“L’amico del popolo”, 4 gennaio 2018

L'amico del popolo
Grandezza Carattere

L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

I GIORNI CONTATI (Italia, 1962), regia di Elio Petri. Sceneggiatura: Elio Petri, Carlo Romano, Tonino Guerra. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Ruggero Mastroianni. Musica: Ivan Vandor. Cast: Salvo Randone, Franco Sportelli, Regina Bianchi, Paolo Ferrari, Vittorio Caprioli, Alberto Amato, Vittorio Donato, Giulio Battiferri, Vittorio Bottone, Lando Buzzanca, Piero Gucaione, Renato Maddalena, Angela Minervini, Egidio Porzia, Silvio Silvi, Marcella Valeri, Aldo Pini, Enrico Salvatore.

Cesare, un idraulico di cinquantacinque anni, che ha lavorato sodo per tutta la vita, dopo la morte della moglie si trova veramente solo. Un giorno Cesare vede morire un uomo della sua età e quell'episodio folgora Cesare come una rivelazione: egli sapeva che alla sua età si può morire, ma ora lo ha "visto". Questa consapevolezza matura in lui una decisione imprevedibile: smetterà da oggi, e per sempre, di lavorare, per potersi godere la vita prima che sia troppo tardi. Ma è già troppo tardi per lui. I giorni di vacanza di Cesare non sono che un inutile rincorrere la giovinezza; ogni strada presa da Cesare è un vicolo chiuso, ogni speranza una delusione. E' rimasto irrimediabilmente indietro di diversi decenni. Perfino il modo di divertirsi della gente non è più il suo. E' per questo che Cesare, arrendendosi alla società che lo circonda, ritorna a lavorare. La sua breve vacanza è servita solo ad aprirgli gli occhi e a spegnere, uno dopo l'altro, tutti i suoi sogni.

I GIORNI CONTATI (Italia, 1962), regia di Elio Petri

“Un artigiano sui cinquant’anni vede un giorno morire in tram un uomo suppergiù della sua età ed ecco entrare terribile in lui la paura della monte. Per vincerla, decide di non lavorare più, di logorarsi il fisico il meno possibile, di ritrovare la spensieratezza, gli scherzi, gli svaghi degli anni più giovani: ma la sua non è più l’età dell’amore, delle passeggiate, dell’ozio e non è neanche quella in cui si possono imparare nuove cose, conoscere nuovi mondi; sconfortato, deluso e soprattutto angustiato dalla mancanza di denaro sopraggiunta all’interruzione del lavoro, l’artigiano ritorna allora alle fatiche di prima e una sera, su un tram, reclina la testa sul petto: forse dorme, forse è morto”.

(Gian Luigi Rondi, Il Tempo)

"...Petri è il primo regista italiano che sovrappone alla lezione neorealistica le insofferenze di ripresa e di montaggio della Nouvelle Vague: il taglio delle sue scene si rifà a Godard, il senso di immediatezza che hanno molti episodi deriva da una tecnica sbrigativa ed improvvisa di ispirazione francese; il regista non si preoccupa di costruire (come in "L'assassino"), preferisce aggredire la realtà senza pregiudiziali narrative".

(Tullio Kezich)

“Cesare, stagnino romano di 55 anni, assiste alla morte di un coetaneo in tram. Da quel momento crede di avere i giorni contati, quindi, lascia il lavoro, cercando di recuperare il tempo perduto come meglio può. Più aperto nei confronti delle persone, si mescola alla gente in spiaggia, frequenta gli amici, cerca di riavvicinare una vecchia fiamma, torna a visitare il paese di origine. Dopo essere stato quasi coinvolto nella simulazione di un incidente tranviario, torna a fare il suo vecchio mestiere. Il cuore del secondo film di Elio Petri è il puntuale racconto di uno scacco esistenziale, un'indagine sulla vecchiaia e sul dubbio, atroce, di aver tralasciato il meglio della vita. Condotto con una mano registica attenta al particolare, I giorni contati non mostra gracilità narrative anche a fronte di un tema esplorato più volte dal cinema d'autore europeo. Forza della sceneggiatura (del regista, Carlo Romano e Tonino Guerra) è, in gran parte, la creazione di un protagonista oltremodo credibile e vicino alla realtà, uomo gentile e disperato in modo sommesso: a fare un bilancio di vita, qui, non è un intellettuale o un artista, come accade di solito, ma un semplice idraulico, a ulteriore conferma di quanto l'esistenza sia dolorosa per chiunque. Da un punto di vista stilistico, Petri sa mettere a frutto il bagaglio di una messa in scena di stampo naturalistico con una modalità di racconto nuova, di rottura, memore delle esperienze della Nouvelle Vague per quanto riguarda i tagli di ripresa e alcune scelte di montaggio. Se il suo cinema, d'ora in poi assumerà caratteristiche sempre più barocche, mescolando una certa visionarietà all'impegno politico, questo lavoro rappresenta un ottimo equilibrio tra una lettura della contemporaneità di vocazione neorealistica e certo cinema dello scavo interiore. Pensare a Ingmar Bergman, per una riflessione sullo scorrere del tempo come questa, risulta quasi automatico, così come trovare alcuni rimandi all'opera di Michelangelo Antonioni, al quale il cineasta guardava già per il precedente L'assassino. Nonostante sia tutto costruito intorno a Cesare, addosso al suo dialogo interiore/espresso, il film è l'evidente denuncia di un sistema capitalistico alienante in cui l'uomo è destinato a perdersi, un discorso preciso che dal particolare di un solo uomo ambisce a comprendere tutti. Tra gli attori prediletti del regista, Salvo Randone ha l'occasione di mettere in mostra le sue straordinarie capacità recitative in uno dei pochi ruoli da protagonista della sua carriera. In parti minori si distinguono Vittorio Caprioli e Paolo Ferrari. Vinse il 1° Premio al Festival di Mar del Plata”.

(Marco Chiani in www.mymovies.it)

“Un operaio romano, vedovo e solo (Salvo Randone), è impressionato dalla morte di un ignoto coetaneo, e si rende conto che quel momento può ormai arrivare anche per lui. Lascia il lavoro, deciso a godersi gli ultimi tempi di vita, ricerca un lontano amore (Regina Bianchi), litiga con il figlio e si rende conto amaramente del fallimento di questa sua "svolta". Il secondo film di Petri resterà probabilmente anche il suo migliore (ha girato, dopo, film decisamente commerciali). È costruito in episodi staccati, senza inutili digressioni psicologiche, con un linguaggio moderno e teso che risente delle esperienze più nuove del cinema contemporaneo (Antonioni, ma forse anche Godard) e di qualche buona lettura”.

(Georges Sadoul)

“Un idraulico, arrivato a 55 anni, subisce uno choc che gli toglie ogni voglia di vivere e l’ossessiona col pensiero della morte imminente, che coinvolge ogni cosa: presente e passato, vita propria e altrui, amicizie ed affetti. Un tema di fondo della filosofia esistenzialista sornionamente esposto da Petri allo scirocco romano: universalità d’una situazione psicologica e quotidianità di vita si mescolarono in un clima quasi evanescente appena venato di segni ironici e grotteschi”.

(Gian Piero dell'Acqua)

“...il secondo si connotava apertamente come un film difficile, pensato al di fuori delle strutture dei generi, costruito su un grande attore di teatro pressoché sconosciuto al cinema (Salvo Randone), realizzato con ampia libertà artistica nel quadro della strategia della Titanus di Goffredo Lombardo volta a promuovere anche in Italia un’operazione in stile Nouvelle Vague.”

(Elio Petri, da “Il cinema di sinistra e l'industria culturale”)

“Il mio film è una protesta contro l'ossessione della vita moderna: tutti corrono, s'affannano, hanno fretta, una fretta di arrivare, ma a che cosa? A una triste vecchiaia carica di rimpianti per ciò che si è sacrificato e perduto”.

(Elio Petri, 1962)

Sul set de

 

Una poesia al giorno

The Love Song Of J. Alfred Prufrock (Il canto d’amore di J. Alfred Prufrock, 1910/1911), di Thomas Stearns EliotThe Love Song Of J. Alfred Prufrock (Il canto d’amore di J. Alfred Prufrock, 1910/1911), di Thomas Stearns Eliot (Saint Louis, 26 settembre 1888 - Londra, 4 gennaio 1965. Traduzione di Luigi Berti)

S’io credessi che mia risposta fosse
a persona che mai tornasse al mondo,
questa fiamma staria senza più scosse.
Ma per ciò che giammai di questo fondo
non tornò vivo alcun, s’i’ odo il vero,
senza tema d’infamia ti rispondo.
[Dante, Inferno, canto 27, vv 66-66]

Allora andiamo, tu ed io,
quando la sera è tesa contro il cielo
come su un tavolo un paziente in preda alla narcosi;
andiamo per certe semideserte strade
ritrovi mormoranti
di chi passa notti agitate in alberghi da poco
e restaurants sparsi di segatura e gusci d’ostrica;
strade si susseguono come un tedioso argomento
d’ingannevole intento
e c’inducono ad una domanda opprimente...
Oh, non chiedete: «Cos’è?».
Andiamo a far la nostra visita.

Nella stanza le donne vanno e vengono
parlando di Michelangelo.

La nebbia gialla che strofina il dorso sui vetri della finestra,
il fumo, giallo che strofina il muso sui vetri della finestra
ha lambito con la lingua gli angoli della sera,
ha esitato sulle pozze stagnanti dei gorelli
s’è lasciato cadere sul dorso la fuliggine caduta dai camini,
è scivolato dalla terrazza, ha fatto un salto improvviso,
e vedendo che era una tenera sera d’ottobre
s’è inanellato intorno alla casa e s’è assopito.

E invero ci sarà tempo
per il fumo giallo che scivola lungo la strada,
strofinando il dorso sui vetri della finestra;
ci sarà tempo, ci sarà tempo
per preparare un viso per affrontar quelli che incontri;
ci sarà tempo per assassinare e creare
e tempo per tutte le opere e i giorni di mani
che sul tuo piatto sollevino e lascino cadere una domanda;
Tempo per te e tempo per me,
e tempo anche per cento indecisioni
e per cento visioni e revisioni,
prima di prendere un crostino e tè

Nella stanza le donne vanno e vengono
parlando di Michelangelo.

E infatti ci sarà tempo
di chiedersi: «Avrò il coraggio?» e «avrò il coraggio?».
Tempo di tornare indietro e scendere la scala,
con una piazza in mezzo ai miei capelli...
(diranno: «Come ti si diradano i capelli!».)
Il mio abito da mattina il colletto che saldo sale al mento,
la cravatta di buon gusto e modesta ma fatta valere da un semplice spillo...
(Diranno: «Come son magre le sue braccia e le sue gambe!».)
Oserò
turbare l’universo?
In un attimo c’è tempo
per decisioni e revisioni che un attimo rovescerà.

Perché già tutte, ormai, le ho conosciute, tutte le ho conosciute...
Ho conosciute le sere, le mattine, i pomeriggi,
ho misurato la mia vita con cucchiai da caffè;
conosco le voci languenti con una cadenza languente
sotto la musica che proviene da una stanza più lontana.
Così, che dovrei credere?

Ed ho già conosciuto gli occhi, tutti li ho conosciuti...
Gli occhi che ti fissano in una frase formulata,
e quando sono formulato, dibattendomi su uno spillo,
quando sono appuntato e mi contorco sul muro,
allora come potrei cominciare
a sputar tutte le cicche dei miei giorni e delle mie abitudini?
E che dovrei credere?

E conosciuto ho già tutte le braccia, le ho conosciute tutte...
Braccia adorne di braccialetti e bianche e nude
(ma alla luce delle lampade, coperte di lanugine castane!)
è il profumo che viene da un vestito
che mi fa divagare a questo modo?
Braccia appoggiate lungo un tavolo, avvolte in uno scialle.
E allora che dovrei credere?
E come dovrei cominciare?

Dirò, all’imbrunire ho vagato per le strade strette
e ho guardato il fumo che sale dalla pipe
di uomini soli e scamiciati ai davanzali?...

Avrei dovuto essere due ruvide branche
in corsa sul fondo di mari silenziosi.

E il pomeriggio, la sera, dorme quieto così!
Lisciato da lunghe dita,
addormentato... stanco... o malato immaginario
sdraiato sul pavimento, qui accanto a te e me.
Dovrei, dopo il tè, i gelati e i dolci
aver la forza di spingere l’attimo alla sua crisi?
Ma sebbene abbia digiunato e pianto, pregato e pianto,
sebbene abbia visto la mia testa (divenuta calva) portata su un vassoio,
io non sono un profeta... e questo non m’importa;
ho veduto il momento della mia gentilezza vacillare,
ho veduto l’eterno Valletto tenermi il soprabito e ghignare,
e in breve, ne ero spaventato.

E sarebbe valsa la pena, dopo tutto,
dopo le tazze, la marmellata e il tè,
fra le porcellane, fra qualche chiacchiera tua e mia,
sarebbe valsa la pena,
di farla finita con un sorriso, di comprimer l’universo in un palla
e di farlo rotolar verso una domanda opprimente,
e dir: «Son Lazzaro, venuto dai defunti,
tonato a dirti tutto, e dirò tutto...».
Se uno accomodandole il guanciale presso il capo,
dicesse: «Questo non è quello che intendevo.
No, non così».

E sarebbe valsa la pena, dopo tutto,
sarebbe valsa la pena,
dopo i tramonti, i cortili e le strade spruzzate,
dopo i romanzi, le tazze del tè, le sottane che frusciarono sul pavimento –
e questo, o molto più? –
è impossibile dire proprio quel che intendo!
Ma come se una lanterna magica proiettasse in disegni i nervi su uno schermo:
sarebbe valsa la pena,
se uno, aggiustando un guanciale o levandole uno scialle di dosso,
volgendosi verso la finestra, dicesse:
«No, non così,
questo non è quello che intendevo».

No, non sono il Principe Amleto, né destinato ad esserlo;
sono un cortigiano del seguito, uno che servirà
per ingrossare un corteo, avviare una scena o due,
consigliare il principe; senza dubbio, un docile strumento,
ossequiente, contento d’esser utile,
politicone, cauto e meticoloso;
pieno di solenni sentenze, ma un po’ ottuso;
quasi ridicolo, a volte, veramente,
e, quasi il Buffone, qualche volta.

Divento vecchio...divento vecchio...
Porterò i calzoni arrotolati in fondo.

Dividerò i miei capelli sulla nuca? E a mangiare una pesca avrò coraggio?
Porterò calzoni di flanella bianca e a spasso me ne andrò sulla marina.
Ho sentito cantare le sirene, l’una all’altra.

Io non credo che canteranno per me.
Le ho viste cavalcare l’onde verso il largo
pettinando la bianca chioma dei flutti gonfi
quando il vento gonfia l’acqua bianca e nera.

Nelle alcove del mare abbiam languito
vicino alle sirene coronate d’alghe rosse e brune
finché voci umane ci destano, e anneghiamo.

Thomas Stearns Eliot (Saint Louis, 26 settembre 1888 - Londra, 4 gennaio 1965)

 

Un fatto al giorno

4 gennaio 1903: Topsy, elefante femmina di un circo di New York, ritenuto "colpevole" di aver provocato la morte di 3 uomini, fu vittima della rivalità tra Thomas Edison, fautore della corrente continua, e Westinghouse, pro corrente alternata. Thomas Edison realizzò un video dell’esecuzione che, per la sua crudeltà, non è adatto a un pubblico sensibile: Electrocuting an Elephant (1903)

“Nato nel sud-est asiatico intorno al 1875, l'elefante fu trasportato in America per partecipare agli spettacoli da circo. Famoso come il primo esemplare nato sul suolo americano, nonostante fosse stato trasportato lì in clandestinità, misurava un'altezza di 3 metri per una lunghezza di 6: il suo peso era stimato tra 4 e 6 tonnellate. Venduto al Forepaugh Circus, venne addestrato a compiere diversi numeri: andare in monopattino, eseguire capriole, alzarsi sulle zampe posteriori, ballare in gonnella. l 27 maggio 1902, a Brooklyn, un guardiano in stato di ebbrezza (James Fielding Blount) entrò nel recinto degli elefanti e prese ad infastidirli: gettò sabbia addosso a Topsy e le bruciò la punta della proboscide con una sigaretta accesa. L'elefante reagì uccidendo l'uomo; la stampa dell'epoca arrivò ad attribuire all'animale l'etichetta di «elefante cattivo», imputandogli ben 12 uccisioni di uomini: la cifra fu in seguito ridotta a 2 persone, entrambi lavoratori del Forepaugh che sarebbero stati uccisi in Texas, uno a Waco e l'altro a Paris. Un'indagine del 2013, condotta dal giornalista Michael Daly nell'ambito di un libro su Topsy, svelò tuttavia come a Waco non si fossero mai verificate morti ad opera di elefanti: l'unico caso controverso in cui l'animale sarebbe coinvolto riguarda il ferimento di un uomo a Paris, durante l'allestimento di uno spettacolo. Il fatto convinse i direttori del Forepaugh a vendere Topsy, che fu comprato dal Sea Lion Park: qui fu protagonista di una fuga dal circo, dopo che un guardiano la colpì dietro l'orecchio con un forcone. L'ingovernabilità dell'animale, unita alla negativa nomea, fece decidere ai proprietari del Sea Lion Park di sopprimerlo. Scelsero di combinare più sistemi: l'avvelenamento (un pasto di carote misto a cianuro), l'impiccagione (tirandone il collo con dei cavi in ferro) e l'elettrocuzione. La scelta di ricorrere all'elettricità fu approvata, in particolare, da Thomas Edison: l'inventore ne approfittò per sostenere la propria tesi a favore della corrente continua, contrapposta al parere di Westinghouse su quella alternata. La sua esecuzione venne fissata per il 4 gennaio 1903, in forma di spettacolo pubblico: il biglietto per assistere costava 25 cent. Alle 14:45 di quella domenica, a Coney Island erano presenti più di 1.500 spettatori.
Quando Topsy si rifiutò di raggiungere la piattaforma predisposta per l'esecuzione, le attrezzature furono spostate. Mentre consumava il pasto contenente il veleno, un elettricista dalla stazione di Bay Ridge inviò la corrente attraverso i cavi. La scossa di 6.600 Volt durò per circa 10", uccidendo l'animale sul colpo. Edison filmò l'avvenimento in un documentario, Electrocuting an Elephant”.

(Wikipedia)

 

Una frase al giorno

“η χώρα έχει μεταβληθεί σε ένα απέραντο φρενοκομείο” (Il paese si è trasformato in un grande manicomio)

(Konstantinos Karamanlis, Serres, 8 marzo 1907 - Atene, 23 aprile 1998. Karamanlis è stato un politico greco, che ha svolto l'incarico di primo ministro dal 1955 al 1963 e dal 1974 al 1980, e di presidente della Repubblica Ellenica dal 1980 al 1985 e dal 1990 al 1995).

“Dopo aver ricoperto il ruolo di ministro del lavori pubblici dal 1952 sotto il governo del generale Alexandros Papagos, alla morte di Papagos, nel 1955, il Re Paolo I lo chiama a sorpresa a ricoprire il ruolo di primo ministro del Regno di Grecia. Karamanlis assume anche la guida dell'ERE (unione radicale nazionale) il partito di centro destra, fondato da Papagos. Sotto i suoi governi la Grecia conoscerà un notevole sviluppo economico. Vince le elezioni nel 1958 e nel 1961. Si dimette, per contrasti con la famiglia reale, nel 1963, partecipa alle elezioni di quello stesso anno, ma, sconfitto, si ritira a Parigi in esilio volontario. Resterà in Francia fino al 1974, dato che nel 1967 in Grecia viene instaurata la dittatura dei colonnelli. Il 24 luglio 1974, torna ad Atene, richiamato in patria dal presidente, il generale Phaedon Gizikis, per formare un governo civile di salvezza nazionale per risolvere la crisi di Cipro, seguita al tentato golpe filo-greco sull'isola fomentato dalla giunta di Atene. Fonda il partito Nuova Democrazia e vince le elezioni nel 1974 e nel 1977. Sotto il suo governo si tiene il referendum che sancirà la nascita dell'attuale Repubblica Greca, con il 69% dei voti, contro 31% per la monarchia. Sempre sotto il suo governo verrà redatta l'attuale costituzione greca. Tratterà l'ingresso della Grecia nella Comunità Economica Europea. Il 15 maggio 1980, eletto presidente della Repubblica Ellenica, lascia la guida del governo a Giorgio Rallis. Il 10 marzo 1985, certo della mancata rielezione, si dimette. Viene rieletto il 4 marzo 1990 e resta in carica fino al 10 marzo 1995. Dopo la morte i seguaci lo chiameranno "l'etnarca".”

(Wikipedia)

 

Un brano musicale al giorno

Giovanni Battista Pergolesi, Concerto per violino, archi e basso continuo in si bemolle maggiore (1730). Pina Carmirelli & I Musici.

Giovanni Battista Draghi detto Pergolesi (Jesi, 4 gennaio 1710 - Pozzuoli, 16 marzo 1736) è stato un compositore, organista e violinista italiano di opere e musica sacra dell'epoca barocca.

Giovanni Battista Pergolesi  (Jesi, 4 gennaio 1710 - Pozzuoli, 16 marzo 1736)

Giovanni Battista Pergolesi ricevette i primi elementi di musica, bambino, da due sacerdoti e da un marchese del luogo prima di passare alla scuola del maestro di cappella comunale, F. Mondini, e di quello del duomo, F. Santi, che vedevano in lui la promessa di un grande talento. Ma egli fin da fanciullo fu di salute delicatissima, minato dalla tisi e colpito da poliomielite che gli offese una gamba. Iniziati gli studi musicali nella città natale (ebbe fama di fanciullo prodigio), li proseguì a Napoli nel Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo (1725) dove continuò lo studio del violino e «contrappunto e suono di tasti».
Domenico Antonio Vaccaro Ritratto di Giovanni Battista Pergolesi Olio su tela, XVIII sec. Napoli, Conservatorio di San Pietro a MajellaAl Conservatorio Pergolesi si segnalò come valente violinista e compositore, il dramma sacro "Li prodigi della Divina Grazia nella conversione e morte di S. Guglielmo duca d’Aquitania" (1731) fu il suo «saggio» finale nel quale inserì una nuova ed irresistibile vena comica. Nel 1733 musicò “Il prigioniero superbo”, opera seria e nello stesso anno fu replicata al S. Bartolomeo la «commedja pe' mmuseca» "Lo frate 'nnamurato", su libretto di G. A. Federico, opera che aveva già ottenuto un notevole successo al Teatro dei Fiorentini l'anno prima. Pergolesi, ormai considerato musicista di prestigio, venne assunto come maestro di cappella del principe di Stigliano Colonna, uno degli Eletti della municipalità napoletana e tra i nobili più in vista, visse e lavorò sempre a Napoli, salvo una breve parentesi romana (1734) dove compose e rappresentò la “Messa in fa maggiore”. Nel 1735, Pergolesi ricevette un posto ufficiale nella cappella regia, quale organista soprannumerario e forse per essa, compose l'ultimo dei suoi due "Salve Regina" in do minore. Le caratteristiche originali della musica pergolesiana sono la dolcezza e la malinconia che traspaiono dalla creazione melodica. Pergolesi compose opere serie e opere buffe, intermezzi, oratori, cantate, musica sacra, musica strumentale, ma furono "La serva padrona" e lo "Stabat Mater" che gli assicurarono fama imperitura. "La serva padrona" è il capolavoro di teatrale comico, che divenne in seguito il modello di questo genere musicale, seguito poi da musicisti quali Mozart e Rossini. Nel 1735 Pergolesi, sentendo diminuire continuamente le proprie forze, lasciò ogni attività e si ritirò a Pozzuoli nel convento dei frati Cappuccini ove finì, pochi giorni prima di morire, l'inarrivabile "Stabat mater" per 2 voci femminili e archi. Giovanni Battista Pergolesi morì a soli 26 anni nel 1736 di tubercolosi e fu sepolto in una fossa comune come più tardi accadrà a Vivaldi ed a Mozart”.

(In www.settemuse.it)


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k