“L’amico del popolo”, 30 agosto 2021

L'amico del popolo
Grandezza Carattere

L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno V. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

SVEGLIATI E UCCIDI - Lutring (Italia, Francia 1966), regia Carlo Lizzani. Soggetto Ugo Pirro, Carlo Lizzani. Sceneggiatura Ugo Pirro. Produttore Joseph Fryd, Carlo Lizzani. Fotografia Armando Nannuzzi. Montaggio Franco Fraticelli. Musiche Ennio Morricone. Cast. Robert Hoffmann: Luciano Lutring. Lisa Gastoni: Yvonne Lutring. Gian Maria Volonté: ispettore Moroni. Claudio Camaso: Franco Magni. Renato Niccolai: commissario Giuliani. Pupo De Luca: poliziotto. Ottavio Fanfani: il padre di Lutring. Corrado Olmi: Bobino, ricettatore.

Luciano Lutring, figlio di un lattaio della periferia milanese, per far colpo su di una ragazza che ha accettato di accompagnarlo, si appropria di un'automobile. In seguito, a San Remo, per amore di Candida che si è unita a lui, il giovane ruba in una gioielleria. Ormai è entrato nel giro della "mala" ed i suoi colpi, maldestri, monotoni, solitari, si ripetono un poco per abitudine, un poco per necessità, un poco per esibizione. Sposata Candida in Svizzera, diviene l'antagonista di Franco, il delinquente che la sfruttava. I suoi colpi, inoltre, mentre lo mettono in contatto con i "professionisti" del crimine, attirano su di lui gli interessi di molteplici polizie e quelli dei giornalisti di cronaca nera. Luciano cade, in questo modo, in una rete dalla quale non riesce a districarsi neppure con gli sforzi della moglie che lo ama ed è terrorizzata. Mentre i giornali tendono a gonfiare il fenomeno "Lutring", la polizia milanese lo tiene d'occhio e lo lascia fuggire volutamente. Ma la divergenza di metodi tra la polizia milanese e quella parigina portano Lutring, mentre è a Parigi, ad abboccare ad un tranello, dopo un drammatico incontro con Candida. Terrorizzato, per la prima volta il bandito usa le armi ed uccide, prima di cadere nelle mani degli inseguitori.

 

"Personaggio vivo, vero, potente, non perché Lizzani lo ha capito più degli altri, ma perché c'é dentro una donna viva e vera, una che si chiama Lisa Gastoni. Che semplicità nella naturalezza (...) davanti a lei crollano almeno il cinquanta per cento delle sue famose colleghe con (...) corona di dive."

(Filippo Sacchi, "Epoca", marzo 1966)

“Noir di stampo biografico realizzato da Carlo Lizzani, ispirato da allora recenti fatti di cronaca che portarono alla ribalta il personaggio di Luciano Lutring, proveniente dal ceto medio milanese e destinato, suo malgrado, a rivestire i panni di ricercato numero uno dalle forze dell'ordine. Un caso sintomatico di quanto, già in tempi non sospetti, i mezzi di comunicazione potessero influenzare l'opinione pubblica e fungere da cassa di risonanza per le gesta di un personaggio, sulla carta negativo, ma considerato dall'uomo comune alla stregua di un antieroe popolare. Attraverso un discreto mix di inchiesta e azione, dai ritmi serrati pur se dallo stile retrò e non più attuale, il regista narra l'inizio delle gesta di Lutring fino alla resa, accompagnato da un cast di buon livello nel quale spiccano Gian Maria Volonté (nei panni dell'ispettore di polizia Moroni) e l'affascinante Lisa Gastoni, vincitrice di un Nastro d'argento come migliore attrice. Avvincente e ben tratteggiato, anche se inevitabilmente datato. Atmosfere patinate enfatizzate dalla colonna sonora di Ennio Morricone, autore della canzone Una stanza vuota. Sceneggiatura di Ugo Pirro.”

(In www.longtake.it)

“... Al tempo stesso pieno di lentezza e nervosismo, tutto in impurità e irregolarità ritmiche, Wake up and kill trae la sua stilizzazione da un montaggio accidentato ed ellittico che fa appello alla facoltà dello spettatore di mettere insieme i pezzi mancanti del puzzle, per colmare i buchi che il regista lascia volontariamente nella narrazione, fermando più volte le sequenze in piena suspense per riprenderle ben dopo la loro risoluzione.

Da Lutring a Moroni (Gian Maria Volonte, decisamente ancora perfetto) - quell'ispettore comprensivo che cerca di fermare Lutring vivo i cui sentimenti nascenti per Yvonne sono sospettati - tutti rimangono impenetrabili, proteggendo il loro segreto privato. Solo la formidabile Lisa Gastoni è veramente tenera, in questo ruolo di donna follemente innamorata, come sotto il giogo di una maledizione. Questo sentimento incontrollabile e irrazionale salva il film dalla siccità e dal nichilismo, sorprendendoci a sperare in un esito positivo. La musica stregata di Morricone con il suo pianoforte e i suoi strumenti che imitano ironicamente il ritorno di fiamma delle armi da fuoco non è dissimile da quella di Indagine su un cittadino sopra ogni sospetto di Elio Petri, un cineasta il cui universo potrebbe proprio somigliare a quello di Lizzani, in particolare nella sua propensione a mettere in scena un universo urbano ai confini del fantastico, con le sue strade svuotate del mondo, dove il luogo deserto sembra sposare la solitudine dei protagonisti.”

(In www.culturopoing.com)

 

 

Un attore: il 30 agosto 1939 nasce Robert Hoffmann, attore austriaco. È noto al pubblico britannico per la sua interpretazione del protagonista in Le avventure di Robinson Crusoe (1964).

Hoffmann è nato a Salisburgo. Crusoe è stato il suo debutto sullo schermo, ma in seguito ha lavorato al cinema e in TV in tutta Europa, in Germania, Italia, Francia e Regno Unito, ed è apparso in film di registi come Marcel Carné, Antonio Pietrangeli, Robert Siodmak e Robert Enrico. Nel 1997, è stato intervistato dalla BBC quando la serie Robinson Crusoe è stata trasmessa per la prima volta in tv”

 

Una poesia al giorno

Un giorno, le pietre, di François Cheng

Un giorno
Vi ritroveremo
Sul nostro cammino

Pietre

Ignorate
Calpestate
Detentrici tuttavia
Dell’origine
Della fiamma
Del soffio dell’iniziale

Promessa

RitrovandoVi
Ci ritroveremo

*****

Dal piede alla pietra
non c’è che un passo

Ma quanti abissi da superare
Noi siamo sottomessi al tempo
Lei, immobile
nel cuore del tempo
Noi legati alle parole dette
Lei, immutabile
al cuore del dire

Lei, informe
capace di tutte le forme
Impassibile
utero dei dolori del mondo

Brulicante di muschi, di grilli
di brume trasformate in nuvole
Lei è via di trasfigurazione

Dal piede alla pietra
non c’è che un passo

Verso la prescienza
Verso la presenza

 

Il 30 agosto 1929 nasce François Cheng, scrittore, poeta e traduttore cinese.

“«Alla fine, resta l’anima. In ogni essere, il corpo può conoscere la decadenza e la mente la menomazione. Resta questa entità irriducibile, che vi palpita da sempre, che è il segno della sua unicità». E ancora: «È un misto di evidenza e di mistero, è di una sorprendente semplicità, anche se, al contempo, è di una complessità sbalorditiva, come gli studi di psicologia e di psicoanalisi hanno dimostrato». Così François Cheng, poeta e filosofo cinese naturalizzato francese, calligrafo e traduttore, figura poliedrica capace di meritarsi di entrare fra gli Immortali, nel suo ultimo breve saggio L’anima, edito in Italia da Bollati Boringhieri. Che insiste: «Non dimentico i tre ordini di Pascal, che faccio miei. Nell’indispensabile triade corpo-spirito-anima, riconosco pienamente il ruolo fondamentale del corpo e il ruolo centrale dello spirito, ma dal punto di vista del destino dell’individuo, è l’anima ad avere la meglio».
Nel suo libro egli ci rammenta la distinzione biblica fra corpo, spirito e anima così come fu elaborata da San Paolo e ripercorre, attraverso la forma di sette lettere scritte a una giovane incontrata sulla metropolitana, gli sforzi di pensatori e poeti alla ricerca dell’anima. E lancia una sfida a quei neuroscienziati che sono giunti ad affermare che il cervello è pura materia. Tutti, secondo Cheng, si sono domandati cosa è l’anima ma ben pochi sono stati in grado di rispondere. Una difficoltà che permane ancor oggi: sia nel caso dei teologi e dei filosofi come degli psicologi e dei fisiologi, emerge quasi l’impossibilità a sondare l’insondabile, a definire ciò che è indefinibile.

Eppure, dell’anima noi - a parte gli scientisti radicali - non dubitiamo anche se non riusciamo a designare il suo posto preciso, o la sua stessa sostanza. Ma Cheng è sicuro che essa è legata alla bellezza e alla bontà. Quella bellezza che in Sant’Agostino scaturisce dall’incontro dell’interiorità di un essere e dello splendore del cosmo che per lui è il segno della gloria di Dio. Da tempo ormai Cheng rivisita a suo modo «il vero, il bello e il buono», le categorie di Platone fatte proprie da Tommaso d’Aquino, aggiungendo alla visione occidentale la sua esperienza di poeta e la tradizione culturale asiatica in cui si sente ancora immerso, nonostante viva a Parigi dal 1949, scampato dal comunismo maoista.
Molti sono i suoi riferimenti al taoismo ed egli cerca nel suo sforzo speculativo di unire il meglio delle culture di cui si è nutrito, pervenendo a una sintesi fra Oriente e Occidente. Non a caso, allorché prese la nazionalità francese nel 1971 ha scelto il nome di François in onore di San Francesco d’Assisi. E innumerevoli sono in questo breve saggio i riferimenti alla tradizione cristiana, dalla mistica Ildegarda di Bingen («il corpo è il cantiere dell’anima») al poeta Pierre Emmanuel che in un verso ricorda «il guscio del corpo che s’incrina sotto la veemenza dell’anima» allo scrittore Georges Bernanos, che fa dire a Blanche de la Force, nei Dialoghi delle Carmelitane: «Quella semplicità dell’anima, noi consacriamo la nostra vita ad acquistarla».

Ma il capitolo più sorprendente è quello dedicato a Simone Weil, la cui vita stessa è in grado di rappresentare il concetto di anima. Per la filosofa e mistica francese lo spirito è quella capacità dell’essere umano che gli permette di capire e razionalizzare la sua vita. Può essere definita anche mente o intelletto e, in quanto strumento di conoscenza, è fondamentale ma, come il corpo, è al servizio dell’anima, che è l’humus nativo e irriducibile di ogni essere. Descrivendo il suo desiderio di farsi cristiana, il viaggio compiuto ad Assisi e poi all’abbazia di Solesme, il suo incontro folgorante col Cristo, anche attraverso l’amicizia con padre Perrin e il contadino-filosofo Gustave Thibon, Cheng conclude che «Simone Weil non dubita del fatto che lo stato ultimo di ogni essere sia la sua anima, che ha assorbito in sé i doni del corpo e dello spirito, e che ha una parte già situata nell’altro mondo».

Spezzando il sarcasmo voltairiano che in nome dell’intelletto nella sua accezione più ristretta disprezza fino a cancellare l’idea di anima, ma anche il dualismo cartesiano (entrambi hanno portato a un clima «chiuso e inaridente» che predomina in Francia e in Europa), Cheng riesce a mostrarci come l’anima sia tutt’altro che una convenzione che si è preservata solo nell’uso linguistico (“anima gemella”, “supplemento d’anima”, eccetera), ma la parte più intima, più segreta, più inesprimibile e al contempo più vitale di ogni essere, il segno indelebile dell’unicità di ogni persona umana. Come ci ricorda un passo da lui citato del premio Nobel della letteratura Gustave Le Clézio: «La grande bellezza religiosa è di aver concesso a ciascuno di noi un’anima. Strana presenza nascosta, ombra misteriosa che si è calata nel corpo, che vive dietro il viso e gli occhi, e che non si vede. Ombra di rispetto, segno di riconoscenza della specie umana, segno di Dio in ogni corpo».”

(Roberto Righetto, venerdì 2 febbraio 2018, in www.avvenire.it)

 

Un fatto al giorno

30 agosto 1918: degli assassini feriscono gravemente il leader bolscevico Vladimir Lenin e uccidono Moisej Solomonovič Urickij, dando la spinta al decreto che istituirà il Terrore rosso.

“Venerdì 30 agosto 1918, il giorno in cui M. S. Uritskii, presidente della Ceka di Pietrogrado, fu assassinato, Lenin doveva parlare alla Borsa del grano nel distretto Basmannyi di Mosca alle 18:00 e alla fabbrica di armamenti Mikhelson nella sezione Serpukhovskii in seguito. Il primo discorso passò senza incidenti; alla fabbrica Mikhelson tenne lo stesso discorso di quindici-venti minuti che aveva pronunciato al Corn Exchange, un attacco alle forze della controrivoluzione. In entrambe le sedi ha concluso il suo intervento con le parole “c'è un solo problema, la vittoria o la morte!” Quando Lenin tornò alla sua macchina nel cortile della fabbrica, furono sparati tre colpi e cadde a terra con ferite da arma da fuoco alla spalla sinistra e al lato sinistro del collo; il terzo proiettile ha colpito una donna in piedi nelle vicinanze. Gli operai che lo accompagnavano alla sua macchina sono scappati gridando: "L'hanno ucciso, l'hanno ucciso!" e il cortile affollato si svuotò in fretta.”

(In www.cambridge.org)
 

«Il mio nome è Fanya Kaplan. Oggi ho sparato a Lenin. L'ho fatto da sola di mia propria iniziativa. Non rivelerò chi mi ha procurato la pistola. Non darò nessun dettaglio. Decisi di uccidere Lenin molto tempo fa. Lo considero un traditore della rivoluzione. Fui esiliata ad Akatui per aver partecipato a un attentato contro un ufficiale zarista a Kiev. Ho passato 11 anni in un duro campo di lavoro. Dopo la rivoluzione, fui liberata. Ero favorevole all'Assemblea Costituente e lo sono ancora adesso.»

Il 30 agosto 1918 la rivoluzionaria e anarchica Fanja Kaplan o Dora Kaplan tentò di assassinare il leader politico bolscevico Vladimir Il'ič Ul'janov detto Lenin. Facendo parte del Partito Socialista Rivoluzionario (PSR), la Kaplan vedeva Lenin come un "traditore della rivoluzione", poiché i Bolscevichi volevano mettere al bando il PSR.

Il 30 agosto 1918, Lenin fece un comizio nella fabbrica "Mihel'son" a Mosca. Quando lasciò l'edificio per salire in auto, la Kaplan lo chiamò. Lenin si girò verso la donna che gli sparò tre colpi di pistola. Un proiettile trapassò il cappotto, mentre gli altri due lo ferirono al collo e alla spalla sinistra.

Interrogata dalla Čeka, si rifiutò di fare nomi di eventuali complici, e venne fucilata il 3 settembre dello stesso anno.

Lenin fu trasportato nel suo appartamento al Cremlino. Temendo che ci potessero essere altri attentati contro la sua persona, si rifiutò di lasciare la sicurezza del Cremlino per sottoporsi a cure mediche esterne. Furono portati dei medici in loco per prestargli le prime cure, ma senza riuscire ad estrarre i proiettili non avendo a disposizione le attrezzature di un ospedale. Nonostante la gravità delle ferite, sopravvisse. Tuttavia, la sua salute non si riprese mai completamente e si è ipotizzato che il ferimento riportato nell'attentato abbia contribuito all'ictus che lo colpì e successivamente uccise nel 1924.

Alcuni storici mettono in dubbio l'effettiva colpevolezza della Kaplan, in quanto all'epoca dei fatti ella era quasi cieca, a seguito dei numerosi maltrattamenti subiti durante gli anni di prigionia in Siberia.”

(In www.facebook.com)

 

Una frase al giorno

“Ci parve di riconoscere […][la sua] figuretta esile e leggiadra che ci precedeva di qualche passo, ma subito immaginammo di esserci sbagliati: quando mai una diva, alle sei di mattina, lascia il suo morbido letto e la sua camera tappezzata di seta, per affrontare la fresca solitudine delle strade vuote? Eppure era proprio lei. Elegantissima, s’intende, e sobria, come suole essere nella vita privata […], con un abitino blu scuro che le dava un’aria di collegiale aristocratica […]. Si è fermata un momento […] poi riprende il cammino, costringendoci a camminare con un passo velocissimo, per restarle vicini, e così quasi di corsa, ci dirigiamo ad un posteggio di autobus […] e Leda Gloria vi sale, rapida e lieve. Vediamo, oltre il vetro del finestrino, agitarsi la sua piccola mano.”

La diva di cui si parla è Leda Gloria, pseudonimo di Leda Nicoletti (Roma, 30 agosto 1908 - Roma, 16 marzo 1997)

Leda Gloria è stata un'attrice italiana molto attiva dagli anni '30 agli anni '60, ha recitato infatti in oltre 80 film. Iniziò giovanissima la sua carriera, vincendo un concorso cinematografico bandito da una casa americana in Italia. Interpretò diversi film muti italiani e tedeschi, uno dei quali accanto a Lil Dagover. E con l'avvento del sonoro divenne una delle nostre attrici più richieste e apprezzate. Si impose con due film di Blasetti, ''Terra Madre'' del 1930 e ''Palio'' del 1931, in figure popolaresche vive e spontanee. Antagonista della vamp ottocentesca pallida ed esangue, portò la sua sana bellezza e la recitazione semplice, ma persuasiva in molte opere anche di un certo spessore, come ''La tavola dei poveri'', 1932; ''Il cappello a tre punte'', 1934 e affrontò, con ottimo esito e grande successo il suo primo personaggio fortemente drammatico in ''Montevergine'', 1939.

Tra gli altri film, che girò, ''Antonio Meucci'', 1940, ''Anime in tumulto'' del 1941 e ''Dagli Appennini alle Ande'', 1942. Dopo la guerra si cimentò con la rivista, tornando sullo schermo con un ruolo breve ne ''Il Mulino del Po'', 1948. Successivamente ha ripiegato su parti di caratterista, sempre risolte con misura e buon mestiere. Notevole la sua interpretazione della moglie di Peppone nei tre film su ''Don Camillo'' (1951-55).

 

 

Un brano musicale al giorno

Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza ‎- Musica Su Schemi (1976)

00:00 A1. Schema 1
09:01 A2. Schema 2
20:20 B1. Schema 3
22:50 B2. Omaggio A Giacinto Scelsi

Registrato presso Orthophonic Recording Studio, Roma.

  • Corno francese, flauto, violino: Giovanni Piazza
  • Percussioni, archi: Egisto Macchi
  • Pianoforte, strumenti: Antonello Neri
  • Pianoforte, percussioni: Franco Evangelisti
  • Trombone, Flauto: Giancarlo Schiaffini
  • Tromba, Flauto, strumenti: Ennio Morricone

 

 

 

All'inizio degli anni '70, Franco Evangelisti riunì il Gruppo D'Improvvisazione Nuova Consonanza, un collettivo di compositori italiani che includeva Ennio Morricone alla tromba. Gruppo aspirava a rivoluzionare la composizione attraverso l'improvvisazione di gruppo e - come il loro pari, Karlheinz Stockhausen - musique concrète, tecniche aleatorie (caso controllato) e musica elettronica antica. Un'influenza significativa in studio è stata l'uso degli scacchi per definire i parametri chiave della loro musica.

Musica Su Schemi è imprevedibile, fluida e sempre segnata da una tensione tra gli interpreti e il loro consapevole rifiuto delle forme tradizionali. Ogni membro del Gruppo si sarebbe affermato come una figura importante nella musica del XX secolo, anche se nessun altro ha guadagnato la notorietà di Morricone. Tuttavia, l'influenza di Gruppo sulla composizione moderna dura. Come spiega il compositore/sassofonista John Zorn, "[Essi] hanno contribuito a fondare una tradizione radicale di improvvisazione musicale occidentale che doveva poco o nulla a nessuno e ha creato alcune delle musiche più strane mai realizzate".

Parteciparono all’iniziativa anche altri compositori come Luis Enriquez ovvero Luis Enríque Bacalov.
 

Bacalov, Luis Enrique, pianista e compositore argentino, nato a San Martín (Buenos Aires) il 30 agosto 1933. Musicista di formazione classica e profondo conoscitore del jazz, del tango argentino e delle tradizioni folcloriche sudamericane.

Si è imposto nel cinema italiano a partire dagli anni Sessanta e Settanta, dimostrando un raffinato senso armonico e abilità nell'utilizzare le possibilità dinamiche e timbriche dei vari strumenti, in particolare del pianoforte, di cui è riuscito a sfruttare le funzioni fortemente ritmiche. Ha conquistato l'Oscar nel 1996 con la colonna sonora di Il postino (1994) di Michael Radford.

Iniziò a studiare pianoforte all'età di cinque anni sotto la guida di E. Baremboim e in seguito con B. Sujovolsky, allieva di A. Schnabel. Dopo aver svolto un'intensa attività concertistica, sia come solista sia in duo con il violinista A. Lisy, si perfezionò a Parigi, lavorando contemporaneamente in vari gruppi di musica da camera e in diversi nightclub. Nonostante le numerose tournée, che lo impegnarono in tutto il mondo, B. non trascurò la composizione. Nel 1959 giunse in Italia, dove prese a scrivere per il cinema, in un primo tempo firmando le partiture con lo pseudonimo di Luis Enríquez.

Dopo l'esordio, poco significativo, con I due della legione (1962) di Lucio Fulci, si fece notare per la partitura dai ritmi molto serrati, accentuati dalle percussioni e dall'uso costante del flauto, di La noia (1963) di Damiano Damiani.

Lavorò intensamente per un decennio, spostandosi tra diversi generi, dalle commedie ai film d'azione, e dimostrando di trovarsi a proprio agio nel filone del western all'italiana, come testimonia la colonna sonora di Django (1966) di Sergio Corbucci.

Nella vasta produzione di questo periodo spicca la partitura di A ciascuno il suo (1967) di Elio Petri, realizzata con la collaborazione e la supervisione di Ennio Morricone e caratterizzata da brevi interventi di pianoforte e orchestra, che scandiscono i momenti narrativi e ne evidenziano efficacemente le tonalità emotive. Vanno anche ricordati i commenti musicali composti per Una vergine per il principe (1965) di Pasquale Festa Campanile, con una velata parodia di temi classici, e per Quien sabe? (1966) di Damiani.

La musica scritta per Lo scatenato (1967) di Franco Indovina risulta basata sulla ricerca di nuove sonorità, quella di I protagonisti (1968) di Marcello Fondato risente degli influssi stravinskiani, in particolare dei temi di Le sacre du printemps.

In Milano calibro 9 (1972) di Fernando Di Leo i vari strumenti dialogano con ritmi molto serrati, mentre in La rosa rossa (1973) di Franco Giraldi le musiche di B. si alternano a pezzi sinfonici di G. Mahler.

Un momento importante della sua carriera fu rappresentato dall'incontro con Federico Fellini, che lo chiamò a lavorare al film La città delle donne (1980) in sostituzione di Nino Rota, scomparso nel 1979.

Proprio a partire dall'inizio degli anni Ottanta B. è però tornato a dedicarsi prevalentemente all'attività concertistica, continuando comunque a comporre per il cinema. Le partiture realizzate in questo periodo hanno un deciso carattere sperimentale, di ricerca di nuove forme espressive, oppure di ironico confronto con la tradizione come in La maschera, di Fiorella Infascelli (1988), dove gli stili musicali barocchi risultano rivisitati in forma quasi caricaturale.

Il successo internazionale è arrivato con la colonna sonora di Il postino, in cui gli elementi meccanici e percussivi delle prime partiture vengono stemperati mediante un'attenzione particolare a temi melodici capaci di suscitare in modo immediato le sensazioni nello spettatore.

Tra gli altri lavori realizzati negli anni Novanta, vanno infine ricordate le colonne sonore composte per Ilona llega con la lluvia (1996; Ilona arriva con la pioggia) di Sergio Cabrera, La tregua di Francesco Rosi (1997), The love letter (1999; La lettera d'amore) di Peter Ho-Su Chan.”

(Lucetta Lanfranchi - Enciclopedia del Cinema, 2003, in www.treccani.it)
 

"The Witch in Love" (La Strega in amore), 1966, regia Damiano Damiani, Italia.

30 agosto 1933 nasce Luis Bacalov, pianista, compositore e direttore d'orchestra argentino (morto nel 2017)

 


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.