“L’amico del popolo”, 22 agosto 2017

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

HOW I WON THE WAR (Come ho vinto la Guerra, Gran Bretagna, 1967) di Richard Lester, è basato sull'omonimo romanzo di Patrick Ryan. Sceneggiatura: Charles Wood. Fotografia: David Watkinò.Montaggio: John Victor-Smith. Musica: Ken Thorne. Con: Michael Crawford, John Lennon, Roy Kinnear, Lee Montague, Jack MacGowran, Michael Hordern, Jack Hedley, Karl Michael Vogler, Ronald Lacey, James Cossins, Ewan Hooper, Alexander Knox, Robert Hardy.

Goodbody è un giovane e zelante tenente dell'esercito britannico, del tutto sprovvisto di senso pratico. Nel corso della seconda guerra mondiale, applicando rigorosamente i regolamenti militari ed eseguendo alla lettera gli ordini dei superiori, egli guida inconsciamente alla morte i soldati del suo plotone. Dopo la vittoriosa conclusione della guerra, Goodbody, che ha ricevuto un'importante quanto immeritata decorazione, incontra a un convegno di reduci il solo superstite della sua compagnia: il "vigliacco", l'unico che è riuscito a sopravvivere. L'assurdità della guerra è raccontata da Lester con humour tranquillo, passando dal grottesco del racconto alla tragica realtà mostrata dagli spezzoni documentari. Nei panni del sopravvissuto un efficace John Lennon.

“Durante la Seconda guerra mondiale, l'ufficiale britannico Goodbody (Michael Crawford) esegue gli ordini dei suoi superiori senza riflettere e senza mai protestare. In questa maniera però, poco alla volta, condurrà il suo plotone a morte certa. Basato sull'omonimo romanzo di Patrick Ryan, Come ho vinto la guerra è un film tanto ambizioso quanto rischioso, che in fin dei conti vince la sfida (anche se con qualche piccola riserva) di riuscire a trattare la follia bellica in chiave ironica e surreale. Richard Lester sembra particolarmente ispirato in cabina di regia e riesce a imprimere alla sua pellicola un ritmo serrato e dinamico, ricostruendo un clima parodistico degno di nota: si ride molto e molto amaramente, riflettendo grazie a un taglio satirico pungente sulle grandi contraddizioni della guerra. Il leader dei Beatles John Lennon regala quella che potrebbe essere giudicata come l'interpretazione più calzante della sua carriera cinematografica, anche se la sfida attoriale è vinta da Michael Crawford, decisamente in parte e credibile. Peccato che a tratti il lavoro sembri perdere un po' di smalto e paia appiattirsi e riproporre situazioni grottesche meno efficaci: una volta ingranata la marcia migliore infatti, Come ho vinto la guerra si adagia per cercare di consolidarsi senza osare più di tanto, ma rimanendo comunque e complessivamente una pellicola originale e brillante”.

(Longtake)

“Ascoltate con beneficio di inventario i moralismi delle muse capellone, dei comici che si vergognano di far ridere”.

(Giovanni Grazzini)

“Nel 1966, John Lennon, in crisi esistenziale, deciso a lasciare i Beatles e a diventare un attore, va nella città di Almería per recitare in un film antimilitarista del regista Richard Lester, COME HO VINTO LA GUERRA. Antonio, un insegnante di inglese che usa le canzoni dei Beatles per le sue lezioni, decide di partire per conoscere Lennon, il suo idolo. Lungo il viaggio, incontra la giovane Belén, in fuga dalla oscura prigione in cui si sente rinchiusa dalla sua famiglia e dalla società. La ragazza ha appena 20 anni, ma porta su di sé tutto il peso del suo passato. Antonio e Belén si imbattono in Juanjo, sedicenne in piena ribellione giovanile, scappato di casa dopo un litigio con suo padre. Per i tre viaggiatori, Lennon è un simbolo di libertà e di speranza. La loro avventura diventa espressione di un Paese che sogna un futuro migliore, negli stessi luoghi e giorni in cui Lennon compose uno dei suoi brani più intimi: STRAWBERRY FIELDS FOREVER. Lo sfondo di Living is easy with eyes closed è la Spagna degli anni Sessanta: contraddittoria, grigia, sotto dittatura, con una generazione più anziana ancora condizionata dalla guerra civile, e con una generazione più giovane desiderosa di libertà morali e sociali. Questo contrasto si concentra soprattutto nel Sud della Spagna, per esempio nella poverissima provincia di Almería, dove le prime ondate del turismo di massa e le grandi produzioni cinematografiche straniere si scontrano con ritardi e limitazioni. In questo contesto, l’arrivo di John Lennon per partecipare alle riprese del film di Richard Lester Come ho vinto la guerra (How I won the war), illumina lo stato d’animo di una parte della popolazione giovanile, simboleggiando la libertà, una nuova morale e il progresso. Il John Lennon che arriva in Spagna è un soggetto in crisi. Ha appena pubblicato la canzone HELP! rivelatrice di questo suo stato problematico. Dubbioso sul futuro del suo gruppo, sperimentando con le droghe, sull’orlo del divorzio personale e professionale, Lennon vede nella città di Almería una possibilità di isolamento e di riflessione. Un periodo introspettivo durante il quale le canzoni rivelano un suo lato interiore fino ad allora sconosciuto, parlando di ricordi d’infanzia e delle sue recenti frustrazioni, molte delle quali originate dalle contraddittorie sfaccettature di un enorme successo.
Ma Lennon non è il protagonista di questa storia: è piuttosto una icona irraggiungibile, un simbolo... I protagonisti, in realtà, sono tre personaggi della Spagna degli anni Sessanta: un insegnante di Inglese esigente e vitale, il quale sospetta che le riforme sociali siano il risultato più di ambizioni personali che di programmi politici, una persona che si lascia travolgere dall’entusiasmo e dal desiderio; e due giovani che, in modi diversi, combattono contro prevaricanti frustrazioni sociali e contro l’idea che il loro destino possa essere deciso dagli altri. I tre personaggi rappresentano tre forme di ribellione all’ordine costituito. Non sono personaggi storici, ma soggetti anonimi che, conducendo battaglie personali, intime e coraggiose, contribuirono al cambiamento sociale del loro Paese. Sono loro i veri agenti di un cambiamento portato da eroi atipici, non tradizionali. La formula per ricreare questo periodo storico era partire da una prospettiva personale, dall’identificazione con eventi individuali dotati però di ampia risonanza. Alla fine, i veri eroi sociali sono sempre persone comuni in grado di superare aspettative e limiti”.

(Giffoni Film Festival 2014)

 

Una poesia al giorno

Las Cicatrices, di Piedad Bonnett

No hay cicatriz, por brutal que parezca,
que no encierre belleza.
Una historia puntual se cuenta en ella,
algún dolor. Pero también su fin.
Las cicatrices, pues, son las costuras
de la memoria,
un remate imperfecto que nos sana
dañándonos. La forma
que el tiempo encuentra
de que nunca olvidemos las heridas.

Le Cicatrici

Non c’è cicatrice, per quanto brutale paia,
che non racchiuda bellezza.
Una precisa storia si narra in essa,
un qualche dolore. Ma anche la sua fine.
Le cicatrici, allora, sono le cuciture
della memoria,
una finitura imperfetta che sana
danneggiandoci. La forma
che il tempo trova
di non dimenticare mai le ferite.

Piedad Bonnett è nata ad Amalfi (Antioquia, Colombia) nel 1951 e insegna letteratura presso l'Universidad de los Andes di Bogotá. “Las cicatrices” è tratta da “Explicaciones no pedidas” (Visor, 2011), Traduzione di Lucia Cupertino.

 

Un fatto al giorno

22 agosto 1559: Bartolomé de Carranza, arcivescovo spagnolo, viene arrestato per eresia. Figlio più giovane del nobile Pedro Carranza, nacque a Miranda de Arga, Navarra, nel 1503. Dal 1515 al 1520 studiò al Collegio di Sant'Eugenio do Alcalá de Henares sotto tutela di suo zio Sancho Carranza de Miranda. Nel 1520 entrò a far parte dell'Ordine Domenicano. Lo stesso anno si spostò nel convento di Benalaque, vicino a Guadalajara, dove completò gli studi di filosofia e iniziò a tenere corsi di Teologia. Grazie alle sue brillanti doti di teologo nel 1525 fu inviato al collegio di San Gregorio di Valladolid, diretto dal rettore Diego de Astudillo. Nel 1530 fu denunciato al Tribunale dell'Inquisizione per aver affermato che i poteri papali erano limitati e per aver sostenuto le tesi di Erasmo da Rotterdam. Il processo non ebbe però seguito, e nel 1533 si aggiudicò la cattedra dei vespri di Teologia. Nell'ottobre del 1536, alla morte di Diego de Astudillo, ottenne la prima cattedra di Teologia, mentre Melchor Cano entrò a occupare la sua vecchia cattedra dei vespri. Con quest'ultimo Bartolomé instaurò una lunga rivalità accademica. Nel 1539 fu inviato come rappresentante del suo ordine al capitolo generale a Roma, dove fu nominato Dottore in Teologia allo studium generale del Convento di Santa Maria sopra Minerva. Al ritorno a Valladolid assunse il ruolo di censore (cualificador) dei libri per l'Inquisizione. Nel 1540 fu nominato prima per la diocesi delle Isole Canarie e poi per quella di Cusco, ma rifiutò entrambe. Nel 1546 Carlo V scelse di inviarlo al Concilio di Trento.

(Wikipedia)

 

Una frase al giorno

“La mia vita è stata soltanto un lungo viaggio”.

(Carlo V d'Asburgo, 1500-1558, re di Spagna e imperatore del Sacro Romano Impero)

 

Un brano al giorno

The Beatles, Strawberry Fields Forever

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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web www.brusaporco.org