“L’amico del popolo”, 14 gennaio 2018

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

MODESTY BLAISE (Modesty Blaise - La bellissima che uccide, United Kingdom, 1966), regia di Joseph Losey. Sceneggiatura: Evan Jones dal libro omonimo di Peter O'donnell. Fotografia: Jack Hildyard. Montaggio: Reginald Beck. Musiche: John Dankworth Con: Monica Vitti, Terence Stamp, Dirk Bogarde, Harry Andrews, Michael Craig, Clive Revill, Alexander Knox, Rossella Falk, Scilla Gabel, Michael Chow, Saro Urzì, Tina Aumont, Joe Melia, Jon Bluming.

MODESTY BLAISE (Modesty Blaise - La bellissima che uccide, United Kingdom, 1966), regia di Joseph LoseyIl governo inglese si è impegnato a far pervenire a un ricchissimo sceicco del Medio Oriente un grosso quantitativo di gioielli in cambio d'una concessione petrolifera. Per evitare che il prezioso carico venga rubato durante il viaggio, il servizio segreto inglese incarica Modesty di proteggerlo. Infatti ben presto intrighi ed attentati si sviluppano e la ragazza si salva brillantemente con la collaborazione di Willie, l'uomo dal coltello facile. Anima di tutti i complotti è Gabriel, un organizzatissimo avventuriero, peraltro già noto alla ragazza. Modesty, che non si fa ingannare da un'azione diversiva del servizio segreto inglese, che dubita della sua fedeltà, fiuta i gioielli nella stiva della nave Tyboria, che fa scalo a Napoli in attesa di proseguire per il Medio Oriente. Ma Gabriel, che nel frattempo si è agitato a vuoto, cattura la ragazza ed il suo amico e costringe quest'ultimo ad asportare i gioielli dalla nave. Ormai in balia dell'elegante, ma anche temibilissimo avversario, i due chiedono soccorso allo sceicco e ne accolgono gli armati mentre difendono disperatamente i gioielli che hanno riconquistato.

“Non credo si debba negare a Modesty Blaise (a rischio dell'impopolarità in stagioni così inclini al "laissez faire, laissez passer") un posto di tutto riguardo tra i film più orripilanti degli ultimi cinque o sei anni. Eppure c'erano, a priori, tutte le condizioni per una diversa riuscita: un regista, Joseph Losey, sulla cui importanza si potrà discutere, ma al quale non è lecito negare una consapevolezza fin troppo scoperta delle ragioni della propria poetica; un'équipe di attori intelligenti e disincantati al punto giusto; larga disponibilità, infine, dei mezzi indispensabili perché il "pastiche" attingesse la necessaria suggestione scenografica e figurativa...”

(Adelio Ferrero su Cinema Nuovo)

“Ex ladra e spia ritiratasi a vita privata, Modesty Blaise (Monica Vitti) viene reclutata dai servizi segreti inglesi per fare da scorta a un carico di diamanti, destinato allo sceicco Abu Tahir (Clive Revill), che fa gola a Gabriel (Dirk Bogarde), avversario di lunga data della donna. Dopo aver affrontato gli scagnozzi dell'organizzazione criminale ed essere stata fatta prigioniera, l'eroina, con l'aiuto del partner Willie Garvin (Terence Stamp), riuscirà infine nell'impresa di consegnare i preziosi che, però, vorrebbe per sé come ricompensa.
Il diciottesimo lungometraggio del regista di La Crosse (ma solo il terzo a colori) è blandamente ispirato al personaggio nato nelle strisce a fumetti di Peter O'Donnell. Un oggetto curioso che, accolto tiepidamente all'uscita e poi quasi dimenticato, oggi può quasi ambire a diventare un piccolo oggetto di culto camp. Lavorando sui presupposti della parodia di film d'azione e spionaggio (James Bond in testa), Losey lascia che lo schermo venga invaso da tappezzerie optical e costumi tanto eleganti quanto improbabili, in un'atmosfera pop che restituisce perfettamente l'aria dei Sixties. Fa recitare in inglese la Vitti e concede a un divertito (e divertente) Bogarde qualche battuta in italiano. L'intreccio sta scritto su un fazzoletto e il ritmo spesso latita, ma le sequenze surreali non mancano: la scena al Luna Park e il carosello finale degli arabi a cavallo sono intrattenimento di gran gusto. Consapevolmente idiota e lontano dalla volgarità, oggi rischia quasi di sembrare snob allo spettatore abituato alle trivialità stile Austin Powers”.

(www.longtake.it)

Monica Vitti è Modesty Blaise“Tratto dall’omonima striscia a fumetti di Peter O’Donnell, Modesty Blaise - La bellissima che uccide (1966) è un insolito ma al tempo stesso assai gradevole divertissement, che Joseph Losey, reduce dai grandi successi di Eva (1962) e Il servo (1963), realizzava mettendo insieme un cast di stelle di prim’ordine, in cui svettavano Monica Vitti, che nel 1964 era stata la tormentata protagonista di Deserto Rosso di Michelangelo Antonioni, qui nell’insolita veste di eroina - agente segreto, e Terence Stamp, che, qualche anno dopo, avrebbe interpretato ruoli particolarmente significativi in Toby Damnit di Federico Fellini e in Teorema di Pier Paolo Pasolini. Inoltre, partecipano a questo bizzarro esperimento cinematografico il Dirk Bogarde di Morte A Venezia di Luchino Visconti e Rossella Falk, la chiaroveggente del pluripremiato 8 e mezzo. Nomi questi che già da soli valgono il prezzo del biglietto e quanto meno dispongono l’animo nel migliore dei modi accostandosi alla visione del film, che diverte per la stravaganza della messa in scena, sempre in bilico tra la più classica delle spy story e i toni della farsa, e spiazza per le varie trovate che disorientano piacevolmente lo spettatore, continuamente convocato a non prendere sul serio quanto accade e a lasciarsi trasportare dalla dichiarata vena comica e fantastica.
I servizi segreti britannici si rivolgono a Modesty per far giungere un carico di diamanti a un ricchissimo sceicco del Medio Oriente, che in cambio assicurerebbe un importantissimo approvvigionamento di petrolio; è chiaro che questa delicatissima missione viene ostacolata dal cattivo di turno, Gabriel (Bogarde), che vuole impadronirsi del prezioso carico. Sarà il fedele compagno Willie Garvin (Stamp) ad aiutare la bella e simpatica protagonista a far giungere le pregiate pietre a destinazione. Particolarmente godibile è tutta la messa in scena, a partire dalle stravaganti scenografie squisitamente anni ’60 di Richard Macdonald fino ai bellissimi costumi di Beatrice Dawson. Alcune sequenze, poi, rimangono particolarmente impresse, come lo scontro, tutto al femminile, tra Monica Vitti e Rosella Falk (Mrs. Fothergill) che si conclude con una rocambolesca impiccagione di quest’ultima, e la spettacolare scena finale in cui il potente sceicco (Clive Revill) invade la fortezza in cui erano stati imprigionati i protagonisti, seguito da un imponente esercito di soldati islamici a cavallo, che assediano, giungendo dal mare, l’intera costa. Monica Vitti poi si destreggia con grande abilità, sfoggiando, tra l’altro, un ottimo inglese, e rivelandosi assolutamente all’altezza del cast internazionale messo in piedi per l’occasione. Tutto l’insieme risulta, dunque, assai godibile, e merita certamente, se non altro per assistere a una particolare esperienza cinematografica, un’attenta visione”.

(Luca Biscontini in www.taxidrivers.it)

MODESTY BLAISE (Modesty Blaise - La bellissima che uccide, United Kingdom, 1966), regia di Joseph Losey

 

Una poesia al giorno

Ora sono morti, di John Dos Passos (Chicago, 14 gennaio 1896 - Baltimora, 28 settembre 1970)

Questa non è una poesia
sono due uomini in grigie casacche di detenuti.
Un uomo siede guardandosi la carne malata delle mani
- mani che non hanno lavorato per sette anni.
Ma tu lo sai quant'è lungo un anno?
Lo sai quante ore ci sono in un giorno
quando il giorno è ventitre ore su una branda in una cella
in una cella in una fila di celle in un braccio di file di celle
tutte vuote del soffocante vuoto di sogni?
Tu li conosci i sogni di uomini in carcere?
Ora sono morti.
I neri automi hanno vinto.
Loro sono completamente bruciati.
Le loro carni sono passate nell'aria del Massachusetts
i loro sogni sono passati nel vento.
"Ora sono morti", dà di gomito la segretaria
del governatore al governatore.
"Ora sono morti", dà di gomito il giudice della Corte d'Appello
al giudice della Corte Suprema.
"Ora sono morti", dà di gomito il rettore dell'università
al rettore dell'università.
Una risata secca sale da tutti i morti,
morti in colletto bianco, morti in cappello da seta;
morti in mantello.
Salgono e scendono dalle automobili
respirano a fondo con sollievo
mentre vanno su e giù per le strade di Boston.
Essi sono liberi dai sogni.
Dai sudici panni del carcere
le loro voci esplodono in mille linguaggi
cantando una canzone
da far scoppiare i timpani al Massachusetts.
Scrivici su una poesia se te la senti!

John Dos Passos

John Roderigo Dos Passos è stato uno scrittore, saggista, giornalista, pittore, drammaturgo, poeta e reporter di viaggio statunitense. Occupa nella letteratura, non solo del suo paese, un posto del tutto particolare, grazie soprattutto al grande impegno civile e politico di uno scrittore sempre ancorato ai fatti, all'osservazione sociologica, alieno da quelle evasioni, da quelle mistificazioni tra letterarie e ideologiche che tipizzano invece la narrativa statunitense degli anni ruggenti”.

(Wikipedia)

“Le circostanze a volte gettano gli uomini in situazioni così drammatiche, spingono le loro esili figure sotto gli abbaglianti riflettori della storia al punto che essi, o le loro ombre, assumono il significato di simboli di prima grandezza. Sacco e Vanzetti rappresentano tutti quegli immigrati che hanno costruito l’industria di questa nazione, con il loro sudore e con il loro sangue, e per questo non hanno ricevuto nient’altro che il salario più basso possibile, e la condizione di schiavi sotto il tallone dell’ordine sociale controllato da uomini in divisa. Essi sono tutti i wops, gli hunkies, i bohunks*, tutta la carne da macello per la fabbrica che la fame porta in America attraverso quel triste setaccio che è Ellie Island. Sono i sogni di un ordine sociale più sano fatto da coloro che non accettano la legge della giungla. Questa minuscola aula di tribunale è il punto focale del tumulto, un’età di transizione, quel punto a cui guarda il mondo intero. Sulle pareti di quest’aula Sacco e Vanzetti proiettano le loro immense ombre”.

(John Dos Passos, Davanti alla sedia elettrica, Spartaco edizioni)

“...John Dos Passos nel 1926 compose “Facing the chair. Story of the Americanization of Two Foreign Workmen”, questo il titolo originale dell’opera. Dos Passos scrive dopo che sono state rigettate sei istanze di revisione del processo e poco prima che sia rigettata l’ultima. Nel suo libro sono riportati molti atti del processo, stralci dei verbali, testimonianze, ricostruzioni, dalle quali emerge il clima nel quale si svolse il tutto, l’assurdo modo di procedere del Procuratore e una generale prevenzione verso due soggetti che andavano puniti a prescindere dalla loro reale colpevolezza. I tecnicismi legulei della Corte, i miseri e falliti tentativi di carpire informazioni da Sacco attraverso un falso detenuto posto nella cella accanto alla sua, gli appelli più nazionalisti che giuridici dell’accusa, le testimonianze che sarebbero risibili nella loro inattendibilità se non avessero portato a una tragica fine, le numerose affermazioni di testi che scagionavano i due, dimostrando come nel momento del delitto si trovavano da tutt’altra parte, impegnati nel loro lavoro, tutto ciò è riportato da Dos Passos con dovizia di cronista e penna di poeta. L’autore, inoltre, ci mostra anche il clima più generale che si viveva in quegli anni nel Massachusetts, con l’eco della rivoluzione bolscevica russa che rendeva facile manipolare l’opinione pubblica attraverso giornali inclini a fomentare l’odio verso il nemico “esterno”. Molto toccante anche la breve descrizione dell’incontro che lo scrittore ebbe con i due, detenuti presso carceri diversi e provati dalla loro condizione”.

(Articolo completo in: antoniodileta.wordpress.com)

 

Un fatto al giorno

14 gennaio 1761: La terza battaglia di Panipat si svolse nel 1761 tra le truppe mārāṭhā (sconfitte) e gli afghani di Aḥmad Shāh Durrānī: quest'ultima battaglia aprì in pratica agli Inglesi la strada per il dominio sull'intera India.

“Le battaglie di Panipat non furono eventi occasionali, ma si trattò di punti cardine di alcune campagne condotte da esponenti della dinastia Moghul a Panipat, località strategica (oggi nello Stato federato di Haryana, India settentrionale), in quanto porta di accesso a Delhi sulla strada del Nord-Ovest. Nella prima (21 aprile 1526) Babur, fondatore della dinastia Moghul, sconfisse e uccise il sultano di Delhi Ibrahim Lodi, ponendo così fine all'era sultanale. Nella seconda (5 novembre 1556) il mughal Akbar, nel tentativo di riconquistare il trono di Delhi, ebbe la meglio sul potente esercito di Himu, generale del re afghano Adil Shah Sur. Nella terza (14 gennaio 1761) i Mughal, minacciati dall'afghano Ahmad Khan Abdali alleatosi con il nawab dell'Awadh Shuja-ud-daula, chiamarono in propria difesa il generale maratha Sadasiva Rao Bao, il quale venne pesantemente sconfitto e perse la vita; la Confederazione maratha subì un duro colpo che le impedì di fatto di prendere il posto dell'ormai indebolito impero Moghul come potenza egemone nel subcontinente indiano, mentre Ahmad Khan fu presto costretto al rientro in patria”.

(Treccani)

Immagini:

 

Una frase al giorno

"L'esempio non è la cosa che influisce di più sugli altri: è l'unica cosa"

(Albert Schweitzer, Kaysersberg, 14 gennaio 1875 - Lambaréné, 4 settembre 1965)

Albert Schweitzer è stato un medico e filantropo, musicista e musicologo, teologo, filosofo, biblista, pastore e missionario luterano franco-tedesco nato in Alsazia.

Albert Schweitzer

Immagini:

Albert Schweitzer (1957, USA, 82 min). Prodotto e diretto da Jerome HillUn film premio Oscar: Albert Schweitzer (1957, USA, 82 min). Il documentario vincitore dell'Oscar ripercorre la vita e l'opera del filosofo, medico e missionario francese. Prodotto e diretto da Jerome Hill. Fotografia di Erica Anderson. Musica di Alec Wilder. Narrato da Burgess Meredith e Fredric March. Musica: Albert Schweitzer, Johann Sebastian Bach: Fantasia e fuga in sol minore, BWV 542.

 

Un brano musicale al giorno

Ombra mai fu” dall’opera “Xerse”, di Francesco Cavalli, cantata dal Controtenore Rene Jacobs

Controtenore Rene Jacobs

Francesco Cavalli (Crema, 14 febbraio 1602 - Venezia, 14 gennaio 1676) è stato un compositore italiano, tra i maggiori del XVII secolo.


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k