“L’amico del popolo”, 18 aprile 2018

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

IKIRU, 生きる (Vivere, Giappone, 1952), diretto e montato da Akira Kurosawa, ispirato dalla novella “La morte di Ivan Ilych” (1886) di Leo Tolstoy. Sceneggiatura: Shinobu Hashimoto, Akira Kurosawa, Hideo Oguni. Cinematografia: Asakazu Nakai. Musica: Fumio Hayasaka. Con: Takashi Shimura (Kanji Watanabe), Shinichi Himori (Kimura), Haruo Tanaka (Sakai), Minoru Chiaki (Noguchi), Miki Odagiri (Toyo Odagiri, employee), Bokuzen Hidari (Ohara), Minosuke Yamada (Subordinate Clerk Saito), Kamatari Fujiwara (Sub-Section Chief Ono), Makoto Kobori (Kiichi Watanabe, Kanji's Brother), Nobuo Kaneko (Mitsuo Watanabe, Kanji's son), Nobuo Nakamura (Deputy Mayor), Atsushi Watanabe (Patient), Isao Kimura (Intern), Masao Shimizu (Doctor), Yunosuke Ito (Novelist).

“L'impiegato comunale Watanabe, capoufficio della sezione civile, vedovo da venticinque anni, scopre di avere un tumore allo stomaco. Tutto gli crolla addosso, e nessuno è in grado di aiutarlo, neppure il figlio Mitsuo, che anzi lo maltratta. Ritira tutti i quattrini dalla banca e decide di godersi i pochi mesi che gli restano. Con un autore di romanzi, conosciuto casualmente, gira per i night di Tokyo. Frequenta una giovane ex-collega di ufficio, che gli consiglia di dare le dimissioni e di rendersi utile con qualche iniziativa seria. Ricorda che in ufficio si era occupato della trasformazione di una zona paludosa in un parco giochi per bambini. Cinque mesi dopo, Watanabe è morto. Il parco giochi esiste. I giornalisti si chiedono se il merito spetti davvero al sindaco, come egli va dicendo, e apprendono, consultando le carte, che era stato Watanabe, con testardaggine a fare la spola da un ufficio all'altro per rimettere in moto un progetto arenato nell'incuria generale. All'inaugurazione nessuno lo ricorda: lui che si era spento seduto su un'altalena del nuovo parco, felice di aver dato un senso alla sua vita, di essere riuscito a compiere il "miracolo". I colleghi, ubriachi, giurano di prendere esempio da lui. Le madri dei bambini pensano al loro benefattore. Il giorno dopo è tutto dimenticato. Un altro impiegato ha preso il suo posto in ufficio; non si parlerà mai più di Watanabe.”

(Wikipedia)

IKIRU, 生きる (Vivere, Giappone, 1952), diretto e montato da Akira Kurosawa

“(...) Con un vertiginoso balzo in avanti (forse il più originale flashforward della storia del cinema) veniamo proiettati «cinque mesi dopo». «L'eroe della storia è morto», annuncia una voce-off mentre sullo schermo appare il ritratto listato a lutto di Watanabe esposto davanti a parenti e colleghi d'ufficio riuniti per la veglia funebre. C'è anche una compunta delegazione di politici capeggiati dal sindaco. Che cosa ha indotto il regista a sovvertire clamorosamente la cronologia e a cominciare, a un terzo dalla fine, un altro film? Invitandoci a ricostruire le ultime settimane di vita di Watanabe attraverso il complesso puzzle delle testimonianze (dubbi, interrogazioni) di familiari e colleghi d'ufficio, Kurosawa non fa dello sperimentalismo: evita i risvolti patetici e moralistici della vicenda (un malato grave che si batte da solo contro il Castello dei burocrati per la costruzione di un giardino d'infanzia e vi muore appena è stato inaugurato), stimola lo spirito critico dello spettatore, decuplica lo «choc» emotivo dei brevissimi (undici) flash sulla via crucis burocratica del «povero cristo che porta il suo cancro» secondo l'espressione di «Mefistofele», e per contrasto rende ancora più graffiante la satira della mentalità burocratica. Il procedimento gli consente di esprimere al tempo stesso la tesi (l'eroismo di Watanabe) e l'antitesi: il gesto del moribondo è talmente eccezionale da risultare inimitabile; scoperta la verità sul loro ex capufficio, durante la veglia funebre, gli impiegati se ne dimenticheranno subito vergognosamente. (...)

Avventura interiore di un uomo comune che lotta contro la morte e il fallimento della propria esistenza, ritratto sarcastico di una categoria sociale (la burocrazia), Vivere ci sorprende per la varietà e la profondità dei temi affrontati, l'audacia della struttura narrativa, la sconvolgente carica emotiva che lo collocano accanto ai film-bilancio più celebrati della storia del cinema (L'ultima risata, Citizen Kane, Umberto D, Il posto delle fragole). Lirismo e satira, grazia e crudeltà (la visita medica, la via crucis burocratica di Watanabe), realismo, onirismo (i flash-back) ed espressionismo (il viaggio notturno nei quartieri di piacere di Tokyo) si fondono in una sintesi prodigiosa. Uno dei miracoli di questo «Citizen Watanabe» è che riesce a trattare della malattia senza deprimerci, comunicandoci una forsennata voglia di vivere.
Nel voler fondere in un solo grande film le istanze di opere disparate come Citizen Kane (l'ultimo terzo di Vivere è l'indagine sulla reale identità di uno scomparso), Umberto D e Il cappotto di Gogol, l'autore ha peccato per troppa ambizione? Anche se c'è forse qualche scompenso, in Vivere tutto viene riscattato dall'emozione, dall'umanità delle situazioni e dei personaggi: con la sua sensibilità, la sua fisicità (le spalle ricurve, gli occhioni da cane bastonato, le grandi labbra «scimmiesche»), Takashi Shimura conferisce al personaggio del capufficio una intensità «chapliniana»; come a Emil Jannings (L'ultima risata), gli perdoniamo volentieri qualche eccesso melodrammatico. Comprendiamo e condividiamo pienamente l'entusiasmo di André Bazin: «Vivere è forse il più bello, il più intelligente (la sua sapienza strutturale mi lascia a bocca aperta) e il più emozionante fra i film giapponesi che ho potuto vedere» scriveva nel 1957. E aggiungeva: «Forse continuo a preferire la pura musica giapponese dell'ispirazione di Mizoguchi, ma debbo arrendermi davanti all'ampiezza delle prospettive intellettuali, morali, estetiche aperte da un film come Vivere, che mette in luce dei valori incomparabilmente più importanti sia nella sceneggiatura che nella forma. Mi domando se, invece di considerare il cosmopolitismo di Kurosawa come un compromesso sia pure di qualità superiore, non dobbiamo al contrario considerarlo come un progresso dialettico che indica l'avvenire del cinema giapponese».

Classificato secondo tra i migliori film giapponesi di tutti i tempi da un areopago di critici orientali, Vivere si è dovuto accontentare in occidente di un modesto Orso d'argento a Berlino. Dopo Rashòmon, Kurosawa non ha più avuto molta fortuna nei festival occidentali; per vincere una Palma d'oro a Cannes dovrà attendere il 1980 (Kagemusha).”

(Aldo Tassone in “Akira Kurosawa”, Il Castoro-L’Unità, 1995)

“Un piccolo, arcigno burocrate con trent'anni di anzianità, Watanabe detto 'Mummia', si sa condannato e, nei pochi mesi che gli rimangono da vivere, decide di dare un significato alla propria irreprensibile ma opaca esistenza. Si lega d'amicizia con una giovane impiegata che ha lasciato il suo stesso ufficio per fabbricare giocattoli, e in questo nuovo lavoro è felice. L'ultima azione della sua vita, l'unica sua vera e degna azione, sarà quella di mandare avanti una pratica per la costruzione d'un giardino d'infanzia in una zona derelitta. Ma, dopo la sua morte, il merito del progetto sarà rivendicato da un alto funzionario. Le elezioni sono vicine. Di tutti i film di Kurosawa è il più libero e disteso, si potrebbe dire il più autobiografico. È un'opera densa, affascinante e sincera, piena di risvolti imprevedibili, di umanesimo e di virilità. Il regista concentra in essa, e porta al più alto grado espressivo, lo studio del dopoguerra giapponese da lui condotto in una serie di film sui problemi dell'attualità. L'attacco alla burocrazia, alla corruzione, all'obbedienza sepolcrale, all'indifferenza e al cinismo è limpido e convincente, così come il lato ottimistico e battagliero della vicenda è trattato con finezza e con energia. La figura del piccolo funzionario che scopre la vita sulla soglia della morte è di quelle indimenticabili del cinema contemporaneo”.

(Mymovies)

“Un riepilogo del cinema di Kurosawa, l'ha definito qualcuno. Un'opera discorsiva, lunga e varia - spiegano gli storici Anderson e Ritchie - piena di svolte e mutamenti. Passa da clima a clima, dal presente al passato, dal silenzio a un frastuono assordante, e sempre nel modo meno confuso e più affascinante. Un gioco serrato fra un'azione lineare al presente, un esteso flashforward e numerosi brevi flashback incastrati nel flusso centrale del racconto consente di rivelare, di sorpresa in sorpresa, i segreti dell'odissea di Watanabe [...] e di mettere a fuoco i due temi del film: l'analisi a ciglio asciutto di una vita che si spegne; la satira feroce di una burocrazia impiegatizia che soffoca la società. [...] Il pessimismo kurosawiano stringe in un blocco espressivo di forte suggestione in un mondo intero di pensieri, di aspirazioni, di rimpianti e di illusioni. Non c'è, come altre volte, né enfasi né sfarzo. C'è soltanto l'amarezza per l'inevitabile sconfitta.»

(Giammatteo-Bragaglia, Dizionario dei capolavori del cinema, 2007, Mondadori)

Akira Kurosawa (Tokyo, 23 marzo 1910 - 6 settembre 1998)

Il film IKIRU (1952):

18 aprile 1918 nasce Shinobu Hashimoto, regista, produttore e sceneggiatore giapponese.

 

Una poesia al giorno

Tra che stolti pensier, di Luigi Alamanni (Firenze, 6 marzo 1495 - Amboise, 18 aprile 1556), poeta, politico e agronomo italiano.

Tra che stolti pensier, tra quanti ’nganni
questa vita mortal sepolta giace,
con che cieco penar si fuggon gli anni ?

Omagnianimo Rè, l’antica pace
com’oggi è spenta et la virtù sbandita ?
Sol vive e regnia quanto a Dio dispiace,

Ma chi ’l conosce ? Ogni uom dritta et spedita
crede prender la via ch’al ciel conduce
schernendo altrui, che forse l’ha smarrita.

“Nato da Piero, mercante di lana, politico e ambasciatore, e da Ginevra Paganelli, Luigi Alamanni studiò filosofia con Francesco Cattani da Diacceto, e frequentò il circolo intellettuale fiorentino e antimediceo degli Orti Oricellari, ove conobbe il Machiavelli, che gli dedicò la sua Vita di Castruccio. Nemico giurato del cardinale Giulio de' Medici, poi papa Clemente VII, nel 1522 prese parte a una congiura per ucciderlo, alla quale parteciparono anche Zanobi Buondelmonti e Jacopo da Diacceto. Scoperta la congiura, mentre i due affiliati venivano condannati a morte, l'Alamanni fuggì a Venezia e poi in Francia. Tornò a Firenze con la cacciata dei Medici nel 1527 e prese parte al governo cittadino, con incarichi diplomatici svolti a Genova e in Francia. Dopo il ritorno dei Medici nel 1530, dovette nuovamente emigrare in Francia, dove compose la maggior parte delle sue opere. Favorito di Francesco I, fu ambasciatore presso Carlo V dopo la pace di Crepy nel 1544. In contatti con altri fiorentini fuorusciti o espatriati, fu ad esempio amico di Benvenuto Cellini: sua moglie Maddalena già Buonaiuti fu madrina al battesimo di Costanza, figlia di Cellini. Ad esempio della sua abilità diplomatica, si dice che l'Alamanni, interrotto mentre indirizzava un elogio all'imperatore, che gli ricordò come egli l'avesse descritto come "l'aquila grifagna, che per più devorar, duoi rostri porta", avesse risposto con prontezza che, come poeta, gli era permesso mentire, ma come ambasciatore, ora doveva dire la verità. Dopo la morte di Francesco I, l'Alamanni ottenne la fiducia del successore Enrico II, che nel 1551 lo fece ambasciatore francese a Genova. L'Alamanni è stato considerato per alcuni secoli uno dei maggiori poeti italiani, come prova il numero delle edizioni, che si avvicina a quello dei massimo esponenti della poesia italiana. Le storie della letteratura del ventunesimo secolo non gli assegnano il ruolo che mostrarono di riconoscergli, con il numero delle ristampe, gli editori italiani tra il Seicento e l'Ottocento; gli studiosi della letteratura agraria hanno sottolineato l'importanza de La coltivazione, il suo poema didascalico sulle opere dei campi, una delle prime espressioni della nuova agronomia della Rinascenza europea, il primo dei poemi sulle colture agrarie che si moltiplicheranno soprattutto nel Settecento, nessuno dei quali unirà, come l'opera del poeta fiorentino, armonia di versi e penetrazione delle tecniche e procedure in uso nelle campagne del suo tempo. La poetessa Isabella di Morra dedicò un sonetto all'Alamanni dal titolo Non sol il ciel vi fu largo e cortese.”

(Wikipedia)

Valsinni (MT), busto di Isabella di Morra

18 aprile 1556 muore Luigi Alamanni, poeta e politico italiano, nato nel 1495.

 

Un fatto al giorno

18 aprile 1988: gli Stati Uniti lanciano l'Operazione "Praying Mantis" contro le forze navali iraniane nella più grande battaglia navale dalla seconda guerra mondiale.

Operazione Mantide religiosa fu il nome in codice di un'azione bellica sostenuta il 18 aprile 1988 nell'area del Golfo Persico da forze aeree e navali della United States Navy ai danni di installazioni petrolifere e unità militari dell'Iran, parallelamente ai più vasti eventi della guerra Iran-Iraq... La giornata del 18 aprile 1988 si concluse con un bilancio pesante per le forze iraniane: oltre alla distruzione delle due piattaforme petrolifere, l'Iran dovette registrare l'affondamento di una fregata, una cannoniera missilistica e almeno tre barchini veloci, oltre al danneggiamento di una seconda fregata e di un cacciabombardiere F-4; le perdite umane per parte iraniana furono stimate in circa 60 morti e 100 feriti. Di per contro, gli statunitensi registrarono unicamente la perdita di un elicottero AH-1 Cobra con il suo equipaggio: decollato dal Wainwright in missione di ricognizione quella sera stessa, l'aeromobile si schiantò in mare 24 chilometri a sud-ovest dell'isola di Abu Musa, non è chiaro se per un incidente o perché colpito da fuoco antiaereo iraniano; i corpi dei due membri dell'equipaggio e i rottami dell'elicottero furono poi recuperati da sommozzatori statunitensi in maggio. Per numero e tipologia di unità impiegate da entrambe le parti, lo scontro del 18 aprile risultò il più grande combattimento navale sostenuto dalla United States Navy dalla fine della seconda guerra mondiale, nonché il primo della storia in cui la Marina statunitense fece uso di missili superficie-superficie antinave.

 

Una frase al giorno

"I mali di questo mondo sono causa di chi crea bisogni fittizi per voi."

(Allan Kardec, pseudonimo di Hippolyte Léon Denizard Rivail)

Allan Kardec (Lione, 3 ottobre 1804 - Parigi, 31 marzo 1869)

Allan Kardec (Lione, 3 ottobre 1804 - Parigi, 31 marzo 1869) è stato un pedagogista e filosofo francese conosciuto per essere stato il fondatore e codificatore dello spiritismo, dottrina filosofica di cui fu il principale divulgatore a livello mondiale.

18 aprile 1857: viene pubblicato "Il libro degli spiriti" di Allan Kardec, che segna la nascita dello spiritismo in Francia.

 

Un brano musicale al giorno

Jean-Fery Rebel, “Les Caracteres de la Danse

Eseguita dal gruppo barocco Inegalite Mystique Baroque con il gruppo di danza La Maison Noble, nel Museo di storia e navigazione, Riga, 6 agosto 2014.

Jean-Fery Rebel, “Les Caracteres de la Danse”. Eseguita dal gruppo barocco Inegalite Mystique Baroque con il gruppo di danza La Maison Noble

Jean-Féry Rebel, o Jean-Ferry Rebel (Parigi, 18 aprile 1666 - Parigi, 2 gennaio 1747), è stato un compositore e violinista francese dell'epoca barocca.

 


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k