“L’amico del popolo”, 29 ottobre 2017

L'amico del popolo
Grandezza Carattere

L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

SIMON MÁGUS (Ungheria, Francia, 1999), scritto e diretto da Ildikó Enyedi. Fotografia: Tibor Máthé. Montaggio: Mária Rigó. Musica: Plank Cluger, Brian Eno, Massive Attack, János Másik, Jah Boble Spinner. Con: Péter Andorai, Julie Delarme, Péter Halász.

A Parigi nel 1998 c'è stato un misterioso omicidio e la polizia senza alcun indizio, si trova senza una pista da seguire. Dopo molti tentativi, si pensa di chiedere aiuto a un veggente dell'Est di nome Simon. L'arrivo dell'uomo nella città non passa inosservato. La sua stanza d'albergo è stretta d'assedio da molti curiosi e un altro mago lo sfida a compiere un'impresa a dir poco impossibile: trascorrere tre giorni sotto terra. Simon accetta, ma il terzo giorno viene trovato morto. Tuttavia a Parigi c'è una ragazza, Jeanne, che non sa nulla di tutto questo e continua ad attendere l'uomo conosciuto alla stazione.

SIMON MAGUS, diretto dalla regista Ildikó Enyedi, già autrice di prove convincenti come Il mio XX secolo e Il cacciatore magico. Da subito il film ci trasporta in un’atmosfera sospesa, incantata, a tratti surreale eppure riconoscibilissima nella sua contemporaneità. Chiamato dalla polizia francese a risolvere un misterioso delitto di cui non si riesce a venire a capo, Simon, un celebre veggente ungherese, arriva in treno a Parigi. All’arrivo lo attende una sua connazionale che gli farà da interprete durante il soggiorno parigino. Ma Simon, già alla stazione, è colpito da Jeanne, una ragazza che riuscirà a ritrovare per le strade della capitale francese grazie ai suoi poteri paranormali. Dunque, dopo aver risolto in modo molto inconsueto il caso di omicidio, Simon, maestoso, silenzioso, magnetico, carismatico (l’interprete è il grande attore magiaro Péter Andorai), si trattiene a Parigi per rivedere Jeanne. Deve però sfuggire gruppi di postulanti che lo seguono ovunque, invocando i suoi miracoli e seminare il poliziotto di origini africane assegnatogli come guida ma che, affascinato dai suoi poteri, gli si propone insistentemente come discepolo. Nel suo peregrinare per le strade di una gelida Parigi invernale, Simon si imbatte però in un altro mago, suo connazionale, un illusionista da palcoscenico, nella tradizione squisitamente ungherese di cui Houdini è l’esempio più celebre. Questi, una sorta di suo alter ego cinico e malvagio, è avido di fama e di pubblicità e pertanto lo sfida ad un duello mortale intorno al quale i media creano un’attesa morbosa e sensazionalistica. Simon vi si concede con riluttanza, pur sconsigliato dalla sua amica ungherese e dal flic, suo aspirante discepolo. Intanto, tre giorni dopo il loro ultimo incontro, Jeanne, ignara di tutto, lo attende con trepidazione nel luogo convenuto. Per comprendere il finale a sorpresa, lo spettatore non potrà fidarsi solo del proprio sguardo ma dovrà cercare una verità più profonda e indecifrabile negli occhi dei personaggi del film. Rifacendosi alla figura di Simon Mago, sedicente messia nell’antica Roma, Ildikó Enyedi costruisce una moderna favola nera che è al contempo anche una delicata storia d’amore. Attraverso un intreccio di metafore mistiche e di suggestioni esoteriche ci conduce sul terreno incerto e ingannevole della percezione extrasensoriale, fino al labile confine tra il reale e l’irreale, in un clima rarefatto che si carica continuamente di tensione.
Al pari della sfida affrontata dal mago ce n’è un’altra che è quella vinta dalla regista con questo film originale e ammaliante, vale a dire, quella di andare oltre i limiti convenzionali del visibile e del filmabile, acquisendo nuovi ed inesplorati territori alle capacità del racconto cinematografico”.

(cineclubalphaville.it)

Simon magus (UNGHERIA) bello. Molto. Nella Bibbia, il mago Simone è un uomo che nella Samaria compiva miracoli ma che non aveva il dono di poter dare lo Spirito Santo ai suoi discepoli (c’è una scena in ascensore in cui un poveretto gli chiede un segno). Allora, giacché molti si rivolsero agli apostoli Pietro e Giovanni, Simone chiese di poter comprare da loro due il potere del gesto sacro e questi, respingendolo, lo accusarono di malvagità, consigliandogli di pentirsi. La risposta del mago Simone fu "Pregate voi per me il signore, perché non mi capiti nulla di ciò che avete detto" come risposta al nefasto futuro profetizzato dai due Apostoli. Inizia come un noir in una Parigi che di notte assomiglia alla New York di Taxi Driver e si sposta concretamente sul filo della teologia, della magia, del confronto tra messia e discepolo. Il protagonista Andorai Pèter è carismatico, magico, attraente. La sua difficoltà maggiore è la comunicazione (è un ungherese a Parigi) ma che di fronte agli occhi della delicata e giovanissima Julie Delarme, riesce a piacere. Molto spesso lo spettatore non vede ciò che vedono i personaggi ma coglie solo le loro reazioni. Nagy Mari è l’angosciante figura dell’altro mago ungherese che sfida Simon in una resurrezione dopo tre giorni di sepoltura ai bordi di Parigi, perfetta l’inquadratura sulle tombe dei maghi con lo sfondo della Defance e della metropoli ultramoderna. Notevolmente filosofico, difficile, ricco di domande e metafore, silenzioso, lento come un film ungherese girato a Parigi, in cui si muovono le solitarie ombre dei protagonisti di quest’assurda vicenda d’avvento del messia. Scontro di culture religiose. L’attore che impersona il poliziotto magneticamente affascinato dal mago è Hubert (già L’odio) e non piace nemmeno in questo film. È la voglia dei parigini di credere che invece circonda la pesante mole di Simon, che arriva da lontano e che torna, dopo la sfida persa sotto terra con l’altro mago, nello sguardo finale di Jeannie, rispettando l’appuntamento preso con lei. Molte cose da chiarire su questo film sicuramente a matrice religiosa se non mistica, almeno metafisica.

Rapiti da questo film, abbiamo parlato con la regista Enyedi Ildikò subito dopo la vittoria per il miglior film del festival.

  • (ON) Con grazia ha portato sulle sue minute spalle il bagaglio di un lavoro artistico così grande. Il personaggio di Simon Magus è lo stesso che troviamo nella Bibbia?
  • (EI) Si.
  • (ON) Perché la tua storia è ambientata a Parigi?
  • (EI) Perché Parigi in questo momento rappresenta ciò che è stata Roma nel passato. E’ la Roma di oggi.
  • (ON) Simon è l’ultimo Messia?
  • (EI) Ogni epoca storica ha il suo Messia, egli si presenta di volta in volta con caratteristiche diverse ma con lo stesso carisma. Ogni generazione quindi cerca il ‘suo’ Messia.
  • (ON) Simon è ateo, confessa se stesso ed è riservato... è vero?
  • (EI) Si è vero. Simon non vuole insegnare, non cerca denaro o fama, ma solo un posto dove dormire nella città in cui è arrivato.
  • (ON) Simon Magus sei tu?
  • (EI) ...Sì. (con questa ultima risposta abbiamo visto un tenero bagliore illuminare lo sguardo di Enyedi Ildikò)”

(Ofelia Nunzi)

Simon Mago è considerato dagli eresiologi cristiani il primo degli eretici e proto-gnostico samaritano.

O Simon mago, o miseri seguaci
che le cose di Dio, che di bontate
deon essere spose, e voi rapaci

per oro e per argento avolterate,
or convien che per voi suoni la tromba,
però che ne la terza bolgia state.

(Dante, Inferno XIX, 1-6)

SIMON MÁGUS (Ungheria, Francia, 1999), scritto e diretto da Ildikó Enyedi

 

Una poesia al giorno

思親 사친 Longing for Parents (Il desiderio dei genitori), di Shin Saimdang (5 dicembre 1504, Gangneung, Corea del Sud - 17 maggio 1551, Pyongan Province, Corea del Nord. Shin Saimdang è riconosciuta come la più grande artista della storia coreana. In un’epoca che richiedeva che le donne seguissero fedelmente i valori confuciani, Shin Saimdang sviluppò un proprio mondo e continua ancora oggi a essere fonte di ispirazione per poeti e artisti in tutta la Corea).

千里家山萬疊峯 천리가산만첩봉
歸心長在夢魂中 귀심장재몽혼중
寒松亭畔孤輪月 한송정반고윤월
鏡浦臺前一陣風 경포대전일진풍
沙上白鷗恒聚散 사상백구항취산
海門漁艇任西東 해문어정임서동
何時重踏臨瀛路 하시중답임영로
更着斑衣藤下縫 경착반의등하봉

Thousand Li away my hometown’s mountains and the ten-thousand layered peaks
Return to my mind and remains long within my dreaming soul.
On the ridge of the Hansong Pavilion, the lonely wheeled moon shines;
In front of the Gyeongpo Gazebo, one sudden wind blows.
Above the sands, the white gulls always gather and scatter;
At the sea gate, the fishing boats ably go West and east.
At what time may I again walk the roads of Imyeong
And again wearing my colorful dress and below the wisteria tree sew?

Le montagne della mia città, distanti mille Li, e le diecimila cime stratificate
Mi ritornano in mente e rimangono a lungo nella mia anima da sognatore.
Sopra la dorsale del Padiglione Hansong Pavilion, la ruota della luna brilla solitaria;
Davanti al Gazebo di Gyeongpo Gazebo, c’è un improvviso soffio di vento.
Sopra le sabbie, i gabbiani bianchi continuano a radunarsi e a disperdersi;
Al cancello del mare, le barche da pesca vanno abilmente ad ovest e ad est.
Quando potrò camminare di nuovo lungo le strade di Imyeong,
Ancora indossare il mio abito colorato e cucire sotto l’albero di glicine?

(Traduzione di Michael J. Benson per L’amico del popolo)

Shin Saimdang

Il vero nome di Shin era Shin In-seon. Lo pseudonimo letterario Saimdang, che lei scelse era composto da tre caratteri cinesi: Sa (師) significa insegnante, Im (任) sta per Tairen e Dang (堂) qui significa signora. “Tairen” era una donna leggendaria della storia cinese che allevò suo figlio portandolo alla grandezza mediante l’educazione prenatale e un insegnamento scolastico rigoroso. Il figlio di Tairen finì per diventare il re Wen della dinastia cinese Zhou.
In quello che era un ambiente severamente limitativo per le donne, Shin fiorì grazie al suo talento fuori dal comune e per l’influenza della sua famiglia. In una società dove solo i maschi ricevevano la massima parte delle opportunità di poter studiare, lei ricevette un’enorme quantità di attenzioni da parte della sua famiglia e fu in grado di studiare fino ad un livello molto elevato.
La madre di Shin andò ad abitare con i propri genitori dopo aver partorito, il che le diede una relativa libertà nell’istruzione della propria figlia. Shin godette anche dell’incoraggiamento del marito, Lee Gong, che capì il talento artistico della moglie e spesso mostrava i dipinti di lei ai suoi amici. Anche se si era sposata all’età di 19 anni, Shin non si sottomise mai alle nozioni confuciane della superiorità maschile, ma mise piuttosto l’accento sull’importanza di una relazione basata sul reciproco rispetto.
Oggi Shin è dipinta come un modello del ruolo femminile per il suo talento artistico, la sua istruzione e il suo carattere. Come madre del grande studioso Yi I del periodo Joseon, è anche rispettata per le sue competenze genitoriali. La vita fieramente indipendente di Shin ci mostra come lo spirito umano possa prevalere sulle attitudini sociali di un certo periodo storico. Fu proprio questa libertà dello spirito che Shin perseguì senza stancarsi mai nei suoi meravigliosi capolavori artistici.

 

Un fatto al giorno

29 ottobre 1948: i soldati israeliani con l'Operazione Hiram catturarono il villaggio arabo palestinese di Safsaf nella Galilea e 64 abitanti furono massacrati dall'IDF (le forze di difesa di Israele). Il villaggio è stato difeso dal battaglione di Seconda Yarmuk dell'esercito di liberazione arabo.

Immagini:

 

Una frase al giorno

“Nella solitudine il solitario divora se stesso. Nella moltitudine lo divorano i molti. Ora scegli”

(Friedrich Wilhelm Nietzsche, 1844-1900, filosofo, poeta, saggista, compositore e filologo tedesco)

 

Un brano al giorno

29 ottobre 1787: prima rappresentazione dell’opera Don Giovanni di Mozart a Praga.

Personaggi:

  • Don Giovanni: nobile cavaliere molto licenzioso che passa la vita a sedurre le donne (baritono).
  • Leporello: servitore di Don Giovanni. Trascrive le conquiste amorose del suo padrone su un catalogo (basso-baritono o basso buffo).
  • Commendatore: il Signore di Siviglia e padre di Donna Anna; all'inizio dell'opera sarà ucciso da Don Giovanni poi tornerà sotto forma di statua per punirlo (basso o basso profondo).
  • Donna Anna: figlia del Commendatore e promessa sposa di Don Ottavio (soprano).
  • Don Ottavio: promesso sposo di Donna Anna (tenore).
  • Donna Elvira: nobile dama di Burgos abbandonata da Don Giovanni. Donna Elvira lo cerca affinché si penta delle sue malefatte (soprano o mezzosoprano).
  • Zerlina: contadina corteggiata da Don Giovanni (soprano o mezzosoprano).
  • Masetto: promesso sposo, molto geloso, di Zerlina (baritono, basso-baritono o basso).
  • Contadini e Contadine: amici di Masetto e Zerlina (coro).
  • Servi: servitori e gendarmi di Donna Anna e Don Ottavio (coro).
  • Suonatori: suonatori di Don Giovanni (coro).
  • Demoni e Diavoli: entità infernali richiamate dalla statua del Commendatore per trascinare Don Giovanni all'inferno (coro).

Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, mandolino, archi.
Il basso continuo nei recitativi secchi è affidato al clavicembalo ed al violoncello.

Composizione: Praga, marzo - 28 ottobre 1787
Prima rappresentazione: Praga, Nationaltheater, 29 ottobre 1787
Edizione: Schott, Magonza 1793

Praga, Nationaltheater

“Dunque Don Giovanni come opera di consumo, pensata per una occasione unica e irripetibile. A questo aspetto, tuttavia, se ne affianca un altro, in apparenza contrastante, in realtà complementare; quello dell'opera di altissima complessità concettuale, tale da giustificare la straordinaria pluralità di letture che ne sono state offerte.
Il soggetto stesso dell'opera era di ambizioni potenzialmente altissime. Sarà appena il caso di ricordare come il mito del libertino che schernisce le spoglie o il sepolcro di una sua vittima, con un invito a cena, al quale la vittima stessa aderisce, trascinando il libertino all'inferno, era partito all'inizio del XVII secolo con la commedia dell'arte e Tirso Da Molina per diffondersi in innumerevoli versioni fino al teatro d'opera del tardo Settecento. E tuttavia questo percorso aveva implicato sovente anche una sorta di semplificazione dei contenuti originari del mito, in cui il libertinaggio morale del protagonista, cioè l'insaziabilità erotica, era in realtà la traduzione in atti del libertinaggio filosofico, cioè l'autodeterminazione, il rifiuto di leggi a cui obbedire.
Reduci da un testo, come Le nozze di Figaro, che attraverso i ritmi della commedia metteva in scena in realtà un conflitto sociale, Mozart e Da Ponte guardarono probabilmente a Don Giovanni come a un soggetto che, proprio per la sovrapposizione di libertinaggio morale e filosofico, consentiva di trattare nuovamente il tema del conflitto fra l'individuo e le regole dell'organizzazione sociale. Tutto questo, beninteso, non rimane a livello di pura intenzione, ma si traduce in precisi termini drammaturgici e musicali, attraverso una pluralità di registri stilistici.
Proprio questa pluralità di stili ha provocato un notevole sconcerto nel pubblico dei teatri come nella storiografia musicale. Basterà pensare a uno degli argomenti centrali del dibattito interpretativo sull'opera, se si tratti di una tragedia o di un'opera comica; la stessa definizione di "dramma giocoso" apposta sul libretto è stata fantasiosamente interpretata per sottolineare la natura drammatica del contenuto; laddove, invece, il termine "dramma" era usato anche per definire opere apertamente comiche, e indicava semplicemente che si trattava di un lavoro teatrale. Ci si trova di fronte insomma a un cosiddetto "falso problema", estraneo alla logica degli autori, logica che ammetteva, all'interno del genere dell'opera buffa, la compresenza dei diversi registri stilistici senza che per questo il contenuto fosse unitariamente comico.
Occorre dunque richiamarsi al fatto che i personaggi dell'opera, che assumono spesso una fisionomia umana così vicina alla sensibilità del pubblico moderno, pur tuttavia si richiamano a delle precise "tipologie", che è opportuno tentare di individuare per intendere il mondo di valori a cui l'opera stessa si riferisce. C'è, in queste tipologie, un rapporto stretto fra lo status sociale del personaggio e il registro stilistico nel quale il personaggio si esprime.
I personaggi "nobili", innanzitutto. Donn'Anna e Don Ottavio sono stati spesso giudicati come i personaggi meno "vivi" dell'opera. In realtà essi vivono interamente nel mondo dell'opera seria metastasiana, che implica una sfera di alti valori etici; essi sono i custodi di tali valori, tradotti musicalmente in arie fortemente statiche, che creano oasi contemplative nell'incalzare dell'azione, e nelle quali la coloratura propria dei "virtuosi" dell'opera seria compie larghe incursioni. Il Commendatore è più che nobile, poiché canta anche da morto e rappresenta la mano della giustizia divina. Così il suo canto ieratico, per grandi intervalli, è ispirato a certe parti sacerdotali delle opere di Gluck, accompagnate dal timbro peculiare degli ottoni gravi.
Più complesso il personaggio di Elvira, per intendere il quale occorre accantonare la grande aria tragica "Mi tradì quell'alma ingrata", che, al di là della sua mirabile qualità musicale, fu aggiunta in un secondo momento come concessione a una cantante, e di fatto si allontana dall'impostazione prevalente del personaggio. Attraverso Elvira il mondo di valori dell'opera seria è stato defiorato; non a caso la fanciulla sedotta si esprime sì in versi metastasiani, ma in toni esasperati ("Ah! se ritrovo l'empio,/E a me non torna ancor,/Vo' farne orrendo scempio/Gli vo' cavar il cor"), che suonano parodistici, e quasi tutte le sue apparizioni - dal suo primo ingresso fino alla irruzione all'ultima cena del libertino - sono commentate a parte o derise da Don Giovanni e Leporello, quando non suonano apertamente comiche, come nello scambio di abiti e ruoli fra padrone e servo all'inizio del secondo atto. Parodistica dovette sembrare, al pubblico dell'epoca, anche la mini-aria händeliana "Ah, fuggi il traditor", con il suo stile "antico", fatto di imitazioni e ritmi puntati "alla francese". Elvira è inoltre l'unica, fra i personaggi di ceto alto - nel suo caso probabilmente borghese più che nobiliare - ad avere frequenti e numerosi contatti con i personaggi di ceto inferiore. Insomma un ruolo che, più che di grande eroina tragica - come spesso pure si è ritenuto - è invece tragicomico.
I personaggi "plebei", Zerlina, Masetto, Leporello. A loro è ignoto il registro stilistico dell'opera seria, ma questo non vuol dire che siano tutti e tre appiattiti su quello dell'opera buffa. Zerlina, infatti, non è affatto un personaggio buffo, quanto un personaggio che si richiama a stilemi del "terzo genere", il genere semiserio, la cui grande diffusione risale ai decenni a cavallo fra vecchio e nuovo secolo. Caratterizza il genere semiserio il tentativo di un "potente" di forzare una indifesa fanciulla di ceto inferiore, la quale si esprime musicalmente attraverso stilemi "patetici". E sono questi infatti quelli impiegati da Zerlina, che del resto non viene mai coinvolta in situazioni apertamente "buffe" - eccetto che nel duetto con Leporello aggiunto per Vienna. Solo a Masetto e Leporello, dunque, appartiene il registro comico, espressione non solo di "comicità", ma anche di uno stato sociale.
Che il delineare le gerarchie sociali, l'ordine costituito, fosse una delle principali preoccupazioni dell'autore appare evidente da uno dei momenti più celebri dell'opera, il finale del primo atto, laddove Mozart mette in scena tre orchestre, che suonano contemporaneamente tre diverse danze, per "allietare" la festa in casa di Don Giovanni. Dal punto di vista tecnico-musicale la soprapposizione di tre diverse danze, ciascuna con un proprio tempo, rappresenta un risultato avveniristico, senza paragoni, da ammirare in sé e per sé. Ma l'ambizione dell'esperimento non si ferma al livello tecnico-musicale, e allude invece proprio alle gerarchie sociali; ciascuna delle danze viene ballata infatti solamente da alcuni dei personaggi in scena. La prima danza è un minuetto, danza tipica delle corti settecentesche ed esclusiva dei ceti alti; e non a caso viene ballata da Anna, Elvira e Ottavio. La seconda danza è una "contradanza", ossia una country dance, la danza che, nella liberale Inghilterra, signori e contadini affrontavano contemporaneamente; e infatti a danzare la "contradanza" sono insieme Zerlina e Don Giovanni. La terza danza, infine, è una "teitsch", o danza "alla tedesca", riservata ai ceti bassi; e qui a ballare insieme sono Masetto e Leporello. Come dire che questa scena del ballo rappresenta una sorta di fotografia musicale e scenica dei ruoli sociali dei personaggi.
In cosa consiste dunque la violazione dell'ordine costituito da parte di Don Giovanni? O, per meglio dire, come si traduce in termini musicali tale violazione? La caratteristica del protagonista è appunto quella di non aderire ad un unico e preciso stilema, bensì di essere attratto di volta in volta nella sfera stilistica del personaggio che gli si trova di fronte. Così egli si mantiene su un registro "alto" di fronte ad Anna e Ottavio, sfrutta un linguaggio insinuante e "patetico" per sedurre Zerlina, si concede allo stile buffo nello schernire il suo servo, come per deridere Elvira, adotta un fraseggio ieratico di fronte al Commendatore, vivo o morto.
Dopo il suo sprofondamento negli abissi, ad opera della giustizia divina, giungono tutti gli altri personaggi per dar corso alla giustizia terrena; o meglio per ribadire quell'ordine che il dissoluto aveva violato. Così Anna e Ottavio tornano a esprimersi in una forma chiusa con dei vocalizzi, gli altri, nell'esprimere le proprie intenzioni per l'immediato futuro, ribadiscono il loro ruolo sociale (Elvira in convento, Masetto e Zerlina a cena con gli amici contadini, Leporello a cercarsi un nuovo padrone). Era, quella di una conclusiva ricomposizione dell'equilibrio iniziale già turbato da elementi e personaggi negativi, una soluzione che rientrava in pieno nel modello del teatro illuministico, e a cui si sposava perfettamente l'intonazione di una morale conclusiva: "Questo è il fin di chi fa mal".
E tuttavia, è veramente moralistica la conclusione dell'opera, ed è credibile in essa la ricomposizione illuministica? O non è piuttosto vera funzione della "Scena Ultima" quella di sollevare il vuoto lasciato dal libertino e il suo rimpianto? Lo sviluppo del genere dell'opera buffa dopo Don Giovanni, in una direzione che rendeva amara e illusoria la logica della riconciliazione, getta un'ombra retrospettiva dubbia e inquietante anche sul capolavoro di Mozart. Non si vuole qui offrire una soluzione a questo quesito, se non avanzando una osservazione di carattere musicale e drammaturgico. Quale che sia l'interpretazione che si voglia dare di questa "Scena ultima" - se di riequilibrio, o, come alcuni sostengono, di scompenso, di sconvolgimento, per la scomparsa del protagonista - essa risulta comunque essenziale ed imprescindibile nell'economia dell'opera. E, d'altra parte, i dubbi e le divergenze interpretative sono impliciti in quei capolavori che, come il Don Giovanni di Mozart e Da Ponte, a causa della loro complessità concettuale, trascendono l'originaria destinazione di consumo e si offrono dialetticamente ai posteri rivelandosi di volta in volta secondo prospettive inedite e inesplorate”.

(Arrigo Quattrocchi)

Joseph Losey dirige Don Giovanni, un film-opera del 1979. Costituisce una trasposizione cinematografica del Don Giovanni di Mozart

  • Don Giovanni di W. A. Mozart. Direttore: Claudio Abbado; Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Vienna, 1990: www.youtube.com

Don Giovanni - Ruggero Raimondi
Leporello - Lucio Gallo
Donna Anna - Cheryl Studer
Elvira - Karita Mattila
Zerlina - Mary McLaughlin
Anatoly Kocherga - Il Commendatore

  • Joseph Losey dirige Don Giovanni, un film-opera del 1979. Costituisce una trasposizione cinematografica del Don Giovanni di Mozart: www.dailymotion.com

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k