“L’amico del popolo”, 21 febbraio 2018

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

BONNE CHANCE (Francia, 1935), regia di Sacha Guitry, Fernand Rivers. Sceneggiatura: Sacha Guitry. Fotografia: Robert Gys. Montaggio: Pierre Schwab. Musica: Vincent Scotto. Con: con Rivers Cadet, Pauline Carton, Jacqueline Delubac, Sacha Guitry, Robert Darthez.

Un giorno, Claude Lepeltier, un pittore senza talento, augura buona fortuna alla sua vicina, Marie, una giovane lavandaia. Marie, che deve sposarsi presto, decide di prendere un biglietto della lotteria e promette all'artista di condividere con lui qualsiasi guadagno. Il giorno dopo, Marie arriva a casa di Claude con una cassa contenente metà del jackpot. Claude decide di spendere questa fortuna con Marie, prima del suo matrimonio...

BONNE CHANCE (Francia, 1935), regia di Sacha Guitry, Fernand Rivers

"Mi è stato chiesto di riassumere la storia del teatro in poche parole" disse una volta Sacha Guitry, l'uomo orchestra, lo scrittore, il drammaturgo, l'erudito, l'attore, il cineasta che è il protagonista di una grande retrospettiva organizzata in suo onore dal Festival di Locarno. "Mi è stato chiesto di riassumere la storia del teatro in poche parole e lo farò in una frase. Shakespeare è morto, Molière è morto, e io non mi sento bene". Chi abbia anche una vaga idea della produzione di Guitry, e di quello che oggi chiameremmo il suo 'protagonismo' - come autore, come attore, come personaggio della vita intellettuale, culturale, mondana, come causeur, come autore di immortali e riciclatissime battute - stenterà a credere che in realtà, a quanto risulta dalle testimonianze dei suoi amici e studiosi, Guitry era un uomo pieno di modestia, convinto che la sua opera non gli sarebbe sopravvissuta a lungo. Su questo, per certi versi, aveva ragione. Colui che fu ribattezzato 'il re di Parigi', che produsse nel corso della sua vita centoventi commedie, un romanzo di grandissimo successo come Roman d'un tricheur e oltre trenta film di varia fortuna, che per quarant'anni rappresentò l'esprit francese come Noel Coward incarnò lo humour inglese, nei giorni eccitati e confusi della liberazione della Francia dai tedeschi dovette subire la vergogna e il dolore di essere arrestato sotto una falsa accusa di collaborazionismo, di essere tenuto in carcere per sessanta giorni, di essere liberato senza che il suo caso fosse mai veramente discusso e la sua figura mai veramente riabilitata, nonostante i tre libri - Quatre années d'occupation, Soixante jour de prison e Trois années de silence - scritti per discolparsi di una colpa che non c’era. Perché la sua colpa durante l'Occupazione - per dirla con un esperto del cinema di quegli anni come Jacques Siclier - fu che "pur tenendosi in disparte rispetto ai tedeschi, Guitry non smise di brillare, di parlare, di manifestarsi con una sorta di orgoglio". Che "celebrò, alla sua maniera, l'arte e la cultura francese" continuando sotto l'occupazione a fare dei film - pochi in verità, solo tre - lontanissimi da ogni sospetto di propaganda o di indulgenza nei confronti del nemico. Ma prestandosi anche, per patriottismo culturale e per coerenza con il suo metodico progetto di esaltazione delle glorie patrie cominciato sin dal 1935 con Pasteur, a firmare nel 1944 un documentario molto noioso e molto piatto sulle glorie francesi, da Jeanne d'Arc a Philippe Pétain: imbarazzante come il titolo ma, a quanto sostengono gli emeriti curatori della retrospettiva Guitry che lo hanno ritrovato, non vergognoso. La sua vera colpa fu l'invidia che il suo successo aveva suscitato. E la macchia di quest'umiliazione mai cancellata, nonostante le testimonianze di quello che aveva fatto per aiutare molti in difficoltà, confinò Guitry per anni in un limbo e in una categoria di dimenticati: se non dal pubblico, che tornò ad amare i suoi grandi drammi storici del dopoguerra, certo dall' intellighenzia e dalla critica. Il dispiacere cambiò il suo modo di sentire, spazzò via la sua leggerezza, la trasformò in pessimismo. Quando morì a soli sessantadue anni, nel 1957, agli albori della Nouvelle Vague, se il pubblico popolare continuava a decretare il successo dei suoi film - come Versailles -, la critica lo snobbava. E ci sarebbero voluti molti anni e una sortita di Francois Truffaut (che lo definì 'Il Lubitsch francese') perché si mettesse in moto una timida rivalutazione. Eppure, c'è da scommettere che se qualche distributore lungimirante o una rete televisiva pronta a sperimentare su una nuova audience proponessero un ciclo Guitry, potrebbe nascere un piccolo fenomeno di culto, come sta succedendo a Locarno, dove le proiezioni della personale messa insieme grazie agli sforzi congiunti della Cinemathèque Francaise e di quella Svizzera sono sempre affollatissime. E da questi trentacinque film esce un'immagine di cineasta insieme tradizionale e modernissimo, classicamente teatrale e stravagante. Accusato spesso e da più parti di non amare il cinema se non come strumento per registrare le sue prodezze d'attore e per fare del teatro filmato (d'altra parte non aveva forse dichiarato provocatoriamente nel 1933, prima del suo debutto con Pasteur, "Non amo il cinema, è un'arte deplorevole"?), famoso per affettare, forse con qualche civetteria, di ignorare la tecnica cinematografica se non come occhio che guarda dalla quarta parete teatrale, Sacha Guitry emerge certo da alcuni film girati negli anni 30 come un 'regista' (se il termine può definire un autore globale come lui) immobile e senza invenzioni.

BONNE CHANCE (Francia, 1935), regia di Sacha Guitry, Fernand RiversI suoi campi e controcampi qualche volta scricchiolano, le regole basilari degli 'assi' cinematografici sono ignorate (ma lo stesso faranno trent'anni dopo, e apposta, i cineasti della Nouvelle Vague), il montaggio avrebbe bisogno di qualche intervento. Ma, in compenso, e a prescindere dal piacere e dal divertimento di attori straordinari, di dialoghi "leggeri come mousse di champagne" che scandiscono un'analisi sempre spregiudicata e acuta dei rapporti umani, di un senso dei tempi che solo la lunga intimità con il teatro può produrre, Guitry è molto più innovatore e inventivo di quanto non si pensi. Il rapporto diretto che il teatro costruisce con lo spettatore, trasferito sullo schermo dall'ironia di Guitry, rompe le convenzioni cinematografiche, spiazza le aspettative tradizionali, pratica uno straniamento ante litteram per poi passare con leggerezza al massimo della convenzione teatrale. Certo, la convenzione è più forte là dove Guitry si limita a portare sullo schermo le sue pièces. Ma ogni qualvolta inventa un soggetto originale, si sente che l'invenzione è pensata in funzione, anche, del montaggio, del sonoro, dei giochi che le ellissi narrative consentite dal cinema fanno emergere con tutto il loro divertimento. Basti vedere le trovate di cui riempie il suo capolavoro, Le roman d'un tricheur. Nella sua assoluta libertà - e in quella che fu definita la sua "ipertrofia dell'io" - Sacha Guitry entra in scena a mo' di prologo, interviene a metà di un film a lodare gli attori (in La Poison, per esempio), a presentare i tecnici e la loro funzione (in Le Destin fabuleux de Désirée Clary), o, nello stesso film, a spiegare perché sparisce di scena il giovane e magro Jean - Louis Barrault che sino a lì ha interpretato Napoleone primo console, e tocchi a lui ora - più anziano, più corpulento - assumersi il ruolo dell' Imperatore. O ancora, mentre i due protagonisti dell'incantevole Bonne chance fanno una corsa in automobile, Guitry si diverte a chiedersi - e a spiegare - come si gira una scena del genere. Oppure fa parlare i suoi attori in macchina (come in Tu m'as sauvé la vie), in un gioco di smontamento della convenzione e della favola che la sua brillante leggerezza tratta come un ammicco scherzoso, ma che è in realtà un uso abilissimo, a canocchiale, del rapporto tra la finzione della commedia e la realtà degli esseri umani che la interpretano e la guardano. Molti trucchi tecnici, molte invenzioni narrative sono anche e semplicemente gli ingegnosi éscamotages di un autore capace di fare spettacolo e divertimento di tutto, di girare un film in un sol giorno (è il caso di Le mot de Cambronne), di far un commovente e divertente documentario sul mondo dell'arte francese all'inizio del secolo con le immagini dilettantescamente impresse allora - di Degas, Ronsard, Renoir, Rodin - cucite insieme quarant'anni dopo da un commento letto da lui stesso seduto alla sua scrivania (Ceux de Chez Nous), di accompagnare gli spettatori in economia attraverso la storia di Francia con un'attenzione ai moeurs, più che alle battaglie, da fare invidia a Rossellini. Certo, nonostante la cura delle scenografie, la bellezza dei costumi, lo splendore delle ricostruzioni dei suoi film storici, il suo è soprattutto cinema di parola e di idee: libertine, spregiudicate, tolleranti. L'attore Guitry (con gli attori che si mette accanto, cui dà spazio, ruolo, importanza, dall'incantevole Jacqueline Delubac, che fu una delle sue quattro mogli, all'ultimo dei caratteristi) la vince su qualsiasi altra cosa: brillante, ironico, leggero, quando vuole - ma con giudizio - persino intenso. Un trionfo della sua persona, sempre: perché, come Guitry scrisse in Mon portrait, "non mi sono mai considerato come un attore, non avendo interpretato altro che le mie opere".

(Irene Bignardi in: Archivio > la Repubblica.it > 1993 > Guitry L' Innovatore)

Il 21 febbraio 1885 nasce Sacha Guitry, attore, regista e drammaturgo russo-francese (morto nel 1957).

 

Una poesia al giorno

La gemma di gelsomino, di Suryakant Tripathi "Nirala"

Su un rampicante della giungla solitaria
dormiva la sposa, immersa in un sogno d’amore,
giovinetta dal dolce corpo delicato, la gemma di gelsomino;
gli occhi chiusi, languida in braccio alle foglie,
era una notte di primavera.
abbandonata la compagnia dell’amata, dolente per la separazione,
in un lontano paese era il vento,
che chiamano Malayanil [1].
Nel distacco è affiorato il ricordo dell’unione dolcissima,
il ricordo della mezzanotte, lavata nei raggi di luna,
il ricordo del bel corpo tremante dell’amata.
che cosa ancora? Il vento,
traversando boschi e laghi e fiumi e i folti giardini delle montagne
ha raggiunto la pergola rampante
dove si è abbandonato all’amore-
la gemma ha fiorito.
Dormiva,
come poteva sapere dell’arrivo dell’amato?
Egli ha baciato le sue guance,
il corpo della pianta rampante ha preso a dondolare come una culla,
ma neanche adesso si è svegliata;
non ha chiesto scusa per l’errore,
ha continuato a tenere chiusi i begli occhi a mandorla, pigri di sonno,
ebbra del vino della giovinezza, chi sa?
Quell’amante impietoso
le avrà fatto male.
Il vento con palpiti e fremiti
ha scosso tutto il bel corpo delicato,
ha pizzicato le bianche gote rotonde.
La giovinetta ha sussultato,
ha volto intorno uno sguardo carico di meraviglia,
ha scorto vicino al letto l’amante ,
ha sorriso tenera - fiori,
colori d’amore - col suo innamorato .

[1] Il leggero vento profumato che proviene dai monti Malaya, catena di monti coperta da boschi di sandalo.

Il 21 febbraio 1896 nasce Nirala, autore e poeta indiano (morto nel 1961)

Il 21 febbraio 1896 nasce Nirala, autore e poeta indiano (morto nel 1961). Nirala, vero nome Syed Muzaffar Husain Zaidi, fu anche un comico e attore cinematografico pakistano. È apparso solo nei film in urdu realizzati in Pakistan. Il suo primo film fu Aur bhi gham hain (1960). Il suo ultimo film è stato Choroan Ka Badshah, uscito nel 1988. Il suo film di maggior successo è stato Armaan nel 1966, nel quale ha interpretato un ruolo di supporto con Waheed Murad.

 

Un fatto al giorno

21 febbraio 1919: il socialista tedesco Kurt Eisner viene assassinato. La sua morte ha come risultato la costituzione della Repubblica sovietica bavarese e il parlamento e il governo in fuga da Monaco, in Germania.

Kurt Eisner (Berlino, 14 maggio 1867 - Monaco di Baviera, 21 febbraio 1919) è stato un giornalista e politico tedesco. Nato in una famiglia prussiana borghese di origine ebraica (il padre Emanuel Eisner era un fabbricante tessile di Berlino), trascorse l'infanzia e la gioventù nella capitale tedesca. Nel 1914 si schierò con i socialisti contrari alla partecipazione della Germania alla prima guerra mondiale e alla politica imperialista del Kaiser prussiano. Inizialmente membro dell'SPD, nel 1917 aderì agli scissionisti di sinistra dell'USPD. Si fece un nome come giornalista e scrittore e il 7 novembre del 1918 guidò la rivoluzione repubblicana di Monaco di Baviera. Il 7 novembre Eisner proclamò lo Stato libero di Baviera (Freistaat Bayern) (denominazione che il Land bavarese tuttora conserva) diventandone il primo presidente e tentando d'instaurare un regime socialista moderato; tuttavia le elezioni del gennaio 1919 misero in minoranza il suo governo, Eisner era sul punto di dimettersi quando, il 21 febbraio del 1919, venne assassinato da Anton Graf von Arco auf Valley, un nobile nazionalista figlio di un conte bavarese e di una donna di origine ebraica. Kurt Eisner è sepolto nel cimitero ebraico a Monaco di Baviera.
Il suo carnefice, essendo per metà ebraico, non fu accettato dalla loggia razzista segreta Thule Gesellschaft e uccidendo Kurt Eisner cercò di "purificare" la sua origine semita. L'uccisione di Kurt Eisner favorì l'ascesa del nazismo: nonostante Anton Graf von Arco auf Valley fosse di origine ebraica, Hitler lo elevò al rango di eroe per aver eliminato un "sovversivo" e quando divenne cancelliere del Terzo Reich non fece applicare a lui le leggi razziali”.

(Wikipedia)

La sua morte e le conseguenze

Dopo che la Baviera ebbe rovesciato il suo monarca il 7 novembre 1918, Kurt Eisner del Partito Socialista Indipendente, dichiarò la Baviera una repubblica socialista, ma si distanziò dai bolscevichi russi, dichiarando che il suo governo avrebbe protetto la proprietà privata. Per alcuni giorni, il noto economista di Monaco Lujo Brentano, fu Ministro del Commercio (Volkskommissar für Handel).

Kurt Eisner (Berlino, 14 maggio 1867 - Monaco di Baviera, 21 febbraio 1919) 

Il 21 febbraio 1919 Anton Graf von Arco auf Valley, un aristocratico monacense che, avendo una madre ebraica, non era stato accettato nella loggia segreta di estrema destra e antisemita Thule Gesellschaft, sparò al Presidente bavarese di origine ebraica Kurt Eisner, mentre questi si recava a rassegnare le sue dimissioni. Questo assassinio provocò rivolte e illegalità in Baviera, e la notizia di una rivoluzione sovietica in Ungheria incoraggiò i comunisti e gli anarchici a prendere il potere. Socialisti e Comunisti lottano per il potere vacante.

Il 6 aprile venne proclamata la "Repubblica Sovietica Bavarese". Inizialmente venne governata dai Socialisti Indipendenti, come Ernst Toller e Gustav Landauer, e dagli anarchici come Erich Mühsam. Comunque, Ernst Toller, un commediografo, si dimostrò inadeguato a gestire le questioni politiche, e il suo governo fece poco per ripristinare l'ordine in città. Anche i membri del suo gabinetto erano poco esperti e commisero diversi errori. Ad esempio, l'incaricato agli affari esteri Franz Lipp (che era stato ricoverato diverse volte in un ospedale psichiatrico), dichiarò guerra alla Svizzera, per via del rifiuto di quest'ultima a prestare 60 locomotive alla Repubblica Sovietica Bavarese. Questo governo collassò dopo sei giorni, venendo sostituito dai comunisti, con a capo Eugen Levine, talvolta caratterizzato come il "potenziale Lenin tedesco".

Eugen Levine diede il via a delle riforme comuniste, che comprendevano l'espropriazione di abitazioni lussuose che venivano poi concesse ai senzatetto, il porre le fabbriche sotto la proprietà e il controllo degli operai, ecc. Levine aveva anche dei progetti per l'abolizione della cartamoneta e la riforma del sistema educativo. Comunque, non ebbe tempo per implementare tali idee.

Levine si rifiutò di collaborare con l'esercito regolare della città, e anzi organizzò una sua forza personale, l'Armata Rossa (Rote Armee), al comando di Rudolf Egelhofer, simile all'Armata Rossa dell'Unione Sovietica. Allo scopo di proteggere la rivoluzione, migliaia di disoccupati si offrirono volontari. Presto le file della Rote Armee raggiunsero le 20.000 unità. Le "Guardie Rosse" iniziarono ad arrestare dei noti contro-rivoluzionari, e il 29 aprile 1919 otto uomini vennero giustiziati come spie di destra.

Dal 29 aprile al 2 maggio 1919, a Monaco (Baviera), l'esercito governativo contro-rivoluzionario diretto dal social-democratico Gustav Noske schiacciò nel sangue la "Repubblica dei consigli di Baviera", grazie all'aiuto decisivo di gruppi paramilitari nazionalisti (nel quale militavano molti futuri nazisti).

Subito dopo, il 3 maggio 1919, 30.000 uomini appartenenti ai Freikorps (organizzazioni paramilitari di destra) e finanziati dalla loggia Thule Gesellschaft, marciarono da Garmisch a Monaco, taluni portando anche bandiere con svastiche, le quali però non avevano ancora un significato politico ben definito. Le cosiddette "Guardie Bianche" (Weißkorps), nelle quali militavano anche alcuni futuri gerarchi nazisti, invasero la Repubblica dei consigli compiendo un bagno di sangue. Dopo aspri combattimenti nei quali persero la vita oltre 1.000 volontari del governo social-comunista, i Freikorps ebbero ragione delle ultime forze nemiche e iniziò la rappresaglia: circa 800 uomini e donne furono arrestati e massacrati; tra questi vi era anche Eugen Levine, il quale fu dichiarato colpevole dell'uccisione delle otto presunte spie.”

 

Una frase al giorno

“Basta menzionare le crisi commerciali che, per il ritmo periodico, mettono ognor più in questione l'esistenza della società borghese. Ogni crisi distrugge regolarmente, non soltanto una massa di prodotti già creati, ma ancora una grande parte delle stesse forze produttrici. Una epidemia colpisce l'umanità, che nelle epoche precedenti sarebbe sembrata un paradosso: è l'epidemia della sopra-produzione.
Come fa la borghesia per superare queste crisi? Da una parte con la distruzione forzata d'una massa di forze produttrici, dall'altra con la conquista dei nuovi mercati e lo sfruttamento più perfetto degli antichi. Cioè essa prepara delle crisi più generali e più terribili, e riduce i mezzi per prevenirle”.

(Karl Marx e Friedrich Engels, dal cap. I del Manifesto dei comunisti)

21 febbraio 1848: Karl Marx e Friedrich Engels pubblicano il Manifesto dei comunisti.

 

Un brano musicale al giorno

Jeanne Aubert canta "C'est pour les femmes" per la rassegna di Folies Bergère, con l'orchestra "Madame la Folie", dal disco Wal-Berg 78 giri della Columbia DF. 2565, registrato il 10 febbraio 1939.

Jeanne Aubert (1900 - 1988)

Nata a Parigi il 21 febbraio 1900 con il nome di Jeanne Perrinot, da un padre aristocratico e da un'ex-fioraia, fu inserita dalla madre nello show business. A cinque anni, Marguerite iniziò a recitare sul palco del Théâtre du Châtelet. A 18 anni apparve in una produzione di Mistinguett al Casinò de Paris. Nel 1928 organizzò il Jeunesse Ouvrière Chrétienne (JOC), un'associazione cattolica apostolica per i giovani; prestò servizio come primo presidente dell'JOC di Francia. Cambiato nome in Jane Aubert, nel 1929 debuttò in un film muto, La Possession, che venne visionato da Nelson Morris a Chicago, Illinois, un multi-milionario dell'industria della carne. I due si conobbero, si trasferirono negli Stati Uniti e si sposarono, ma il loro matrimonio non durò a lungo. Nel maggio 1937, Morris sopravvisse al disastro dell'Hindenburg.
Aubert cominciò a lavorare alle commedie musicali di Broadway fino a che non apparve nella commedia The Gem Of The Ocean. Nel 1935 ritornò nella natia Francia dove recitò in numerosi film. Nel 1937 ritornò sui palcoscenici parigini, rappresentando vari varietà musicali assieme alla celebrata cantante Fréhel. Aubert prese parte a vari show a Londra e in altre città europee. Per i successivi 15 anni la sua carriera si sviluppò attraverso film, musical e anche ruoli televisivi.
Jeanne Aubert morì nel 1988 e fu sepolta nel Cimitero parigino di Pantin, un sobborgo fuori Parigi.


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k