“L’amico del popolo”, 1 gennaio 2018

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

DIARIO DI UNA SCHIZOFRENICA (Italia, 1968), regia di Nelo Risi, ispirato al libro omonimo di Marguerite Sechehaye, il cui titolo originario sarebbe meglio tradotto come "Il caso Renée". Sceneggiatura: Nelo Risi, Fabio Carpi. Fotografia: Giulio Albonico. Montaggio: Cleofe Conversi. Musiche: Ivan Vandor Con: Manlio Busoni, Ghislaine D'Orsay, Giuseppe Liuzzi, Margarita Lozano, Gabriella Mulachiè, Umberto Raho, Sara Ridolfi, Maria Tocinowsky.

La giovane diciottenne Anna, manifestando fin da piccola deviazioni patologiche, viene condotta dai ricchi genitori in varie cliniche specializzate che non riescono però a guarirla. Dopo vari e successivi tentativi di cura, Anna, condotta in Svizzera, viene affidata ad una psichiatra, madame Blanche, la quale, in seguito ad una lunga e paziente opera di ricostruzione psichica - condotta con metodi non tradizionali e con trasporto affettivo fuori dal comune - riesce a riportarla alla normalità.

"Anche se si possono, nel film, riscontrare intenti didattici e scientifici nella descrizione della cura di un caso di schizofrenia, il regista è riuscito con uno stile asciutto e vigoroso insieme a ricreare un dramma intimo sotto il profilo umano e a suscitare una viva partecipazione nello spettatore. Di rilievo l'interpretazione".

(Segnalazioni cinematografiche, vol. 66, 1969)

"Un film-scommessa che Nelo Risi vince d’un lampo, grazie a un’intelligenza nel vedere, e una penetrazione nel sentire, tanto più rare quanto più gravi sono i rischi che il cinema corre quando corteggia la psicanalisi. Il merito grande di Nelo Risi, non a caso medico e poeta, sta appunto nel trasfigurare in emozione poetica un dramma e un trionfo, senza tradire di una spanna i connotati del caso clinico e del metodo di guarigione. Il racconto è lucidissimo. C’è Anna, figlia diciassettenne d’una copia italiana benestante, che le cure normali non riescono a togliere sa un grave stato di regressione infantile. Si rifiuta di mangiare, di muoversi, nel delirio minaccia di uccidersi. Il dono del film sta nel raccontare una materia così pericolosa con distaccata limpidezza, osservando i comportamenti con occhio asciutto. Se l’impresa riesce è anche perché Nelo Risi ha avuto estrema pulizia compositiva e mano felice nella scelta delle due maggiori interpreti. E' forse il primo film italiano sui meriti della psicanalisi che sappia raggiungere il doppio obiettivo della divulgazione intelligente e dell'efficacia spettacolare".

(Giovanni Grazzini, 'Corriere della Sera', 7 settembre 1968)

“Il dato più interessante che emerge da Diario di una schizofrenica, oltre a quello straordinario di una ricostruzione quanto mai fedele di una terapia psicanalitica (operazione ardua e raramente affrontata con spirito scientifico dal cinema), è quello relativo all'atteggiamento della famiglia della ragazza nei confronti della malattia. Impietosamente viene descritta l'incapacità dei genitori di reagire alla schizofrenia della figlia che, anzi, per molti versi, sembra porsi come una sorta di dato acquisito, contro il quale non valga la pena lottare. L'accettazione passiva dell'ospedalizzazione di Anna è indice più che della ricerca di una terapia valida per curare la ragazza, di una sorta di cristallizzazione della malattia all'interno del limbo protetto e ovattato della lussuosa casa di cura. E questo anche se la schizofrenia di Anna non è di origine endogena, non è provocata da cause organiche, ma da una serie di ragioni dipendenti dalle dinamiche interne alla sua famiglia come un padre distratto e assente, una madre egoista, fredda nei confronti della figlioletta, incapace di attivare una qualche forma di compensazione affettiva all'impossibilità di allattarla al seno (è da questo evento apparentemente secondario che dipende la genesi della malattia della ragazzina). La famiglia di Anna, vero punto di origine della malattia, semplicemente non vuole mettersi in discussione, riconsiderare le proprie dinamiche interne, proprio perché nella ragazza ha trovato colei sulla quale è possibile riversare i malesseri di tutto il nucleo lasciando sostanzialmente immutato il ruolo di ciascuno dei suoi membri ritenuti sani”.

(In www.minori.it)

 

Una poesia al giorno

Gli occhi di Margherita, di Nikiforos Vrettakos (Traduzione di Filippo Maria Pontani, da Il libro di Margherita, 1949 da “Poeti greci del Novecento”, “I Meridiani” Mondadori, 2010)

Nei tuoi occhi ho trovato i libri che non ho scritto:
pianure, città, boschi, orizzonti, canali.
Le montagne imperiali della terra ho trovato,
coi tramonti e le nuvole purpuree. I grandi viaggi
che non ho fatto li ho trovati nei tuoi occhi.

Nei tuoi occhi ho trovato gli amici sorridenti
che mi rubò la terra, l’erba, la neve, il buio.
Le frasi che mi direbbero, le ho trovate nei tuoi occhi.

Le croci non confitte in terra a battaglia finita,
lunghe file di anonime croci, da ogni parte,
croci di tutti i popoli, le ho trovate nei tuoi occhi.

Nei tuoi occhi ho trovato la fine della guerra.
Sole e uccelli sui rami! Il mio mondo infantile
coi suoi disegni d’oro l’ho trovato nei tuoi occhi.

Ho trovato le tristi colline della patria
che si ergevano mute quasi udissero la mia voce.
Arrivo! Al mio urlo «Arrivo», il fremito leggero
degli umili corbezzoli, l’ho trovato nei tuoi occhi.

Nei tuoi occhi ho trovato le notti che scorrevano
immensi fiumi di silenzio, come al tempo dei miei sei anni.
La luce astrale della pena l’ho trovata nei tuoi occhi.

Nei tuoi occhi ho trovato la gente che mi ricordava
e il mondo dell’infanzia che mi chiamava a nome.
La tenda della giustizia, la bontà che faceva cenno
ai monti di accostarsi, l’ho trovata nei tuoi occhi.

Ho trovato l’eternità del sole rinnovata.
L’erba, le stelle, l’alba. Mia madre vestita di bianco
come la Pace, l’ho trovata nei tuoi occhi.

Fosse tutto più semplice quaggiù, come il «buongiorno»
e la «buonanotte», o la luce all’alba sopra i vetri,
fosse tutto più semplice quaggiù, noi in questo mondo
avremmo una casa infinita. Saremmo angeli.
Il mio lamento eterno l’ho trovato nei tuoi occhi.

Τα μάτια τής Μαργαρίτας

Βρήκα μέσα στα μάτια σου τα βιβλία που δεν έγραψα∙
πεδιάδες, δάση, πολιτείες, ορίζοντες, κανάλια.
Βρήκα τ’ αυτοκρατορικά όρη της γης κι απάνω τους
τις δύσες με τα κόκκινα σύννεφα. Τα μεγάλα
ταξίδια που δεν έκαμα βρήκα μέσα στα μάτια σου.

Βρήκα μέσα στα μάτια σου τους γελαστούς μου φίλους
που μου τους σκέπασεν η γης, η χλόη, το χιόνι, η νύχτα.
Τα λόγια που θα μου ‘λεγαν βρήκα μέσα στα μάτια σου.

Όσους σταυρούς δεν έμπηξαν στη γης μετά τις μάχες,
μακριές σειρές, ανώνυμους σταυρούς, πάνω και κάτω,
τους σταυρούς όλων των εθνών, βρήκα μέσα στα μάτια σου.

Βρήκα μέσα στα μάτια σου τον πόλεμο τελειωμένο.
Πουλάκια και ήλιος στα κλαδιά! Το παιδικό μου σύμπαν
με τις χρυσές μου ζωγραφιές βρήκα μέσα στα μάτια σου.

Βρήκα τους μελαγχολικούς γήλοφους της πατρίδας μου
να στέκονται μες στη σιωπή σα ν’ ακούσανε τη φωνή μου.
Έρχομαι! Ως να τους φώναξε «έρχομαι», να κουνάνε
τις ταπεινές τους κουμαριές, βρήκα μέσα στα μάτια σου.

Βρήκα μέσα στα μάτια σου τις νύχτες να κυλάνε
μεγάλους ποταμούς σιωπής, όπως στα έξι μου χρόνια.
Της θλίψης την αστροφεγγιά, βρήκα μέσα στα μάτια σου.

Βρήκα μέσα στα μάτια σου τον κόσμο να με θυμάται
κι όλα όσα γνώρισα παιδί να με φωνάζουν με τ’ όνομά μου.
Της δικαιοσύνης τη σκηνή, την καλοσύνη που έγνεφε
να πλησιάσουν τα βουνά, βρήκα μέσα στα μάτια σου.

Βρήκα την αιωνιότητα του ήλιου ανανεωμένη.
Τη χλόη, τ’ αστέρια, την αυγή. Στ’ άσπρα σαν την Ειρήνη
ντυμένη τη μητέρα μου, βρήκα μέσα στα μάτια σου.

Αν ήτανε όλα εδώ πιο απλά, όπως η «καλημέρα»
κι η «καληνύχτα», όπως το φως στα τζάμια την αυγή,
αν ήτανε όλα εδώ πιο απλά, τότε, σ’ αυτό τον κόσμο,
θε να ‘χαμε ένα απέραντο σπίτι. Θε να ‘μαστε άγγελοι.
Το αιώνιο μου παράπονο βρήκα μέσα στα μάτια σου.

Nikiforos Vrettakos (presso Sparta, 1 gennaio 1912 - Atene, 4 agosto 1991) fu scrittore e poeta greco. Visse ad Atene dal 1929; fu esule in Italia durante la dittatura dei colonnelli. Considerato fra i corifei della Generazione del '40 (nel 1938 diede una prova matura della sua arte nel poemetto “Il viaggio dell'Arcangelo”), ha espresso in toni di un peculiare crepuscolarismo una delicata sensibilità per la natura, un autentico amore per l'uomo.

(www.sapere.it)

 

Un fatto al giorno

1 gennaio 1892: a Ellis Island iniziano a transitare gli immigrati negli Stati Uniti per ottenere l’idoneità allo sbarco.

“Ellis Island è un isolotto artificiale, costruito coi detriti rimanenti dagli scavi della metropolitana di New York, alla foce del fiume Hudson nella baia di New York. Antico arsenale militare, dal 1892 al 1954, anno della sua chiusura, è stato il principale punto d'ingresso per gli immigranti che sbarcavano negli Stati Uniti. Attualmente l'edificio ospita l'Ellis Island Immigration Museum (che si trova nel territorio appartenente a NYC) che è visitabile utilizzando il medesimo biglietto e traghetto che consente l'accesso anche alla vicina Statua della Libertà. Il porto di Ellis Island ha accolto più di 12 milioni di aspiranti cittadini statunitensi (prima della sua apertura altri 8 milioni transitarono per il Castle Garden Immigration Depot di Manhattan), che all'arrivo dovevano esibire i documenti di viaggio con le informazioni della nave che li aveva portati a New York. I Medici del Servizio Immigrazione controllavano rapidamente ciascun immigrante, contrassegnando sulla schiena con un gesso, quelli che dovevano essere sottoposti ad un ulteriore esame per accertarne le condizioni di salute (ad esempio: PG per donna incinta, K per ernia e X per problemi mentali). Chi superava questo primo esame, veniva poi accompagnato nella Sala dei Registri, dove erano attesi da ispettori che registravano nome, luogo di nascita, stato civile, luogo di destinazione, disponibilità di denaro, riferimenti a conoscenti già presenti nel paese, professione e precedenti penali. Ricevevano alla fine il permesso di sbarcare e venivano accompagnati al molo del traghetto per Manhattan. I "marchiati" venivano inviati in un'altra stanza per controlli più approfonditi. Secondo il vademecum destinato ai nuovi venuti, "i vecchi, i deformi, i ciechi, i sordomuti e tutti coloro che soffrono di malattie contagiose, aberrazioni mentali e qualsiasi altra infermità sono inesorabilmente esclusi dal suolo americano". Tuttavia risulta che solo il due percento degli immigranti siano stati respinti. Per i ritenuti non idonei, c'era l'immediato reimbarco sulla stessa nave che li aveva portati negli Stati Uniti, la quale, in base alla legislazione americana, aveva l'obbligo di riportarli al porto di provenienza. Il picco più alto si ebbe nel 1907 con 1.004.756 di persone approdate”.

(Wikipedia)

Da vedere:

A Ellis Island, nell'era precedente gli antibiotici, decine di migliaia di pazienti immigrati sono stati separati dalla famiglia, detenuti in ospedale e guariti dalla malattia prima di diventare cittadini. Sono nati 350 bambini e 3.500 sono stati sepolti nelle tombe dei poveri intorno a New York City.

 

Una frase al giorno

“Che ci piaccia o no, siamo noi la causa di noi stessi. Nascendo in questo mondo, cadiamo nell'illusione dei sensi; crediamo a ciò che appare. Ignoriamo che siamo ciechi e sordi. Allora ci assale la paura e dimentichiamo che siamo divini, che possiamo modificare il corso degli eventi, persino lo Zodiaco”.

(Giordano Bruno, Nola, 1548 - Roma, 17 febbraio 1600, matematico, frate, filosofo, poeta e teorico cosmologico italiano)

“Alla radice della filosofia bruniana può porsi l'intuizione della originaria unità e infinità del tutto, in cui l'uno-Dio, infinito in un solo atto, si riverbera e moltiplica in infinite sussistenze attraverso un processo di discesa necessario e immanente alla stessa natura divina. Sicché ovunque è visibile e quasi sensibile Dio; onde religione è il riconoscere Dio ovunque, risalire dalle forme mutevoli alla divinità, religione questa che in modo diverso sottostà - e insieme sovrasta - le religioni storiche, modi diversi di riconoscere Dio, ma anche creazioni "politiche" atte a educare le masse incolte. I temi e i termini che B. utilizza nella sua costruzione metafisica sono di tutte le scuole e tradizioni, ma profondamente originale è l'ispirazione e il "furore" che regge la sua speculazione: come pure fondamentale appare la sua trasvalutazione metafisica dell'ipotesi copernicana, da lui sentita come rottura di un universo finito per affermare l'attualità di un infinito che non è solo Dio, ma il mondo tutto come suo causato, infinito nello spazio e nel tempo in cui Dio si espande e si manifesta. In questo infinito fatto di corrispondenze e consonanze segrete il sapere assume motivi magici, onde l'esaltazione bruniana della magia che introduce nei segreti dell'universo e ci rende capaci di signoreggiarne le forze. Alla metafisica bruniana si salda la sua morale che rompe il determinismo insito nella circolarità di uno e molteplice: poiché il ritorno all'uno è iniziativa e conquista, rottura delle leggi del fato, "impeto razionale", "eroico furore", in cui l'atto conoscitivo è anche atto di libertà, superamento della "natura".
Anche nel campo letterario egli è tra coloro che preannunciano, nell'ultimo Cinquecento e nel primo Seicento, la letteratura più moderna. Si pone, risolutamente, in nome della libertà del poeta e dell'uomo, contro le regole letterarie esterne, ricavate ai suoi tempi dalla Poetica di Aristotele, contro le imitazioni, in particolare del Petrarca; inizia la violenta satira contro il pedante, cioè contro l'erudizione fine a se stessa e la letteratura paga di semplici esornamenti. Rozzo, dialettale, sovente contorto e torrenziale, esprime tuttavia, spesso con rara potenza nella satira o nella esaltazione intellettuale, la sua ansia di dignità e di verità”.

(Treccani)

Il 17 febbraio 1600, Giordano Bruno moriva bruciato vivo sul patibolo dell'inquisizione romana. Domenicano, sedotto dalla Riforma senza aderirvi, Bruno non fu la prima né l'ultima vittima di quest'istituzione il cui scopo era quello di estirpare l'eresia, anche con i mezzi più terribili.

  • Il film: Giordano Bruno di Giuliano Montaldo, con Gian Maria Volontè (1973)

 

Un brano musicale al giorno

Aus der Tiefe, di Christoph Bernhard 

Christoph Bernhard (1 gennaio 1628 - 14 novembre 1692) nacque a Kolberg, in Pomerania, e morì a Dresda. Ha studiato con l'ex allievo di Sweelinck Paul Siefert a Danzica e a Varsavia. All'età di 20 anni cantava alla corte elettorale di Dresda con Heinrich Schütz.
“Aus der Tiefe”, di Christoph Bernhard, è parte di Geistliche Harmonien (Armonie spirituali)


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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