“L’amico del popolo”, 25 aprile 2018

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

LA LUNGA NOTTE DEL '43 (Italia, 1960) di Florestano Vancini. Sceneggiatura: Florestano Vancini, Ennio De Concini, Pier Paolo Pasolini, liberamente tratto dal racconto Una notte del '43, della raccolta Cinque storie ferraresi, libro con il quale Giorgio Bassani vinse il Premio Strega nel 1956. Fotografia: Carlo Di Palma. Montaggio: Nino Baragli. Musiche: Carlo Rustichelli. Con: Belinda Lee, Gabriele Ferzetti, Enrico Maria Salerno, Andrea Checchi, Gino Cervi, Loris Bazzocchi, Nerio Bernardi, Alice Clemens, Raffaella Carrà, Carlo Di Maggio, Isa Querio, Gabriele Toti, Cesare Martignoni, Nino Musco, Romano Ghini, Leonello Zanchi, Franco Cobianchi, Dario Bellini, Silla Bettini, Tullio Altamura.

La Lunga Notte del '43, di Florestano Vancini, 1960

In una Ferrara avvolta in un clima freddo, reso ancor più tetro dal fantasma di una guerra ormai persa, nel novembre del 1943 il dottor Pino Barilari, titolare dell'omonima farmacia presso la quale ha per anni lavorato prima che una malattia venerea lo consumasse riducendolo all'invalidità, dalla finestra della sua abitazione scruta la monotona vita cittadina, facendosi beffa di chiunque passi sotto il suo sguardo. La bella e giovane Anna, moglie di Barilari, incontra per caso Franco, suo spasimante prima dell'infelice matrimonio che la costringe ad una vita da reclusa. La fiamma tra i due si riaccende e Franco, scappato dopo l'8 settembre e costantemente a rischio di cadere nelle maglie del rastrellamento, pare sinceramente interessato alla conturbante Anna.
Sul corso principale di Ferrara, sotto gli occhi vigili di Barilari, si consuma una tragedia: l'inquietante e diabolico Carlo Aretusi, detto "Sciagura", ambisce a sostituire il federale fascista di Ferrara, console Mario Bolognesi, da lui ritenuto un imbelle burocrate. Attraverso un'imboscata ordita da Aretusi e portata a termine dal fido Vincenzi, Bolognesi viene eliminato.
Subito a Ferrara accorrono le squadre fasciste da altre città, inviate direttamente da Verona, dove si sta svolgendo il congresso costitutivo del Partito Fascista Repubblicano. Su indicazione di Aretusi vengono arrestati, come capri espiatori, alcuni antifascisti ferraresi e tra questi l'avvocato Villani, padre di Franco.
Gli antifascisti vengono fucilati nella notte resa fredda e deserta dal clima rigido, il coprifuoco ed il terrore, proprio davanti al muretto del Castello Estense e sotto gli occhi di Barilari, sveglio e davanti alla sua finestra, che assiste impotente prima al massacro e poi al ritorno di Anna, reduce da una notte passata con Franco.
Anna, consapevole che Barilari ha visto tutto, gli chiede di denunciare l'accaduto gridandogli in faccia il suo disprezzo e la sua felicità ritrovata nella nuova relazione; fugge poi da Franco per raccontargli che esiste un testimone dell'assassinio di suo padre, ma Franco prima la tratta con freddezza poi, davanti alla prospettiva di conoscere la verità, la scaccia.
Anna torna a casa sconvolta, giusto in tempo per scorgere che Aretusi ha fatto visita a suo marito. L'intento di "Sciagura" è di sapere se Barilari ha visto l'accaduto ma, forse per proteggere la moglie, l'ex farmacista nega. Anna, inconsapevole del drammatico colloquio fra i due, nota solo un cenno che Aretusi fa dalla strada a Barilari e, ritenendolo uno squallido gesto d'intesa, rifiuta di salire e cambia direzione. Solamente il farmacista che lavora con lei, e che da sempre ne è segretamente innamorato, tenta di dissuaderla dall'abbandonare la sua casa, ma ogni sforzo è inutile, e la bella signora Barilari se ne va per sempre, sentendosi delusa da tutti e sconfitta.
Anni dopo Franco, fuggito e poi sposatosi all'estero, torna a Ferrara e, preso atto della morte di Barilari sin da prima della fine della guerra, cerca invano Anna della quale nessuno sa più nulla. Incontra casualmente Aretusi proprio di fronte alla lapide che ricorda il sacrificio di suo padre e, davanti ai modi gentili dell'ex gerarca, risponde con altrettanta gentilezza stringendogli la mano. Quando la moglie gli chiede chi fosse quell'anziano, Franco risponde che era un capo del fascio locale ma che riteneva "non avesse mai fatto nulla di male". Franco continua a scegliere quindi di non sapere, rimanendo indifferente anche di fronte alla sua tragedia familiare e fugge, ancora una volta e forse per sempre, da Ferrara.

La Lunga Notte del '43, di Florestano Vancini, 1960

“Esordio di Florestano Vancini, dopo undici anni di documentari, La lunga notte del '43 costituisce uno dei film più importanti sull'Italia fascista. Vancini adattò il racconto di Giorgio Bassani, ispirato a un episodio reale, e portò sullo schermo una storia che tratta il dopo 8 settembre rappresentando non l'occupazione nazista, ma unicamente la guerra civile fra italiani. Il tema della Resistenza è solo accennato in una breve scena (ideata dallo stesso Vancini e curata nei dialoghi da Pier Paolo Pasolini): durante una discussione, alla decisione di Franco di fuggire in Svizzera viene contrapposta una soluzione alternativa, quella di reagire allo status quo. Come Bassani, anche Vancini sceglie di servirsi di minimi scarti dalla realtà storica. Questo gli permette di prendere le distanze dal dato di cronaca e di amplificare la valenza metastorica del racconto attraverso ulteriori elementi di finzione. Traducendo la complessa organizzazione di Bassani in una struttura narrativa più lineare, Vancini apporta significative modifiche: approfondisce la psicologia dei personaggi, conferendo spessore al ruolo di Anna; con una brusca ellissi introduce un epilogo che aggiorna gli eventi al 1960, dando un giudizio sulla Storia ancor più amaro e drammatico rispetto al modello letterario. In tal senso, simbolica è la figura di Pino Barilari, la cui infermità fisica e la cui omertà denunciano la deficienza morale e il conformismo di una borghesia infettata dal fascismo sin dalla fase iniziale della sua ascesa (non a caso la malattia di Pino è stata contratta ai tempi della marcia su Roma). Ma Vancini si spinge oltre e sviluppa questa denuncia con l'invenzione del personaggio di Franco: il suo rifiuto di conoscere la verità è il rifiuto della memoria da parte di una generazione che col fascismo stabilisce un rapporto di consenso passivo e di connivenza, incapace com'è di fare i conti con le responsabilità del passato.
Tutta la vicenda è immersa nell'atmosfera fosca e angosciosa di una Ferrara autunnale, in parte reale e in parte magistralmente ricostruita da Carlo Egidi negli studi De Paolis di Roma. Splendido l'uso della profondità di campo nella fotografia di Carlo Di Palma, che spesso agisce sui volti dei personaggi per sottolineare i momenti più drammatici. Di notevole effetto l'impiego di un allegro motivo di moda (Il barattolo di Gianni Meccia) che, con un forte cambio di registro, segna il balzo temporale al presente.
Nel 1960 La lunga notte del '43 venne presentato alla Mostra di Venezia, dove ricevette il Premio Opera Prima. Nel 1961 a Enrico Maria Salerno fu assegnato il Nastro d'argento quale miglior attore non protagonista. La critica dell'epoca per la maggior parte accolse il film con entusiasmo, elogiando le doti degli attori, in particolare di Belinda Lee, e sottolineando l'originalità e il coraggio della lettura storico-politica. Alcuni critici giudicarono però ridondante la vicenda d'amore tra Anna e Franco. Oggi, riconosciuta l'importanza dell'opera, si può rilevare come già in La lunga notte del '43 fosse delineato con lucida maturità il grande tema vanciniano del valore della coscienza individuale e della memoria critica del passato, che sarebbe stato sviluppato in alcuni tra i film più significativi del regista (La banda Casaroli, 1962; Le stagioni del nostro amore, 1966; Bronte: cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato, 1972; Il delitto Matteotti, 1973).”

(Loris Lepri - Enciclopedia del Cinema, 2004, Treccani)

La Lunga Notte del '43, di Florestano Vancini, 1960

 

Una poesia al giorno

Sonetto VIII, di Louise Labé soprannominata La Belle Cordière, per essere figlia di un cordaio (Lione, 1524 circa - Parcieux, 15 febbraio 1566)

Io vivo, io muoio; io brucio e annego.
Ho molto caldo mentre soffro il freddo;
la vita mi è troppo dolce e troppo dura;
ho una grande tristezza mescolata di gioia.
Rido e piango nello stesso momento,
e nel mio piacere soffro molti grandi tormenti;
la mia felicità se ne va, e mai dura;
nello stesso momento sono secca e lussureggiante.
Così Amore mi conduce incostante;
e quando io penso di essere nel maggior dolore
all’improvviso mi trovo fuori da ogni pena.
Poi quando credo la mia gioia essere certa
e che sono nel punto più alto della mia desiderata felicità
ritorno nella mia sventura precedente.

Je vis, je meurs: je me brule et me noye.
J’ay chaut estreme en endurant froidure:
La vie m’est et trop molle et trop dure.
J’ay grans ennuis entremeslez de joye:
Tout à un coup je ris et je larmoye,
Et en plaisir maint grief tourment j’endure:
Mon bien s’en va, et à jamais il dure:
Tout en un coup je seiche et je verdoye.
Ainsi Amour inconstamment me meine:
Et quand je pense avoir plus de douleur,
Sans y penser je me treuve hors de peine.
Puis quand je croy ma joye estre certeine,
Et estre au haut de mon desiré heur,
Il me remet en mon premier malheur.

Scultura raffigurante Louise Labé (Lione, 1524 circa - Parcieux, 15 febbraio 1566) 

Louise Labé nasce Louise Charly, presumibilmente nel 1524 a Lione (Francia), da Pierre Charly ed Etienne Royber. Il nome Labé deriva dal fatto che il padre in prime nozze aveva sposato una vedova di un artigiano cordaio di nome Labé e che quindi per una questione di marchio questo nome resterà non solo per definire l’azienda ma anche come riferimento della famiglia, tanto che Louise lo prenderà come nomignolo.
Sia per l’attività redditizia di cordaio sia per aver ereditato diversi patrimoni nei suoi numerosi matrimoni, il padre Pierre diviene benestante e permette a Louise e alla numerosa famiglia di vivere una vita agiata.
Louise ha una buona educazione letteraria, una formazione ampia nei classici e nell’umanesimo italiano: impara il latino, lo spagnolo, l’italiano, l’arte del ricamo, la musica, e frequenta inoltre la scuola di scherma e la scuola di equitazione dei fratelli.

Louise Labé (Lione, 1524 circa - Parcieux, 15 febbraio 1566)

È tanto coinvolta nelle arti marziali e nell’equitazione che è solita partecipare ai tornei vestita da uomo, tale che anche il suo cavalcare è di stile maschile.
Sembra che partecipi, sempre vestita in abiti maschili, alla battaglia di Perpignan, accanto a Enrico II, con il nome di “Capitano Loys”.
Ancora giovane conosce poeti e scrittori della sua città, diventando un riferimento mondano nei salotti di Lione, per il suo fascino, per la sua cultura e per il suo amore per la poesia. Seduttrice, ama, è riamata, è ricercata, è corteggiata, si concede, vive la sua vita con serena trasgressione.
Nel 1545 sposa un cordaio benestante, Ennemond Perrin, con almeno venticinque anni più di lei.
Realizza nella sua ricca casa di Lione un vero e proprio laboratorio letterario “bureau d’esprit”, che diviene il punto d’incontro della società più distinta e più letterata, viene soprannominata «La Belle Cordière» (la bella cordiera) per essere figlia e moglie di un cordiere.
Artisti, avvocati, letterati e uomini di cultura, e ricchi italiani figurano come ospiti abituali, tra i quali alcuni come amanti, di questo cenacolo, come Maurice Scève, Claude de Taillemont, Antoine du Moulin, Guillaume Aubert, Jean-Antoine de Baïf, Pontus de Tyard, Jacques Pelletier du Mans, Olivier de Magny, Luigi Francesco Alamani, Antoine Fumée, e infine il suo avvocato e amico fiorentino Fortini.
L’ulteriore agiatezza, specialmente dopo la morte del marito nel 1556, le permette di vivere una vita di lusso e piacere, di spregiudicatezza e di libertinaggio tanto che spesso è additata (specialmente da ex-amanti o da uomini respinti, o gente invidiosa) come donna licenziosa, per la sua vita piena di amori, veri o presunti.
Scrive fin dal 1547, prima una opera in prosa e poi numerose poesie nello stile rinascimentale di allora.

Louise Labé (Lione, 1524 circa - Parcieux, 15 febbraio 1566)Si conosce poco della sua vita, se non le sue opere, tanto che alcuni critici hanno rappresentato Louise in diversi modi: oltre che scrittrice, ora cortigiana, ora cavaliere, lesbica, prostituta, alimentando uno strano mistero su questa figura. Le poche notizie sulla sua esistenza ha indotto letterati a molte congetture, tanto che dopo la morte alcuni critici del XVI secolo, hanno pensato a lei come ad un personaggio inventato per goliardia dal gruppo letterario di Lione, tesi questa ripresa anche qualche anno fa (2006) da Mireille Huchon, docente ginevrina, che ipotizza tutta la storia come una finzione elaborata da alcuni poeti dell’epoca del gruppo di Maurice Scève, ovvero che Louise Labé non sia altro che una creazione immaginaria, una sorta di “creature del papier”.
Ovviamente il mondo della cultura, tra le quali la più violenta quella di Marc Fumaroli dall’ “Accadémie Francaise”, ha reagito immediatamente, contestando in modo deciso questa tesi.
Già nel 2005, in occasione del compimento dei quattro secoli e mezzo dall’uscita dell’opera, Louise ha ricevuto la consacrazione universitaria ufficiale accanto ai grandissimi nomi maschili, con l’inserimento del suo nome nel programma di “Agrégation de Lettres Modernes”, confermando la traccia indelebile, nella cultura francese, delle sue opere.
Gravemente malata si ritira nella casa di campagna di Parcieux, e dopo aver fatto testamento delle sue rilevanti ricchezze, favorendo i poveri e le giovani madri, muore il 15 febbraio 1565”.

(Con altre poesie in: donnedipoesia.wordpress.com)

 

Un fatto al giorno

25 aprile 1945: anniversario della liberazione d'Italia. “L'anniversario della liberazione d'Italia (anche chiamato festa della Liberazione, anniversario della Resistenza o semplicemente 25 aprile) è una festa nazionale della Repubblica Italiana che ricorre il 25 aprile di ogni anno. È un giorno fondamentale per la storia d'Italia ed assume un particolare significato politico e militare, in quanto simbolo della vittoriosa lotta di resistenza militare e politica attuata dalle forze partigiane durante la seconda guerra mondiale a partire dall'8 settembre 1943 contro il governo fascista della Repubblica Sociale Italiana e l'occupazione nazista”.

(it.wikipedia.org)

25 aprile 1945: anniversario della liberazione d'Italia

 

Una frase al giorno

“Voi, nella vostra stolta malvagità, detestate la solerzia delle mosche, perché con il loro proposito di ricerca filosofica non vi permettono in nessun momento di restare oziosi? O pigri e lenti, che a stento anche con il pungolo la mosca riesce a spingere all'azione, imparate i buoni costumi dalla solerte mosca, maestra di virtù!”

(Leon Battista Alberti, Genova, 18 febbraio 1404 - Roma, 25 aprile 1472, architetto, scrittore, matematico, umanista, crittografo, linguista, filosofo, musicista e archeologo italiano; fu una delle figure artistiche più poliedriche del Rinascimento)

Leon Battista Alberti (Genova, 18 febbraio 1404 - Roma, 25 aprile 1472)

25 Aprile 1472 muore Leon Battista Alberti.

 

Un brano musicale al giorno

Giovanni Marco Rutini, Sonata da Cimbalo e violino obbligato op. 14. n. 1: primo movimento. Riccardo Mascia al clavicembalo, Renata Sfriso al violino.

Giovanni Marco Rutini, anche Giovanni Maria o Giovanni Placido, nasce a Firenze, il 25 aprile 1723 e vi muore il 22 dicembre 1797. Il R. studiò probabilmente a Napoli presso il Conservatorio di S. Onofrio. Durante la sua carriera, varia come quella di tanti Italiani del tempo, egli ebbe modo d'illustrarsi non soltanto quale insegnante e virtuoso, ma anche quale compositore, e d'altra parte questa fama ci risulta dovuta - se esaminiamo le sue musiche - non a contingenze ma ad intrinseci valori d'arte.

(Gastone Rossi Doria, Enciclopedia Italiana, 1936)


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k