“L’amico del popolo”, 30 giugno 2018

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

L'ATLANTIDE (Germania-Francia, 1932), regia di Georg Wilhelm Pabst. Soggetto: Alexandre Arnoux dall'omonimo romanzo di Pierre Benoît. Sceneggiatura: Hermann Oberländer e Ladislao Vajda. Fotografia: Ernest Koerner e Eugen Schüfftan. Montaggio: Hans Oser. Musiche: Wolfgang Zeller. Con: Pierre Blanchar, Jean Angelo, Brigitte Helm, Florelle, Tela Tchai, Vladimir Sokolov, George Tourreil, Gustav Diessl.

Due militari della Legione Straniera, il capitano Morhange e il suo luogotenente Sain-Avit, nel corso di una missione in una remota zona del deserto si smarriscono e vagano senza mèta. Senza un'esatta cognizione del percorso intrapreso, i due giungono in un'area apparentemente ospitale e, comunque, civilizzata. Giunti nella zona vengono catturati e, in poco tempo, si rendono conto di aver trovato la mitica Atlantide. La città, ricca di strutture sontuose diventa così la loro prigione. Vengono accompagnati al cospetto della regina Antinea che, dopo averli minacciati, li accoglie calorosamente stregandoli con il suo fascino e togliendo loro ogni volontà di tornare nel mondo civile. Ma la presenza di Antinea, eternamente giovane e bella, inizia a creare notevoli dissapori tra i due commilitoni totalmente impegnati nella costante ammirazione della donna. Sarà un cataclisma, lo stesso che causerà la scomparsa di Atlantide, a spingere i due ad allontanarsi dalla mitica città e fare ritorno a casa.

Il film è una versione espressionista del celebre romanzo "l'Atlantide" del francese Pierre Benoit (1919). Il film è stato girato nel deserto dell'Algeria dal regista Pabst, usando come Antinea la celebre attrice Brigitte Helm.

“Nel 1931 Seymour Nebenzahl, titolare della casa di produzione Nerofilm, propose a Georg Pabst (1885 - 1967) di girare un nuovo adattamento del romanzo L'Atlantide di Pierre Benoît, undici anni dopo quello di Jacques Feyder. Con al suo attivo dei film come La via senza gioia (1925), I misteri di un'anima (1926), Lulù (1929) o L'opera da quattro soldi (1931), Pabst non ha bisogno di un rifacimento per la sua notorietà.
Ciò che spinge Nebenzahl, sono i rapporti che intrattiene con Romain Pinès, l'ex collaboratore di Feyder. Questi detiene sempre i diritti di adattamento del romanzo e per questo che il titolare della Nerofilm propone al regista belga una nuova versione in «sonoro». Feyder rifiuta, allora Nebenzahl si rivolge a Pabst. L'universo di Pierre Benoit è lontano dall'interessi del cineasta tedesco, ma comunque questi vede finalmente un'opportunità di scoprire il deserto, che non conosce.
Per assicurare il massimo di successo a questa seconda versione de L'Atlantide, Romain Pinès e Seymour Nebenzahl decidono di girare tre versioni: una tedesca, una francese ed una inglese. I due principali ruoli maschili sono interpretati, secondo le versioni, da attori differenti. I due ruoli femminili, Antinea e della sua ancella Tanit-Zerga, non cambieranno.
La scelta di Brigitte Helm (1908 - 1996) per interpretare la «ragazza magra dai lunghi occhi verdi, dal piccolo profilo di sparviero», descritta da Pierre Benoit nel suo romanzo non è di ordine solamente estetico, ma puramente politico.
L'Europa si era ripresa malamente dalla prima guerra mondiale. Questo conflitto e la rivoluzione russa avevano sconvolto l'equilibrio culturale del XIX secolo. Avevano introdotto il dubbio o la rivolta nella riflessione degli intellettuali e la creazione degli artisti. Così il dopoguerra rivela l'angoscia della morte ma anche l'esplosione di vita e di vitalità. Gli anni Venti saranno «gli anni pazzi» fino al giovedì nero, il crollo della Borsa di Wall Street, trascinando una crisi bancaria e finanziaria internazionale. Per contrastarla i governi ricorreranno al protezionismo, la solidarietà mondiale postbellica si disintegra. In Germania, è la Repubblica di Weimar che si sgretola. La depressione trascina la salita del nazionalismo. È un ritorno alle idee anteriori al 1914. Tutti quelli che non si sono riconosciuti nello spirito contestatario e corrosivo degli intellettuali weimariesi esaltano un rifiuto del mondo moderno e si voltano verso il passato, verso la grande cultura germanica e il suo passato.

Pabst girò nel 1929 due dei suoi migliori film, Lulù, conosciuto anche come Die Büchse der Pandora ("Il vaso di Pandora") e Diario di una donna perduta (Das Tagebuch einer Verlorenen), con Louise Brooks (1906 - 1985), l'icona del cinema muto, ispirazione anche del fumetto di fama mondiale Valentina dell'autore italiano Guido Crepax. Pabst aveva per Brooksie una vera venerazione. Fisicamente, lo seduceva. La sua personalità, tutto di intelligenza e di capriccio, l'affascinava. In quanto al suo ruolo di attrice, aveva il risultato di inchiodare Pabst con la sua sensualità e con le sue suggestioni. Anche se il pubblico europeo rimaneva ammaliato dal fascino dell'attrice americana, in Germania non era stata condivisa questa scelta, quando Pabst poteva disporre di due attrici come Marlene Dietrich e Greta Garbo. Si comprende allora perché, malgrado il suo talento e la sua bellezza, Brigitte Helm non fu un'Antinea calorosa ed affascinante. Gelava Pabst, gelerà il pubblico. Con questa versione tra fuochi e gelo, tra ombre e luci, Pabst c'invita ad un viaggio nelle profondità della Terra, agli intimi dell'anima di St-Avit. Antinea non è più qui una regina di leggenda ma un'ossessione in uno spirito scomposto. Antinea non sarà più una donna fatale, una discendente di Cleopatra, sarà semplicemente La Donna, l'essere di carne di cui l'immagine tormenta la sua libidine. La localizzeremo, non sulle cime del Hahggar ma, simbolicamente, nelle profondità della terra, agli intimi dell'anima di St-Avit. Questa non ha niente della «regina di Saba bambina». Grande, fredda, incastrata anche sotto i suoi veli atlantidei che nella sua armatura di robot in Metropolis, incarna a meraviglia l'ideologia tedesca dell'epoca: la rigidità. Non una parola, non un capello, non un'emozione. Non più una donna, ma un menhir.
Brigitte Helm non è Louise Brooks. Il riso e la sensualità che esplodevano nel romanzo di Pierre Benoit e che avrebbe messo in risalto l'interpretazione dell'americana diventano qui, angoscia ed affronto. L'Antinea di Pabst è il Minotauro che ha bisogno per vivere di nutrirsi di anime innocenti. Frutto di un amore colpevole, questa donna può avere solamente dei pensieri colpevoli e può trascinare gli uomini alla loro perdita. Scrive Georges Sadoul, nel suo Dictionnaire des Films, a proposito della pellicola di Pabst: «Film freddo e decorativo, con immagini troppo ricercate, in cui Brigitte Helm è più un manichino di cera che la fatale Antinea, e tuttavia affascinante per l'adesione ad un mito fantastico (quello della Donna Eterna) reso con gusto e con un certo ieratismo».”

(Wikipedia)

 

Una poesia al giorno

Campo de fiori, di Czesław Miłosz (Szetejne 1911 - Cracovia 2004. In lombradelleparole.wordpress.com)

A Roma in Campo de Fiori
Ceste di olive e limoni,
Selciato con spruzzi di vino
E con schegge di fiori.
Frutti rosati di mare
Ammassati sui banchi,
Bracciate d’uva nera
Sulle pesche vellutate.
Proprio su questa piazza
Fu arso Giordano Bruno,
Il boia accese il rogo
Fra il popolino curioso.
E appena il fuoco si spense,
La folla tornò a bere,
Ceste di olive e limoni
Sulle teste dei venditori.
Rammentai Campo de Fiori
A Varsavia presso la giostra,
Una chiara sera d’aprile,
Al suono d’una gaia orchestra.
La musica soffocava
Gli spari dal ghetto,
Volavano le coppie
Alte nel cielo terso.
A tratti il vento alle fiamme
Strappava neri aquiloni,
E la gente ridendo
La fuliggine afferrava.
Gonfiava le gonne alle ragazze
Quel vento dalle case in fiamme,
Scherzavano liete le folle
Nella domenica festosa.
Si dirà che la morale
E’ che a Varsavia o a Roma
La gente si diverte, ama
Incurante dei martiri sul rogo.
Oppure si vedrà la morale
Nella fugacità delle cose
Umane, nell’oblio che nasce
Prima ancora che il fuoco cessi.
Io invece pensavo allora
A quelli che muoiono soli,
Pensavo che quando Giordano
Salì su quel patibolo,
Non trovò nella lingua umana
Nemmeno una parola
Per dire addio all’umanità,
L’umanità che restava.
Già correvano a ubriacarsi,
A smerciare bianche asterie,
Ceste di olive e limoni
Recavan nel gaio brusìo.
E lui era già distante,
quasi fossero secoli,
La sua scomparsa nel fuoco
Essi attesero appena.
Di questi morenti, soli,
Già obliati dal mondo,
Anche la lingua ci è estranea,
Come lingua d’antico pianeta.
Finché tutto sarà leggenda
E allora dopo tanti anni
Nel nuovo Campo de Fiori
Un poeta accenderà la rivolta.

(1943, Varsavia)

Czesław Miłosz (Szetejne 1911 - Cracovia 2004)

30 giugno 1911 nasce Czesław Miłosz, romanziere, saggista e poeta polacco, premio Nobel (morto nel 2004). Figlio di Aleksander Miłosz, ingegnere civile e di Weronica (nata Kuna), figlio di un fratello del bisnonno del grande poeta lituano di lingua francese Oscar Vladislas de Lubicz Milosz.

 

Un fatto al giorno

30 giugno 1963: strage di Ciaculli. Un'autobomba, destinata al boss della mafia Salvatore Greco, uccide sette persone tra agenti di polizia e militari, vicino a Palermo.

30 giugno 1963: strage di Ciaculli. Un'autobomba, destinata al boss della mafia Salvatore Greco, uccide sette persone tra agenti di polizia e militari, vicino a Palermo

“La strage di Ciaculli fu un attentato effettuato da Cosa Nostra in Italia nel 1963 in cui persero la vita quattro uomini dell'Arma dei Carabinieri, due dell'Esercito Italiano, e un sottufficiale del Corpo delle Guardie di P.S. (attuale Polizia di Stato).
Avvenne nella borgata agricola di Ciaculli a Palermo il 30 giugno 1963: un'Alfa Romeo Giulietta imbottita di esplosivi. Le vittime furono il tenente dei carabinieri Mario Malausa, il maresciallo di PS Silvio Corrao, il maresciallo dei CC Calogero Vaccaro, gli appuntati Eugenio Altomare e Marino Fardelli, il maresciallo dell'esercito Pasquale Nuccio, il soldato Giorgio Ciacci. L'episodio fu uno dei più sanguinosi durante gli anni Sessanta che concluse la prima guerra di mafia della Sicilia del dopoguerra, che vide le uccisioni di numerosi mafiosi. Durante la notte del 30 giugno 1963, l'esplosione di un'automobile imbottita di esplosivo che era stata abbandonata davanti all'autorimessa del boss mafioso Giovanni Di Peri a Villabate, provocò il crollo del primo piano dello stabile ed uccise il custode Pietro Cannizzaro e il fornaio Giuseppe Tesauro. Poche ore dopo quest'ultimo attentato, a seguito di una telefonata alla questura di Palermo avvisante della presenza sospetta di un'autovettura, una pattuglia dell'Arma dei Carabinieri, unitamente a un sottufficiale di Polizia in forza alla Squadra Mobile della Questura di Palermo, si recarono a Ciaculli, rinvenendo una Alfa Romeo Giulietta abbandonata con le portiere aperte. Sospettando che si trattasse di un'autobomba venne chiamata una squadra di artificieri. Questi ispezionarono l'auto e tagliarono la miccia di una bombola trovata all'interno e quindi dichiararono il cessato allarme. Tuttavia l'apertura del bagagliaio da parte del tenente Mario Malausa, comandante della tenenza di Roccella, causò l'esplosione della grande quantità di tritolo ivi contenuta. Le indagini dell'epoca ipotizzarono un mancato attentato preparato dai mafiosi Pietro Torretta, Michele Cavataio, Tommaso Buscetta e Gerlando Alberti contro il rivale boss di Ciaculli Salvatore Greco e il suo associato Giovanni Di Peri, basandosi soprattutto su fonti confidenziali e ricostruzioni indiziarie. Torretta e Buscetta (nel frattempo resosi latitante) vennero rinviati a giudizio per le autobombe di Villabate e Ciaculli ma nel processo di Catanzaro contro i protagonisti della prima guerra di mafia vennero assolti per insufficienza di prove, anche se nello stesso processo Torretta venne condannato a 27 anni di carcere per omicidio mentre Buscetta (giudicato in contumacia) a dieci anni per associazione a delinquere. Nel 1984 Tommaso Buscetta, divenuto un collaboratore di giustizia, si discolperà e dichiarerà che Michele Cavataio era l'unico responsabile delle autobombe di Villabate e Ciaculli”.

(Wikipedia)

30 giugno 1963: strage di Ciaculli. Un'autobomba, destinata al boss della mafia Salvatore Greco, uccide sette persone tra agenti di polizia e militari, vicino a Palermo

Immagini:

 

Una frase al giorno

“Siamo un popolo che non vuole serbare il ricordo di far parte del suo passato. In America si considera malsano ricordare gli errori, nevrotico pensarci, psicotico rifletterci.”

(Lillian Hellman, nome completo Lillian Florence Hellman, New Orleans, 20 giugno 1905 - Tisbury, 30 giugno 1984, scrittrice e drammaturga statunitense)

Voci: Lillian Hellman, Memories and Moments

Lillian Hellman, New Orleans, 20 giugno 1905 - Tisbury, 30 giugno 1984

 

Un brano musicale al giorno

Marilyn Horne interpreta Handel, dal Rinaldo: 'Cara sposa, amante cara'

Cara sposa, amante cara, dove sei?
Deh! Ritorna a' pianti miei.
Cara sposa, amante cara, dove sei?
Ritorna, ritorna a' pianti miei.
Cara sposa, Deh! Ritorna.
Deh! Ritorna a' pianti miei.
Cara sposa, sposa cara, dove sei?
Deh! Ritorna, dove sei?
Deh! Ritorna, a' pianti miei.
Ritorna, a' pianti miei.
Deh! Ritorna, a' pianti miei.
Del vostro Erebo sull'ara
Colla face del mio sdegno
Io vi sfido o spirti rei!

Marilyn Horne (nata il 16 gennaio 1934 a Bradford, in Pennsylvania)

Marilyn Horne (nata il 16 gennaio 1934 a Bradford, in Pennsylvania) è una cantante d'opera mezzosoprano americana. Si è specializzata in ruoli che richiedono un suono ampio, la bellezza del tono, un eccellente supporto al respiro e la capacità di eseguire passaggi di difficile coloratura.

 

Un evento sportivo al giorno

30 giugno 1920 nasce Zeno Colò (Cutigliano, 30 giugno 1920 - San Marcello Pistoiese, 12 maggio 1993), sciatore alpino italiano. Fu uno degli sciatori italiani più forti di tutti i tempi, primatista mondiale del chilometro lanciato e campione mondiale e olimpico negli anni 1950.

Zeno Colò (Cutigliano, 30 giugno 1920 - San Marcello Pistoiese, 12 maggio 1993)

Immagini:

 


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k