, danno il sublime. Ripeteva, nello stesso secolo, il commediografo giapponese Chikamatsu che il pathos è questione di misura, di riserbo: quando ogni elemento dell’arte è sotto l’impero di questo riserbo, l’effetto commovente si produce da se. Gli anni passano, ci ritroviamo fra le mani una letteratura e un cinema aggrovigliati intorno a problemi spesso d’estrazione culturale più che artistica, a romanzi che urlano, a film che gesticolano come manifesti elettorali. La pulizia dello stile viene considerata freddezza... Arriva un film come L’isola nuda e una parte del pubblico, corrotto nel gusto, dirà che è un’opera lenta, noiosa, priva di intreccio: figurarsi, un film muto in cui tutto quello che appare è la morte di un bambino. Tutti i giorni, in tutte le parti del mondo, muoiono dei bambini. Questo è quanto può fare l’umanità: continuare a svolgere in sé il senso del dovere verso la vita”.

(Giovanni Grazzini, Corriere della sera, 14 novembre 1962)

HADAKA NO SHIMA (L’isola nuda, Giappone, 1960), scritto e diretto da Kaneto Shindō

 

Una poesia al giorno

Credo nella vita, di Eugenio Montejo (in “La lenta luce del tropico”, Le Lettere, 2006, traduzione italiana L. Rosi, in Poeti venezuelani - Interno Poesia)

Credo nella vita sotto forma terrestre,
tangibile, vagamente rotonda,
meno sferica ai poli,
dappertutto piena di orizzonti.

Credo nelle nuvole, nello loro pagine
nitidamente scritte
e negli alberi, soprattutto d’autunno.
(Talvolta mi pare d’essere un albero).

Credo nella vita come territudine,
come grazia o disgrazia.
- Il mio desiderio più grande fu quello di nascere,
e ogni volta continua ad aumentare.

Credo nel dubbio agonico di Dio,
vale a dire, credo che credo,
anche se la notte, da solo,
interrogo le pietre,
ma non sono ateo rispetto a nulla,
tranne che alla morte.

 

Un fatto al giorno

25 luglio 1788: Wolfgang Amadeus Mozart completa la sua sinfonia n. 40 in Sol minore (K550) a Vienna. Essa è la seconda di tre sinfonie (le altre sono la n. 39 e la n. 41 "Jupiter") composte in rapida successione durante l'estate del 1788.

 

Una frase al giorno

“Gli uomini hanno poca stima degli altri, ma non ne hanno molta neanche di se stessi”.

(Lev Trotsky, pseudonimo di Lev Davidovič Bronštejn, 1879-1940, politico e rivoluzionario russo)

 

Un brano al giorno

Ovvio! Mozart - Symphony n° 40 - Berlin / Böhm Berliner Philharmoniker Karl Böhm Studio recording, Berlin, 1961

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k