“L’amico del popolo”, 27 novembre 2017

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

O CANGACEIRO (Il brigante, Brasile, 1953), regia di Victor Lima Barreto. Sceneggiatura: Lima Barreto, Rachel de Queiroz. Fotografia: H.E. Fowle. Montaggio: Giuseppe Baldacconi, Lúcio Braun, Oswald Hafenrichter. Musiche: Gabriel Migliori. Con: Alberto Ruschel, Marisa Prado, Milton Ribeiro, Ricardo Campos.

Galdino Ferreira, capo di una banda di malviventi, mette sottosopra la regione del Nordest brasiliano. Nel corso di una delle tante scorribande Galdino prende in ostaggio Oliva, una giovane maestra che l'ha affascinato con la sua bellezza. Teodoro, luogotenente di Galdino, che non approva questo atto di prepotenza verso una donna, la libera e si allontana con lei. Accortosi della fuga dei due, il bandito mette sulle loro tracce i suoi uomini.

I Cangaceiros erano i ribelli della regione del Sertão, in Brasile, protagonisti tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX secolo del movimento sociale del cangaço, le cui motivazioni e cause sono da ricercarsi nelle particolari condizioni socio-politico-economiche in cui si trovava il nordest del paese nella seconda metà del XIX secolo. Il ribellismo nel Sertão fu guidato da capi che assunsero un rilievo quasi leggendario e che si guadagnarono un certo appoggio da parte della popolazione, che vedeva nei cangaceiros l'unica possibilità di proteggersi dal potere dominante dei grandi latifondisti, i cosiddetti Coroneis (Colonnelli).

“Barreto con questa opera prima vinse la Palma d'Oro al festival di Cannes (miglior film d'avventura), mescolando temi dichiaratamente western con argomenti della storia nazionale. La colonna sonora, ai tempi, riscosse un enorme successo”.

(FilmTv)

“È una tenera storia d'amore e di violenza. Un brigante distrugge e saccheggia. Un giorno prende prigioniera una donna della quale si innamora Teodoro, braccio destro del bandito. Teodoro fugge con la bella e il capo si mette in caccia. Fra pericoli e disagi nasce l'amore. I due vengono raggiunti e Teodoro si sacrifica per salvar la vita della sua innamorata. La musica del film ebbe successo mondiale”.

(Mymovies.it)

“Il film presenta Galdino nelle sue scorribande attraverso un territorio poverissimo, il sertao, pianura desolata del Nordest, appena ravvivata da macchie di verde lungo i rari fiumi, dove sopravvivono gli ultimi e pacifici indios. Gli episodi di ferocia contro i villaggi che tradiscono sono all’ordine del giorno, fino alla completa razzia dei poveri averi dei contadini. Inflessibile contro la rara borghesia collaboratrice, sindaci, insegnanti, commercianti, Fereira non esita a ricorrere alle atrocità e al massacro di chiunque sospetti di complicità con la polizia, ma nello stesso tempo esercita una sorta di giustizia, arrivando a punire i suoi se maltrattano la povera gente.
Imprendibile, anche perché protetto dalle popolazioni locali, Galdino, dopo essersi impadronito di un villaggio, commette un errore che muterà per sempre la sua vita e quella della sua banda. Accecato dall’odio verso qualunque rappresentante della istituzioni, fa prigioniera la maestrina di un villaggio, Olivia, e la trascina nel sertao sottoponendola ad una vita durissima. Ma la dimensione dei rapporti affettivi è completamente estranea al personaggio, che non si accorge di aver contaminato il suo gruppo con i germi dell’amore. Il bel Teodoro, il suo amico e braccio destro, di cui è chiaramente innamorata la donna di Galdino, Maria Clodia, non tarda a innamorarsi di Olivia, ricambiato.
I due, quando si accorgono che Galdino, istigato da Maria Clodia, vuole separare Olivia da Teodoro, per riservare alla ragazza un duro trattamento, fuggono nel sertao, scatenando le ire di Fereira che inizia a dar loro la caccia, inferocito soprattutto dal tradimento di Teodoro, al quale, scopertamente, è legatissimo.
I due giovani peregrinano nella desolazione del sertao inseguiti dalla banda. Trovato rifugio in una delle rare foreste fluviali, Teodoro e Olivia, ormai disperando di sopravvivere, decidono di “sposarsi”. Sul fiume risale lenta una piroga con un pacifico indio seminudo. Scambiano la collana dell’indio con qualcosa del loro equipaggiamento. La collana sarà la loro “fede” di nozze.
Dopo vari scontri a fuoco, in cui Teodoro riesce sempre ad avere la meglio con numerose perdite fra la banda, i due sono intrappolati su una collina desolata. Le munizioni sono finite. Teodoro convince Olimpia a mettersi in salvo sull’unico cavallo rimasto. Mentre la ragazza galoppa via, Teodoro si arrende, non prima di aver ferito gravemente Galdino con l’ultimo colpo in canna. Ma Galdino, in nome dell’antica amicizia, non se la sente di uccidere il suo amico. Gli darà un’ultima possibilità. Si allontani camminando nel brullo sertao senza alberi, mentre gli uomini spareranno su Teodoro un colpo ciascuno. Se si salverà sarà libero di fuggire e raggiungere Olimpia. Molti uomini si rifiutano, a cominciare da Maria Clodia. Teodoro si allontana lentamente sotto il sole. E comincia il tiro a segno.
Quest’ultima scena è passata alla storia del cinema e forse ha decretato il successo del film. All’epoca fece un’enorme impressione, facendo sussultare lo spettatore ad ogni colpo. Opera di grande realismo, dà l’impressione di essere influenzata dal neorealismo italiano, che al tempo viveva la sua ultima stagione prima dell’ondata del neorealismo rosa.
Qualche critico ha voluto fare il parallelo con il cinema western, ma il taglio de “O’ Cangaceiro” è completamente diverso, se non altro per le scoperte tematiche sociali e la rappresentazione di una miseria intollerabile. A tutt’oggi il Nordest è la spina nel fianco del Brasile, che pur si avvia a diventare una potenza economica mondiale”.

(Victor de Lima Barreto, 1953)

O CANGACEIRO (Il brigante, Brasile, 1953), regia di Victor Lima Barreto

 

Una poesia al giorno

Il flagello, di Émile Verhaeren (20 maggio 1855 - 27 novembre 1916, fu poeta belga di lingua francese, uno dei poeti capostipiti della scuola simbolista)

La Morte ha bevuto del sangue
All'osteria delle Tre Bare.
La Morte ha posato sul banco
Uno scudo nero:
-E' pei ceri e i funerali.
E qualcuno se n'è andato
Lentamente
A cercare il sacramento.
Visto s'è passare il prete,
Si son visti i chierichetti;
Tutti andavano alle case dell'affanno e del dolore
Ote chiudevan le finestre.
La Morte ha bevuto del sangue
N'è briaca.
(. )
La Morte ha camminato a lungo
Per il paese della povera gente,
Senza troppo volere, senza troppo pensare,
La testa matta
Come una palla.
Portava uno straccio di mantello rosso,
Con dei bottoni da militare,
Al bicorno aveva appuntato un pennacchio di traverso
Gli stivali aveva a tromba;
Un cavallo suo fantasma
Rompeva un trotto molto lento
Di cavallo con la gotta
Sulle pietre della strada;
E seguivano le folle, verso non importa dove,
Un grande scheletro amabile ed ebbro
Che rideva del lor panico
E che senza alcun timore, senza orrore
Vedeva torcersi nell'apertura della sua tunica
Un bianco groviglio di vermi che gli succhiavano il cuore.

 

Un fatto al giorno

27 novembre 1941: con la resa di Gondar, l'Italia abbandona l'Africa orientale. “Nel corso della Guerra d'Etiopia Achille Starace, alla testa di una colonna motorizzata composta in prevalenza da Camicie nere, occupò la città il 1º aprile 1936. Sotto l'occupazione italiana Gondar sperimentò un certo sviluppo urbanistico e fu dotata di un piano regolatore, opera di Gherardo Bosio. Nel 1938, per iniziativa del governatore Mezzetti, il Genio militare iniziò a restaurare alcuni dei principali edifici storici della città, in particolare il Castello e i Bagni di Fasilide. Durante la Seconda guerra mondiale, nel novembre 1941, le truppe italiane al comando del generale Guglielmo Nasi combatterono qui l'ultima battaglia di Gondar; l'Italia si era già arresa alle forze degli Arbegnuoc e inglesi a maggio”.

(Wikipedia)

Immagini sull’argomento

27 novembre 1941: con la resa di Gondar, l'Italia abbandona l'Africa orientale

 

Una frase al giorno

“Casa è il luogo dove io lavoro, ed io lavoro in qualunque luogo”.

(Alfred Bernhard Nobel. Stoccolma, 21 ottobre 1833 - Sanremo, 10 dicembre 1896. E’ stato un chimico, imprenditore e filantropo svedese, noto per essere stato l'inventore della dinamite e l'ideatore del premio Nobel)

Alfred Bernhard Nobel (Stoccolma, 21 ottobre 1833 - Sanremo, 10 dicembre 1896)

 

Un brano al giorno

Il 27 novembre 1896, “Così parlò Zarathustra”, poema sinfonico di Richard Strauss, fu eseguito per la prima volta. Composto nel 1896, è ispirato all'omonima opera poetico-filosofica del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche.

Ascolto: www.youtube.com
Orchestra Nazionale di Santa Cecilia, Roma Direttore d'orchestra: Antonio Pappano


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k