L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno IV. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...
Un film al giorno
O.K. NERONE (Italia, 1951), regia Mario Soldati. Soggetto Mario Monicelli, Steno. Sceneggiatura Sandro Continenza, Mario Monicelli, Age & Scarpelli, Steno. Produttore: Niccolò Theodolià, Fotografia: Mario Montuori. Montaggio: Roberto Cinquini. Musiche: Mario Nascimbene, diretta da Franco Ferrara. Cast: Carlo Campanini è Jimmy Gargiulo. Walter Chiari è Fiorello Capone. Silvana Pampanini è Poppea. Jackie Frost è Licia. Gino Cervi è Nerone. Piero Palermini è Caio Marco. Giulio Donnini è Tigellino. Alda Mangini è Sofonisba. Rocco D'Assunta è Pannunzia. Mario Siletti è Seneca. Rosario Borelli è Tullio. Gildo Bocci, l’oste Burbo. Giacomo Furia, Harbinger. Ugo Sasso, Muzio. Pietro Tordi, il gladiatore della Gallia. Enzo Fiermonte, gladiatore. Bruno Smith, mercante di schiavi. Angelo Dessy, un contrabbandiere. Michael Tor, un console. Felice Minotti, un cristiano. Umberto Sacripante, commesso. Pasquale Fasciano, un ladro. Alba Arnova, prima ballerina, Pina Carli, controfigura di Silvana Pampanini.
È una commedia fantastica basata sull'espediente del viaggio nel tempo interpretata dalla coppia comica Carlo Campanini-Walter Chiari.
John e Jimmy, due marinai americani venuti a Roma come turisti vanno a vedere il Colosseo. Imbattutisi in alcuni malviventi, vengono picchiati così sonoramente da perdere la conoscenza: trasportati nel mondo dei sogni, credono di trovarsi nell'antica Roma, ai tempi di Nerone. Come cristiani sono esposti alle persecuzioni degli sgherri di Nerone, dai quali li salva una schiava cristiana, Licia. Travestitisi da schiave negre, divengono proprietà d'un amante di Poppea, che li destina al servizio dell'imperatrice. Scoperti da Nerone, sono inviati a combattere nel circo come gladiatori; ma improvvisando delle azioni comiche, riescono a conquistare la benevolenza dell'imperatore, che li dichiara liberi. Ora sono esposti alle vendette di Tigellino, geloso degl'intrusi che hanno saputo carpire il favore del tiranno. Un filtro che Tigellino ha preparato per i due avversari, viene versato per errore all'amante di Poppea. Questi, invaso da un insano furore, tenta di sollevare il popolo contro Nerone ed è costretto poi a fuggire insieme ai due malcapitati. Dopo varie disavventure, un provvidenziale capitombolo li salva dai pretoriani ed essi si risvegliano presso il Colosseo, dove la Military Police li prende in consegna.
“Soldati, l’autore del fortunato libro “America primo amore” era specialmente qualificato per tentare una parodia del modo come gli Americani possono vedere Roma, la Roma dei Cesari. Egli ha immaginato che due marinai americani, venuti a Roma in licenza, si addormentino tra le rovine del foro e nel sogno si vedano implicati nell’antica vita dell’Urbe. Tutti i luoghi comuni, grottescamente travisati, della vita imperiale - auspice il Quo Vadis? - rivivono nella grossa immaginativa caporalesca, con tutti gli anacronismi di rito.”
(Mario Luzi in www.mymovies.it)
“Aggrediti da un gruppo di ladruncoli, due marinai americani in vacanza a Roma cadono privi di sensi e, sognando di essere trasportati indietro nel tempo, fino all'epoca dell'imperatore Nerone, vivono una lunga serie di avventure tragicomiche prima di risvegliarsi ai giorni nostri.
Il viaggio nel tempo raccontato attraverso gli espedienti della botta in testa o del sogno è un tema largamente sfruttato dalla commedia americana a sfondo fantastico. Il cinema italiano vi attinge saltuariamente e con scarsa originalità non riuscendo a coniugare in maniera felice lo spunto avventuroso con la satira di costume. Se questa pellicola riesce, tuttavia, piacevole e divertente, il merito è soprattutto della regia di Mario Soldati che sfrutta al meglio gli spunti farseschi della sceneggiatura e il talento della coppia Chiari/Campanini. I due versatili attori, nel ruolo dei due americani, attingono al repertorio comico, elementare ma efficace, della commedia dell'arte e della rivista. Scambiati, di volta in volta, per ribelli cristiani, ballerine africane, gladiatori e consiglieri politici, i due protagonisti fanno sfoggio di una comicità fatta di mimica e di gag verbali che ben si modella nella cornice surreale di una antica Roma popolata da caricaturali personaggi storici (Nerone, Tigellino, Poppea) e attraversata dagli eterni intrighi del potere, dove si giocano partite di football contro i Greci e ci si allieta con gli spettacoli coreografici dell' "Existentialist Ballet of Paris".”
(In www.fantafilm.net)
“Ha una lunga e travagliata storia di censura «Ok Nerone», commedia del 1951 diretta da Mario Soldati, con la coppia comica Carlo Campanini-Walter Chiari e con Silvana Pampanini. La Commissione censura dell'ufficio centrale per la cinematografia esamina il film più volte. La prima non redige il verbale. Alla seconda revisione si accorge che il film differisce in più punti dalla prima edizione e chiede di eliminare alcune scene come quella «in cui si vede Poppea (l'attrice Pampanini) che esce apparentemente nuda dalla vasca» o i fotogrammi in cui «al mercato degli schiavi il banditore, mostrando una schiava, scopre la coscia della medesima» o ancora la scena in cui «l'attore Walter Chiari cade nella piscina del gineceo». Con i tagli la pellicola viene approvata e proiettata. In seguito alla proteste da parte di alcune associazioni l'autorizzazione alla programmazione viene revocata e la Commissione revisiona per la terza volta il film, chiedendo ulteriori tagli prima di approvarlo definitivamente.”
(In www.ilgiornale.it)
- Il film; OK Nerone (1951) con Carlo Campanini, Silvana Pampanini. Film completo, italiano
Un attore: “Umberto Sacripante, all'anagrafe Umberto Sacripanti (Roma, 2 ottobre 1904 - Roma, 14 gennaio 1975), attore italiano. Debutta giovanissimo nella prosa teatrale, per essere scritturato da Anton Giulio Bragaglia come primo attore nel Teatro degli Indipendenti di Roma. Assunto da Stefano Pittaluga per occuparsi presso la Cines, dell'organizzazione cinematografica dei film in produzione, presso l'industria romana. Sarà anche direttore artistico di vari film tra cui Pastor Angelicus, di Romolo Marcellini, in ultimo sarà segretario del Sindacato Nazionale Attori Cinematografici.
Dal 1931 al 1966, girerà quasi 80 film di vario genere, quasi sempre come caratterista e in parti secondarie, per morire nella sua città natale a 70 anni. Due dei suoi figli, Luciano e Mauro, hanno lavorato nel cinema.”
(In wikipedia.org)
“Nel 1921, appena terminati gli studi liceali, esordì giovanissimo in teatro, ottenendo varie scritture da compagnie di giro e lavorando come primo attore al Teatro degli Indipendenti, diretto da Anton Giulio Bragaglia, dal 1926 al 1930. Su richiesta di Stefano Pittaluga, abbandonò le scene, per dedicarsi all'organizzazione della Cines, oggetto, in quegli anni, di un radicale processo di rinnovamento. Nel 1942, assunse la direzione artistica di un lungometraggio documentaristico diretto da Romolo Marcellini, Pastor Angelicus; non molto dopo divenne segretario generale del Sindacato Nazionale Attori di Cinema. D'altra parte, fino dagli esordi del "sonoro", egli era apparso in un numero considerevole di film, facendosi ben presto notare per il suo tipo di recitazione incisivo, colorito e vivace, che lo impose all'attenzione del pubblico come uno dei migliori caratteristi italiani del decennio 1930-40. La sua ottima conoscenza della lingua tedesca fece sì che egli prendesse parte anche a numerosi film in Austria e in Germania. Apparve in vari film anche negli anni del dopoguerra; fra questi possiamo ricordare Caccia tragica (1948, Giuseppe De Santis), Prima comunione (1950) e Altri tempi (1952) ambedue diretti da Alessandro Blasetti, in cui diede vita a personaggi secondari, ma delineati con vigore ed incisività”
(In www.mymovies.it)
Una poesia al giorno
Da The Flaming Terrapin, di Roy Campbell
How often have I lost this fervent mood,
And gone down dingy thoroughfares to brood
On evils like my own from day to day:
‘Life is a dusty corridor,’ I say,
‘Shut at both ends.’ But far across the plain,
Old Ocean growls and tosses his grey mane,
Pawing the rocks in all his old unrest
Or lifting lazily on some white crest
His pale foam-feathers for the moon to burn –
Then to my veins I feel new sap return,
Strength tightens up my sinews long grown dull,
And in the old charred crater of the skull
Light strikes the slow somnambulistic mind
And sweeps her forth to ride the rushing wind,
And stamping on the hill-tops high in air,
To shake the golden bonfire of her hair.
This sudden strength that catches up men’s souls
And rears them up like giants in the sky,
Giving them fins where the dark ocean rolls,
And wings of eagles when the whirlwinds fly,
Stand visible to me in its true self
(No spiritual essence or wing’d elf
Like Ariel on the empty winds to spin).
I see him as a mighty Terrapin,
Rafting whole islands on his stormy back,
Built of strong metals molten from the black
Roots of the inmost earth….
The Ark is launched; cupped by the streaming breeze,
The stiff sails tug the long reluctant keel,
And Noah, spattered by the rising seas,
Stands with his great fist fastened to the wheel.
Like driven clouds, the waves went rustling by,
Feathered and fanned across their liquid sky,
And, like those waves, the clouds in silver bars
Creamed on the scattered shingle of the stars.
All night he watched black water coil and burn,
And the white wake of phosphorus astern
Lit up the sails and made the lanterns dim,
Until it seemed the whole sea burned for him…
The Flaming Terrapin, his labours done,
Humped like a cloud o’er mountain, crag and field
Rose on the skyline. The far-shooting sun
Splintered its arrows on his fiery shield,
From whose bright dome in sudden ricochets
Recoiling flashed the long reflected rays:
While, rolling his red eyes, a double moon
That lit the hillsides with a second noon,
He sank to rest. His golden ridges, tiered
Above the foam, now slowly disappeared:
And as clouds roll immense and globed and still
To burst in thunder round a lonely hill,
The slow foam gathered round him: o’er his wild
Mountainous outline, ponderously piled,
It hung one moment, poised in grim suspense,
And then swamped crashing down, and from its dense
Vortex of thunder, with a gradual sweep
Rolled forth in groaning circles on the deep….
Though the dark sky has gathered stormy numbers
Of vultures to be snowed upon my corpse;
Though the weak arc of Heaven warps
Beneath the darkness that encumbers
The night beyond; though we believe the end
Is but the end, and that the torn flesh crumbles
And the fierce soul, rent from its temple, tumbles
Into the gloom where empty winds contend,
In gnat-like vortex droning – what is this
That makes us stamp upon the mountain-tops,
So fearless at the brink of the abyss,
Where into space the sharp rock-rampart drops
And bleak winds hiss?
It is the silent chanting of the soul:
‘Though times shall change and stormy ages roll,
I am that ancient hunter of the plains
That raked the shaggy flitches of the Bison:
Pass world: I am the dreamer that remains,
The Man, clear-cut against the last horizon!’
Tartaruga fiammante, di Roy Campbell (tradotto da Andrea Bianchi in www.atelierpoesia.it)
Quante volte ho perso questo stile infervorato
e mi sono buttato giù in luoghi foschi fino a dove stanno le nidiate
giù sopra certi diavolacci tutti miei personali, ogni giorno:
la vita è un corridoio polveroso, dico,
chiuso da entrambi i lati. Ma lontano lungo la pianura,
il Vecchio Oceano ringhia e scuote il suo grigio crine, e artiglia le rocce con la sua antica foga
oppure sollevando pigramente qualche cresta bianca di spuma,
la sua chiara piuma schiumosa e poi la fa bruciare dalla luna –
allora sento nuova linfa scorrermi nelle vene,
il vigore mi serra i muscoli già torpidi,
e nel vecchio cratere carbonizzato di teschi
la luce taglia la quieta mente sonnambula
e la porta in giro per cavalcare il vento impetuoso,
fissandosi sui cocuzzoli alti nell’aria,
agitando il falò dorato dei suoi crini.
Questo improvviso vigore che cattura le anime degli uomini
e li solleva come giganti per aria,
come un dono fin lassù dove l’oscuro oceano si frange,
e ali d’aquila quando si leva il vortice,
resta chiaro per me nella sua vera identità
(nessuna entità spirituale o folletto alato
come Ariel che frulla sui vuoti venti).
Lo vedo come un’ipotetica Tartaruga,
a fare rafting tra tutte le isole poggiando sul suo scudo tempestoso,
costruito di duri metalli fusi col nero
che sta nelle fondamenta più profonde della terra…
La tartaruga fiammante, svolto il suo compito,
si incurvò come una nuvola sopra la montagna, e balze e campi
si stagliavano lungo la linea dell’orizzonte.
Il sole che andava lontano
lanciò le sue frecce contro il fiero scudo della tartaruga
che era una cupola brillante percorsa dalla luce a sbalzi improvvisi
mentre di riflesso illuminava coi lunghi raggi mandati dal sole:
e insieme i suoi occhi rossi scorrevano qui e là i suoi occhi rossi, una doppia luna
che colpiva i fianchi delle colline come un’altra sera,
e la tartaruga si fermò per riposare. I suoi fianchi dorati, stanchi
sopra le schiume del mare, ora scomparivano lentamente:
e come le nuvole scorrevano immense e si avvolgevano e di nuovo
scoppiavano nel tuono intorno alla collina desolata,
lenta la spuma si ravvolse intorno alla tartaruga: sopra il suo profilo
di montagna selvaggia, come di pesi ammucchiati,
si fermò per un momento, fissa in una posa fosca,
e poi s’inondò come spaccandosi in basso, e dal suo denso
vortice di tuoni, con un movimento graduale
prese a scorrere, gemendo, in cerchi sul fondo…
Contro il cielo oscurato si sono raccolti innumerevoli
avvoltoi bellicosi che vogliono fioccare sul mio corpo;
contro il debole arco della trama celeste
dietro l’oscurità che incombe sulla notte ancora nascosta; contro il fatto che crediamo che la fine
sia tutto fuorché la fine, e che la carne stravolta si sbricioli
e che l’animo orgoglioso, preso a nolo dal suo tempio, cada
nell’oscurità dove batte contro il vuoto dei venti
in un vortice che percorre l’aria come fanno le zanzare – cos’è
che ci marchia sulle cime di montagna,
così senza paura sul ciglio dell’abisso,
dove nello spazio del terrapieno roccioso e sottile si sprofondano
e sibilano i venti abbandonati?
È il cantare, silente, dell’anima:
Contro i tempi che cambieranno e le età di tempesta che scorreranno via,
io sono il vecchio cacciatore delle pianure
che affetta la pelle increspata del Bisonte:
parola d’ordine: io sono il sognatore che rimane per voi,
l’Uomo che si ritaglia nitido sull’ultimo orizzonte!
“Ignatius Royston Dunnachie Campbell, meglio conosciuto come Roy Campbell (Durban, 2 ottobre 1901 - Setúbal, 23 aprile 1957), è stato un poeta e scrittore sudafricano. Figlio di Margaret e Samuel George Campbell, a 17 anni lasciò il Sudafrica per andare a studiare all'Università di Oxford, ma non superò l'esame di ammissione. Tuttavia ebbe modo di stringere amicizia con il compositore William Walton ed il pittore e scrittore Wyndham Lewis. Nel 1922 si trasferì a Londra, dove conobbe Mary Garman. Nello stesso anno i due si sposarono e andarono ad abitare ad Aberdaron, in Galles. Qui Roy Campbell portò a termine uno dei suoi poemi più importanti: The Flaming Terrapin. Sarà pubblicato nel 1924 riscuotendo elogi dalla critica benché le vendite non andarono come sperato. Le precarie condizioni economiche lo spinsero a far ritorno a Durban, dove insieme a Laurence van der Post e William Plomer, fondò la rivista letteraria Voorslag.
Nel 1928 pubblicò il poema satirico The Wayzgoose, con cui Campbell affrontava il tema del razzismo e successivamente fu dato alle stampe The Georgiad, opera con la quale criticò aspramente il mondo del Bloomsbury, gruppo letterario londinese di cui, tra gli altri, facevano parte Edward Forster, Duncan Grant e Virginia Wolf.
Trasferitosi in Spagna combatté durante la guerra civile dalla parte della Falange e nell'occasione riuscì a salvare i manoscritti di San Giovanni della Croce. Per celebrare la vittoria di Francisco Franco, nel 1939 scrisse il poema Flowering Rifle, Fucile Fiorente.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale si unì alla Air Raid Precaution ed in seguito ai King's African Rifles. Fu congedato nel 1944 a causa di una displasia all'anca.
Il 23 aprile del 1957 morì in un incidente stradale lasciando moglie e le due figlie Teresa e Anna.”
(In wikipedia.org)
“Il 6 ottobre del 1944, al figlio Christopher, J.R.R. Tolkien scrisse così: “Si tratta di un discendente dei protestanti dell’Ulster, di famiglia sudafricana. Quasi tutti i suoi avi hanno fatto entrambe le guerre. Lui si è convertito al cattolicesimo dopo aver fatto da scudo ai padri carmelitani di Barcellona contro i comunisti - invano, però, furono tutti catturati e passati per le armi, lui stesso per poco non ci rimise la pelle. Ma ha messo le mani sull’archivio dei Carmelitani e l’ha posto in salvo dagli incendi di guerra, trascinandoselo per tutta la Spagna in mano ai rossi. Impossibile, in ogni caso, darti una idea del suo carattere: soldato e poeta, e per giunta convertito. Quanto di più lontano dalla sinistra-panzer in velluto a coste: tanto panzer che è corsa al riparo negli Stati Uniti”.
Poi Tolkien relaziona il figlio in merito alla scrittura del Signore degli Anelli. L’incontro con quel poeta combattente, tra le fiamme della fede, avvenuto qualche giorno prima, lo ha folgorato. Sarà lui l’icona, l’idea primordiale, intorno a cui tessere il personaggio di Aragorn, ‘Granpasso’, l’erede che elude la regalità, il re ridotto a vagabondo.
Tolkien - nato in Sudafrica pure lui, e non è un dato trascurabile - sapeva guardare oltre l’artiglio dei pregiudizi. Roy Campbell, più giovane di lui di dieci anni, portava il marchio del reietto, pensava che la parola poetica dovesse essere giustificata da scelte radicali, era un vagabondo, ostaggio di incomprensioni e di fraintendimenti, braccato da una colpa che aveva lavorato a lungo, con abilità orafa.
L’episodio miliare nella vita di Campbell accade nel marzo del 1936. Campbell è in Spagna da tre anni, è un uomo devoto alle vertigini, si dà al morso della Chiesa cattolica. Da Barcellona, passa a Toledo, vive insieme ad alcuni carmelitani, la Spagna arde di guerra. I repubblicani avanzano, assediano Toledo: gli stessi padri che confermano Roy Campbell e la moglie nella fede - a cui si aggiunge la benedizione del Cardinale Isidro Gomá y Tomás, in un rito serale di allucinato valore simbolico - vengono accerchiati, predati, uccisi, “in un’atmosfera che doveva ricordare in modo sinistro le catacombe dei primi cristiani… i diciassette monaci del Carmelo vengono condotti in strada e fucilati. Campbell scopre i loro corpi. Sul muro di una chiesa campeggia la scritta, ‘così colpisce la Cheka’” (Joseph Pearce). Lì, Roy Campbell sceglie. Sta al fianco di Franco - dalla parte sbagliata. Mentre gli intellettuali formidabili pendono ‘a sinistra’, Campbell opta per l’altro mondo. Soprattutto, mette in salvo dai tesori dei carmelitani i libri di Giovanni della Croce, che altrimenti sarebbero stati bruciati insieme agli arredi del monastero. Li tradurrà, con furore mistico che dicono speciale. “Mi è stato maestro”, dice, il poeta, del mistico. Intanto, tutti gli voltano le spalle.
Aveva già rotto i ponti - e le scatole - prima della guerra civile spagnola, Roy Campbell, rampollo di buona famiglia anglofona, nato a Durban, Sudafrica, nel 1901, approdato in Inghilterra, a Oxford - ma non entrò a studiare - esattamente un secolo fa, subito ben introdotto - piaceva a Wyndham Lewis e a Thomas S. Eliot - con ansie un poco mitomani, di certo suicidali. Campbell pigliava la vita a morsi: diseredato dalla famiglia d’origine, nel 1924 porta all’altare l’audace e selvatica Mary Margaret Garman, ricca, affiliata ai Bloomsbury di Virginia Woolf.
Roy diceva che Mary era qualcosa tra Saffo e Santa Teresa d’Avila: di certo, lei si diede, maritata, a una relazione saffica con Vita Sackville-West. La cosa diede noie alla Woolf e mandò in rabbia Roy, poeta volitivo, con i cappelli a tesa larga, un po’ Baudelaire un po’ Indiana Jones. La vendetta fu incisa nell’acido: The Georgiad è una satira spietata contro gli intellettuali inappetenti alla vita, instabili, tutta mente e niente carne, che speculano di vasti temi ‘sociali’ dalla gabbia di cristallo della loro australe austerità. Roy Campbell aveva capito molto della malia e della finzione del letterato. Chiaramente, non gliela perdonarono: nel 1930 Roy, moglie e figli si trasferiscono in Provenza, poi sarà l’ora spagnola.
A leggere i ricordi della figlia, Anna, Roy e Mary furono genitori incapaci - “non ci hanno mai spiegato come ci si siede a tavola… o quando bisogna cambiarsi le mutande” - che quasi sempre affidavano i pargoli a tate improvvisate. In ogni modo, il matrimonio durò, fortificato, forse, dall’estetica conversione di entrambi.
Il punto, piuttosto, è questo. Roy Campbell è uno dei più potenti poeti in lingua inglese del secolo scorso. L’opera più grande la scrive a 23 anni, nel 1924, s’intitola The Flaming Terrapin, è un poema di altisonante vitalità, quasi il controcanto alla pallida Terra desolata di Eliot (che amava molto il bistrattato Roy). Se non avete mai sentito dire di Roy Campbell, non fatevene un cruccio: in Italia non l’ha tradotto nessuno. Anche in UK, in effetti, nonostante la folta bibliografia (e la biografia di Joseph Pearce, Unafraid of Virginia Woolf: The Friends and Enemies of Roy Campbell, 2004), se possibile evitano di pubblicarlo. Eccessivo in tutto - soprattutto nel linguaggio lirico, grave di immagini, pieno di bordate retoriche, magnetico - Roy Campbell, nel 1939, pensa bene di pubblicare un poema satirico che esalta, con verve, la vittoria di Franco, Flowering Rifle: A Poem from the Battlefield of Spain - con cui si garantisce la damnatio memoriae e l’epiteto - tornato di moda - di poeta “fascista”. In realtà, durante la Seconda guerra si scaglia contro i Nazi, prega di essere arruolato nella British Army, continua a sfottere i poeti che blaterano bene di Hitler dagli attici newyorchesi ma non scendono a combattere, fu inviato a Nairobi e a Mombasa, ma invero, falciato dalla malaria, combatterà poco. C.S. Lewis, a differenza di Tolkien, non lo sopportava, “ha il lezzo tipico dei cattolici fascisti”, diceva. Roy trovò da fare alla BBC, diventò amico intimo di Dylan Thomas - più che parlare di affari letterari si gettavano a bere come disperati. Durante una lettura pubblica, diede un cazzotto a Stephen Spender, colpevole, insieme a Auden, di essere un poeta senza spirito, solo parole al vento e condanne rivolte all’aria, sovietico per vezzo. Spender, tuttavia, continuò a dire “è un grande poeta…
(Davide Brullo in: www.pangea.news)
2 ottobre 1901 nasce Roy Campbell, poeta e scrittore sudafricano, morto nel 1957.
Un fatto al giorno
2 ottobre 1968: una pacifica dimostrazione studentesca a Città del Messico finisce nel Massacro di Tlatelolco.
“È passato mezzo secolo dalla terribile repressione della piazza delle Tre Culture: la fine dell’innocenza delle Olimpiadi. Moltissimi morti, il cui numero non fu mai ufficializzato, la Fallaci tra i feriti. E stava per andare in scena la più grande protesta della storia olimpica con il guanto nero alzato sul podio dei 200 metri, una denuncia antirazzista in mondovisione. Esattamente due settimane dopo la strage di Tlatelolco.
Cinquant’anni fa le Olimpiadi persero per sempre la loro innocenza. Il 2 ottobre del 1968 finirono prigioniere dell’immensa tragedia di un Paese. Il Messico, che avrebbe ospitato i Giochi dieci giorni dopo, represse ferocemente i coetanei di quei giovani che stavano arrivando per occupare primi, secondi e ultimi posti: gli studenti. A metà pomeriggio, l’ora in cui il cielo del DF - le due lettere che stanno per Distrito Federal, il modo con cui a Città del Messico chiamano la loro città - si imbroncia, il battaglione Olympia, criminale usurpazione di un nome che ha sempre almeno ambito a un mondo senza violenza, scatenò l’inferno. Ma erano tutt’altro che gladiatori i granaderos del presidente Diaz Ordaz. Una luce verde, “sparata’ da un elicottero diede il segnale. Il Villaggio Olimpico si trovava 24 chilometri più in là. Però alcuni atleti, come il nostro Eddy Ottoz, qualche giorno dopo medaglia di bronzo nei 110 ostacoli, riuscirono a entrare diventando testimoni oculari della tragedia. Come Oriana Fallaci, la giornalista-scrittrice che raccontò il suo ferimento da un letto di ospedale sulle colonne dell’ “Europeo”, rivolgendosi così agli studenti: “Fate bene a sentirvi grandi adesso - perché se vivo farò sapere a tutto il mondo che cosa ha fatto la polizia messicana”.
SI PERSE LA TESTA - Morirono in tanti, ma come in molte tragedie moderne, nessuno sa in quanti. Paco Ignacio Taibo II, uno dei più grandi scrittori moderni messicani, raccontò nel suo “68”, citando diverse fonti, che l’esercito caricò alcuni corpi sugli aerei per gettare i cadaveri nel golfo del Messico, un’anticipazione di quanto poi sarebbe accaduto nell’Argentina del terrore durante i Mondiali di calcio di 8 anni dopo. I bilanci ufficiali parlano di 34 morti, quelli ufficiosi di quattrocento vittime. Per anni si è ipotizzato di provocatori violenti in mezzo agli studenti, ma nel corso dei decenni, delle commissioni, delle desecretazioni, è venuta fuori sempre di più la realtà di un massacro studiato, con i paramilitari coinvolti che indossavano un guanto bianco singolo per riconoscersi tra loro. Candido Cannavò, futuro direttore della Gazzetta, arrivò il giorno dopo e raccontò sconvolto e irritato quella corsa alla rassicurazione, al ridimensionamento, al “non è successo niente”, che le autorità messicane cominciarono a praticare. “Dicono che l’Olimpiade sarà grande, la più splendida di sempre. C’è da dire che qui si è perso regolarmente la testa”.
IL CIO E IL CONI - L’Olimpiade si trovò stritolata in un triste paradosso, nata come strumento (o illusione) di pace, diventava serva della violenza. Nel Villaggio olimpico si distribuiva un giochino di cartone, era lontana l’epoca digitale, in cui si scoprivano le varie espressioni del vocabolario dell’amore nelle diverse lingue: cherie, mi vida, te quiero, adorata, darling. Mentre alcuni atleti domandavano e chiedevano prima di rifugiarsi nell’imminenza delle gare, e diversi dirigenti incontravano le famiglie dei ragazzi morti o scomparsi, come fece il futuro presidente del Coni, Mario Pescante. L’Italia fece la sua parte in qualche modo, pur senza riuscire a spostare granché. Augusto Frasca, il biografo di Giulio Onesti, il gran capo del Coni di quegli anni, ha riannodato il filo di quelle ore, l’iniziativa di Onesti e del presidente della federnuoto internazionale Berge Philips di scrivere un comunicato in cui si chiedeva che “i principi della pace e della fratellanza non fossero confinati dentro il Villaggio”. La diffusione della nota fu curata dall’allora capo ufficio di stampa del Coni di allora, Donato Martucci, poi minacciato apertamente dai militari messicani. Fu Avery Brundage, il presidente del Cio più volte accusato di simpatie razziste, a chiudere ogni porta e a dire che tutto si stava aggiustando, non c’era da preoccuparsi e che c’era da parlare di quello che era accaduto il meno possibile: continuò a teorizzare la divisione fra sport e resto del mondo. Fu l’Olimpiade a prendere a schiaffi il suo muro ipocrita, anzi a buttarlo giù. Stava per andare in scena la più grande protesta della storia olimpica con il guanto nero di Tommie Smith e John Carlos sul podio dei 200 metri, una denuncia antirazzista in mondovisione che portò all’espulsione dei due atleti dai Giochi. Esattamente due settimane dopo la strage di Tlatelolco. Che intanto era stata omessa dal palcoscenico, nascosta.
AQUILONI E MUSICA - Anche se nella cerimonia di apertura qualcuno riuscì a lanciare un aquilone con disegnata una colomba della pace verso il palco presidenziale. Pescante ricorda pure che nel tunnel che portava dal campo di allenamento allo stadio universitario, un solitario suonatore intonò “El deguello”, uno struggente motivo messicano, spezzandolo con parole strazianti che chiedevano giustizia per gli studenti. Solo i cubani fecero a tempo ad applaudire prima che il musicista fosse catturato e ridotto al silenzio. Un silenzio che durò poco perché Tlatelolco diventò poesie, film e uno straordinario romanzo, Amuleto, dello scrittore cileno Roberto Bolano, in cui la studentessa Auxilio si nasconde nei bagni dell’università invasa dai soldati e racconta l’atmosfera, i sogni e la follia di quei giorni sotto il cielo “esterrefatto” di Città del Messico.
L’OLIMPIADE E IL MONDO - Ma quell’Olimpiade ultraprimatista, dall’8,90 al salto in lungo infinito di Beamon al primo uomo sotto i 10 secondi nei 100 metri, dell’Africa che dopo aver cominciato a vincere con Bikila cominciò a stravincere nel mezzofondo prolungato e nella maratona, non poteva tenere fuori dalla porta il ‘68. L’anno delle proteste studentesche del maggio francese, dell’assassinio di Robert Kennedy e di Martin Luther King, dei carri armati russi che travolgevano la primavera di Praga. L’Olimpiade è il mondo, nel suo bene e nel suo male, nella sua capacità di renderlo anche solo minimamente migliore - si pensi all’Olimpiade di quest’inverno a Pyeong Chang e al loro contributo al disgelo fra le due coree - o nella sua resa alla guerra fredda, sancita dai boicottaggi che trasformarono Montreal, Mosca e Los Angeles in edizioni dei Giochi azzoppate. Quella piazza delle Tre culture, trasformata in tomba collettiva, fu purtroppo soltanto resa. L’Olimpiade che disfaceva le valigie e cominciava a vivere, fu solo spettatrice della tragedia. E dimenticò quanto era successo. Scrisse ancora la Fallaci: “Come sono scomodi i morti, sai, ci si stanca presto di loro”.”
(Valerio Piccioni in www.gazzetta.it)
Il 2 ottobre 1968 a Città del Messico, l’esercito spara con le mitragliatrici su una manifestazione studentesca. I morti sono oltre cento, passerà alla storia come il massacro di Tlatelolco. Fra i feriti anche la scrittrice fiorentina Oriana Fallaci, che si trovava in un grattacielo sovrastante la piazza per controllare al meglio le azioni fra manifestanti e forze dell’ordine. Ferita da un elicottero in volo, fu creduta morta e portata in obitorio, dove un prete si rese conto che era ancora viva. La giornalista riportò tre ferite d’arma da fuoco ma si offrì di testimoniare quanto accaduto direttamente dal suo letto d’ospedale.
Il massacro continuò tutta la notte, i soldati si accamparono negli appartamenti vicini alla piazza. Testimoni riferirono che i corpi furono spostati con camion dell’immondizia. La spiegazione ufficiale fu che facinorosi armati incominciarono a sparare verso le forze dell’ordine che per difesa personale risposero al fuoco. I media di tutto il mondo diffusero le immagini e pubblicarono la notizia che si era registrato lo scontro più violento tra studenti e forze dell’ordine.
Una frase al giorno
“I find television very educational. Every time someone switches it on I go into another room and read a good book.” (Trovo la televisione molto istruttiva. Ogni volta che qualcuno la accende, vado in un'altra stanza e leggo un buon libro.)
(Groucho Marx, come citato in Filmgoer's Companion di Halliwell, 1984, di Leslie Halliwell)
“Era il 19 agosto 1977, moriva il più famoso dei tre fratelli. Fra i suoi ammiratori anche Eliot, Allen, Ionesco. Molto imitato, il suo "errore" fu andarsene tre giorni dopo Elvis Presley.
Quando, il 19 agosto 1977, Groucho Marx lasciava questa vita, la sua scomparsa passò un po’ sotto silenzio, messa in secondo piano da quella improvvisa di Elvis Presley, morto solo tre giorni prima. Julius Henry Marx, questo il suo vero nome (il nome d’arte derivava dal suo essere considerato un grouchy, un brontolone), era nato a New York nel 1890, terzo di sei figli (il primo morì a pochi mesi dalla nascita), in una famiglia di immigrati ebrei tedeschi. Occhiali, nasone, sigaro e baffi neri: la sua inconfondibile icona divenne quasi una maschera novecentesca, simbolo di ironia e irriverenza nei confronti dei potenti. Ognuno dei fratelli Marx aveva costruito un personaggio riconoscibile fin dal nome d’arte. Chico era il bullo immigrato dall’accento italiano; Harpo era quello silenzioso e un po’ ritardato; con loro si esibirono per brevi periodi anche gli altri fratelli, che si fecero chiamare Gummo e Zeppo.
Senza dubbio, però, chi primeggiava era Groucho, il leader indiscusso, gran parlatore e affabulatore demenziale. Indimenticabili i loro film, tra i quali Animal Crackers, La guerra lampo dei Fratelli Marx, Una notte all’opera, Un giorno alle corse, Una notte a Casablanca, Una notte sui tetti. Dal ’50 Groucho passa armi e bagagli prima alla radio e quindi alla televisione. I baffetti con gli occhialoni di Groucho dominarono anche l’era pionieristica dei quiz televisivi americani: You bet your life ('Scommetti la tua vita') che lui conduceva è stato uno dei più grandi successi televisivi di sempre. Scomparsi nel ’61 Chico, nel ’64 Harpo, nell’aprile ’77 Gummo, Groucho era rimasto il depositario più autorevole di un’allegria strepitosa e il testimone di una popolarità che non aveva conosciuto eclissi. Woody Allen, che ha sempre ammesso di esserne l’erede, ha riempito di citazione dei fratelli Marx i suoi stessi film. Non tutti sanno però che Groucho è noto al pubblico anche grazie alla sua attività di scrittore, di cui vanno ricordate almeno l’autobiografia Groucho e io (1959) e Le lettere di Groucho Marx (1967), entrambe pubblicate in Italia da Adelphi negli anni ’90. La sua vena surreale ha influenzato addirittura il teatro dell’assurdo di Eugène Ionesco, che dichiarò di aver tratto ispirazione dai rovesciamenti delle convenzioni tipiche di Groucho Marx.
Tra le sue amicizie intellettuali va ricordata quella tra lui e il premio Nobel Thomas S. Eliot. Quando l’attore e il poeta entrarono in contatto, Groucho si trovò a scrivere in questi termini all’autore di capolavori come La terra desolata e Quattro quartetti: «Caro T.S., la sua fotografia è arrivata in ottimo stato e spero che questa lettera la trovi nelle stesse condizioni. Non credevo che lei fosse così bello. Se non le hanno ancora offerto il ruolo di protagonista in qualche film sexy, ciò è da attribuire solo alla stupidità dei responsabili del casting». Eliot dal canto suo aveva già risposto: «Caro Groucho Marx, il suo ritratto è arrivato, con mia grande gioia, e presto figurerà, debitamente incorniciato, sulla mia parete accanto ad altri amici famosi quali W.B. Yeats e Paul Valery». In seguito, i due si incontreranno in Gran Bretagna. «Durante la settimana precedente - annota Groucho nel suo diario - avevo letto Assassinio nella cattedrale due volte, La terra desolata tre volte, e casomai si dovesse arrivare a un punto morto nella conversazione, avevo dato una rispolverata a Re Lear». Eliot però, ammetterà l’attore dopo la cena, «sembrava più propenso a parlare di Animal Crackers e Una notte all’opera. E ha pure citato una battuta, una delle mie, che avevo dimenticato da un pezzo». Groucho, colpito dalla personalità e spiritualità dello scrittore, arrivò a chiamarlo Tom, in segno di amicizia e affinità. Alla notizia della morte annotò, commosso: «Era una cara persona, il miglior epitaffio che un uomo possa avere».”
(Luciano Lanna, giovedì 17 agosto 2017. In: www.avvenire.it)
Immagini:
- Groucho Marx’s Home Movie (1933). Regia di Groucho Marx. Cast: Ruth Johnson, Arthur Marx, Groucho Marx, Miriam Marx.
- The One The Only Groucho, documentario
2 ottobre 1890 nasce Groucho Marx, attore, comico e scrittore statunitense (morto nel 1977)
Un brano musicale al giorno
František Ignác Tůma (1704-1774), Stabat Mater
Coro Currende, direzione di Erik van Nevel dal Belgio.
1. Stabat Mater Dolorosa 0:00
2. O Quam Tristis 2:49
3. Quis Est Homo 4:21
4. Pro Peccatis 6:08
5. Vidit suum dulcem Natum 7:20
6. Eja Mater 8:24
7. Sancta Mater 10:17
8. Fac Me Tecum 12:14
9. Virgo virginum 15:36
10. Christe, Cum Sit Hinc Exire 17:34
11. Fac Ut Animae Donetur 18:41
“František Ignác Antonín Tůma o Thuma oppure Tuma (Kostelec nad Orlicí, 2 ottobre 1704 - Vienna, 30 gennaio 1774) è stato un compositore ceco. Attivo soprattutto a Vienna, fu uno dei più importanti compositori boemi del barocco, nonché celebre organista, gambista o tiorbista.
Tůma ricevette i primi insegnamenti da suo padre, organista della parrocchia di Kostelec, e successivamente studiò forse al Clementinum, all'epoca importante seminario gesuita a Praga. Probabilmente anche studiò e cantò come tenore sotto la guida del compositore e organista Bohuslav Matej Cernohorský presso la chiesa minorita di San Giacomo. Successivamente Tůma si recò a Vienna, dove fu prima musicista da chiesa e successivamente nel 1722 diventò vice-Kapellmeister (vice-maestro di cappella). Nell'aprile del 1729 il suo nome appare per la prima volta in una registrazione a Vienna, con la quale venne attestata la nascita di un suo figlio.
Nel 1731 divenne Compositor und Capellen-Meister al servizio del conte Franz Ferdinand Kinsky, il quale era gran cancelliere di Boemia. La protezione di Kinsky rese possibile per Tůma poter studiare contrappunto con Johann Joseph Fux a Vienna. Egli era già entrato precedentemente in contatto con il celebre compositore austriaco, precisamente il 28 agosto 1723, in occasione della prima rappresentazione della festa teatrale Costanza e Fortezza di Fux, alla quale partecipò assieme a Jiří Antonín Benda e Sylvius Leopold Weiss. Nel 1734 Kinsky raccomandò Tůma per la posizione di maestro di cappella della Cattedrale di Praga, ma tale raccomandazione giunse tardi e Tůma dovette rimanere al servizio di Kinsky sino alla morte di quest'ultimo, avvenuta nel 1741. In seguito nello stesso fu nominato Kapellmeister dell'imperatrice Elisabetta Cristina, vedova dell'imperatore Carlo VI; alla morte di costei nel 1750 Tůma ricevette una pensione.
Nei successivi 18 anni egli rimase a Vienna, dove fu attivo come compositore e come suonatore di viola da gamba bassa e tiorba; egli fu stimato sia dalla corte asburgica che dalla nobiltà e almeno un suo lavoro potrebbe essergli stato commissionato dall'imperatrice Maria Teresa. Dopo la morte della moglie avvenuta nel 1768 circa, Tůma visse nel monastero di Geras, ma durante la sua ultima malattia tornò nella capitale austriaca e morì nel convento Merciful Brethren a Leopoldstadt.
La musica di Tůma stilisticamente appartiene al tardo barocco. I suoi lavori sacri, i quali furono senz'altro conosciuti sia ad Haydn che a Mozart, erano noti dai contemporanei per la solidità della loro struttura e per il loro trattamento delicato sia del testo che del cromaticismo. La sua musica strumentale comprende sonate a tre e a quattro, sinfonie e partite, in gran parte per archi e basso continuo; alcuni di questi furono chiaramente pensati per un uso orchestrale.”
(In wikipedia.org)
2 ottobre 1704 nasce František Ignác Antonín Tůma, compositore ceco (morto nel 1774)
Ugo Brusaporco
Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.
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Ugo Brusaporco
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