“L’amico del popolo”, 27 novembre 2020

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno IV. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

VERDUN, VISIONS D'HISTOIRE (Francia, 1928), regia di Léon Poirier. Scritto da Léon Poirier. Musiche: André Petiot. Fotografia: Georges Million. Cast: Albert Préjean nel ruolo del soldato francese. Jeanne Marie-Laurent come la madre. Suzanne Bianchetti come la moglie. Hans Brausewetter nel ruolo del soldato tedesco. Thomy Bourdelle come ufficiale tedesco. Pierre No come il ragazzo. Maurice Schutz come il maresciallo dell'impero. Antonin Artaud come intellettuale. Daniel Mendaille nel ruolo del marito. Philippe Pétain nel ruolo di Philippe Pétain.

1916, un giovane soldato francese (Albert Préjean) annuncia alla sua famiglia il suo desiderio di partire sul fronte di Verdun. Alcuni giorni dopo, i primi colpi di cannoni suonano nel cielo di Meusien. Dal 21 febbraio al 15 dicembre 1916, i combattimenti infuriano. Il Bois des Caures, i forti di Vaux, Souville e Douaumont sono altrettanti campi di battaglia dove i combattenti di ogni campo cadono a centinaia. Il nostro soldato francese serve da testimone di questi eventi spaventosi che saranno punteggiati dalla vittoria di Pétain...

VERDUN, VISIONS D'HISTOIRE (Francia, 1928), regia di Léon Poirier

“Un DVD più unico che raro, che contiene una ricostruzione dell’intera battaglia di Verdun, realizzata nel 1928 dal cinema muto francese. In ben 130 minuti di lungometraggio ci viene dunque riproposta, in ogni sua fase saliente, l’intera serie di scontri che devastarono Verdun ed il suo circondario, dal febbraio al novembre 1916.
A molte scene realizzate negli studi cinematografici di allora, e che costruiscono l’intera struttura narrativa del film, si alternano documenti originali dell’epoca, rendendo ancor più godibile il prodotto finale. Si tratta certamente di un prodotto di propaganda, focalizzato sulla “grandeur” francese e sull’estremo coraggio dei propri soldati, che riuscirono a vanificare ogni proposito tedesco di ulteriore invasione, in direzione di Parigi. Tuttavia, è senza dubbio raro poter scovare queste vere e proprie perle della memoria cinematografica/bellica, restaurate e proposte al grande pubblico in una pregevolissima digitalizzazione che ci aiuta a conservarne tutto l’inestimabile valore culturale e storico.
Ogni scena, come dicevo poc’anzi, tratta avvenimenti chiave dell’intera offensiva tedesca, voluta da Eric von Falkenhayn per “dissanguare la Francia” nel 1916. Dall’attacco del 21 febbraio alla presa di Fort Douamont, e dall’uso dei lanciafiamme all’eroica resistenza fino all’ultima goccia d’acqua del colonnello Raynal, la battaglia più cruenta e sanguinosa di tutta la Grande Guerra si svolge e riprende vita sotto ai nostri occhi, certamente avidi di qualsiasi buona ricostruzione di questo genere. Non manca neanche l’episodio dell’eroico piccione viaggiatore, lanciato da Fort Vaux per chiedere rinforzi!”

(In www.lagrandeguerra.net)

VERDUN, VISIONS D'HISTOIRE (Francia, 1928), regia di Léon Poirier

 

Il 27 novembre 1885 nasce Daniel Mendaille, attore francese (morto nel 1963)

 

Una poesia al giorno

SONNET, di Frances Anne Kemble

Cover me with your everlasting arms,
Ye guardian giants of this solitude!
From the ill-sight of men, and from the rude,
Tumultuous din of yon wild world’s alarms!
Oh, knit your mighty limbs around, above,
And close me in for ever! let me dwell
With the wood spirits, in the darkest cell
That ever with your verdant locks ye wove.
The air is full of countless voices, joined
In one eternal hymn; the whispering wind,
The shuddering leaves, the hidden water springs,
The work-song of the bees, whose honeyed wings
Hang in the golden tresses of the lime,
Or buried lie in purple beds of thyme.

Sonetto (traduzione di Ugo Brusaporco)

Coprimi con le tue braccia eterne,
Giganti guardiani di questa solitudine!
Dalla cattiva vista degli uomini, e dal maleducato,
Tumultuoso frastuono degli allarmi del mondo selvaggio!
Oh, intreccia le tue possenti membra intorno, sopra,
E chiudimi in eterno! Lasciami dimorare
Con gli spiriti del legno, nella cella più buia
Che mai con le tue chiome verdi tessevi.
L'aria è piena di innumerevoli voci, unite
In un inno eterno, il vento che sussurra,
Le foglie tremanti, le sorgenti d'acqua nascoste,
Il canto delle api, le cui ali mielate
Appendono nelle trecce d'oro del tiglio,
O sepolte in letti viola di timo.

 

Fanny Kemble nel 1833, dipinta da Thomas Sully nei panni di Bianca

 

“Frances Anne Kemble detta Fanny (Londra, 27 novembre 1809 - Londra, 15 gennaio 1893), appartenente alla famosa famiglia teatrale Kemble, celebre attrice teatrale e scrittrice inglese di epoca vittoriana. Le è stato dedicato il cratere Kemble su Venere.
Nata a Londra il 27 novembre 1809 dall'attore-impresario Charles Kemble, venne educata in Francia. La sua prima apparizione in un teatro fu il 26 ottobre 1829 quando recitò la parte di Giulietta al Royal Opera House. Da quel momento recitò tutte le parti più importanti, fra cui Julia nell'opera The Hunchback di James Sheridan Knowles. Nel 1834 lei si ritirò dalle scene per sposare il ricco proprietario terriero Pierce Butler, nipote dell'omonimo politico statunitense, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti d'America. È morta a Londra nel 1893”.

(In wikipedia.org)

“Nel 1834, Kemble sposò un americano, Pierce Mease Butler, nipote del senatore U.S. Pierce Butler, che aveva incontrato in un tour di recitazione americana con suo padre nel 1832. Dopo aver vissuto a Filadelfia per un certo periodo, Butler divenne erede delle piantagioni di cotone, tabacco e riso di suo nonno sull'isola di Butler, appena a sud di Darien, in Georgia, e delle centinaia di schiavi che li lavoravano. Fece viaggi nelle piantagioni durante i primi anni del loro matrimonio, ma non portò mai Kemble o i loro figli con lui. Su insistenza di Kemble, finalmente trascorsero lì l'inverno del 1838-1839 e Kemble tenne un diario delle sue osservazioni, condite con forza dal sentimento abolizionista.

Butler disapprovò la schiettezza di Kemble, vietandole di pubblicare. La reazione crebbe violentemente e Kemble tornò in Inghilterra con le sue due figlie. Butler chiese il divorzio nel 1847, dopo che erano stati separati per qualche tempo, citando l'abbandono e il misfatto di Kemble. Lei rornò al teatro e visitò le principali città degli Stati Uniti, dando letture di successo di opere di Shakespeare. Le sue memorie circolarono nei circoli abolizionisti americani, ma aspettò fino al 1863, durante la guerra civile americana, per pubblicare il suo Journal of a Residence in una piantagione georgiana nel 1838-1839. È diventato il suo lavoro più noto negli Stati Uniti: ha pubblicato diversi altri volumi di riviste.

Nel 1877 tornò in Inghilterra con la sua seconda figlia e il genero. Viveva a Londra ed era attiva nella società, facendo amicizia con lo scrittore Henry James. Nel 2000, la Harvard University Press ha pubblicato una compilation editata dalle sue riviste. Questi includevano Record of a Girlhood (1878) e Records of Later Life (1882).

Fanny Kemble by Thomas Sully, 1834

Membro della famosa famiglia teatrale Kemble, Fanny era la figlia maggiore dell'attore Charles Kemble e di sua moglie, nata a Vienna, l'ex Marie Therese De Camp. Era la nipote della famosa tragedienne Sarah Siddons e del famoso attore John Philip Kemble. Sua sorella minore era la cantante d'opera Adelaide Kemble. Fanny nacque a Londra e studiò principalmente in Francia. Nel 1821, Fanny Kemble partì per il collegio di Parigi per studiare arte e musica come si addiceva alla bambina della famiglia artistica più celebrata in Inghilterra in quel momento.

Oltre aq dedicarsi alla letteratura e alla società, fu alla Mrs Lamb’s Academy in Rue d'Angoulême, negli Champs Elysées, che Fanny ricevette la sua prima vera occasione personale sul palcoscenico, esibendosi in letture per i genitori degli studenti durante il periodo scolastico. Da adolescente, Kemble ha trascorso del tempo a studiare letteratura e poesia, in particolare l'opera di Lord Byron.

Una delle sue insegnanti era Frances Arabella Rowden (1774 - c. 1840), che era stata associata alla Reading Abbey Girls' School da quando aveva 16 anni. Rowden era un insegnante coinvolgente, con un particolare entusiasmo per il teatro. Non era solo una poetessa, ma secondo Mary Russell Mitford, "aveva il talento di fare poetesse dei suoi allievi" Nel 1827, Kemble scrisse la sua prima commedia in cinque atti, Francesco il Primo. Fu accolto con il plauso della critica da più giornali. Critici ottocenteschi hanno scritto che la sua scrittura "mostra così tanto spirito e originalità, così tanto delle vere qualità che sono richieste nella composizione drammatica, che può ragionevolmente stare sul proprio valore intrinseco, e che l'autore può sfidare senza paura un confronto con qualsiasi altro drammaturgo moderno."

Il 26 ottobre 1829, all'età di 20 anni, Kemble apparve per la prima volta sul palco come Giulietta in Romeo e Giulietta al Covent Garden Theatre, dopo sole tre settimane di prove. La sua personalità attraente la rese subito una grande favorita, e la sua popolarità permise a suo padre di recuperare le sue perdite come manager. Interpretò tutti i principali ruoli femminili del tempo, in particolare Portia e Beatrice di Shakespeare (Molto rumore per nulla), e Lady Teazle in The School for Scandal di Richard Brinsley Sheridan. Kemble non amava l'artificialità della celebrità in generale, ma apprezzava lo stipendio che accettava per aiutare la sua famiglia nei loro frequenti problemi finanziari.

Nel 1832, Kemble accompagnò suo padre in un tour teatrale negli Stati Uniti. Mentre era a Boston nel 1833, si recò a Quincy per assistere alla tecnologia rivoluzionaria della prima ferrovia commerciale negli Stati Uniti. Aveva già accompagnato George Stephenson in una prova del Liverpool e Manchester, prima della sua apertura in Inghilterra, e descritto questo in una lettera scritta all'inizio del 1830. La Granite Railway era tra le tante attrazioni che ha registrato nel suo diario.

Kemble tornò a recitare come solista, iniziando il suo primo tour americano nel 1849. Durante le sue letture si è concentrata sulla presentazione di opere di Shakespeare, anche se a differenza di altre sue colleghe ha insistito nel rappresentare un suo intero programma, costruendo il suo repertorio intorno a 25 delle sue opere. Si è esibita in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, concludendo la sua carriera come performer solista nel 1868.

Nel 1834, Kemble si ritirò dal palcoscenico per sposare il 7 giugno un americano, Pierce Mease Butler. Anche se si incontrarono e vissero a Filadelfia, Butler era il nipote di Pierce Butler, un padre fondatore ed erede di una grande fortuna in piantagioni di cotone, tabacco e riso. Quando le figlie della coppia, Sarah e Frances, nacquero, Butler aveva ereditato tre delle piantagioni di suo nonno sull'isola di Butler, appena a sud di Darien, in Georgia, e le centinaia di persone che erano schiavizzate sul’isola.

La famiglia visitò la Georgia durante l'inverno del 1838-1839, dove vissero nelle piantagioni di Butler e St. Simons, in condizioni primitive rispetto alla loro casa a Filadelfia. Kemble fu scioccata dalle condizioni di vita e di lavoro degli schiavi e dal loro trattamento da parte dei supervisori e dei manager. Ha cercato di migliorare le cose, lamentandosi con il marito sulla schiavitù e sui bambini schiavi di razza mista attribuiti al supervisore, Roswell King, Jr.

Le tensioni coniugali emersero quando la famiglia tornò a Filadelfia nella primavera del 1839. A parte i loro disaccordi sul trattamento degli schiavi nelle piantagioni di Butler, Kemble era "amareggiata e imbarazzata" dalle infedeltà coniugali di Butler. Butler minacciò di negare a Kemble l'accesso alle loro figlie se avesse pubblicato le sue osservazioni sulle piantagioni. Nel 1845-1847, il matrimonio era fallito irrimediabilmente e Kemble tornò in Europa.

Nel 1847, Kemble tornò sul palco negli Stati Uniti, perché aveva bisogno di guadagnarsi da vivere. Seguendo l'esempio di suo padre, è apparsa con successo come lettrice shakespeariana, piuttosto che recitare in opere teatrali. Ha girato gli Stati Uniti. La coppia subì un lungo e amaro divorzio nel 1849, con Butler che mantenne la custodia delle loro due figlie. A quel tempo, con il divorzio raro, al padre era assegnata abitualmente la custodia retaggio di una società patriarcale. A parte brevi visite, Kemble non si riunì con le sue figlie fino a quando non raggiunsero l'età di 21 anni.

Il suo ex marito sperperò una fortuna stimata in 700.000 dollari, ma fu salvato dalla bancarotta da una vendita il 2-3 marzo 1859 di 436 persone che teneva in schiavitù. La Great Slave Auction, all'ippodromo di Ten Broeck fuori Savannah, Georgia, è stata la più grande asta di schiavi nella storia degli Stati Uniti. In quanto tale, era coperto da giornalisti nazionali.

Dopo la guerra civile americana, Butler cercò di gestire le sue piantagioni con il lavoro libero (la Contract Labor Law del 1864 rendeva possibile assumere lavoratori stranieri che si impegnavano a fornire un anno di lavoro gratuito in cambio dei costi dell'emigrazione), ma non riuscì a realizzare un profitto. Morì di malaria in Georgia nel 1867. Né Butler né Kemble si risposarono.

Il successo di Kemble come lettrice shakespeariana le permise di acquistare una casa a Lenox, Massachusetts. Nel 1877, tornò a Londra per unirsi alla figlia minore Frances, che si era trasferita lì con il marito e il figlio britannici. Usando il suo nome da nubile, Kemble visse lì fino alla sua morte. Durante questo periodo fu una figura di spicco e popolare nella società londinese, e divenne una grande amica dello scrittore americano Henry James durante i suoi ultimi anni. Il suo romanzo, Washington Square (1880), era basato su una storia che Kemble gli raccontò su uno dei suoi parenti.

Kemble ha scritto due opere teatrali, Francesco il primo (1832) e La stella di Siviglia (1837). Ha anche pubblicato un volume di poesie (1844). Pubblicò il primo volume delle sue memorie, Journal, nel 1835, poco dopo il suo matrimonio. Nel 1863 pubblicò un altro volume sia negli Stati Uniti che in Gran Bretagna. Intitolato Journal of a Residence on a Georgian Plantation nel 1838-1839, includeva le sue osservazioni sulla schiavitù e sulla vita nella piantagione meridionale di suo marito nell'inverno del 1838-1839. Contiene il più antico uso scritto conosciuto della parola "vegetariano": "La vista e l'odore della carne cruda sono particolarmente odiosi per me, e ho spesso pensato che se avessi dovuto essere il mio cuoco, avrei inevitabilmente dovuto diventare vegetariana, probabilmente, anzi, tornare interamente ai miei giorni di verdure e insalate."

Dopo essersi separata da Butler nel 1840, Kemble viaggiò in Italia e scrisse un libro in due volumi su questa volta, A Year of Consolation (1847).

Nel 1863 Kemble pubblicò anche un volume di opere teatrali, tra cui traduzioni da Alexandre Dumas, père e Friedrich Schiller. Queste furono seguite da ulteriori memorie: Records of a Girlhood (1878); Records of Later Life (1882); Far Away and Long Ago (1889) e Further Records (1891). Le sue varie reminiscenze contengono molto materiale prezioso sulla storia sociale e teatrale del periodo. Ha anche pubblicato Notes on Some of Shakespeare’s Plays (1882), basato su una lunga esperienza nella recitazione e nella lettura delle sue opere.”

(Traduzione di Ugo Brusaporco con aggiunte da wikipedia.org)

 

 
Un fatto al giorno

27 novembre 1835: James Pratt e John Smith vengono impiccati a Londra; sono gli ultimi due ad essere giustiziati per sodomia in Inghilterra.

Gli ultimi due uomini colpiti da esecuzione in Gran Bretagna per sodomia, James Pratt e John Smith, sono stati arrestati il 29 agosto a Londra dopo essere stati spiati mentre avevano un rapporto sessuale in una stanza privata, sono stati impiccati il 27 novembre.

“Gli ultimi due inglesi giustiziati per sodomia si chiamavano James Pratt e John Smith. Si erano appartati nella camera di una locanda londinese, il cui padrone insospettito prima li aveva spiati, poi aveva fatto irruzione. Che fossero adulti (39 e 29 anni), consenzienti e in privato, non era una attenuante. Charles Dickens, allora giovane giornalista, li vide nel carcere di Newgate, pallidi e inquieti, mentre aspettavano di essere impiccati, il che avvenne pubblicamente, il 27 novembre 1835.

Caduta in disuso, la condanna a morte per quel reato fu abolita nel 1861, e di quello che sul Continente veniva chiamato le vice anglais la Gran Bretagna non si occupò più fino a quando un deputato progressista definì il reato in un emendamento alla legge contro i rapporti tra uomini e fanciulle minorenni. Ogni atto di gross indecency tra soggetti maschi, comunque e dovunque commessi, divenne punibile con un massimo di due anni di carcere con o senza lavoro duro.

Era il 1885, e la legge, la cui prima vittima illustre fu, dieci anni dopo, Oscar Wilde, sarebbe rimasta sostanzialmente in vigore fino agli anni 1960. Perciò è una interessante «trouvaille» il romanzo del 1889, riesumato da un professore americano, il quale commentandolo lo definisce il primo trattamento di un caso di omosessualità nella letteratura inglese. Il romanzo si intitola A Marriage Below Zero, «Matrimonio sotto zero» (a cura di Richard A. Kaye, Broadview Press), e l'autore, che si celò sotto lo pseudonimo di Alan Dale, era in realtà tale Alfred J. Cohen, critico teatrale e drammaturgo discretamente brillante, non ancora trentenne e attivo a New York da qualche anno. Sì, perché il romanzo, benché scritto da un inglese e ambientato a Londra, uscì in America, dove ebbe successo ma non fino al punto di incoraggiare un editore britannico a importarlo.

A Marriage Below Zero, di Alan DaleOggi è difficile rendersi conto della sua audacia, peraltro confermata da non poche reazioni del tempo. Eppure Dale-Cohen aveva preso precauzioni, evitando qualsiasi dettaglio pruriginoso, e adottando uno stile di narrazione faceto, da commedia leggera. Ma riassumiamo. Narra in prima persona una donna, Elsie, che all' epoca dei fatti era una debuttante in società. Figlia unica di madre vedova, Elsie aveva incontrato i primi giovanotti solo a diciott'anni, restando delusa dalla loro frivolezza e inconsistenza. In seguito avrebbe imparato che alle donne gli uomini dicono sciocchezze, mentre tra loro i rapporti sono ben diversi; ma allora la colpì il solo che invece di farle la corte con smancerie le parlava come a una persona normale. Elsie non notò allora che questo attraente Arthur era emarginato dai suoi coetanei, tra i quali frequentava solo un amico, tale capitano Dilligton. Bene. Arthur chiede la mano di Elsie, la ottiene, i due vanno a vivere in campagna. Ma la prima notte Arthur lascia sola la sposa con un pretesto, e il giorno dopo ricompare con un ospite, il capitano Dilligton, che rimane per una settimana. Tutte le sere Arthur e il capitano giocano a scacchi fino a quando Elsie, frustrata, non si è ritirata nelle sue stanze. Anche in seguito Arthur evita qualunque contatto con la moglie. Alla lunga Elsie si convince che Arthur abbia una amante, lo fa seguire, lo sorprende a conversare col capitano in un appartamento che Arthur ha preso a Londra. Tornato all'ovile, Arthur parte per una vacanza con Elsie a New York. Ma qui pur dopo un soggiorno piacevole non resiste, e scappa per rientrare a Londra col capitano, che li ha seguiti di nascosto. Elsie a questo punto si rassegna. Arthur sparisce, e anni dopo Elsie apprende che è coinvolto in uno scandalo a Parigi. Sempre innamorata, si precipita a cercare di salvarlo, ma lo trova suicida nel suo alberghetto. Fine. Tutto ciò può sembrarci piuttosto innocente, e certe recensioni dell'epoca che tuonarono contro le oscenità esposte da Dale ci fanno sorridere. Ma era materia rovente. Proprio del 1889 è lo scandalo di Cleveland Street, quando fece scalpore la scoperta di un bordello maschile frequentato da aristocratici prima che ogni cosa fosse messa a tacere. E quanto alla prudenza di Elsie, che pur abbandonata dal marito non ha chiesto il divorzio per colpa di lui, noteremo che poco dopo, nei primi anni 1890, quando la moglie di Lord Russell, fratello del futuro filosofo Bertrand, tentò di liberarsi del coniuge descrivendolo come omosessuale, il giudice trovò l'accusa talmente mostruosa e inconcepibile da condannare su due piedi la signora per tentata diffamazione.”

(Masolino D’Amico per “la Stampa” in www.dagospia.com)

 

Una frase al giorno

"Forse, mamma, ma di chi è la colpa? Da chi l'ho ereditato? Da te, certo, o da papà?"

(da Effi Briest, di Theodor Fontane)

 

Elisabeth von Ardenne (1853-1952), nata Elisabeth von PlothoIl personaggio di Effi Briest è ispirato a Elisabeth von Ardenne (1853-1952), nata Elisabeth von Plotho il 26 ottobre 1853, ultima di cinque figli. Dopo la prematura scomparsa del padre nel 1864, conobbe il futuro marito Léon Armand von Ardenne (1848-1919). Sembra che l'adolescente Elisabeth, che aveva ricevuto da allora il soprannome di "Else", abbia dimostrato inizialmente scarso interesse per il giovane, che era di cinque anni più vecchio di lei. Tuttavia la sua opinione mutò nel corso della guerra franco-prussiana durante la quale Ardenne era stato ferito. Elisabeth von Plotho e Léon von Ardenne annunciarono il loro fidanzamento il 7 febbraio 1871 e si sposarono il 1º gennaio 1873.

La coppia, nell'estate del 1881, si trasferì a Düsseldorf, ove iniziò un rapporto di amicizia con il giudice Hartwich Emil (1843-1886). Hartwich, che aveva anche un'ottima reputazione come pittore, è stata la sofferenza e la causa del loro matrimonio infelice. Egli e la giovane Elisabeth von Ardenne, che era dieci anni più giovane di lui, avevano molte cose in comune, come l'amore per il teatro. La corrispondenza tra Hartwich e Ardenne non cessò quando egli ritornò a Berlino, il 1º ottobre 1884, con la moglie e i due bambini nati nel frattempo.

Hartwich continuò a visitare sporadicamente Elisabeth e suo marito anche dopo la partenza della coppia. Nell'estate del 1886, durante un suo soggiorno a Berlino, lui ed Elisabeth decisero di divorziare dai rispettivi coniugi e sposarsi tra loro. Ardenne, però, aveva segretamente nutrito sospetti che furono confermati quando trovò le lettere che la moglie e Hartwich si erano scambiati nel corso di diversi anni. Chiese il divorzio e sfidò il rivale a duello, che ebbe luogo il 27 novembre 1886. Hartwich riportò ferite gravi e morì quattro giorni dopo. Anche se Armand von Ardenne era stato inizialmente condannato a due anni di carcere, la sua reclusione venne poi ridotta a solo diciotto giorni di detenzione. Il divorzio si concluse il 15 marzo 1887, con Armand von Ardenne che ottenne la piena custodia dei loro due figli.

Negli anni successivi, Elisabeth von Ardenne si dedicò alla cura delle persone svantaggiate o disabili. Il suo nome venne, sia pur temporaneamente, cancellato dalle cronache della sua famiglia. Nel 1904, la figlia di Elisabeth, Margot, fu la prima a fare un tentativo per rintracciare la madre rinnegata. Il figlio Egmont la incontrò invece solo cinque anni dopo. Elisabeth von Ardenne si ricongiunse con i suoi figli dopo due decenni di separazione. Il suo ex marito morì nel 1919, all'età di 71 anni. Elisabeth von Ardenne morì il 4 febbraio 1952, a Lindau, all'età di 98 anni e fu sepolta in un Ehrengrab a Berlino. Lo scienziato Manfred von Ardenne era suo nipote.”

(In wikipedia.org)

27 novembre 1886: il giudice tedesco Emil Hartwich subisce ferite mortali in un duello, che sarebbe diventato lo sfondo per Effi Briest di Theodor Fontane.

Chi era davvero Effi Briest? L'eroina più amata della narrativa tedesca, protagonista del romanzo di Theodor Fontane e di ben quattro film, da quello di Gustav Grundgens negli anni '30 a quello di Fassbinder negli anni '70, è vissuta davvero ed ora si vede dedicato un libro, un museo ed è ancor più divenuta un personaggio di culto con le serate letterarie tenute accanto alla sua tomba a Berlino.

Si chiamava Elisabeth (Else) von Ardenne e fu la protagonista di uno scandalo che fece scalpore nella Berlino della fine dell'800. Fontane l'aveva conosciuta in casa Lessing, l'editore del giornale che pubblicava i suoi romanzi a puntate. Diversamente da Effi, che nell'omologo romanzo muore di crepacuore poco dopo che il marito ha ucciso l'amante in un duello, Else visse invece fino a 99 anni. Come Effi abbandonata da tutti, privata dei figli, non si arrese: prese un diploma da infermiera, curò i malati, e non rinnegò mai quell'amore che le aveva dato, come scrisse nel diario, «la più grande sofferenza ma anche la più grande felicità della sua vita».

L'amato era il giudice di Dusseldorf Emil Hartwich, teorico di riforme sociali e nel tempo libero pittore legato alla grande scuola di Malkasten di Dusseldorf, città dove Else e il marito avevano vissuto diversi anni. Una sera dunque a casa Lessing Fontane, che aveva avuto spesso Else come vicina di tavola, non vedendo più lei e il marito, l'ufficiale Armand von Ardenne, chiese loro notizie e venne a sapere delle lettere d'amore scoperte dal marito in un cassetto, del duello, e della morte di Emil Hartwich. Era un inverno freddissimo e Fontane, 72enne, era malato, soffriva di depressione, di mancanza di sonno, di troppa morfina. Pensava di non riuscire più a scrivere. Il medico gli aveva consigliato il ricovero in una clinica psichiatrica. Ma la storia di Else von Ardenne lo entusiasmò. Sei anni dopo uscì il romanzo che Thomas Mann annoverò tra «i sei romanzi più importanti al mondo» e che rese Effi Briest un eroina del rango di Anna Karenina e Madame Bovary.

Effi è una ragazza esuberante, che a 17 anni per compiacere la madre sposa il barone von Instetten, un uomo più vecchio di lei di vent'anni che era stato amico di gioventù, e forse l'amante, della madre. Crede che tutto quello che si può desiderare da un marito è che non sia brutto e faccia carriera così da permettere una brillante vita di società. Lo deve invece seguire a Kessin, un borgo sul mar Baltico dove si annoia mentre il marito è assorbito unicamente dal lavoro. Ha una storia con un dongiovanni, dimenticata non appena la famiglia, poco dopo, si trasferisce a Berlino. Restano in un cassetto tra unguenti e cerotti un pacchetto di lettere, che il marito trova per caso dopo sette anni. L'onore di ufficiale prussiano lo obbliga a sfidare l'ex rivale a duello: «un individuo fa parte di un tutto, e a questo tutto dobbiamo soggiacere» spiega all' amico che lo invita a desistere, trattandosi di acqua passata, e lo convince a fargli da padrino. «Il nostro culto dell'onore è un'idolatria, ma finché l'idolo esiste dobbiamo inchinarvisi», acconsente l'amico. Il vero Instetten, ovvero Armand von Ardenne, era stato invece nella vita anche capace di qualche gesto anticonformista. Uno per tutti gli costò la carriera. Ormai generale, il suo comandante era Hindenburg, ebbe dal Kaiser l'incarico di testare i cannoni di Krupp rispetto a quelli prodotti dalla Rheinische Metallfabrik. Il Kaiser era amico di Krupp e non faceva mistero di quali fossero le proprie preferenze, ma questo non impedì ad Ardenne di dire che i cannoni della Rheinische Metallfabrik si erano rivelati i migliori. Fu immediatamente radiato dall'esercito.

Molti anni dopo la sua morte, la famiglia von Ardenne riprese i contatti con Else, che solo allora poté rivedere i figli, ormai adulti, e a loro volta sposati e genitori. Per sessant'anni aveva vissuto isolata (da ultimo come accompagnatrice della figlia, malata di mente, di un ricco fabbricante) e non aveva mai saputo di essere stata un modello per Fontane. Lo scoprì quando uscì il film di Grundgens, nel '39, con la famosissima Marianne Hoppe nel ruolo di Effi. Ma nemmeno allora rivelò il suo segreto e in famiglia non se ne parlò mai. Il primo a sollevare il velo sulla vicenda fu un nipote di Else, Manfred von Ardenne, inventore e capo del famoso istituto di fisica elettronica di Berlino. Siamo già alla fine della seconda guerra mondiale in una Germania devastata. Manfred incontra un signore che gli dice: sa che suo nonno ha ucciso mio zio? Era un nipote di Emil Hartwich. Andando a fare gli auguri alla nonna Else per il suo novantesimo compleanno le racconta di aver letto con grande ammirazione gli scritti di Emil Hartwich sulle riforme sociali e aggiunge: «al tuo posto avrei fatto come te». Qualche tempo dopo riceverà dalla nonna un plico contenente un pacchetto di lettere, legate con un nastrino. Hartwich gliele aveva scritte dal 1883 al 1885. I due erano ormai decisi a chiedere il divorzio ai rispettivi coniugi e sposarsi quando Armand scoprì il pacchetto e uccise il rivale.

Il figlio di Manfred, Alexander, conserva ancora le lettere. Le ha fatte vedere, finora, solo a un giornalista, Manfred Franke, che ha scritto un libro Vita e Romanzo di Elisabeth von Ardenne, la Effi Briest di Fontane. Ci mostra il prezioso pacchetto, nella sua bella casa di Dresda che era stata del padre Manfred e dove ancora vive tutta la famiglia. Sotto la villa scorre l'Elba con le sue sponde naturali uniche in Europa, sulla destra si vede la cupola della Frauenkirche appena ricostruita, mentre a sinistra compaiono in lontananza le cime della Svizzera sassone. In quella villa Manfred von Ardenne si era stabilito dopo dieci anni passati a Suchumi, sul mar Nero, dove i sovietici alla fine della guerra avevano trasferito lui e tutto il suo istituto e dove aveva sviluppato la bomba atomica sovietica prima di poter tornare nella Ddr. Corteggiato sempre da tutti i governi, incluso quello della Germania riunificata che gli ha assegnato un premio per i suoi 90 anni poco prima della sua morte.

Da quando hanno scoperto che Effi è vissuta davvero gli appassionati di Theodor Fontane vanno in pellegrinaggio sulla sepoltura di Else von Ardenne. La «tomba di Effi», nel cimitero di Sdwestkirchhof tra Berlino e Postdam, è diventata un'attrazione turistica, tanto che benché la famiglia von Ardenne volesse trasferirla a Dresda, ha dovuto cedere alle proteste e lasciare la tomba al suo posto. Gli «amici di Fontane» hanno chiesto che il costo della tomba (350 euro l'anno) sia pagato dal comune che per legge ha l'obbligo di «riconoscere e prendersi cura dei sepolcri di personalità benemerite». Invano il comune, a corto di soldi, ha tentato di spiegare la differenza tra vita e letteratura.

Il cimitero di Sdwestkirchhof ha seguito tutte le fasi della storia tedesca. Consacrato nel 1909, quando dopo la fondazione del Reich i cimiteri parrocchiali di Berlino non bastarono più, diventò cimitero monumentale nel '34 quando Albert Speer buttò giù (per fare di Berlino la capitale del mondo) quello di Schoeneberg. Dopo la costruzione del Muro, i berlinesi dell'ovest non poterono più visitare i propri morti in quel cimitero, che si trovava «dall' altra parte». La stazione ferroviaria fu demolita, i binari si ricoprirono di erbacce, e la ferrovia che portava a Berlino fu dimenticata. Dopo la riunificazione Sdwestkirchhof sperò di tornare alle antiche glorie. Invano. Ormai Berlino ha ben 217 cimiteri su un'area di 1400 ettari, il doppio di quanto non abbia bisogno. Risuscitare anche Sdwestkirchhof pareva una follia. Ma Effi Briest ha fatto il miracolo. Nel cimitero è stata organizzata una «notte bianca», con musica e letture di Fontane, e la grande affluenza di pubblico ha convinto le autorità ad assicurare a Sdwestkirchhof una nuova vita come cimitero/parco. Ma a questo punto anche Zerben, nella Sassonia Anhalt, un borgo di 320 anime abbandonato da Dio e dagli uomini dove c'è una chiesa barocca e una LPG chiusa (così si chiamavano nella Ddr le aziende agricole di Stato), ha reclamato i propri diritti. Non è forse lì che nacque Else von Ardenne née von Plotho? Zerben ha restaurato la casa natale della baronessa e l'ha trasformata in museo - il «Museo di Effi», naturalmente - sperando che gli appassionati di Fontane arrivino presto anche lì. Perché i tedeschi, nonostante tutte le crisi, restano «un popolo di lettori» come dice Peter Handke, per il quale anche secondo le statistiche vigono criteri diversi dai nostri: se in Italia per essere un «lettore abituale» basta compra un libro all'anno, in Germania lo stesso «lettore abituale» ne compra uno al mese.”

(Vanna Vannuccini in ricerca.repubblica.it)

EFFI BRIEST, 1974, regia di Rainer Werner Fassbinder

 

Regia: Rainer Werner Fassbinder. Cast: Hanna Schygulla (Effi), Wolfgang Schenck (Innstetten), Ulli Lommel (Crampas), Herbert Steinmetz (Briest), Lilo Pempeit (Frau von Briest), Hark Bohm (Gieshübler),

 

Un brano musicale al giorno

Richard Strauss, Also Sprach Zarathustra (Così parlò Zarathustra) (Così parlò Zarathustra), Op. 30. Direttore: Richard Straus

Vienna Philharmonic Orchestra, 1944
“Also sprach Zarathustra” (Così parlò Zarathustra), op. 30. Poema sinfonico per orchestra liberamente tratto da Friedrich Nietzsche
Musica: Richard Strauss (1864-1949)

Introduzione: Von den Hinterweltlern (Di coloro che vivono fuori dal mondo)
Von der grossen Sehnsucht (Dell'aspirazione suprema)
Von den Freuden und Leidenachaften (Delle gioie e delle passioni)
Grablied (Il canto dei sepolcri)
Von der Wissenschaft (Della scienza)
Der Genesende (Il convalescente)
Tanzlied (Il canto della danza)
Nachtwanderlied (Canto del nottambulo)

Organico: ottavino, 3 flauti, 3 oboi, corno inglese, clarinetto piccolo, 2 clarinetti, clarinetto basso, 3 fagotti, controfagotto, 6 corni, 4 trombe, 2 tromboni, 2 bassotuba, timpani, grancassa, piatti, triangolo, glockenspiel, campana grave, 2 arpe, organo, archi
Composizione: Monaco, 24 agosto 1896
Prima esecuzione: Francoforte, Saalbau, 27 novembre 1896

 

Richard Strauss (1864-1949)

 

Riportiamo la prima pagina di Così parlò Zarathustra di Nietzsche che Strauss ha posto all'inizio della partitura:

Così parlò Zarathustra

Giunto a trent’anni, Zarathustra lasciò il suo paese e il lago del suo paese, e andò sui monti. Qui godette del suo spirito e della sua solitudine, né per dieci anni se ne stancò. Alla fine si trasformò il suo cuore, e un mattino egli si alzò insieme all'aurora, si fece al cospetto del sole e così gli parlò:
«Astro possente! Che sarebbe la tua felicità, se non avessi coloro ai quali tu risplendi!
«Per dieci anni sei venuto quassù, alla mia caverna: sazio della tua luce e di questo cammino saresti divenuto, senza di me, la mia aquila, il mio serpente.
«Noi però ti abbiamo atteso ogni mattino e liberato del tuo superfluo; di ciò ti abbiamo benedetto.
«Ecco! La mia saggezza mi ha saturato fino al disgusto; come l'ape che troppo miele ha raccolto, ho bisogno di mani che si protendano.
«Vorrei spartire i miei cloni, finché i saggi tra gli uomini tornassero a rallegrarsi della loro follia e i poveri della loro ricchezza.
«Perciò devo scendere giù in basso: come tu fai la sera, quando vai dietro al mare e porti la luce al mondo infero, o ricchissimo fra gli astri!
«Anch'io devo, al pari di te, tramontare, come dicono gli uomini, ai quali voglio discendere.
«Benedicimi, occhio sereno, scevro d'invidia anche alla vista di una felicità troppo grande!
«Benedici il calice, traboccante a far scorrere acqua d'oro, che ovunque porti il riflesso splendente della tua dolcezza!
«Ecco! il calice vuol tornare vuoto, Zaralhustra vuol tornare uomo».
- Così cominciò il tramonto di Zarathustra.”

(In www.flaminioonline.it)

Richard Strauss (da un dipinto di Max Liebermann, 1918)

“Strauss compose le sue sette Tondichtungen (letteralmente "poemi sonori") in un arco creativo pressoché ininterrotto, durante il decennio 1888-1898. Se nei primi quattro, da Macbeth a Till Eulenspiegel passando attraverso Don Juan e Tod und Verklärung (Morte e trasfigurazione), si era mantenuto tutto sommato fedele alla forma programmatica lisztiana, da Also sprach Zarathustra iniziò l'ampliamento di quella forma in un organismo più complesso e stratificato, incomparabilmente più sviluppato che in precedenza, secondo una progressione che sarebbe culminata nelle "variazioni fantastiche" del Don Quixote e nell'affresco autobiografico di Ein Heldenleben (Una vita d'eroe): per tendere poi, nel nuovo secolo, ad altri scenari. Quanto al significato generale del programma, esso va inteso non in senso descrittivo ma di premessa poetica, come Strauss stesso spiegava in una lettera dell'agosto 1888 a Hans von Bülow: "Or dunque, se si vuol creare un'opera artistica che abbia unità in quanto ad ambiente e costruzione complessiva, e se la medesima deve agire plasticamente sull'ascoltatore, è necessario che quel che l'autore volle dire appaia anche plasticamente alla visione del suo spirito. Ciò è possibile quando esiste lo stimolo di un'idea poetica, indipendentemente dal fatto che essa sia aggiunta oppure no all'opera come programma".

Also sprach Zarathustra fu composto, come si legge alla fine della partitura, tra il 4 febbraio e il 24 agosto 1896 a Monaco e presentato per la prima volta al pubblico il 27 novembre 1896 a Francoforte sul Meno sotto la direzione dell'autore. Nel sottotitolo viene specificato "frei nach Friedrich Nietzsche - für grosses Orchester", ossia "liberamente da Friedrich Nietzsche - per grande orchestra": a ribadire, oltre alle dimensioni dell'organico (il più ampio fino ad allora utilizzato da Strauss, con 6 corni e 4 trombe, 3 tromboni e 2 bassi tuba, percussioni rinforzate, oltre a 2 arpe e alla novità assoluta dell'organo), che non dell'illustrazione di un'opera letteraria si trattava bensì di una libera trasposizione musicale ad essa ispirata. Tant'è che come programma poetico Strauss pubblicò, al principio della partitura, il primo paragrafo del prologo dello Zarathustra di Nietzsche, da "Giunto a trent'anni, Zarathustra lasciò il suo paese..." sino a "...così cominciò il tramonto di Zarathustra". I titoli dei diversi episodi, nove sezioni che si susseguono senza interruzione e che si riferiscono ciascuna a un determinato paragrafo o capitolo del libro, sono indicati a mo' di didascalie via via che si presentano nel corso dell'opera e non seguono lo stesso ordine dell'originale. Il famoso "libro per tutti e per nessuno", cominciato nel 1883 ma pubblicato in edizione completa solo nel 1892, non sembra aver suscitato nel musicista poco più che trentenne una volontà di emulazione, né di divulgazione del pensiero del profeta che scende tra gli uomini per distribuire loro la propria sapienza, ma aver prodotto piuttosto una serie molteplice di assonanze poetiche e spirituali le cui immagini si traducono in musica con tutta la forza della libertà e della scoperta, ma anche della riflessione critica. Come se Strauss vedesse in Zarathustra non tanto il filosofo quanto l'uomo alla conquista del mondo, conquista che si rivelerà da ultimo illusoria: risolvendosi così la sua visione in una sorta di rappresentazione, pagana e religiosa insieme, di quell’ “umano, troppo umano” che attraversa la costellazione nietzschiana e che Strauss osserva con partecipazione venata di scetticismo.

Il saluto aurorale di Zarathustra al sole nascente, enucleato nel programma, costituisce l'impulso al memorabile avvio dell'opera: su un suono grave, quasi primordiale, insieme indistinto e definito (tremolo dei contrabbassi e rullio della grancassa percossa con bacchette di timpani, pedale tenuto dal controfagotto e dall'organo), quattro trombe in do intonano tre volte il plastico motivo della natura (do-sol-do), mantenendo dapprima l'ambiguità sul modo, poi, dopo una brusca oscillazione tra maggiore e minore (mi-mi bemolle), affermando trionfalmente l'accordo maggiore pieno e potente. l'effetto, senza perdere nulla della sua barbarica gestualità (la brutale scansione dei timpani sul vuoto armonico), è una sorta di compendio del farsi della musica linguaggio, e della natura vita, spalancando tutta una serie di riferimenti incrociati: dalla rappresentazione del caos e della luce della Creazione di Haydn alla contrapposizione-identità dei modi maggiore-minore in Schubert, dal tema della spada simbolo della nascita del mondo umano nell'Oro del Reno wagneriano (e ancor prima della natura che, sorgendo dal nulla, comincia ad esistere) fino alla dissoluzione di quel mondo nei canti e danze della morte mahleriani (non solo: proprio Mahler attinse da Zarathustra il testo del quarto movimento della sua Terza Sinfonia, O Mensch!). Alla ulteriore fama di questo abbagliante incipit ha contribuito in tempi più recenti anche l'uso che ne ha fatto Stanley Kubrick nel film 2001: Odissea nello spazio, raro esempio di pertinente associazione di un'idea musicale a un'immagine concettuale e visiva.

Le 22 misure del preludio si spengono su se stesse nell'eco in pianissimo del suono primordiale ripreso da contrabbassi e grancassa, dopo che l'organo ha improvvisamente interrotto il suo festoso ripieno. Si origina da un serpeggiante tremolo di contrabbassi e violoncelli virato angosciosamente in minore il primo episodio, intitolato Von den Hinterweltlern ("Degli abitanti del mondo che sta dietro": secondo Nietzsche gli uomini che possono vedere dietro la realtà del mondo sensibile). Al prender forma di un motivo poi sviluppato in cantabile (tema della devozione, archi divisi) si lega la citazione del motivo gregoriano "Credo in unum Deum", intonato sommessamente dai corni: riferimento che funge da centro attrattivo di una liturgia evocata e presto rimossa. Segue, introdotto da un cambiamento di tempo ("Più mosso"), l'episodio intitolato Von der grossen Sehnsucht: il "grande anelito", che vale però anche brama e nostalgia, si esprime in un tema trionfale in si maggiore cantato con enfasi e accompagnato dal tema della natura armonicamente variato, mentre l'organo fa udire a mo' di corale il tema sacro del Magnificat e i corni riprendono quello del Credo. L'atmosfera si surriscalda con ritmi frenetici in Von den Freuden und Leidenschaften ("Delle gioie e delle passioni"), esaltata combinazione in do minore dei temi già uditi e portati dai violini all'acme dell'ardore più appassionato. Sinistro suona in questo tripudio il richiamo del trombone, che annuncia altri paesaggi, sonori e dell'anima. Nelle tortuose linee melodiche che rispondono a questa solenne minaccia si prepara il passaggio verso la zona centrale dell'opera.

Essa è introdotta dal Grablied ("Canto sepolcrale"), nel quale gli spunti fin qui esposti vengono elaborati per così dire sotto specie di ricordo, "abbandonati a un malinconico e introverso girare a vuoto". La trasfigurazione non si compie e sembra richiedere nuove applicazioni. La prima è suggerita da Von der Wissenschaft ("Della scienza"), dove è chiamata a operare la più coscienziosa tra le forme musicali, la fuga. Questa fuga è costruita sul "motivo della natura" (do-sol-do), con progressione armonica e inversione a specchio su un tempo da principio "molto lento". Nella strumentazione di tinta indefinita ma nerastra (contrabbassi e violoncelli, poi fagotto e clarinetto basso), si può forse vedere una satira contro i filosofi di professione e gli stregoni dell'arte ("Tu rendi questa caverna afosa e mefitica", esclama proprio a questo punto Zarathustra). I legni nel registro acuto, le tremolanti semicrome dei violini e i rutilanti arpeggi dell'arpa illuminano questa zona d'ombra con progressive vampate in crescendo. Tanto più forte è dunque il contrasto della sezione successiva, Der Genesende ("Il convalescente"), sviluppata in un contrappunto denso, arioso e svettante, nel quale il tema della fuga si afferma vittoriosamente a piena orchestra ("Aria! Entri l'aria pura! Entri Zarathustra!"). Il tema della natura che irrompe trionfale spazza il dubbio e la malinconia come una salutare esplosione. Gli appelli ripetuti della tromba risuonano ora come il canto mattutino del gallo.

Con Das Tanzlied ("Il canto della danza") inizia la ricapitolazione: intesa non come riesposizione, ma anzi come nuova trasformazione del materiale tematico. Un violino solo introduce con slancio prima trattenuto poi sfrenato l'aria di danza, che si muta da valzer ammiccante in tumultuoso impulso vitale, reso con colori violenti, orgiastici, spaziati. Poi tutto a poco a poco nuovamente si acquieta, distendendosi liricamente in un clima velato, notturno. Quest'ultima sezione reca il titolo Das Nachtwandlerlied ("Il canto del nottambulo") ed è di tono estatico. Un pedale sul mi grave si mantiene per settanta battute, accompagnato dal ritmo di danza ai timpani, dal tremolo in pianissimo della grancassa e dai rintocchi della campana bassa. Riappaiono i temi della brama e della natura, quest'ultimo ormai quasi eco svanente di se stesso. E immersa in profondità ancestrali è anche la coda in si maggiore, esempio mirabile di anticlimax e di ambigua sospensione: diluita nel tempo sempre più lento, perduta nelle sonorità evanescenti ed estinta in una misteriosa dissonanza (sempre in do pizzicato nei bassi sull'accordo lato in secondo rivolto di si maggiore), essa indica simbolicamente la fine, non il fine. Con questa conclusione in dissolvenza Strauss si allontana dall'idea originaria di Nietzsche del ciclo vitale di Zarathustra, ribaltandone le prospettive: esso non va dal tramonto all'aurora, ma dall'aurora al tramonto.”

(Sergio Sablich. Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Orchestra Filarmonica della Scala, Milano, Teatro alla Scala, 28 giugno 2001, in www.flaminioonline.it)

 


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

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Ugo Brusaporco

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