“L’amico del popolo”, 2 marzo 2018

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

KING KONG (USA, 1933), prodotto e diretto da Merian C. Cooper ed Ernest B. Schoedsack. Scritto da: Merian C. Cooper, Edgar Wallace, Leon Gordon Sceneggiatura: Ruth Rose, James Ashmore Creelman. Fotografia: Eddie Linden, Vernon L. Walker, J. O. Taylor, Kenneth Peach. Montaggio: Ted Cheesman. Musica: Max Steiner. Con: Fay Wray (Ann Darrow), Robert Armstrong (Carl Denham), Bruce Cabot (John Driscoll), Frank Reicher (capitano Englehorn), Sam Hardy (Charles Weston), Noble Johnson (capo indigeno), Steve Clemente (stregone), Victor Wong (Charley), Paul Porcasi (Socrates), Merian C. Cooper (pilota), Ernest B. Schoedsack (artigliere)

“Carl Denham, cineasta newyorkese, conduce la propria troupe sulla remota Isola del Teschio, dove gli indigeni adorano una divinità misteriosa. Vorrebbe ambientarvi un film, e per questo è con lui la bionda Ann Darrow, futura stella del cinema da poco sottratta alla miseria e alla fame; di lei presto s'innamora Driscoll, capitano in seconda della nave. Sull'isola Ann viene rapita dagli indigeni, che intendono offrirla al dio Kong nel corso d'una cerimonia sacrificale. Kong, gigantesco scimmione, si limita a raccogliere delicatamente la donna nel palmo della mano, e a portarla via con sé. Denham e compagni li inseguono attraverso la giungla, affrontando dinosauri e l'ira dello stesso Kong, a sua volta coinvolto in affrontamenti feroci (un rettile vorace, uno pterodattilo) per difendere la sua preziosa preda. Lui, in fondo, vuole solo guardarla, annusarla, lentamente spogliarla. Poi Driscoll riesce a raggiungere Ann, e a scappare scivolando con lei lungo una liana: Kong tenta di fermarli, ma i due si lasciano cadere in mare, dove Denham è pronto a farli risalire a bordo. Il cineasta, ormai, non pensa più al cinema: vuole portare Kong a New York, ed esibirlo quale ottava meraviglia del mondo. Narcotizzato e catturato lo scimmione mentre cercava Ann, si fa rotta verso l'America. La sera della prima del suo 'spettacolo', a Broadway, la sala è gremita. Kong appare sul palcoscenico in catene, ma i flash dei fotografi scatenano una reazione selvaggia: riesce a liberarsi, fugge e semina il panico nella città. Tutto quel che lui vuole è avere di nuovo Ann: si arrampica sulla facciata dell'edificio dove lei s'è rifugiata, la prende, la porta con sé fin sulla cima dell'Empire State Building. Una squadra di aerei lo attacca a colpi di mitragliatrice e infine lo abbatte: Kong cade nel vuoto, non prima di aver lasciato Ann, con infinita dolcezza, al sicuro su un cornicione. Denham commenta: "È la Bella che ha ucciso la Bestia".

KING KONG (USA, 1933), prodotto e diretto da Merian C. Cooper ed Ernest B. Schoedsack

Di fronte ad aggregati di 'funzioni', di fronte a fiabe che sembrano voler sfidare le esplorazioni strutturali di un grande decifratore come Vladimir Propp, di fronte a esiti narrativi che tutto accumulano e stringono in una strana e composita tessitura, ci si chiede spesso se gli autori, in questo caso Merian C. Cooper e Ernest B. Schoedsack, siano consapevoli del loro situarsi in un così ampio territorio dell'immaginario. E viene fatto di rispondere di sì, perché spesso è accaduto, per esempio nei confronti dell'Avventura, di incontrare creatori che a essa avevano dedicato interamente se stessi, vivendola, scrivendola, illustrandola, tanto da non potersi più sottrarre a un certo clima, a un orizzonte ideativo denso di infinite suggestioni. La genealogia delle grandi scimmie, nelle mentalità collettive, comprendeva già, nel 1933, tanto il misterioso scimmione assassino di Edgar Allan Poe, quanto remoti e molto discussi antenati scoperti da Charles Darwin in un albero genealogico sottoposto, anche nel 1933, a censure, lotte, esorcismi, divieti. C'erano scimmioni rosa in Collodi, scimmie fondamentali in Albert Robida, e poi vennero gli scimpanzé capaci di accudire e far crescere splendidamente il piccolo e inerme Lord Greystoke, fino a trasformarlo per sempre in Tarzan delle scimmie.
Ma King Kong vuole essere ben altrimenti riassuntivo, e il film lo afferma con chiare parole: si cita, infatti, ripetutamente, La Belle et la Bête, così la memoria lambisce la Corte del Re Sole, ritrova Madame Le Prince de Beaumont intenta a scrivere la sua fiaba, chiede alla versatile aristocratica di poter decifrare, alla luce degli impressionanti esiti conseguiti, il senso di un accostamento divenuto perentorio come un exemplum devozionale.
E Madame, dal suo Seicento, risponde proprio come se avesse visto il film. Dice che la Bella, in fondo, desidera incontrare la Bestia, perché nella remota selvaggitudine c'è una garanzia per l'Eros, c'è un Altrove libidinale che le consuetudini calviniste ottundono, perseguitano, vietano. Proprio come accade nell'Isola del Teschio, così anche in un'isola descritta da Pausania (nel II sec. d.C.) c'è un gruppo di bruti - forse peggiori delle bestie - che chiede una fanciulla per lasciare ripartire una certa nave. I marinai la concedono, è la più bella a bordo, ovviamente, e poi vanno via. La fanciulla perseguitata domina tutta l'opera di Sade, ma la raffinata Lady Chatterley ha bisogno di quella 'bestia' silvestre del suo guardiacaccia per far davvero bene l'amore.
Se osserviamo bene le nebbie, anzi le brume che definiscono il succinto antefatto e poi la rapida partenza della nave, scopriamo una ragazza molto bella, che non è però meno sola e sventurata di quella narrata da Pausania: la sua avventura comincia nei pressi del Ricovero Notturno Femminile, davvero si può e si deve partire da un ambito tanto inequivocabile. Due grandi narratori dell'Avventura hanno spesso creato sfondi non meno nebbiosi e brumosi: sono Pierre Mac Orlan e Bruno Traven. Si va via comunque, perché la giungla più feroce di tutte è quella d'asfalto, non c'è foresta più truce di quella che ha sostituito le immense e poetiche sequoia con i grattacieli, come comprenderà benissimo King Kong, scalando la sequoia più alta di tutte, il terrifico Empire State Building.
Ann e Kong si sono incontrati proprio come se a volerli insieme fosse proprio stata Madame Le Prince de Beaumont: è una conoscenza intrisa di una cavalleresca e comprovata dedizione. Il tema della giungla e del grattacielo, ovviamente accostati, è uno di quelli che definiscono meglio l'immaginario americano, però la Bestia qui incontra gli aeroplani, perché siamo nei Trenta e "oggi si vola". Ann, poco dopo il suo primo apparire, aveva provato a recitare indossando un costume finemente erotico: andava verso un esito indubbio, e il capo degli indigeni dell'isola offre sei donne in cambio di Ann. C'è esotismo, certo, ma non è quello di Pierre Loti, qui si cerca un Altrove, autentico e struggente, vero perché oppositivo nei confronti della macchina triturante che vende i biglietti per vedere un Re in catene.
Nel 1966, il regista Karel Reisz ritrova Kong mentre racconta la storia di un pittore, anarchico e ossessionato da una madre stalinista che, in Morgan, a Suitable Case for Treatment (Morgan matto da legare) terrorizza la buona società inglese travestito da scimmione, prima di finire per sempre in manicomio.
È una memorabile postilla alla fiaba di Kong. Noi abbiamo amato e amiamo il re dell'Altrove, perché, in un certo senso, mitragliato dagli aerei che stiamo rendendo micidiali, poco alla volta, è morto proprio per noi. Leale e potente, solenne icona di un luogo dove non conoscono la giungla dei grattacieli, ci rammenta che l'amore può collegare la Bella alla Bestia, senza mediazioni, senza mezzi termini. È un amore ben definito, da poema medievale, e gli amanti si stagliano nettamente contro la foresta dei miasmi, contro i grattacieli e le mitragliatrici. Contro noi forsennati.”

(Antonio Faeti, Enciclopedia del Cinema, 2004, Treccani)

"Forse King Kong non regge più di tanto nella sua modestia spettacolare e nei limiti oggettivi della sua artisticità a interpretazioni sociologiche o psicanalitiche, ideologiche o politiche. Ma certo la forza eversiva della grande scimmia come modello di alterità rispetto alla società americana del tempo, e più in generale del costume sociale e morale degli anni Trenta, risulta ancor oggi vincente."

(Gianni Rondolino, La Stampa, 14/2/1993)

2 marzo 1933: Il film King Kong esce al Radio City Music Hall di New York.

KING KONG (USA, 1933), prodotto e diretto da Merian C. Cooper ed Ernest B. Schoedsack

 

Una poesia al giorno

Estasi, di Sarojini Naidu (1879-1949)

Coprimi gli occhi, amore mio!
I miei occhi stanchi di beatitudine
Come della luce struggente e forte
Oh, fai tacere le mie labbra con un bacio,
Le mie labbra che sono stanche di cantare!
Proteggi mia anima, amore mio!
La mia anima si piega al dolore
E al peso dell'amore, con la grazia
Di un fiore innamorato della pioggia:
Oh, proteggi la mia anima dal tuo volto!

(In: sites.google.com)

Sarojini Naidu (1879-1949)

Sarojini Naidu illustre poetessa, nota combattente per la libertà, fu uno dei più grandi oratori del suo tempo. È stata la prima donna indiana a diventare Presidente del Congresso Nazionale Indiano, principale partito politico del Paese, già nel 1925 (esattamente cinquant'anni prima che accadesse lo stesso in Inghilterra). Fu anche la prima donna a diventare Governatore di uno Stato indiano, l'Uttar Pradesh.
Contrasse matrimonio inter-casta in un periodo in cui non erano ammessi.
Attraverso la sua poesia, ha raffigurato l'ambiente sociale contemporaneo e le ricchezze naturali dell'India. Esempio di emancipazione femminile, considerata uno dei gioielli del mondo, il suo compleanno viene celebrato in India come la Festa della Donna.

Sarojini Naidu muore il 2 marzo 1949.

 

Un fatto al giorno

2 marzo 1825: Roberto Cofresí, uno degli ultimi pirati dei Caraibi di successo, è sconfitto in combattimento e catturato dalle autorità.

“Roberto Cofresí y Ramírez de Arellano (1791-1825), meglio noto come El Pirata Cofresí, fu un pirata di Porto Rico. Nonostante la sua nascita in una famiglia nobile, le difficoltà politiche ed economiche affrontate dall'isola come colonia dell'Impero spagnolo durante la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo resero povera la sua famiglia. Cofresí lavorò in mare sin dalla tenera età, ma fare il marinaio non gli bastò. Alla fine decise di abbandonare la vita di un marinaio per diventare un pirata”.

Roberto Cofresí y Ramírez de Arellano (1791-1825)

“Roberto Cofresí, un bucaniere di Puerto Rico, decise di far affondare la sua imbarcazione carica di tesori vicino alla strozzatura della baia, quando si ritrovò bloccato dalle navi di pattuglia spagnole. Cofresí e il suo equipaggio riuscirono a sottrarsi alla cattura fuggendo a bordo di piccole barche a remi”.

“A proposito di corsari, esiste la leggenda di Roberto Cofresi, un Robin Hood locale che rubava oro alle navi per darlo ai poveri: un suo tesoro, mai ritrovato, sarebbe ancora sotto terra appena fuori San Juan”.

“Pochi a Trieste sa che el famoso pirata "bandolero" (bandito) de Porto Rico ciamado Roberto Cofresí iera fio de un triestin - austriaco ciamado Franz Von Kupferschein, che se fila via de Trieste perché (sembra) acusado de un asasinato. Go viaza speso a Porto Rico e go visto anche una statua de Cofresí.
Roberto ga nascosto vari tesori nela isola de la Mona (oni riferimento a la parola triestina xe scartà), che vol dir in spagnol simia, che se trova tra porto Rico e la Republica Dominicana, nella stessa republica e in vari posti de Borinquen (Porto Rico).
Poso agiunger che Cofresí xe ogi un mito in sta isola dei Caraibi. Insoma, semo andai da tute le parti come le sete tribù de Israele.”

(www.atrieste.eu)

 

Una frase al giorno

“Dei Sette Vizi Capitali, l'Orgoglio è il peggiore. Rabbia, Avarizia, Invidia, Lussuria, Accidia, Gola - riguardano il rapporto degli uomini tra di loro e con il resto del mondo. L'Orgoglio, invece, è assoluto. È la rappresentazione della relazione soggettiva che una persona intrattiene con se stessa. Quindi, tra tutti, è il più mortale. L'Orgoglio non ha bisogno di un oggetto di cui essere orgogliosi. È narcisismo portato all'estremo”.

(Philip Kindred Dick, Chicago, 16 dicembre 1928 - Santa Ana, 2 marzo 1982, è stato uno scrittore statunitense).

Philip Kindred Dick (Chicago, 16 dicembre 1928 - Santa Ana, 2 marzo 1982)

La fama di Dick, in vita esclusivamente noto nell'ambito della fantascienza, crebbe notevolmente presso la critica ed il grande pubblico dopo la sua morte, in patria come in Europa (in Francia e in Italia negli anni ottanta divenne un vero e proprio scrittore di culto, anche in seguito al successo del film Blade Runner del 1982, liberamente ispirato a un suo romanzo), venendo dunque rivalutato come un autore postmoderno, precursore del cyberpunk e, per certi versi, antesignano dell'avantpop. Gli sono stati dedicati molteplici studi critici che lo collocano ormai tra i classici della letteratura contemporanea.
Temi centrali dei suoi visionari racconti e romanzi sono la manipolazione sociale, la simulazione e dissimulazione della realtà, la comune concezione del "falso", l'assuefazione alle sostanze stupefacenti e la ricerca del divino”.

(Wikipedia)

Immagini
Reale e non reale, umano e non umano: la biografia a fumetti di Philip K. Dick

Reale e non reale, umano e non umano. L’opera di Philip K. Dick è contrassegnata dalle dicotomie e indaga il concetto di forma e sostanza, argomenti che hanno sempre interessato l’autore americano e che trovano spazio anche all’interno della sua biografia. Dalla dualità con la gemella Jane, morta nella culla, fino al dilemma tra continuare a essere un autore di fantascienza o dedicarsi invece alla letteratura mainstream, nel corso della sua vita Dick è sempre stato preso dal dubbio se la sua esistenza stesse andando davvero nel modo in cui avrebbe dovuto. E forse non è un caso che sia stato proprio lui a inventare le "ucronie", mondi come il nostro in cui, a un certo punto, qualcosa ha fatto prendere alla Storia una direzione differente. La svastica sul sole, Ubik, Il cacciatore di androidi, le storie che ci ha raccontato si intersecano con la sua vita in modo inevitabile, irreparabile. Francesco Matteuzzi ha sceneggiato sui disegni di Pierluigi Ongarato una biografia-tributo (per Becco Giallo) che ripercorre attraverso il mezzo insolito ma sostanziale del fumetto i momenti fondamentali, le paranoie e le visioni della vita di Dick. "Questo libro ripercorre gli eventi principali dell’esistenza di Philip Dick, dal suo esordio letterario alla consacrazione nella fantascienza, passando per le paranoie di essere spiato dai servizi segreti e le rivelazioni mistiche degli anni Settanta", dice il giovane sceneggiatore a Rai Letteratura.

 

Un brano musicale al giorno

Ella Fitzgerald canta September Song. Musica di Kurt Weill. Testo di Maxwell Anderson da 'Knickerbocker Holiday'.

Chet Baker: September Song

Billie Holiday: September Song

Anjelica Huston: September Song

Kurt Weill e Ute Lemper: September Song

Lotte Lenya canta September Song

2 marzo 1900 nasce Kurt Weill, Pianista e compositore tedesco-americano (morto nel 1950)

2 marzo 1900 nasce Kurt Weill, Pianista e compositore tedesco-americano (morto nel 1950).

 


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k