L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...
Un film al giorno
STRAIGHT SHOOTING (Centro!, USA, 1917), regia di Jack Ford (John Ford). Sceneggiatura: George Hively, Fotografia: George Scott. Con: Harry Carey, Molly Malone, Duke Lee, Vester Pegg, Hoot Gibson, George Berrell, Ted Brooks, Brown, Milt.
Cheyenne Harry, pistolero e fuorilegge, viene ingaggiato da Flint, il capo di un gruppo di allevatori, per guidare Sweet Water Sims dalla sua fattoria. Quando Harry va a casa di Sims, trova Sims e Joan, sua figlia, che piangono Ted, il figlio di Sims, che è stato colpito alle spalle da Fremont. Harry, oltraggiato da questo atto e toccato dal dolore di Sims e Joan, uccide Fremont in uno scontro a fuoco. Gli agricoltori sono attaccati dagli allevatori. Harry porta il suo vecchio amico Black-Eye Pete e i suoi fuorilegge per salvarli. Dopo la battaglia, Sims chiede a Cheyenne Harry di restare, ma lui non vuole farlo a causa del suo passato criminale. Alla fine, Harry è convinto a rimanere da Joan.
Straight Shooting fu ritrovato nel 1996. Caratterizzato da una maestria sorprendente in un regista ventitreenne, rivela una sottile padronanza della narrazione per immagini. Lo stile di Ford è già riconoscibile; nel film di debutto sono presenti alcuni dei temi visivi che verranno esplorati nei capolavori della maturità, come Stagecoach (Ombre rosse, 1939) e The Searchers (Sentieri selvaggi, 1956). L'intreccio di Straight Shooting, basato su una guerra tra allevatori e fattori, suona fin troppo familiare essendo stato sfruttato da molti western girati prima e dopo, e l'interpretazione è talvolta guastata dal ricorso eccessivo a cliché melodrammatici; ma Ford si accosta al tema con una forza e una raffinatezza che a novant'anni di distanza rendono il film ancora appassionante ed emotivamente coinvolgente.
Fin dalla prima inquadratura sappiamo di trovarci nelle mani di un regista nato, dotato di un senso della composizione fresco e vivido. Straight Shooting già esemplifica l'eloquente descrizione fatta da Andrew Sarris, secondo il quale lo stile visivo di Ford "evolve quasi miracolosamente verso una doppia visione un cui un evento è colto in tutta la sua vitale immediatezza e simultaneamente nella sua immagine ricordo all'orizzonte della Storia". In parte frutto dell'abitudine quasi religiosa di Ford di considerare la vita quotidiana dal punto di vista dell'eternità, questo dualismo della sua visione del mondo spiega la profondità data al personaggio di Cheyenne Harry (Harry Carey) in Straight Shooting, un sicario che rinuncia a uccidere quando si trova davanti una famiglia di frontiera in difficoltà.
Dal punto di vista tematico, il film inaugura uno degli interessi dominanti dell'opera di Ford, il conflitto tra nomadismo e stabilità, o quello che, in un contesto più ampio, The Man Who Shot Liberty Valance (L'uomo che uccise Liberty Valance, 1962) definirà come conflitto tra "natura selvaggia" e "giardino della civiltà". Ma il doppio finale di Straight Shooting [dovuto al rimontaggio dopo la prima uscita] sembra particolarmente adatto a esprimere l'io scisso del giovane regista.
- Il film: John Ford - Straight Shooting (1917)
Una poesia al giorno
Della mia dolce Armenia, di Yeghishe Charents (Kars, 13 marzo 1897 - Yerevan, 27 novembre 1937)
Della mia dolce Armenia
amo la lingua che ha il sapore del sole,
la tragica voce e i lamenti dei bardi,
amo i fiori color del sangue,
l’intenso profumo delle rose
e le danze gentili delle figlie del Nairi.
Amo il cielo blu profondo,
le acque limpide e il lago luminoso,
il caldo sole d’estate e i gelidi venti d’inverno
che soffiano con voce di drago,
i muri tristi e neri delle capanne sperdute nel buio
e le pietre millenarie delle antiche città.
Ovunque vada non dimenticherò
le nostre canzoni che hanno voce di dolore
e i libri di pergamena pieni di preghiere e di pianti.
Malgrado le piaghe
che feriscono il mio cuore addolorato
la mia Armenia diletta, insanguinata, io canto.
Per il mio cuore ebbro d’amore
non c’è leggenda più fulgida,
non vi sono fonti più pure
di quelle dei nostri antichi cantori.
Va per il mondo: non c’è vetta bianca
come quella dell’Ararat.
Come strada di gloria irraggiungibile, io l’amo.
Yeghishe Charents (Kars, 13 marzo 1897 - Yerevan, 27 novembre 1937) è stato un poeta, scrittore, patriota ed attivista politico armeno. Figura di primo piano del XX secolo anche al di là dell'ambito nazionale armeno, la sua opera multiforme fu dedicata alle sue esperienze di combattente volontario durante gli anni del Genocidio Armeno, alla rivoluzione socialista, alla storia ed ai miti della tradizione armena. Comunista della primissima ora, Charents aderì al partito bolscevico, ma con l'instaurarsi del terrore staliniano negli anni trenta si allontanò progressivamente dalle posizioni staliniste. Fu infine incarcerato ed assassinato durante la Grandi Purghe volute da Stalin, all'età di soli 40 anni.
Un fatto al giorno
13 marzo 1940: La guerra d’inverno russo-finlandese finisce.
“La guerra d'inverno, nota anche come guerra russo-finlandese, è un conflitto che fu combattuto tra il 30 novembre 1939 e il 12 marzo 1940 dalla Finlandia e dall'Unione Sovietica (URSS). L'attacco alla Finlandia da parte dell'Unione Sovietica ebbe come conseguenza l'espulsione di quest'ultima dalla Società delle Nazioni.
Le cause del conflitto furono, da un lato, l'aspirazione dell'Unione Sovietica ad acquisire alcuni territori finlandesi di importanza strategica dal punto di vista militare scambiandoli con propri territori di maggiore superficie e, dall'altro, la volontà della Finlandia di non cedere alle richieste sovietiche, sia per motivi patriottici legati a sentimenti politici anti-russi che per il timore dei pericoli insiti in una dimostrazione di debolezza verso il potente vicino, quale sarebbe potuta apparire la cessione di territori nazionali.
La guerra ebbe termine nel marzo 1940 con la firma di un accordo di pace, il trattato di Mosca, per il quale la Finlandia cedette all'Unione Sovietica circa il 10% del proprio territorio, tra cui gran parte della Carelia, alcune isole nel golfo di Finlandia nonché, all'estremo nord, la propria porzione della penisola di Rybačij.”
(Wikipedia)
Nell’autunno del 1939 la Finlandia era un paese con appena vent’anni di storia alle spalle. Era stato parte della Svezia fino alle guerre napoleoniche, poi aveva fatto parte dell’impero degli zar e dal 1918 era riuscito ad ottenere l’indipendenza. Nei primi mesi di guerra, mentre la Germania nazista e l’Unione Sovietica si spartivano la Polonia, era rimasta neutrale, come tutto il resto della Scandinavia. In molti erano consci che si trattava di una neutralità che non poteva durare.
Con la firma del patto Molotov-Ribbentrop nel 1939, la Germania e l’Unione Sovietica erano diventate formalmente alleate. I confini occidentali della Russia erano sicuri e divenne evidente che Stalin aveva deciso di espandere i suoi territori a nord. Leningrado, l’odierna San Pietroburgo, era solo a una cinquantina di chilometri dal confine finlandese, oltre il quale si trovavano anche interessanti miniere di nickel.
Quando Stalin convocò una delegazione finlandese e gli espose le sue richieste, i finlandesi lasciarono l’intero mondo senza parole perché risposero di no. All’epoca era semplicemente incredibile pensare che un piccolo stato di appena 3 milioni e mezzo di abitanti potesse opporsi all’Armata Rossa e all’Unione Sovietica che si estendeva dal Pacifico al Mar Baltico. I finlandesi invece ci scherzavano. Una popolare (e un po’ macabra) battuta che girava all’epoca diceva più o meno: «I russi sono così tanti e il nostro paese è così piccolo. Dove troveremo lo spazio per seppellirli tutti?».
L’Armata Rossa mobilitò 120 mila soldati, 600 carri armati e migliaia di cannoni per schiacciare la Finlandia in quella che doveva essere una campagna rapida e semplice. I finlandesi erano armati in maniera antiquata mentre il loro esercito era costituito in larga parte da cittadini comuni, richiamati alle armi in tutta fretta. In un settore del fronte i finlandesi impiegarono due cannoni francesi del 1871, mentre in un altro usarono un treno corazzato che risaliva al 1918.
Ma i generali sovietici e lo stesso Stalin avevano trascurato diversi elementi. Il primo era che la Finlandia era priva di accessi facili, con poche strade e punteggiata di laghi. Le enormi e disorganizzate forze russe finirono per imbottigliarsi negli stretti passaggi. Il secondo fu che l’esercito era stato appena dissanguato dalle tremende purghe a cui Stalin aveva sottoposto i suoi ufficiali. Migliaia tra generali, ufficiali superiori e inferiori, erano stati accusati di colpe fantasiose, processati e giustiziati, lasciando l’Armata Rossa senza una guida professionale. Il terzo fattore è che lanciando l’attacco a novembre l’inverno finlandese era ormai arrivato.
Immagini: BBC Documentary - The Winter War of Finland and Russia
Una frase al giorno
“Mi chiesero cosa ne pensassi dell'illustre Mozart e dei suoi peccati. Risposi che avrei rinunciato volentieri a tutte le mie virtù per i peccati di Mozart”.
(Felix Mendelssohn, Amburgo, 3 febbraio 1809 - Lipsia, 4 novembre 1847)
Jakob Ludwig Felix Mendelssohn Bartholdy, compositore, direttore d'orchestra, pianista e organista tedesco del periodo romantico, è tuttora il più sottovalutato tra i grandi musicisti del XIX secolo. Nato da una famiglia ebrea alto borghese, nipote del grande filosofo Moses Mendelssohn, si distinse per un’intelligenza illuminata molto atipica per i suoi tempi. Fu pianista, direttore d’orchestra, compositore, scrittore, poliglotta, disegnatore e pittore, ma anche organizzatore, fondatore e direttore del Conservatorio di Lipsia. Grazie a Mendelssohn, la musica di Bach è stata rivalutata (fu lui a riscoprire la Passione secondo Matteo) e da allora è stata riconsiderata come il fondamento della musica colta occidentale.
A causa delle persecuzioni antisemite di cui fu vittima, culminate con la censura della sua musica da parte del regime nazista, l’opera e la figura di Mendelssohn sono state a lungo misconosciute e fraintese. Il grande direttore tedesco Kurt Masur, uno dei più autorevoli interpreti di Mendelssohn, ha dichiarato: “Quando avevo 12 anni, durante il Nazismo, studiavo con un insegnante che mi assegnò le Romanze senza Parole, ma mi disse che era vietato suonarle, per cui mi impose di studiarle con le finestre chiuse. D’altronde durante il Terzo Reich la presenza della polizia segreta era molto forte.”
La statua di Mendelssohn che campeggiava di fronte al Gewandhaus a Lipsia fu distrutta dai nazisti il 9 novembre 1936. E con la statua si cercò di cancellare anche la musica di Mendelssohn, di farla sparire dalla storia: al punto che nel 1938 il regime di Hitler commissionò a Carl Orff di riscrivere le musiche di scena per il Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, volendole sostituire a quelle, già celebri, di Mendelssohn.
Anche a causa di questi fatti storici, Mendelssohn ancora oggi attende una completa rivalutazione: alcune sue composizioni sono tuttora inedite e ineseguite, ed un catalogo delle sue musiche completo e scientificamente curato è stato pubblicato solo nel 2009 da Ralf Wehner (Breitkopf & Härtel). La sua reale importanza nella storia della musica sfugge ancora a molti. Del resto, come nota Kurt Masur, dobbiamo pensare che Mendelssohn era tedesco, per cui attirò i nemici dei tedeschi; era ebreo, ed ebbe i nemici degli ebrei. Ma poi fu battezzato. Per cui era seduto su tre sedie. Nessuno diceva “Questo è il nostro uomo”. Sentiva di essere tedesco, compose molti Lieder su testi di Heine, ma fu rifiutato dal Paese a cui apparteneva e che amava. Mendelssohn non era un ebreo praticante, e, come i suoi fratelli, si convertì al protestantesimo su spinta del padre Abraham, a sua volta convertito. Tuttavia, nella sua musica vi sono molti echi della cultura ebraica, con uso frequente di formule melodiche derivate dalla musica tradizionale ebraica. Spesso in una stessa opera Mendelssohn fa convivere elementi di origine ebraica con altri di matrice cristiana: i due grandi oratori Paulus e Elias sono emblematici in tal senso. Non sappiamo quanto Felix abbia letto degli scritti del nonno Moses Mendelssohn, ma l’attitudine alla tolleranza e l’ottimismo dell’illuminismo rappresentano certamente un forte legame con Moses. L’ottimismo idealistico, ma integrato con un approccio pragmatico nella vita reale, fu, del resto, una delle più belle eredità lasciate dalla famiglia Mendelssohn.
Il rapporto di Mendelssohn con la musica e con il suo significato era di grande modernità, e ciò si evince da una lettera che Mendelssohn scrisse a Marc André Souchay nel 15 ottobre 1842: Ciò che mi comunica la musica da me amata non è affatto troppo vago per essere convertito in parole, ma, al contrario, è troppo definito. Se mi si chiedesse a cosa pensavo mentre componevo un Lied ohne Worte, io risponderei: proprio la musica così come l’ho scritta. E se anche mi fosse capitato di avere in mente alcune parole per uno o l’altro di questi Lieder, non vorrei mai dirle ad alcuno, poiché le stesse parole non hanno lo stesso significato per diverse persone. Solo la musica può avere il medesimo significato per tutti, un significato che, comunque, non può essere espresso con le parole.
Mendelssohn incarna il perfetto connubio tra tradizione e innovazione: ha sperimentato nuove strutture musicali senza mai perdere il suo peculiare equilibrio formale, ha recuperato la grande tradizione della musica sacra di Bach e di Händel rinnovandola alla luce dell’esperienza del Romanticismo tedesco. Se Mendelssohn non fosse esistito, l’evoluzione della musica nella seconda metà dell’Ottocento sarebbe stata certamente molto diversa. Forse ora i tempi sono finalmente maturi per riscoprire la vera grandezza di questo artista”
("Felix Mendelssohn: un grande compositore ancora da riscoprire" di Roberto Prosseda)
Musica: Mendelssohn, Concerto per violino Op. 64, Isaac Stern con l’Orchestra Sinfonica di Gerusalemme
13 marzo 1845: prima esecuzione a Lipsia del Concerto per violino di Felix Mendelssohn, con Ferdinand David come solista.
Un brano musicale al giorno
Michel Blavet: Concerto per flauto in La minore
13 marzo 1700 nasce Michel Blavet, virtuoso di flauto e compositore francese (morto nel 1768). Benché Blavet imparasse a suonare quasi tutti gli strumenti, si specializzò nel fagotto e nel flauto che teneva a sinistra, l'opposto di quello che la maggior parte dei flautisti tiene oggi. Quantz scrisse di Blavet: "La sua disposizione amabile e il modo coinvolgente danno origine a un'amicizia duratura tra noi e io sono molto debitore nei suoi confronti per i suoi numerosi atti di gentilezza".
Ugo Brusaporco
Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.
INFORMAZIONI
Ugo Brusaporco
e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org