“L’amico del popolo”, 1 gennaio 2018

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

DIARIO DI UNA SCHIZOFRENICA (Italia, 1968), regia di Nelo Risi, ispirato al libro omonimo di Marguerite Sechehaye, il cui titolo originario sarebbe meglio tradotto come "Il caso Renée". Sceneggiatura: Nelo Risi, Fabio Carpi. Fotografia: Giulio Albonico. Montaggio: Cleofe Conversi. Musiche: Ivan Vandor Con: Manlio Busoni, Ghislaine D'Orsay, Giuseppe Liuzzi, Margarita Lozano, Gabriella Mulachiè, Umberto Raho, Sara Ridolfi, Maria Tocinowsky.

La giovane diciottenne Anna, manifestando fin da piccola deviazioni patologiche, viene condotta dai ricchi genitori in varie cliniche specializzate che non riescono però a guarirla. Dopo vari e successivi tentativi di cura, Anna, condotta in Svizzera, viene affidata ad una psichiatra, madame Blanche, la quale, in seguito ad una lunga e paziente opera di ricostruzione psichica - condotta con metodi non tradizionali e con trasporto affettivo fuori dal comune - riesce a riportarla alla normalità.

DIARIO DI UNA SCHIZOFRENICA (Italia, 1968), regia di Nelo Risi"Anche se si possono, nel film, riscontrare intenti didattici e scientifici nella descrizione della cura di un caso di schizofrenia, il regista è riuscito con uno stile asciutto e vigoroso insieme a ricreare un dramma intimo sotto il profilo umano e a suscitare una viva partecipazione nello spettatore. Di rilievo l'interpretazione".

(Segnalazioni cinematografiche, vol. 66, 1969)

"Un film-scommessa che Nelo Risi vince d’un lampo, grazie a un’intelligenza nel vedere, e una penetrazione nel sentire, tanto più rare quanto più gravi sono i rischi che il cinema corre quando corteggia la psicanalisi. Il merito grande di Nelo Risi, non a caso medico e poeta, sta appunto nel trasfigurare in emozione poetica un dramma e un trionfo, senza tradire di una spanna i connotati del caso clinico e del metodo di guarigione. Il racconto è lucidissimo. C’è Anna, figlia diciassettenne d’una copia italiana benestante, che le cure normali non riescono a togliere sa un grave stato di regressione infantile. Si rifiuta di mangiare, di muoversi, nel delirio minaccia di uccidersi. Il dono del film sta nel raccontare una materia così pericolosa con distaccata limpidezza, osservando i comportamenti con occhio asciutto. Se l’impresa riesce è anche perché Nelo Risi ha avuto estrema pulizia compositiva e mano felice nella scelta delle due maggiori interpreti. E' forse il primo film italiano sui meriti della psicanalisi che sappia raggiungere il doppio obiettivo della divulgazione intelligente e dell'efficacia spettacolare".

(Giovanni Grazzini, 'Corriere della Sera', 7 settembre 1968)

“Il dato più interessante che emerge da Diario di una schizofrenica, oltre a quello straordinario di una ricostruzione quanto mai fedele di una terapia psicanalitica (operazione ardua e raramente affrontata con spirito scientifico dal cinema), è quello relativo all'atteggiamento della famiglia della ragazza nei confronti della malattia. Impietosamente viene descritta l'incapacità dei genitori di reagire alla schizofrenia della figlia che, anzi, per molti versi, sembra porsi come una sorta di dato acquisito, contro il quale non valga la pena lottare. L'accettazione passiva dell'ospedalizzazione di Anna è indice più che della ricerca di una terapia valida per curare la ragazza, di una sorta di cristallizzazione della malattia all'interno del limbo protetto e ovattato della lussuosa casa di cura. E questo anche se la schizofrenia di Anna non è di origine endogena, non è provocata da cause organiche, ma da una serie di ragioni dipendenti dalle dinamiche interne alla sua famiglia come un padre distratto e assente, una madre egoista, fredda nei confronti della figlioletta, incapace di attivare una qualche forma di compensazione affettiva all'impossibilità di allattarla al seno (è da questo evento apparentemente secondario che dipende la genesi della malattia della ragazzina). La famiglia di Anna, vero punto di origine della malattia, semplicemente non vuole mettersi in discussione, riconsiderare le proprie dinamiche interne, proprio perché nella ragazza ha trovato colei sulla quale è possibile riversare i malesseri di tutto il nucleo lasciando sostanzialmente immutato il ruolo di ciascuno dei suoi membri ritenuti sani”.

(In www.minori.it)

DIARIO DI UNA SCHIZOFRENICA (Italia, 1968), regia di Nelo Risi

 

Una poesia al giorno

Gli occhi di Margherita, di Nikiforos Vrettakos (Traduzione di Filippo Maria Pontani, da Il libro di Margherita, 1949 da “Poeti greci del Novecento”, “I Meridiani” Mondadori, 2010)

Nei tuoi occhi ho trovato i libri che non ho scritto:
pianure, città, boschi, orizzonti, canali.
Le montagne imperiali della terra ho trovato,
coi tramonti e le nuvole purpuree. I grandi viaggi
che non ho fatto li ho trovati nei tuoi occhi.

Nei tuoi occhi ho trovato gli amici sorridenti
che mi rubò la terra, l’erba, la neve, il buio.
Le frasi che mi direbbero, le ho trovate nei tuoi occhi.

Le croci non confitte in terra a battaglia finita,
lunghe file di anonime croci, da ogni parte,
croci di tutti i popoli, le ho trovate nei tuoi occhi.

Nei tuoi occhi ho trovato la fine della guerra.
Sole e uccelli sui rami! Il mio mondo infantile
coi suoi disegni d’oro l’ho trovato nei tuoi occhi.

Ho trovato le tristi colline della patria
che si ergevano mute quasi udissero la mia voce.
Arrivo! Al mio urlo «Arrivo», il fremito leggero
degli umili corbezzoli, l’ho trovato nei tuoi occhi.

Nei tuoi occhi ho trovato le notti che scorrevano
immensi fiumi di silenzio, come al tempo dei miei sei anni.
La luce astrale della pena l’ho trovata nei tuoi occhi.

Nei tuoi occhi ho trovato la gente che mi ricordava
e il mondo dell’infanzia che mi chiamava a nome.
La tenda della giustizia, la bontà che faceva cenno
ai monti di accostarsi, l’ho trovata nei tuoi occhi.

Ho trovato l’eternità del sole rinnovata.
L’erba, le stelle, l’alba. Mia madre vestita di bianco
come la Pace, l’ho trovata nei tuoi occhi.

Fosse tutto più semplice quaggiù, come il «buongiorno»
e la «buonanotte», o la luce all’alba sopra i vetri,
fosse tutto più semplice quaggiù, noi in questo mondo
avremmo una casa infinita. Saremmo angeli.
Il mio lamento eterno l’ho trovato nei tuoi occhi.

Τα μάτια τής Μαργαρίτας

Βρήκα μέσα στα μάτια σου τα βιβλία που δεν έγραψα∙
πεδιάδες, δάση, πολιτείες, ορίζοντες, κανάλια.
Βρήκα τ’ αυτοκρατορικά όρη της γης κι απάνω τους
τις δύσες με τα κόκκινα σύννεφα. Τα μεγάλα
ταξίδια που δεν έκαμα βρήκα μέσα στα μάτια σου.

Βρήκα μέσα στα μάτια σου τους γελαστούς μου φίλους
που μου τους σκέπασεν η γης, η χλόη, το χιόνι, η νύχτα.
Τα λόγια που θα μου ‘λεγαν βρήκα μέσα στα μάτια σου.

Όσους σταυρούς δεν έμπηξαν στη γης μετά τις μάχες,
μακριές σειρές, ανώνυμους σταυρούς, πάνω και κάτω,
τους σταυρούς όλων των εθνών, βρήκα μέσα στα μάτια σου.

Βρήκα μέσα στα μάτια σου τον πόλεμο τελειωμένο.
Πουλάκια και ήλιος στα κλαδιά! Το παιδικό μου σύμπαν
με τις χρυσές μου ζωγραφιές βρήκα μέσα στα μάτια σου.

Βρήκα τους μελαγχολικούς γήλοφους της πατρίδας μου
να στέκονται μες στη σιωπή σα ν’ ακούσανε τη φωνή μου.
Έρχομαι! Ως να τους φώναξε «έρχομαι», να κουνάνε
τις ταπεινές τους κουμαριές, βρήκα μέσα στα μάτια σου.

Βρήκα μέσα στα μάτια σου τις νύχτες να κυλάνε
μεγάλους ποταμούς σιωπής, όπως στα έξι μου χρόνια.
Της θλίψης την αστροφεγγιά, βρήκα μέσα στα μάτια σου.

Βρήκα μέσα στα μάτια σου τον κόσμο να με θυμάται
κι όλα όσα γνώρισα παιδί να με φωνάζουν με τ’ όνομά μου.
Της δικαιοσύνης τη σκηνή, την καλοσύνη που έγνεφε
να πλησιάσουν τα βουνά, βρήκα μέσα στα μάτια σου.

Βρήκα την αιωνιότητα του ήλιου ανανεωμένη.
Τη χλόη, τ’ αστέρια, την αυγή. Στ’ άσπρα σαν την Ειρήνη
ντυμένη τη μητέρα μου, βρήκα μέσα στα μάτια σου.

Αν ήτανε όλα εδώ πιο απλά, όπως η «καλημέρα»
κι η «καληνύχτα», όπως το φως στα τζάμια την αυγή,
αν ήτανε όλα εδώ πιο απλά, τότε, σ’ αυτό τον κόσμο,
θε να ‘χαμε ένα απέραντο σπίτι. Θε να ‘μαστε άγγελοι.
Το αιώνιο μου παράπονο βρήκα μέσα στα μάτια σου.

Nikiforos Vrettakos (presso Sparta, 1 gennaio 1912 - Atene, 4 agosto 1991) fu scrittore e poeta greco. Visse ad Atene dal 1929; fu esule in Italia durante la dittatura dei colonnelli. Considerato fra i corifei della Generazione del '40 (nel 1938 diede una prova matura della sua arte nel poemetto “Il viaggio dell'Arcangelo”), ha espresso in toni di un peculiare crepuscolarismo una delicata sensibilità per la natura, un autentico amore per l'uomo.

(www.sapere.it)

 

Un fatto al giorno

1 gennaio 1892: a Ellis Island iniziano a transitare gli immigrati negli Stati Uniti per ottenere l’idoneità allo sbarco.

“Ellis Island è un isolotto artificiale, costruito coi detriti rimanenti dagli scavi della metropolitana di New York, alla foce del fiume Hudson nella baia di New York. Antico arsenale militare, dal 1892 al 1954, anno della sua chiusura, è stato il principale punto d'ingresso per gli immigranti che sbarcavano negli Stati Uniti. Attualmente l'edificio ospita l'Ellis Island Immigration Museum (che si trova nel territorio appartenente a NYC) che è visitabile utilizzando il medesimo biglietto e traghetto che consente l'accesso anche alla vicina Statua della Libertà. Il porto di Ellis Island ha accolto più di 12 milioni di aspiranti cittadini statunitensi (prima della sua apertura altri 8 milioni transitarono per il Castle Garden Immigration Depot di Manhattan), che all'arrivo dovevano esibire i documenti di viaggio con le informazioni della nave che li aveva portati a New York. I Medici del Servizio Immigrazione controllavano rapidamente ciascun immigrante, contrassegnando sulla schiena con un gesso, quelli che dovevano essere sottoposti ad un ulteriore esame per accertarne le condizioni di salute (ad esempio: PG per donna incinta, K per ernia e X per problemi mentali). Chi superava questo primo esame, veniva poi accompagnato nella Sala dei Registri, dove erano attesi da ispettori che registravano nome, luogo di nascita, stato civile, luogo di destinazione, disponibilità di denaro, riferimenti a conoscenti già presenti nel paese, professione e precedenti penali. Ricevevano alla fine il permesso di sbarcare e venivano accompagnati al molo del traghetto per Manhattan. I "marchiati" venivano inviati in un'altra stanza per controlli più approfonditi. Secondo il vademecum destinato ai nuovi venuti, "i vecchi, i deformi, i ciechi, i sordomuti e tutti coloro che soffrono di malattie contagiose, aberrazioni mentali e qualsiasi altra infermità sono inesorabilmente esclusi dal suolo americano". Tuttavia risulta che solo il due percento degli immigranti siano stati respinti. Per i ritenuti non idonei, c'era l'immediato reimbarco sulla stessa nave che li aveva portati negli Stati Uniti, la quale, in base alla legislazione americana, aveva l'obbligo di riportarli al porto di provenienza. Il picco più alto si ebbe nel 1907 con 1.004.756 di persone approdate”.

(Wikipedia)

Da vedere:

A Ellis Island, nell'era precedente gli antibiotici, decine di migliaia di pazienti immigrati sono stati separati dalla famiglia, detenuti in ospedale e guariti dalla malattia prima di diventare cittadini. Sono nati 350 bambini e 3.500 sono stati sepolti nelle tombe dei poveri intorno a New York City.

Charlie Chaplin - The Immigrant (1917)

 

Una frase al giorno

“Che ci piaccia o no, siamo noi la causa di noi stessi. Nascendo in questo mondo, cadiamo nell'illusione dei sensi; crediamo a ciò che appare. Ignoriamo che siamo ciechi e sordi. Allora ci assale la paura e dimentichiamo che siamo divini, che possiamo modificare il corso degli eventi, persino lo Zodiaco”.

(Giordano Bruno, Nola, 1548 - Roma, 17 febbraio 1600, matematico, frate, filosofo, poeta e teorico cosmologico italiano)

“Alla radice della filosofia bruniana può porsi l'intuizione della originaria unità e infinità del tutto, in cui l'uno-Dio, infinito in un solo atto, si riverbera e moltiplica in infinite sussistenze attraverso un processo di discesa necessario e immanente alla stessa natura divina. Sicché ovunque è visibile e quasi sensibile Dio; onde religione è il riconoscere Dio ovunque, risalire dalle forme mutevoli alla divinità, religione questa che in modo diverso sottostà - e insieme sovrasta - le religioni storiche, modi diversi di riconoscere Dio, ma anche creazioni "politiche" atte a educare le masse incolte. I temi e i termini che B. utilizza nella sua costruzione metafisica sono di tutte le scuole e tradizioni, ma profondamente originale è l'ispirazione e il "furore" che regge la sua speculazione: come pure fondamentale appare la sua trasvalutazione metafisica dell'ipotesi copernicana, da lui sentita come rottura di un universo finito per affermare l'attualità di un infinito che non è solo Dio, ma il mondo tutto come suo causato, infinito nello spazio e nel tempo in cui Dio si espande e si manifesta. In questo infinito fatto di corrispondenze e consonanze segrete il sapere assume motivi magici, onde l'esaltazione bruniana della magia che introduce nei segreti dell'universo e ci rende capaci di signoreggiarne le forze. Alla metafisica bruniana si salda la sua morale che rompe il determinismo insito nella circolarità di uno e molteplice: poiché il ritorno all'uno è iniziativa e conquista, rottura delle leggi del fato, "impeto razionale", "eroico furore", in cui l'atto conoscitivo è anche atto di libertà, superamento della "natura".
Anche nel campo letterario egli è tra coloro che preannunciano, nell'ultimo Cinquecento e nel primo Seicento, la letteratura più moderna. Si pone, risolutamente, in nome della libertà del poeta e dell'uomo, contro le regole letterarie esterne, ricavate ai suoi tempi dalla Poetica di Aristotele, contro le imitazioni, in particolare del Petrarca; inizia la violenta satira contro il pedante, cioè contro l'erudizione fine a se stessa e la letteratura paga di semplici esornamenti. Rozzo, dialettale, sovente contorto e torrenziale, esprime tuttavia, spesso con rara potenza nella satira o nella esaltazione intellettuale, la sua ansia di dignità e di verità”.

(Treccani)

Il 17 febbraio 1600, Giordano Bruno moriva bruciato vivo sul patibolo dell'inquisizione romana. Domenicano, sedotto dalla Riforma senza aderirvi, Bruno non fu la prima né l'ultima vittima di quest'istituzione il cui scopo era quello di estirpare l'eresia, anche con i mezzi più terribili.

  • Il film: Giordano Bruno di Giuliano Montaldo, con Gian Maria Volontè (1973)

 

Un brano musicale al giorno

Aus der Tiefe, di Christoph Bernhard 

Christoph Bernhard (1 gennaio 1628 - 14 novembre 1692) nacque a Kolberg, in Pomerania, e morì a Dresda. Ha studiato con l'ex allievo di Sweelinck Paul Siefert a Danzica e a Varsavia. All'età di 20 anni cantava alla corte elettorale di Dresda con Heinrich Schütz.
“Aus der Tiefe”, di Christoph Bernhard, è parte di Geistliche Harmonien (Armonie spirituali)


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k