L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno IV. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...
Un film al giorno
Un film dimenticato
OUTWARD BOUND (US, 1930), regia di Robert Milton. Sceneggiatura: Sutton Vane, J. Grubb Alexander. Fotografia: Hal Mohr. Montaggio: Ralph Dawson. Cast: Leslie Howard come Tom Prior. Douglas Fairbanks Jr. come Henry. Beryl Mercer come La signora Midget. Dudley Digges come Thompson. Helen Chandler come Ann. Alec B. Francis come Scrubby. Montagu Love come Il signor Lingley. Lyonel Watts come Reverendo William Duke. Alison Skipworth come La signora Cliveden-Banks. Walter Kingsford come Il poliziotto.
Un gruppo di passeggeri si ritrova a bordo di una nave senza equipaggio che viaggia verso una destinazione ignota. Le loro storie si rivelano una ad una. Tom Prior scopre di viaggiare col suo ex-capo, Mr. Lingley. A bordo c'è anche la madre di Tom, Mrs. Midget, la cui identità è sconosciuta al figlio. Una giovane coppia, Henry ed Ann, sta vivendo una storia d'amore impossibile. Col passare del tempo, i passeggeri capiscono quello che sta accadendo: sono tutti morti, e stanno viaggiando verso la loro meta, l'inferno o il paradiso; saranno giudicati durante il viaggio. Avvicinandosi alla destinazione finale, siedono in attesa di Thompson, l'«esaminatore», il quale dovrà decidere quale premio o quale punizione dovranno ricevere. Ma Henry ed Ann, che hanno tentato il suicidio ma non sono ancora morti, si trovano sospesi in una specie di limbo fra la vita e la morte. Alla fine Henry è salvato dall'intervento del suo cane e viene portato in salvo insieme ad Ann.
“Se un'idea semi-reale e semi-allegorica con un mediatore psicologico può essere messa sullo schermo in un modo tanto intelligente come questo, allora i film hanno un ampio futuro in una direzione educativa. In questo senso, questo film può essere considerato un esperimento di laboratorio per il resto del mondo cinematografico su cui riflettere e imparare. Due interpreti, Beryl Mercer e Leslie Howard, provengono dal cast originale di Broadway nel 1924..."
(In variety.com)
"Anche se gli stessi Warner Brothers non sembrano esserne consapevoli, hanno fatto una rappresentazione cinematografica della commedia di Sutton Vane "Outward Bound" che ha una notevole dignità e moderazione. Il cast, tra cui Leslie Howard, Douglas Fairbanks Jr., Helen Chandler, Beryl Mercer, Alec B. Francis, Alison Skipworth e Dudley Digges, si esibisce alla perfezione e la regia di Robert Milton è semplice, onesta ed efficace. Questa è ancora praticamente una rappresentazione teatrale..."
(Creighton Peet, The Outlook, 1 ottobre 1930)
- Il film: Outward Bound (1930), Leslie Howard, Douglas Fairbanks Jr., Beryl Mercer
Un attore: “Leslie Howard, nato Leslie Howard Steiner (Londra, 3 aprile 1893 - Golfo di Biscaglia, 1º giugno 1943), attore, regista e produttore cinematografico britannico, tra i più rappresentativi del suo tempo. Leslie Howard nacque a Londra nel distretto di Forest Hill. Il suo nome alla nascita era Leslie Howard Steiner: suo padre, Ferdinand Steiner, era un ebreo ungherese immigrato in Inghilterra e divenuto cittadino britannico nel 1891, mentre sua madre Lilian Blumberg apparteneva ad una famiglia londinese della borghesia agiata. Poco dopo la nascita di Leslie Howard, la sua famiglia si trasferì a Vienna, dove rimase per alcuni anni. Rientrata in Inghilterra, la famiglia Steiner si stabilì ad Upper Norwood, Londra. Leslie Howard cominciò ad interessarsi al teatro molto presto, prima in famiglia, incoraggiato dalla madre, e poi durante gli studi all'Alleyn's School di Dulwich, Londra. Nel 1914 prese parte ad un film diretto dallo zio Wilfred Noy, The Heroine of Mons.
Dopo un breve periodo di lavoro come impiegato in una banca, allo scoppio della prima guerra mondiale si arruolò volontario e restò in servizio nella Northamptonshire Yeomanry come second lieutenant fino al maggio del 1916. Nel 1916 sposò Ruth Evelyn Martin, dalla quale ebbe due figli, Ronald (1918-1996) - che divenne poi attore cinematografico e televisivo - e Leslie Ruth (1924-2013).
Dopo aver recitato principalmente nei teatri di provincia tra il 1916 e il 1918, partecipando alle tournée di opere di grande successo come Peg O' My Heart e La zia di Carlo, Leslie Howard ottenne il primo ruolo di rilievo a Londra in The Freaks di Arthur Wing Pinero. L'anno seguente, sempre sui palcoscenici londinesi, apparve in The Title di Arnold Bennett e Our Mr. Hepplewhite di Gladys Unger.
Oltre a recitare in teatro, Howard aveva continuato ad interessarsi al cinema; dopo il primo film del 1914, aveva ottenuto una parte anche in The Happy Warrior (1917), diretto da F. Martin Thornton. Nel 1919 Howard fondò con l'amico Adrian Brunel una casa di produzione cinematografica a Londra, la Minerva Films, che si avvalse di attori già famosi come C. Aubrey Smith e di uno sceneggiatore importante come A. A. Milne. Howard recitò anche da protagonista in due dei film da lui prodotti, Five Pounds Reward e Bookworms. La vita della Minerva Film, nonostante l'interesse suscitato (fra i finanziatori figurava anche lo scrittore H.G. Wells) fu però breve, e si chiuse nel 1921. Intanto, nel 1920, il successo ottenuto sulle scene in Mr. Pim Passes By di A. A. Milne aveva valso a Howard una scrittura a Broadway. Nel 1920 cambiò definitivamente il suo nome in Leslie Howard.
Leslie Howard arrivò a New York nell'ottobre 1920, scritturato da Gilbert Miller per la produzione di Just Suppose di A.E. Thomas, all'Henry Miller Theatre di Broadway. Iniziò così la sua fortunata carriera sui palcoscenici di New York e di Londra, alternata, fino al 1936, ai frequenti impegni cinematografici.
Fra i maggiori successi teatrali di Howard si ricordano Outward Bound di Sutton Vane (1924) - da cui fu in seguito tratto l'omonimo film del 1930, prima prova hollywoodiana dell'attore - The Green Hat di Michael Arlen (1925), Her Cardboard Lover di Valerie Wyngate e P. G. Wodehouse (1927), Escape di John Galsworthy (1927), Berkeley Square di John L. Balderston (1929), The Animal Kingdom di Philip Barry (1932) e The Petrified Forest di Robert E. Sherwood (1935); da questi tre ultimi lavori teatrali furono tratti i film omonimi, interpretati dallo stesso Howard. Nel 1936 produsse, diresse ed interpretò l'Amleto di Shakespeare. La sua ultima apparizione teatrale fu nel ruolo di Horatio Nelson nell'edizione di Cathedral Steps di Clemence Dane realizzata nel 1942 come speciale celebrazione del Trafalgar Day sulla scalinata della cattedrale di St.Paul's a Londra.
Numerose furono le partecipazioni di Leslie Howard a trasmissioni radiofoniche, compresi alcuni radiodrammi fra i quali una versione del suo celebre film La Primula Rossa, interpretato nel 1938 con Olivia de Havilland.
Howard fu anche autore di racconti pubblicati su riviste come il New Yorker e Vanity Fair, e di alcuni lavori teatrali che produsse, diresse e interpretò: Murray Hill (1927) (ripresa sulle scene e ripubblicata con titoli diversi: Tell Me The Truth e Elizabeth Sleeps Out, Out of a Blue Sky (1930), rielaborazione di una commedia di Hans Chlumberg Curò anche la messa in scena di un'altra sua commedia, Alias Mrs. Jones, nel 1937, al Little Theatre di Bristol, con la compagnia dei Rapier Players.
Dopo il successo teatrale ottenuto a Broadway, Leslie Howard fu chiamato a Hollywood, dove lavorò fino al 1939, salvo la partecipazione ad alcune produzioni britanniche: Service for Ladies (1931), The Lady is Willing (1934), La Primula Rossa (1934), Pigmalione (1938).
Il suo film d'esordio a Hollywood, Outward Bound (1930), era tratto dal lavoro teatrale da lui interpretato con successo a Broadway, sebbene in un ruolo diverso: nel film Leslie Howard è Tom Prior, ruolo che in teatro era stato interpretato da Alfred Lunt, mentre quello del giovane Henry è interpretato da Douglas Fairbanks Jr..
Successivamente, nei primi anni a Hollywood, Howard fu spesso costretto in ruoli sentimentali piuttosto convenzionali e stereotipati. La sua figura elegante e aristocratica gli assicurò subito grande popolarità presso il pubblico femminile, ma lo relegò spesso in ruoli di innamorato nobile e romantico, contrapposto a rivali malvagi e brutali, come nei film Io amo (1931) e Catene (1932), o in storie romantico-avventurose come La voce del sangue (1931) e Segreti (1933), uno degli ultimi film di Mary Pickford. In questi primi film fu affiancato ad attrici già celebri, come la citata Mary Pickford, Marion Davies, Norma Shearer e Ann Harding. Sempre nel 1933, Howard girò un altro film con Douglas Fairbanks Jr., Catturato, una storia di guerra e di eroismo ambientata nelle trincee della prima guerra mondiale.
Un altro ruolo che interpretò più volte sullo schermo è quello dell'uomo conteso da due donne, che da Service for Ladies, Five and Ten (1931) e The Animal Kingdom (1932) - già da lui interpretato con grande successo a Broadway - si riproporrà fino al personaggio di Ashley Wilkes in Via col vento.
Negli anni successivi, consolidata la sua fama e divenuto più selettivo nella scelta dei personaggi, ebbe modo di rivelare anche sullo schermo, come già era accaduto in teatro, le sue doti di interprete in film di maggior impegno e prestigio quali La strana realtà di Peter Standish (1933), riduzione cinematografica della commedia Berkeley Square - da lui già portata sulle scene di Londra e di Broadway nel 1929 - per il quale ottenne la nomination all'Oscar e Schiavo d'amore (1934) con Bette Davis, tratto dal romanzo di William Somerset Maugham.
Nel 1934 il grande successo del film La Primula Rossa, nel quale forniva una indimenticabile interpretazione di sir Percy Blakeney, personaggio avventuroso celato sotto la maschera del damerino inglese, lo consacrava definitivamente quale stella di popolarità mondiale. Seguì La foresta pietrificata (1936) - già suo successo teatrale - a fianco di Bette Davis e di Humphrey Bogart, al quale era legato da grande amicizia e che impose come interprete del personaggio di Duke Mantee, opponendosi alle scelte della produzione. La sua intuizione del grande potenziale di Humphrey Bogart si rivelò esatta: Bogart divenne subito un beniamino del pubblico e fu sempre riconoscente all'amico per il sostegno ricevuto.
Negli anni successivi le interpretazioni cinematografiche di Leslie Howard si diradarono. Nel 1936 fu chiamato da Irving Thalberg a interpretare il ruolo di Romeo nel film Giulietta e Romeo diretto da George Cukor, a fianco di Norma Shearer. Sebbene poco tentato dal ruolo di Romeo, Howard accettò la parte perché considerava quell'imponente tentativo di portare Shakespeare sullo schermo come uno dei più grandi esperimenti cinematografici di quegli anni. Seguirono poi due film nei quali, come già in teatro e nei suoi racconti, Howard mostrò particolare propensione per la commedia che gli consentiva toni autoironici: Avventura a mezzanotte, a fianco di Bette Davis e Olivia de Havilland, in cui interpretò la caricatura di un attore di teatro vanitoso e facile alle avventure galanti, e Ed ora... sposiamoci, con Joan Blondell e Humphrey Bogart, satira del mondo del cinema, entrambi del 1937.
Nel 1938 Howard tornò in Inghilterra per interpretare il ruolo del professor Higgins in Pigmalione (1938), dall'omonima commedia di George Bernard Shaw, del quale curò anche la regia con Anthony Asquith e per il quale ricevette la Coppa Volpi al miglior attore alla 6ª edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia nel 1938. L'anno seguente, David O. Selznick lo volle in Via col vento, nel quale interpretò magistralmente il personaggio di Ashley Wilkes. L'ultima produzione hollywoodiana alla quale Howard partecipò fu Intermezzo (1939), in cui ebbe come partner Ingrid Bergman, e di cui fu anche produttore associato.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale Howard rientrò in Inghilterra dove, dopo aver partecipato a Gli invasori - 49mo parallelo, diretto da Michael Powell, nel ruolo dell'antropologo Philip Armstrong Scott, interpretò, diresse e produsse alcuni film a sfondo patriottico-propagandistico: La Primula Smith (1941), film da lui interpretato e diretto, ispirato al personaggio della Primula Rossa riadattato in chiave anti-nazista secondo il suo gusto per il caricaturale, e Il primo dei pochi (1942), sua ultima interpretazione cinematografica, a fianco di David Niven.
Dopo il suo rientro in Inghilterra, Leslie Howard fu impegnato in una serie di trasmissioni radiofoniche della BBC e nella produzione di film di propaganda, come From the Four Corners, da lui scritto e interpretato, e Sesso gentile (1942), sull'impegno bellico delle donne inglesi, di cui curò la regia e di cui fu voce narrante.
Alla fine di aprile del 1943 partì per un giro di conferenze in Portogallo e in Spagna, durante il quale presentò i suoi ultimi film e parlò della sua visione di Amleto. Il 1º giugno 1943 si imbarco a Lisbona per fare ritorno in Inghilterra sul volo KLM/BOAC 777, operato con un Douglas DC-3. Mentre l'apparecchio stava sorvolando il Golfo di Biscaglia, esso venne intercettato e abbattuto da un'intera squadriglia di Junkers Ju 88 della Luftwaffe. L'indomani uno Short S.25 Sunderland della RAAF, l'aeronautica militare australiana, fu mandato a perlustrare il sito dell'abbattimento alla ricerca di superstiti, ma fu attaccato dalla stessa squadriglia di Junkers[. Nessun superstite fu poi recuperato tra i tredici passeggeri e i quattro uomini di equipaggio.
Nel libro SOLDATEN combattere uccidere morire, di Sonke Neitzel e Harald Welzer, nel paragrafo "Caccia" è descritto l'episodio da uno dei piloti tedeschi che hanno fisicamente abbattuto l'aereo su cui viaggiava l'attore….”
(Articolo completo in wikipedia.org)
- Immagini: Leslie Howard - British Greats, 1980
1° giugno 1943: il volo 777 della BOAC viene abbattuto sul Golfo di Biscaglia dal tedesco Junkers Ju 88s, uccidendo l'attore britannico Leslie Howard e portando a ipotizzare che si trattasse in realtà di un tentativo di uccidere il primo ministro britannico Winston Churchill..
Una poesia al giorno
Tristesses de la lune, di Charles Baudelaire da Les Fleurs du mal
Ce soir la Lune rêve avec plus de paresse
Ainsi qu'une beauté sur de nombreux coussins
Qui d'une main discrète et légère caresse
Avant de s'endormir le contour de ses seins
Sur le dos satine, des molles avalanches
Mourante elle se livre aux longues pâmoisons
Et promené ses yeux sur les visions blanches
Qui montent dans l'azur comme des floraisons
Quand parfois sur ce globe en sa longueur oisive
Elle laisse filer une larme furtive
Un poète pieu ennemi do sommeil
Dans le creux de sa main prend cette larme pale
Aux reflets urizes comme un fragment d'opale
Et l'amener de son corps loin des yeux do Soleil
La tristezza della luna (traduzione di Giovanni Raboni in Poesie scelte: Charles Baudelaire, I fiori del male, Torino, Einaudi 1999).
Più pigra, questa sera, sta sognando la luna:
bellezza che su un mucchio di cuscini,
lieve e distratta, prima di dormire
accarezza il contorno dei suoi seni,
sulla serica schiena delle molli valanghe,
morente, s'abbandona a deliqui infiniti,
e volge gli occhi là dove bianche visioni
salgono nell'azzurro come fiori.
Quando su questa terra, nel suo pigro languore,
lascia che giù furtiva una lacrima fili,
un poeta adorante e al sonno ostile
nella mano raccoglie quell'umido pallore
dai riflessi iridati d'opale, e lo nasconde
lontano dagli occhi del sole, nel suo cuore.
1° giugno 1857, viene pubblicato Les Fleurs du mal di Charles Baudelaire.
“I fiori del male (Les Fleurs du mal) è una raccolta lirica di Charles Baudelaire (1821-1867). La prima edizione fu pubblicata a giugno 1857, presso l'Editore Auguste Poulet-Malassis, in una tiratura di 1300 esemplari. Il testo comprendeva cento poesie divise in sei sezioni: Spleen et ideal, Tableau parisien, Fleurs du mal, Révolte, Le vin e La mort.
Il titolo dell'opera, "I fiori del male", è fortemente emblematico: da quest'ultimo, infatti, è possibile comprendere l'orientamento dello stile poetico dell'autore, nonché la tendenza che lo spinse a comporre l'intera opera, ovvero il fare poesia su argomenti cupi, scabrosi, talvolta immorali. Non a caso, la traduzione letterale del titolo ("Les Fleurs du mal") dalla lingua francese a quella italiana è "I fiori dal male", vista la volontà dell'autore di avvalersi della poesia per "estrarre la bellezza dal male" ("extraire la beauté du Mal"). Il titolo fu giudicato dai suoi contemporanei e dalla critica un titolo provocatorio e dirompente, tuttavia perfettamente in linea con l'animo misterioso dell'autore.
Già il 7 luglio, la direzione della Sicurezza pubblica denunciò l'opera per oltraggio alla morale pubblica e offesa alla morale religiosa. Baudelaire e gli editori vennero condannati a pagare una multa e alla soppressione di sei liriche incriminate come immorali. La forma poetica e i temi trattati fecero scandalo: risaliva al 1845 l'annuncio della pubblicazione di 26 poesie in un volume intitolato Les lesbiennes (Le lesbiche), scelta poi abbandonata.
Nel 1861 uscì in 1500 esemplari la seconda edizione dei Fleurs du mal, dove Baudelaire rimosse le sei liriche accusate, aggiungendone 35 nuove, con una diversa divisione in 6 sezioni: Spleen et ideal, Tableaux Parisiens, Le vin, Les Fleurs du mal, Révolte, e La mort.
I fiori del male viene considerata una delle opere poetiche più influenti, celebri e innovative non solo dell'Ottocento francese ma di tutti i tempi. Il lirismo aulico, le atmosfere surreali di un modernismo ancora reduce della poetica romantica, lo sfondo vagamente sinistro, tradusse Baudelaire nello stereotipo del "poeta maledetto": chiuso in se stesso, a venerare i piaceri della carne e tradurre la propria visione del mondo in una comprensione d'infinita sofferenza e bassezza. L'intenso misticismo del linguaggio e un rigore formale freddo si trovano ad affrontare temi metafisici, teologici ed esotici. Il poeta e critico letterario scapigliato italiano Emilio Praga definì I fiori del male «un'imprecazione, cesellata nel diamante». L'opera può a ragione considerarsi alla base della poesia moderna grazie allo straordinario contributo che Baudelaire fornisce unendo il suo gusto parnassiano per la forma con i contenuti figli di un tardo romanticismo, ma spinti all'estremo dal gusto del poeta. Temi quali la morte, l'amore e lo slancio religioso vengono estremizzati col gusto dell'orrore, il senso del peccato e il satanismo. Tra i componimenti più riusciti dell'opera sono da citare "Spleen", "L'albatro", "Corrispondenze" (che anticipa temi tanto cari al decadentismo). Particolare è la poesia "Il nemico" in cui il poeta sembra aprirsi alla speranza.
A detta dello stesso Baudelaire l'opera va intesa come un viaggio immaginario che il poeta compie verso l'inferno che è la vita. Nella prima sezione "Spleen et ideal" Baudelaire esprime lo stato di malessere del poeta (figura fondamentale nella sua produzione). Egli è uno spirito superiore capace d'elevarsi al di sopra degli uomini e di percepire con la sua sensibilità innata le segrete corrispondenze tra gli oggetti, i profumi e gli elementi della natura (Correspondances), ma, proprio a causa delle sue capacità, il poeta è maledetto dalla società (Benedition) e diventa oggetto di scherno per gli uomini comuni. Baudelaire sceglie l'albatros per simboleggiare questa condizione: come il grande uccello marino infatti, il poeta si eleva ai livelli più alti della percezione e della sensibilità ma una volta sulla terra ferma non riesce a muoversi proprio a causa delle sue capacità (paragonate alle ali dell'albatros). L'albatro rappresenta anche l'aspirazione dell'uomo al cielo e quindi l'aspirazione ad arrivare ad un piano intellettuale superiore. La causa della sofferenza del poeta è lo spleen (letteralmente "milza" in inglese, che è associata alla bile, uno dei liquidi vitali per i Greci, che la consideravano il motivo della malinconia, quindi spleen e ideale vuol dire malinconia e ideale), un'angoscia esistenziale profonda e disperata che lo proietta in uno stato di perenne disagio che Baudelaire descrive in ben quattro splendidi componimenti, tutti col titolo di "Spleen".
La seconda sezione Tableaux parisiens rappresenta il tentativo di fuggire l'angoscia proiettandosi al di fuori della sua dimensione personale nell'osservazione della città; tuttavia il tentativo si rivela vano poiché, nel guardare la grande città, lo spirito inquieto non trova che gente sofferente proprio come lui. Le poesie di questa sezione (notevole I sette vecchi) rappresentano il primo esempio di poesia che descriva l'angoscia della città moderna. Ad essi s'ispireranno grandi autori successivi come T. S. Eliot che nella sua "Terra desolata" si rifà dichiaratamente al poeta parigino. Anche le sezioni successive Le vin e Fleurs du mal sono tentativi di fuggire lo Spleen, che il poeta compie rifugiandosi nell'alcool e nell'alterazione delle percezioni.
I fiori del male sono i paradisi artificiali (tanto cari all'autore, che vi dedicherà un'intera opera) e gli amori proibiti e peccaminosi che danno l'illusoria speranza di un conforto. Quando anche questi effimeri piaceri vengono a svanire, al poeta non rimane che La revolte, il rinnegamento di Dio e l'invocazione di Satana che tuttavia non si rivela utile alla sua fuga.
L'ultimo appiglio per lo spirito disperato del poeta è la morte, intesa non come passaggio ad una nuova vita ma come distruzione e disfacimento a cui tuttavia il poeta s'affida, nel disperato tentativo di trovare nell'ignoto qualcosa di nuovo, di diverso dall'onnipresente angoscia. Per quanto riguarda l'ultima sezione La mort è da notare il componimento Le voyage, poesia che chiude I fiori del male.
Uno dei temi ricorrenti di tutta l'opera è la città, ossia Parigi. Prima di lui nella letteratura moderna nessuno l'aveva trattata nella poesia se non alcuni romantici inglesi, come William Blake. L'importanza dell'opera per tutte queste novità è inimmaginabile, tanto da essere ancora utilizzato come emblema poetico per antonomasia.”
(In wikipedia.org)
- Immagini: L'or et la boue: Charles Baudelaire (document RTBF)
Un fatto al giorno
1° giugno 1973: Telebiella chiude i battenti sotto il governo Andreotti
“Telebiella è un'emittente televisiva, originariamente via cavo, creata nel 1972 da Giuseppe Sacchi detto Peppo, ex regista della RAI, in un ex convitto situato nel centro di Biella. L'emittente è stata riconosciuta come la prima televisione privata italiana a infrangere con un battaglia legale e mediatica il monopolio pubblico della RAI, anche se la prima emittente privata fu Telediffusione Italiana Telenapoli.
Giuseppe Sacchi sfrutta una lacuna del codice postale che, risalendo al 1936, non contempla l'inesistenza della televisione via cavo. Telebiella viene registrata in tribunale il 20 aprile 1971 come "Giornale periodico a mezzo video".
Il 6 aprile 1972 viene trasmesso un messaggio di presentazione di Ivana Ramella, moglie di Giuseppe Sacchi. Telebiella era un'emittente fatta in casa: Sacchi, con un videoregistratore portatile, trasmetteva il proprio telegiornale quotidiano.
Nonostante la focalizzazione sull'informazione, con telegiornali e talk show, Telebiella ospita anche la prima trasmissione "leggera" di spettacolo non della Rai, l'ormai storico Campanile in vasca.
Sorgono anche altre emittenti via cavo in varie regioni d'Italia, a volte con l'aiuto di Telebiella stessa, o dichiaratamente ispirate a questa. Ḕ ad esempio il caso di VideoBologna, nata durante il periodo del taglio del cavo di Telebiella con l'appoggio di un personaggio molto popolare come Enzo Tortora, direttore di un quotidiano bolognese. La battuta è che VideoBologna noleggia "il furgone di Telebiella, Peppo Sacchi incluso".
Molti sono gli appassionati di emittenza tv che, letta sui giornali la vicenda, si recano personalmente a Biella. Tra questi c'è anche Renzo Villa, fondatore di Telealtomilanese e Antennatre.
Grande sostenitore di Telebiella fu Enzo Tortora, allora in rotta di collisione con la TV di Stato. Anche il cantautore Bruno Lauzi, che già aveva acquistato larga fama, partecipò attivamente alla programmazione di Telebiella.
Ezio Greggio, nativo di Cossato, debuttò diciottenne proprio su quest'emittente, divenendo in seguito un noto personaggio televisivo.”
(In wikipedia.org )
“Il 29 aprile 1971 in Piemonte nasce "Telebiella" via cavo, voluta da "Peppo" Sacchi (ex regista della Rai e giornalista amico di Dario Fo e Franca Rame) che la gestisce insieme alla moglie Ivana. In uno stanzone pieno di fili, di macchine complicate, di luci e di quinte, fra giornalisti esperti e ragazzini appassionati promossi a cronisti, crescono giorno dopo giorno programmi di una vivacità e di una ricchezza informativa assolutamente sconosciute all’universo dei telespettatori italiani. Sacchi ha ottenuto da poco dal tribunale la registrazione del proprio notiziario come «giornale periodico a mezzo video», ma attende ad andare in onda: le trasmissioni ufficiali cominciano infatti solo il 15 dicembre 1972, allo scadere della convenzione tra lo Stato italiano e la Rai per la concessione in esclusiva dei servizi radiotelevisivi.
Tra i suoi volti, la tv di Biella può contare su Daniele Piombi, il giovane Ezio Greggio, Fatma Ruffini, Enzo Tortora e Vanna Brosio, giusto per citare i nomi più noti. I pochi utenti sono collegati via cavo (3.000 metri di cavi trasportano i programmi agli apparecchi installati nelle strade, in piazza, sotto la galleria, in bar, ristoranti e abitazioni di privati) e la programmazione consiste esclusivamente in brevi notiziari. La Rai inizialmente sembra non dare importanza al fenomeno, ma ben presto sull’esempio di TeleBiella anche nel resto d’Italia partono iniziative analoghe, tutte ufficialmente basate sulla trasmissione “via cavo”.
Da questo momento il tema della tv privata comincia ad assumere i toni di un vero e proprio scontro. Nel marzo del 1973 viene emanato il nuovo codice postale, il quale, riconducendo tutti i mezzi di comunicazione a distanza ad una categoria unica, sostanzialmente estende il monopolio pubblico a tutte le forme di trasmissione. Così anche la tv via cavo privata diventa illegale.
Dal 29 aprile 1971 fino al 1° giugno del 1973, Telebiella è un laboratorio creativo incredibile. Almeno finché un oscuro funzionario del ministero delle Poste taglia e sigilla il cavo centrale che instrada sulla piccola rete di distribuzione il segnale dell’emittente, divenuta fuorilegge con un decreto del ministro Giovanni Gioia. Ma la chiusura per decreto non piega Sacchi, che accoglie l’ispettore - immortalato con emblematici occhiali scuri - che avrebbe bloccato la messa in onda negli studi, con il pubblico presente e le telecamere in funzione, attribuendo all’intervento del governo la valenza ideologica di un attentato alla libertà di informazione (cfr. il filmato storico della chiusura di Telebiella su YouTube). Sacchi, come detto, non si dà per vinto e coinvolge nella difesa della sua stazione avvocati e testimonial illustri, come uno dei suoi più validi collaboratori: il volto notissimo della Tv nazionale Enzo Tortora.
Con tenacia, stimola attraverso il pretore di Biella l’intervento della Corte costituzionale che, un anno dopo, nel luglio del 1974, si pronuncia a favore della piccola tv libera (e delle tante altre nel frattempo nate sulla sua scia), sentenziando l’illegittimità del monopolio RAI nella radiodiffusione via cavo. Ma la lotta non è affatto finita: Telebiella, il 6 maggio 1975, subisce un secondo sequestro, in occasione del suo sbarco via etere. Sacchi riprende la via giudiziaria ed anche in questo caso l’ha vinta: le tv locali, con la sentenza 202/1976, possono trasmettere anche via etere. Telebiella riprende le trasmissioni ed affronta i difficili anni a venire con l’esplosione di una concorrenza a cui forse non era preparata. Così dopo un periodo di assoluta indipendenza, negli anni ’80 sceglie la strada dell’affiliazione alle reti regionali o interregionali, come Videogruppo e Primantenna. E’ il preludio della cessione del marchio, avvenuta nel 1986 al GAT del mobiliere Giorgio Aiazzone. Il marchio si stempera in altri loghi e negli anni a seguire si succedono diversi passaggi societari. Nel 1992 una rediviva Tele Biella inoltra al Ministero delle Telecomunicazioni la richiesta di concessione che viene accolta, ma, l’emittente fallisce per oltre un miliardo di debiti. L’11 dicembre 1992 viene nominato un curatore giudiziale l’8 dicembre 1992 la stazione chiude. Nel marzo del 1993 la testata viene messa all’asta ed acquistata dalla novarese Pirenei srl, che la ribattezza Rete Biella. Sacchi, però, non si arrende ed apre un’agenzia giornalistica e una scuola per tecnici televisivi a Gaglianico, piccolo comune poco distante da Biella, e alla fine degli anni ’90 dà vita ad una nuova Tele Biella che opera a livello provinciale con la forma giuridica di un’associazione onlus, sbarcando sul web dove tuttora è possibile seguirla. Dopo quarant’anni dagli esordi. (R.R. per NL)”
(In www.newslinet.com)
“Era il 30 aprile del 1971, quando Peppo Sacchi si presentò negli uffici del tribunale di Biella, con un incartamento pieno di documenti e carte bollate, per depositare la testata “Telebiella A21 periodico audiovisivo indipendente”. Sono passati 40 anni da quell’atto burocratico in apparenza insignificante, consumato nelle polverose stanze di un ufficio giudiziario nella periferia di una cittadina del profondo Nord. Pochi se lo ricordano, ma si trattò invece del primo passo di una svolta epocale nel nostro Paese (ma non solo) sia per quanto guarda la storia della televisione, che per l’evoluzione del costume e della cultura.
All’inizio fu “Tele Cortile”. Peppo Sacchi, affermato regista Rai con esperienze anche alla Tv Svizzera, voleva colmare una lacuna del servizio pubblico radiotelevisivo, rigorosamente “romanocentrico”, solo con qualche piccola eccezione costituita dalle produzioni a Milano e Torino. L’idea era quella di replicare le abitudini della gente di un villaggio, che nelle sere d’estate, dopo cena, si porta una sedia davanti all’uscio di casa per raccontare la propria giornata agli altri: il lavoro, una visita in città per il mercato, i figli, le preoccupazioni, quattro chiacchiere sui massimi sistemi al bar o sul treno dei pendolari. Un’idea che Sacchi aveva coltivato quando era ancora un bambino e andava a far visita ai nonni in un paese della provincia di Pavia.
Da questo spunto nacque Telebiella, la prima televisione privata italiana, quella che rompeva 50 anni di rigoroso monopolio pubblico, in precedenza minacciato, senza conseguenze, da alcuni velleitari tentativi di liberalizzazione del mercato, falliti quasi sempre prima di iniziare. Sacchi, per la verità, insieme con altri appassionati pionieri, aveva iniziato a fare televisione locale già dalla metà degli anni Sessanta, nella cantina del negozio di sua moglie, Ivana Ramella, che fu anche la prima annunciatrice della neonata tv privata. L’idea fu perfezionata fino alla registrazione della testata nel 1971 e, l’anno successivo, all’inizio di trasmissioni regolarmente diffuse in diretta attraverso un cavo coassiale che serviva alcuni televisori piazzati lungo le strade e le piazze del centro storico della città, nella bottega di un barbiere e che, successivamente, fu esteso allacciando anche alcuni condomini.
Si voleva sfruttare una carenza del Codice Postale, che parlava di esercizio esclusivo del monopolio pubblico della televisione via etere, senza riferimenti alle trasmissioni via cavo. Per maggior sicurezza, Sacchi armò anche la mano di un amico, il suo carrozziere, facendogli presentare una denuncia in pretura contro Telebiella, offrendo così la possibilità al pretore di Biella Giuliano Grizi di emettere una sentenza che avvalorava questo escamotage giuridico, spianando la strada. L’emittente in pochi mesi diventò un punto di riferimento per la comunità locale, con trasmissioni spesso create per strada, in mezzo alla gente. Intanto nascevano, sul suo esempio, decine di altre tv via cavo in tutta Italia, tant’è che, il 25 marzo del 1973, in un edificio del Convitto biellese, il complesso che ospitava anche la palazzina di Telebiella, si celebrò il primo convegno nazionale delle tv via cavo, che diede il via al progetto di una possibile “syndication” televisiva nata dal basso.
Telebiella era diventata ormai un fenomeno nazionale: dell’emittente di Sacchi si occupavano giornali e tv italiani e stranieri; “Sorrisi e Canzoni Tv” pubblicava i suoi programmi accanto a quelli della Rai; in occasione del Festival di Sanremo, le canzoni scartate dalla censura della tv di Stato venivano cantate nelle trasmissioni dell’emittente, dove accorrevano artisti di fama, affascinati da questa grande avventura di libertà: da Enzo Tortora a Bruno Lauzi, da Febo Conti a Cino Tortorella, fino a una giovanissima Fatma Ruffini, oggi potentissima dirigente di Mediaset. Tele Cortile non c’era più, al suo posto era nata la televisione libera, privata, lontana dal controllo della politica. L’americana Nbc che realizzò un documentario sui “novelli pirati dell’etere”.
Fu a questo punto che il caso divenne anche politico e di Telebiella si occuparono i personaggi più importanti delle istituzioni. Il ministro delle Poste e telecomunicazioni del governo di Giulio Andreotti, Giovanni Gioia, ritenne che la piccola emittente, che nel frattempo aveva fatto proseliti in Italia e in Europa, avrebbe potuto essere un rischio grosso e il 29 marzo del 1973 varò un nuovo Codice Postale in cui l’esclusività del monopolio pubblico veniva estesa anche alle trasmissioni via cavo. Il 14 maggio Gioia intimò a Sacchi di sospendere le trasmissioni entro 10 giorni, altrimenti avrebbe fatto intervenire i funzionari dell’Escopost per sigillare gli impianti. Un atto di forza che il Governo pagò in Parlamento perdendo la fiducia di quasi tutti i gruppi politici, fatto che costrinse Andreotti alle dimissioni.
Ma intanto la macchina si era messa in moto. Sacchi, insieme con Enzo Tortora organizzò la sera del 24 maggio una diretta, “La notte dei lunghi pollici”, per trasmettere l’intervento dell’Escopost, che però non si fece vedere. Il funzionario Ulpiano Degano, accompagnato da alcuni avvocati dello Stato, si presentò negli studi di via Pajetta a Biella solo nella mattina di martedì primo giugno. Tortora non c’era e Sacchi si arrangiò con alcuni giornalisti locali e suoi collaboratori, mandando tutto in diretta fino al taglio del cavo. Un documento che ancora oggi è disponibile e che rappresenta un momento di tv verità altamente drammatico.
Sacchi, attraverso l’avvocato Alberto Dall’Ora, campione delle battaglie civili, presentò ricorso in pretura contro la chiusura. E ancora una volta il pretore Grizi fu decisivo, proponendo eccezione di costituzionalità davanti alla Suprema Corte, che l’anno successivo, il 10 luglio 1974 liberalizzò le trasmissioni locali via cavo e, nel 1975, anche quelle via etere. Il monopolio era finito. Iniziava una nuova storia di cui però Telebiella non fu più protagonista, risucchiata nel Far West che seguì in quegli anni. Fino alla prima regolamentazione del sistema radiotelevisivo, arrivata con la legge 223, meglio conosciuta come legge Mammì, nel 1990, quasi vent’anni dopo la nascita di Telebiella.
(...)
Si tratta di opere molto diverse tra loro. La prima “Telebiella e niente fu come prima”, edita dal Centro Documentazione Giornalistica di Roma (pagine 180, euro 16,00), scritta dal giornalista Silvano Esposito, direttore de “il Biellese” e docente al Master di giornalismo dell’Università di Torino, è un saggio di sociologia della comunicazione, attraverso il quale viene ricostruita la vicenda che diede l’avvio alla liberalizzazione del mercato radiotelevisivo in Italia e praticamente anche in Europa. La seconda “Il crepuscolo della tv”, Edizioni “Ilmiolibro.it” (pagine 186, euro 19,00), è invece stata realizzata in prima persona da Peppo Sacchi, l’ex regista della Rai, che insieme a Enzo Tortora e ad altri nomi noti dello star system televisivo dell’epoca, condusse in prima persona quella battaglia come direttore-editore di Telebiella.
Il libro di Esposito propone una minuziosa analisi, scritta però con lo stile giornalistico di un’inchiesta, della storia della prima tv privata in Italia. L’avvenimento è affrontato dal punto di vista storico, giuridico, economico e soprattutto sociologico, soffermandosi sulle rilevanti implicazioni che la televisione, nelle sue diverse evoluzioni tecnologiche, normative e di contenuto, ha avuto sulla società italiana. C’è anche un’appendice, con un’intervista allo stesso Sacchi e una a Ettore Bernabei, in cui l’ex direttore plenipotenziario della Rai fa alcune considerazioni abbastanza originali sui motivi per cui nacque proprio con Telebiella la tv privata italiana. Interessante anche la prefazione del libro, scritta dal critico televisivo de “La Stampa” Alessandra Comazzi.
Del tutto diverso, invece, il lavoro di Sacchi, che pubblica un romanzo-documento scritto sul filo della memoria ricostruendo episodi della storia di Telebiella, ma anche fatti precedenti che l’hanno resa possibile, che risalgono ai tempi in cui faceva il cinema o lavorava alla Rai o alla Televisione Svizzera. Il cuore del libro sta in due passi particolari. La descrizione della mission di “Telecortile”, come lui chiamava la sua emittente, che viene fatta risalire ai ricordi d’infanzia nella campagna pavese, in cui la gente, d’estate, si metteva fuori dall’uscio di casa con una sedia e si scambiava racconti e notizie della propri giornata (la chiamavano appunto “radio cortile”). L’altro momento fondamentale della narrazione è invece la cronaca, minuto per minuto, delle tre ore che trascorsero la mattina del 3 giugno 1973, nel tragitto da casa agli studi di Telebiella, quando arrivarono i funzionari dell’Escopost per sigillare gli impianti della tv libera, che poi, l’anno successivo, ottenne il via libera da una sentenza della Corte Costituzionale.”
Immagini:
- tg 1 giugno 1973. Chiusura di Telebiella. Prima tv libera.
- Il filmato storico della chiusura di Telebiella
Una frase al giorno
“L'impulso di uccidere, come l'impulso di generare,
È cieco e sinistro. La sua brama è pronta
Oggi sulla carne di una lepre: domani può
Ululare allo stesso modo per la carne di un uomo. “
(Andrei Voznesensky, Mosca, 12 maggio 1933 - Mosca, 1º giugno 2010, poeta russo).
Andrej Andreevič Voznesenskij, laureato in architettura, scoprì alla fine degli anni Cinquanta del ventesimo secolo la sua passione per la poesia. Fin dal 1958 si fece interprete, attraverso i suoi versi, del disagio e delle passioni delle giovani generazioni, sia nella ricerca di ideali da vivere, sia nella forma linguistica più appropriata e più moderna nell'esporli. Dal 1958 cominciò, insieme ad Evgenij Evtušenko, a pubblicare poesie che ebbero riconoscimenti anche da Pasternak. Nel 1978 fu insignito del Premio Lenin. Fu più volte in Italia, in particolare nel fiorentino cui dedicò anche una poesia. Morì nel 2010 per un ictus: da tempo era in condizioni di salute assai precarie a causa del morbo di Parkinson.”
(In wikipedia.org)
“VOZNESENSKIJ, Andrej Andreevič. - Poeta russo sovietico, nato a Mosca il 12 maggio 1933. Cresciuto nella zona più colta della capitale sovietica (suo padre era uno scienziato), si diplomò nel 1957 all'istituto di architettura, di cui canterà metaforicamente l'incendio (Požar v architekturnom institute, 1962, "Incendio all'istituto d'architettura"). Nel 1959 s'impose al suo debutto col poema Masterà ("I maestri"), sugli artefici della cattedrale di S. Basilio, sulla Piazza Rossa. Le sue prime raccolte, Mozaika (1960, "Mosaico") e Parabola (1960, "Parabola", trad. it. nel volume Scrivo come amo, Milano 1962), lo fecero conoscere come il poeta più interessante della nouvelle vague lirica. La raccolta 40 liričeskich otstuplenij iz poemy 'Treugol'naja guša' ("40 digressioni liriche del poema 'La pera triangolare'", 1962) suscitò aspre critiche, accuse di eccessivo "modernismo". La stagione iniziale di V. è segnata dalla raccolta Antimiry (1962; trad. it. Antimondi, Roma 1962) in cui si palesa appieno la sua ripresa dei moduli d'avanguardia di poeti come Pasternak e Chlebnikov. Da allora, la sua produzione è stata regolare ma non copiosissima: da una parte, coltivando la forma del poema, che gli è particolarmente congeniale, dall'altra seguendo esperimenti di poesia "visiva". Giocoliere della parola (in ispecie con i suoi izopy, opyty izobrazitel'noj poezii, tentativi di poesia figurativa), con un senso spiccato per la versificazione dinamica, l'imagerie complessa e paradossale, il gioco instancabile delle associazioni verbali, V. ha confermato il suo primato nella poesia sovietica contemporanea con le raccolte Achillesovo serdce (1966, "Il cuore d'Achille"), Ten' zvuka (1970, "L'ombra del suono"), Vzgljad (1972, "Lo sguardo"), Vitražuych del master (1976, "Mastro di vetrate") e Soblazn (1979, "Seduzione").”
(Cesare G. De Michelis - Enciclopedia Italiana - IV Appendice,1981)
Un brano musicale al giorno
Mikhail Glinka, Trio pathétique in Re minore - Oistrakh / Knushevitsky / Oborin
Trio pathétique
I. Allegro moderato 0:00
II. Scherzo. Vivacissimo - Trio. Meno mosso 5:06
III. Largo 8:01
IV. Allegro con spirito - Alla breve, ma moderato 13:23
David Oistrakh
Sviatoslav Knushevitsky
Lev Oborin
Registrato in USSR, 19 luglio 1957.
“GLINKA, Michail Ivanovič, compositore, nato a Novospaskoe (presso Smolensk) l’1 giugno 1804, morto a Berlino il 15 febbraio 1857. Studiò con I. Field e C. Mayer (pianoforte), J. Böhm (violino) e con l'italiano Zamboni (armonia), senza seguire però un corso regolare di studi (e le sue varie composizioni scritte dopo il 1825, e riunite in un album nel 1829, testimoniano del disordine delle sue cognizioni musicali in quegli anni).
Nel 1830, per motivi di salute, fu inviato in Italia, ove la sua vocazione musicale trovò l'ambiente più favorevole. Egli si rese conto dell'insufficienza delle sue cognizioni tecniche e si pose con grande applicazione ad ascoltare e a studiare. Lasciata l'Italia, trovò a Berlino in S. W. Dehn un prezioso maestro, che intuì il suo genio e lo armò di saldi principi teorici. Tornato in patria nel 1834, dopo pochi mesi cominciava la composizione della sua prima opera: La vita per lo Zar, che ebbe esito trionfale. L'idealismo appassionato del libretto (che svolge la sua azione nel periodo della guerra russo-polacca del 1635) e della musica, fece vibrare di patriottismo tutti gli spettatori. Il respiro musicale dello spartito era saturo di canti popolari, non tanto trascritti quanto riespressi in uno stile nazionale.
Il G. compose poi pezzi vocali e sinfonici, nei quali ultimi appare evidente l'influsso di Beethoven. Nell'arte di orchestrare il G. riuscì a raggiungere vivacissimi coloriti con una tecnica chiara e semplice. La sua seconda opera, suggerita dal poema epico di Puskin Ruslan e Ludmilla, ridotto a libretto, non senza deficienze, dal Bachtaurin, fu rappresentata il 9 dicembre 1842, con esito piuttosto freddo, forse soprattutto per colpa del libretto. Oggi appare evidente la superiorità musicale di quest'opera su quella che la precedette. Essa ha avuto una grande influenza sulla musica russa, orientandola verso valori coloristici e ritmici.
Tra le composizioni più significative del G., oltre alle opere, sono le ouvertures Kamarinskaja e Jota Aragonese; un quartetto (1830), un trio (1827), un sestetto (1824); circa 40 pezzi per pianoforte; cori con orchestra; circa 85 tra romanze, duetti, canzoni e cantate; musica religiosa; musica per la tragedia Il principe Cholmsky. Pubblicò poi uno studio sulla musica religiosa russa, alcune Note sull'istrumentazione e le proprie memorie.”
(Renzo BIANCHI - Enciclopedia Italiana, 1933)
Ugo Brusaporco
Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.
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Ugo Brusaporco
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