“L’amico del popolo”, 30 settembre 2019

L'amico del popolo
Grandezza Carattere

L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno III. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

THE NIGHT OF THE HUNTER (La morte corre sul fiume, USA, 1955), regia Charles Laughton. Prodotto da Paul Gregory. Sceneggiatura: James Agee, Charles Laughton. Basato su “The Night of the Hunter” di Davis Grubb. Musica: Walter Schumann. Fotografia: Stanley Cortez. Montaggio: Robert Golden. Cast: Robert Mitchum, Shelley Winters, Lillian Gish, Billy Chapin, Sally Jane Bruce, James Gleason, Evelyn Varden, Don Beddoe, Peter Graves, Gloria Castillo, Paul Bryar.

Virginia Occidentale, anni Trenta. Ben Harper è condannato a morte per aver preso parte a una rapina che ha provocato l'uccisione di due uomini. Prima di essere catturato, però, riesce a nascondere il bottino di 10.000 dollari e ne rivela la posizione solo ai due figli, John e Pearl, di dieci e cinque anni. In prigione l'uomo divide la cella con Harry Powell, un sedicente predicatore evangelico con la scritta "LOVE" tatuata sulle dita della mano destra e "HATE" su quelle della sinistra, che tenta di estorcergli il nascondiglio del bottino ma l'unico indizio che riesce a ottenere è una citazione della Bibbia mormorata nel sonno: "e un bambino li condurrà".
Sicuro che solo i figli di Harper conoscano il nascondiglio del bottino Powell, dopo essere uscito di prigione, corteggia e sposa Willa, la vedova di Harper, e, attraverso lusinghe prima e sottili intimidazioni poi, cerca di indurre i bimbi, soprattutto John, a rivelare dove si trova il denaro, ma loro diffidano di lui e non aprono bocca. Quando Willa smaschera il suo piano, Powell la uccide e, minacciando i due fratellini, scopre il nascondiglio del denaro: l'interno della bambola di pezza di Pearl.
I bambini riescono, però, a fuggire con i soldi salendo su una barca e cominciando a discendere il fiume. Spinti dalla corrente arrivano davanti a una stalla dove si fermano a dormire. Durante la notte vedono passare Powell a cavallo e perciò decidono di continuare la discesa del corso d'acqua; fermata la barca sulla sponda trovano rifugio fra le braccia materne dell'anziana Rachel Cooper che li adotta.
Powell riesce a scovarli, ma Rachel non si lascia abbindolare dal suo modo di fare tipico dell'ammaliatore di folle e vede ciò che lui è oltre l'apparenza. Dopo un testa a testa con lei la vera identità di Powell viene scoperta e l'uomo viene arrestato. Poco dopo rischia addirittura il linciaggio da parte della stessa folla che, affascinata dal suo carisma, lo aveva precedentemente osannato.
“Film complesso e polifonico dove confluiscono più percorsi: la storia nera, il racconto infantile e fiabesco, ma anche l'accusa contro il fanatismo della religione cristiana nel sud degli Stati Uniti.

Robert Mitchum in THE NIGHT OF THE HUNTER (La morte corre sul fiume, USA, 1955), regia Charles Laughton

Capolavoro segreto del cinema americano, fonte di ispirazione per Scorsese, Malick e mille altri, l’unica regia di Charles Laughton è una fiaba gotica vista dagli occhi di due bambini. Favola oscura, fotografata in un bianco e nero espressionista e visionario, che regala a Robert Mitchum uno dei più grandi personaggi della sua carriera, quello del sinistro predicatore che incombe come un orco sui due piccoli protagonisti indifesi. Un film unico e irripetibile, considerato tale fin dal suo apparire (così la giudicava Truffaut nella sua pronta e acuta recensione), come se fosse destino che lo stesso Laughton non avrebbe più osato sfidare tanta perfezione. Un film, che come nessun altro ha il passo dell’infanzia e in cui la cosa più straordinaria è proprio l’arcano, meraviglioso disegno dei personaggi. Fiaba e thriller, bianco e nero, luci ed ombre, il bene contro il male. Un film di opposti inconciliabili, come quelle parole - ‘love’, ‘hate’ (amore e odio) - che il predicatore ha tatuato sul dorso delle dita. Una delle (tante) immagini indimenticabili di questo capolavoro senza tempo.”

(In distribuzione.ilcinemaritrovato.it)

“«Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci» Il passo della Bibbia, recitato sotto il cielo stellato dell'America depressa degli anni '30, da una star del cinema muto come Lilian Gish, introduce la favola nera che nel corso del tempo ha guadagnato la merita fama di cult movie con La morte corre sul fiume (The Night of the Hunter, 1955).
Un noir fiabesco e inquietante, a dir poco cupo e atipico che ha segnato la memorabile prima e ultima regia di un attore istrionico da Oscar come Charles Laughton, con un monito per gli adulti, messi davanti alla caccia di un vero orco dagli occhi di due bambini, insieme ad un ritratto della folla puritana, ceca pronta a trasformare la delusione in odio feroce, in parte responsabile dell'insuccesso commerciale del film in epoca maccartista e della fine della carriera da regista di Laughton.
L'opera tanto unica quanto rara, si è rivelata però uno di quei capolavori che maturano nel tempo, pronta a tornare sul grande schermo in versione restaurata, insieme alla personalissima sintesi delle due facce della stesa medaglia, messa in scena con la lotta implacabile di antitesi come realtà e finzione, orrore e meraviglioso, giustizia umana e divina, bene e male, luce e ombra, che la splendida fotografia in bianco e nero di Stanley Cortez, già candidato all’Oscar per L’orgoglio degli Amberson di Orson Welles, sprofonda nell'anima nera degli uomini.

Quel "love" & "hate" che convive nell'ambiguità della natura umana, come nella battaglia che il falso profeta 'reverendo' Harry Powell inscena con le mani tatuate per irretire la sua complice platea, consegnando ai posteri il ritratto indimenticabile di un assassino psicopatico e a Robert Mitchum, che lo interpreta con lucida follia e ferocia, forse il ruolo più interessante della sua lunga carriera.
La narrazione, costantemente in bilico tra thriller e favola, scritta dal futuro Premio Pulitzer James Agee, partendo dal romanzo omonimo di David Grubb, segue la fuga di due bambini lungo il corso del fiume Ohio della Virginia occidentale, dove il loro padre, Ben Harper (Peter Graves), è condannato a morte per aver preso parte ad una rapina che ha provocato l'uccisione di due uomini.
Un padre disperato che prima di essere catturato riesce a nascondere i 10.000 dollari di bottino, rivelandone il nascondiglio ai soli figli, John (Billy Chapin) e Pearl (Sally Jane Bruce), di dieci e cinque anni, caricandoli della responsabilità fisica e psicologica di mantenere i segreto e le sue conseguenze, con tutti.
In attesa di essere impiccato, con una citazione della Bibbia mormorata nel sonno ("e un bambino li condurrà"), Harper finisce per rivelare al suo compagno di cella, più di quanto aveva taciuto ai ripetuti tentativi di estorcere il nascondiglio del bottino, avanzati dal sedicente predicatore evangelico arrestato per furto, celando la sua natura di esperto seduttore di peccatrici e assassino di diverse donne, derubate e punite per conto di un Dio sanguinario e vendicativo, creato a sua immagine e somiglianza, per soddisfare la sete di denaro e l'impotenza sessuale, servendosi di un 'fallico' pugnale.

«Chi sarà la prossima Signore? Un'altra vedova? Quante sono state finora? Sei? O dodici? Quante vedovelle con un bel gruzzolo nella tasca.» Il carismatico imbonitore di folle, che lascia convivere Amore e Odio anche sulle nocche tatuate delle mani, tornato presto in libertà con il proposito di impadronirsi del bottino, non impiega molto a raggiungere il paesino di Cresap'e Landing e sedurre i suoi abitanti.
Tra questi anche la vedova Willa Harper (Shelley Winters) che sposa per indurre i bambini indifesi a rivelargli il nascondiglio del denaro, alternando sottili intimidazioni a lusinghe, all'ombra della sua aura da 'uomo nero' che divora subito quella del piccolo John.
Con il cappello da predicatore, una smorfia marmorea, il lieve movimento delle palpebre e l’inconfondibile cadenza della voce che lo hanno reso una sorta di mito, il seducente predicatore di Mitchum si sbarazza presto della nuova consorte, consumando l'amplesso omicida nel letto di nozze.
L'omicida che protegge il volto dalla luce con il palmo sinistro della mano dell'odio, con un'enfasi che ricorda il Nosferatu di Murnau, risemantizza l'immaginario espressionista che accompagna inquadrature sghembe come le pareti della camera da letto dei nuovi sposi e atmosfere artificiose che fluttuano insieme al cadavere sommerso di Willa, spinte al limite dell'onirico.
Lo stesso vale per gli interventi musicali che danno ritmo alla parabola del male raccontato dal bene, con struggenti ninna-nanna, le cantilene ipnotiche cantate dai diversi personaggi e i richiami di Powell, minacciosi quanto il fischiettio di Piter Lorre in M - Il mostro di Dusseldorf di Fritz Lang (1931).
«Bambiniii...!»
Con la barchetta riparata dal vecchio, gracile e ubriaco zio Birdie (James Gleason), i bambini iniziano la fuga lungo il fiume preso in prestito dal titolo italiano del film, accompagnati da rane, conigli e gufi notturni, fino a trovare rifugio tra le braccia materne della vecchia e saggia Rachel Cooper di Lilian Gish, capace di guardare oltre le apparenze, tenere testa a Powell e ben saldo un fucile, al punto da rivelare al mondo intero la sua vera identità, lasciandolo nelle mani della legge e della folla furiosa, mentre il piccolo John riafferma la purezza dell'infanzia inconciliabile con il mondo adulto e la vittoria del bene sul male, almeno per ora.

Un film troppo ardito per gli anni ‘50 e i canoni del thriller classico, con la sua ambientazione rurale degli stati assolati del sud, anche se girata quasi tutta in notturna con la complicità del bianco e nero, con l'irrealismo, le atmosfere fiabesche e la critica esplicita ai pericoli del puritanesimo.
Forse per questo più apprezzabile oggi di ieri, come anticipato da Francois Truffaut all'epoca. Come potrete constatare rivedendolo sul grande schermo, dopo un sessantennio, con la rassegna Il Cinema Ritrovato al cinema che proietta nelle sale di tutta Italia classici restaurati in prima visione.”

(In www.cineblog.it)

Robert Mitchum in THE NIGHT OF THE HUNTER (La morte corre sul fiume, USA, 1955), regia Charles Laughton

“Sceneggiatura di James Agee (1909-55) dal romanzo The Night of the Hunter (Il terrore corre sul fiume, 1953) di Davis Grubb. Harry Powell (Mitchum), falso pastore protestante, psicopatico e assassino, va in caccia di un tesoro nascosto il cui segreto è custodito dai fratellini John (Chapin) e Pearl (Bruce). Per ottenerlo ne sposa la madre Willa (Winters) e poi la uccide. Film di culto, l'unico diretto da Laughton, si avvale della straordinaria interpretazione di Mitchum e della splendida fotografia di Stanley Cortez al servizio dell'originale stile visivo della regia, influenzata dall'espressionismo tedesco e dal cinema scandinavo, ma anche da Griffith. Film misterioso di grande complessità polifonica dove "confluiscono più generi e tradizioni. Due sono i percorsi evidenti: la storia nera e il racconto infantile e fiabesco. L'intreccio di questi percorsi maggiori e l'inserimento di altri motivi danno luogo a una serie di trasformazioni e incroci che... rendono il film inclassificabile".

(B. Fornara)

Il film pone molte domande e dà poche risposte. Ha suscitato letture a forte valenza psicanalitica. Suggestiva partitura evocativa di Walter Grauman con canzoni e due inni religiosi tradizionali: "Leaning on the Everlasting Arms" e "Bringing in the Sheaves".”

(Il Morandini)

“La morte corre sul fiume è un film decisamente espressionista sotto molteplici punti di vista, dalle trovate illuminotecniche alla recitazione degli attori, sino a similitudini e coincidenze con altri film cronologicamente espressionisti. All'espressionismo richiama la sequenza in cui il vecchio scopre il cadavere di Willa legata all'auto sul fondo del fiume con i suoi capelli che si confondono con le alghe, e interpretata volutamente sopra le righe da Shelley Winters.
Atto d'accusa contro il fanatismo nella religione cristiana e i falsi profeti, con riferimento al sud degli Stati Uniti, il film non ebbe un grande successo all'uscita, anche se venne rivalutato in seguito, venendo anche inserito al trentaquattresimo posto della lista AFI's 100 Years... 100 Thrills, pubblicata dall'American Film Institute e comprendente i cento film ritenuti più coinvolgenti e avvincenti.
Laughton, a causa dell'insuccesso commerciale dell'opera, non poté realizzare la sua trasposizione de “Il nudo e il morto” di Norman Mailer (film che fu poi girato da Raoul Walsh nel 1958). Il film offre una delle migliori interpretazioni di Robert Mitchum, che sette anni dopo, ne Il promontorio della paura, vestirà nuovamente i panni di un personaggio molto simile.”

(In it.wikipedia.org)

THE NIGHT OF THE HUNTER (La morte corre sul fiume, USA, 1955), regia Charles Laughton

“Harry Powell, in prigione per un furto d'auto, viene a sapere dal suo compagno di cella, che è stato condannato a morte, dell'esistenza del bottino della sua ultima rapina. Il denaro è stato nascosto da qualche parte presso la sua abitazione. Una volta uscito dal carcere Powell, che non smette mai di esibire la propria professione di pastore protestante, raggiunge Willa, la vedova dell'uomo, la sposa e cerca di scoprire dove si trovano i soldi. Il segreto però è custodito dai due figli piccoli. Powell inizia a perseguitarli ed avendo già ucciso delle donne per impossessarsi dei loro averi, pensa di liberarsi della donna per avere maggiore possibilità di intimorire i bambini.
Charles Laughton alla sua opera prima (ed unica) come regista fa centro realizzando un film che, nonostante l'insuccesso commerciale, è destinato a divenire un cult. Siamo nel 1955 e l'attore/regista rievoca, sulla base di una sceneggiatura di James Agee che si ispira al romanzo di Davis Grubb, il periodo della Depressione in cui l'incertezza sul presente e sul futuro regna sovrana. L'unico appiglio è dato dalla fede che può essere trasmessa con atti di vero altruismo da una donna come Rachel Cooper (interpretata da una solida Lilian Gish) oppure piegata alle più basse intenzioni da uomini come il reverendo Powell.
Laughton trova in Robert Mitchum un interprete straordinario che colloca il personaggio alle stesse altezze di perversione psicologica di un Norman Bates. Powell, sulle cui dita sono scritte le parole amore e odio, sa come affascinare le persone con un eloquio apparentemente colto e una straordinaria capacità di suscitare timore ed attrazione. Laughton però non si limita solo a sfruttare queste doti interpretative (i due bambini sono altrettanto abili nel tenergli testa rimanendo credibili nella loro infantile alternanza di tenacia e paura) ed opera anche sul piano della fotografia. Stanley Cortez (che aveva lavorato per Orson Welles in L'orgoglio degli Amberson e che torna qui ad utilizzare la tecnica dell'iride) non si limita ad omaggiare le luci ed ombre contrastanti dell'espressionismo ma ci regala una sequenza in cui vediamo un cadavere fluttuare nell'acqua del fiume quasi si trattasse di un incubo artisticamente allucinante.
Le donne e le masse non sembrano godere della stima di Laughton. La constatazione della sciocchezza femminile viene ripetuta e solo Rachel sembra salvarsi dalla classificazione. Anche le masse però si trovano ad agire irrazionalmente. Chi si era fatto sedurre dalle parole suadenti di Powell ed era caduto in una sorta di adorazione (portata all'estremo, anche se non concretizzata, dalla ragazza che si prostituisce) è altrettanto pronta al linciaggio scatenando un livello di violenza collettiva che lascia pensare al fatto che un po' della malvagità del reverendo sia anche suo appannaggio.
C'è poi, sottolineatura forse ancor più disturbante per il pubblico dell'epoca, una riflessione sulla sessualità che in tempi di Codice Hays ancora operativo, si può considerare coraggiosa. Powell soggioga le sue vittime con una violenza sottile e pervasiva ma si astiene dal sesso. Anche da quello coniugale rivelandosi come un sessuofobo che basta a se stesso. Il moralismo ipocrita era servito.”

(Giancarlo Zappoli in www.mymovies.it)

 

THE NIGHT OF THE HUNTER (La morte corre sul fiume, USA, 1955), regia Charles Laughton 

 

Una poesia al giorno

Cofio, di Waldo (Goronwy) Williams

Un funud fach cyn elo’r haul o’r wybren,
Un funud fwyn cyn delo’r hwyr i’w hynt,
I gofio am y pethau anghofiedig
Ar goll yn awr yn llwch yr amser gynt.

Fel ewyn ton a dyr ar draethell unig,
Fel cân y gwynt lle nid oes glust a glyw,
Mì wn eu bod yn galw’n ofer arnom –
Hen bethau anghofiedig dynol ryw.

Camp a chelfyddyd y cenhedloedd cynnar,
Aneddau bychain a neuaddau mawr,
Y chwedlau cain a chwalwyd ers canrifoedd
Y duwiau na ŵyr neb amdanynt ‘nawr.

A geiriau bach hen ieithoedd diflanedig,
Hoyw yng ngenau dynion oeddynt hwy,
A thlws i’r clust ym mharabl plant bychaìn,
Ond tafod neb ni eilw arnynt mwy.

O, genedlaethau dirifedi daear,
A’u breuddwyd dwyfol a’u dwyfoldeb brau,
A erys ond tawelwch i’r calonnau
Fu gynt yn llawenychu a thristáu?

Mynych ym mrig yr hwyr, a mi yn unig,
Daw hiraeth am eich ‘nabod chwi bob un;
A oes a’ch deil o hyd mewn Cof a Chalon,
Hen bethau anghofiedig teulu dyn?

Waldo Williams (1904-1971), uno dei principali poeti in lingua gallese del XX secolo e pacifista cristiano

Un momento fugace appena il sole tramonta,
Un dolce momento mentre la notte cade veloce,
Per riportare alla mente le cose dimenticate,
Ora sparse nella polvere dei secoli passati.

Come onde bianche che si infrangono su spiagge solitarie,
Come la litania del vento dove nessuno ne ode il soffio,
Ci invitano, lo so, ma senza scopo-
Le vecchie cose dimenticate dell’umanità.

L’arte e le abilità dei primi popoli,
Piccole dimore e sale enormi,
Vecchie storie ben raccontate perse per secoli,
Gli dei che ora nessun mortale potrebbe ricordare.

E brevi parole in lingue scomparse da tempo,
Agili parole una volta vivaci sulle labbra degli uomini,
Graziose nel chiacchiericcio degli infanti,
Nessuna lingua potrà mai pronunciarle ancora.

Oh, innumerevoli generazioni terrestri,
I loro sacri sogni, la loro fragile santità,
Tace il cuore che una volta conosceva
e tristezza e letizia e gioia?

Spesso a fine giornata, quando sono solo,
Desidero conoscevi tutti, portarmi tutto in mente;
C’è un cuore o una memoria ancora per amare
Le vecchie cose dimenticate dell’umanità?

 

“Era un pacifista cristiano, attivista contro la guerra e nazionalista gallese. Suo padre era insegnante di scuola che parlava il gallese come lingua nativa, ma parlava solo inglese nei suoi primi anni. Waldo Williams è nato nel Pembrokeshire, a Preseli, in un giorno di settembre del 1904. Fu uno dei principali poeti del linguaggio gallese del ventesimo secolo. Nel 1911, suo padre fu nominato capo della scuola elementare di Mynachlog-ddu, e fu lì che imparò a parlare il gallese. Morì nel 1971 e fu sepolto nel cimitero di Blaenconin Chapel, a Llandissilio.
Si dice che Waldo Williams sia stato un insegnante appassionato, un creativo che usava ritagli in legno di animali da fattoria, ma con il nome “gallese” dipinto su un lato. Dopo aver frequentato la scuola di grammatica di Narberth, aveva studiato presso l’University College of Wales, dove si era laureato in inglese nel 1926. Aveva lavorato come insegnante in varie scuole del Pembrokeshire, nel resto del Galles e in Inghilterra.”

(In meetingbenches.net)

Foto di famiglia della madre di Waldo Williams

 

Un fatto al giorno

30 settembre 1965: in Indonesia, un colpo di stato del movimento del 30 settembre viene schiacciato, portando a una purga anticomunista di massa, con oltre 500.000 persone uccise.

“30 settembre 1965. Una data che sicuramente non vi dice niente. Era un giovedì. Un giovedì nero nel quale cominciò, in Indonesia, uno dei peggiori massacri di massa del XX secolo. Da 1 a 3 milioni di persone giustiziate. Senza contare gli arrestati a milioni, i deportati, i torturati e gli stupri di massa, oltre a tutti quelli che fino ad oggi sono ancora privati dei loro diritti
Se ne sente parlare qui in Francia? Quali media ne parlano? Nessuno.
Tuttavia, nel mese di ottobre 1965, la stampa occidentale - la stampa detta libera - ne parlava eccome. Giudicate voi:
Time Magazine: "The West's best new for years in Asia", La migliore notizia da anni per il campo occidentale.
US News & World Report: "Indonesia: una speranza, dove non ce ne erano più"
New York Times: "With 500.000 to a million communist sympathisers knocked off... I think it's safe to assume a reorientation has taken place". E' Harold Holt, primo ministro australiano: "Con un numero che va da 500.000 a 1 milione di comunisti al tappeto... penso che si possa affermare senza tema di errore che un capovolgimento della situazione vi sia stato".
Perché sì, questo massacro del quale non si parla mai in Francia né in alcun altro paese occidentale, è il massacro di un numero che si calcola tra 1 e 3 milioni di comunisti o supposti tali, in Indonesia nell'autunno del 1965, con l'assenso e il sostegno dell'Ovest.
Nemmeno una riga nei nostri programmi scolatici, che pure parlano del XX secolo come il secolo dei totalitarismi. Nemmeno una parola su questo quasi genocidio e sulla sanguinosa dittatura dell'Ordine Nuovo che ne è seguita.
Negli anni 1960, l'Indonesia di Sukarno, dopo essere stato il paese capo-fila dei "non allineati" (organizzatore della conferenza di Bandung) si avvicinava al blocco socialista.

Il partito comunista indonesiano (PKI) era in quel momento il terzo partito comunista al mondo. Forte di diversi milioni di aderenti e simpatizzanti, protagonista diretto della lotta per l'indipendenza del paese, il PKI era in quel momento uno dei pilastri della Repubblica d'Indonesia presieduta da Sukarno. PNI e PKI costituivano una forza potente capace di controbilanciare quella dei reazionari (l'islam politico e una gran parte dell'esercito) e di affrancarsi sempre di più dalla rapina dei capitalisti occidentali.

Il campo dell'Ovest subiva allora sconfitte su sconfitte. Soprattutto in Vietnam, dove l'esercito statunitense era impantanato, rovesciando sui Vietnamiti tonnellate di napalm e di agente arancio. Fin dal 1963, preoccupata per la crescente forza del PKI, per lo spostamento a sinistra del PNI (il partito di Sukarno) e per il riavvicinamento dell'Indonesia al campo socialista, Washington ha cominciato a compilare liste di comunisti indonesiani attraverso la sua ambasciata di Giacarta (La tradizione delle schedature rivelata da ultimo da Snowden non è dunque nuova e si vedrà che dovrebbe veramente inquietarci).

Nella notte del 30 settembre 1965, un curioso movimento detto "del 30 settembre" tentò un colpo di Stato. Quanto avvenne è ancora oggi poco conosciuto, giacché 40 anni di dittatura hanno forgiato una versione ufficiale molto poco veritiera dei fatti.

(Leggi tutto in: www.ossin.org)

 

“Il 30 settembre 1965 l’Indonesia cambiò in tanti modi. Dopo quasi 50 anni la nazione deve ancora fare i conti col suo orribile passato: un massacro da proporzioni di genocidio, che fu acceso da un evento che accadde quella notte fatidica di settembre, quando sette ufficiali dell’esercito tra i quali c’erano sei generali, furono sequestrati e assassinati da ufficiali più giovani che appartenevano all’unità d’elite della guardia presidenziale. Il movimento del 30 settembre (Gerakan 30 september), come si definirono i colpevoli, disse che avevano agito per anticipare i loro superiori nel consiglio dei generali di lanciare un golpe contro il presidente Sukarno. Il movimento fu annichilito in meno di 24 ore, e l’esercito riottenne il controllo e la compostezza nonostante le perdite dei suoi ufficiali più alti in grado.

E Presto iniziò il massacro

I militari, che al momento si trovarono sotto il comando di un giovane generale, Suharto, accusò il Partito Comunista Indonesiano, PKI, di essere l’istigatore principale dietro il movimento del 30 settembre, G30S, parte di un piano per prendere il potere da un sofferente Sukarno.
I militari guidarono la campagna ma gran parte degli omicidi furono condotti da organizzazioni di massa religiose tra le quali la Nahdlatul Ulama che si era scontata ideologicamente con il PKI.
Un golpe fallito accese, 50 anni fa, una diffusa ondata di omicidi, lasciando un’eredità di violenza e di negazioni che continuano ad ossessionare l’Indonesia.
Ci sono molte versioni diverse presentate dagli storici su chi per prima accese la fiamma dell’odio che continuò a consumare così tanta gente e sull’estensione del coinvolgimento del PKI, che al momento era il terzo Partico comunista al mondo per iscritti. Quello che è chiaro è che questo evento portò ad uno sterminio completo dei membri del PKI, dei sostenitori e simpatizzanti, e di tanti innocenti che non sapevano nulla della diatriba ideologica.
Chi sopravvisse non fu molto più fortunato. Decine di migliaia furono arrestati e inviati ai campi di lavoro sull’isola di Buru nelle Molucche, dove in tanti morirono. I militari chiamarono questo evento il movimento del G30S/PKI.
Durante il periodo di Suharto, il giorno 1 di ottobre era messo da parte come un giorno per segnare la “santità” dell’ideologia di stato, Pancasila, contro il tentativo di presa del potere del PKI.
Quelli che scelsero la data non dovettero notare l’ironia che il secondo dei cinque principi della Pacasila è “l’umanitarismo”. Non ci fu nulla di umano negli omicidi di massa dei loro concittadini.
Dal momento che gli omicidi non furono mai ufficialmente documentati, nessuno sa esattamente quante persone morirono durante la carneficina nel 1965 e 1966. Le stime vanno dalla cifra minima di 500 mila ai due o tre milioni. Molti storici considerano questo come il genocidio peggiore dall’Olocausto Nazista.
La principale differenza è, nel caso indonesiano, che i negazionisti governavano ed ancora governano.
La serie dei tragici eventi, scatenati da quanto accaduto il 30 settembre, cambiarono il corso della storia dell’Indonesia. Il presidente Sukarno fu così profondamente indebolito che a Marzo 1966 lasciò i suoi poteri a Suharto. Questo segnò più che un cambio di regime, l’inizio di un governo militare repressivo e brutale nel paese che è durato oltre 30 anni. Il regime di Suharto inflisse dei danni maggiori della soppressione della libertà e dei diritti fondamentali.

Un’eredità di violenza

Ponendo su tutto l’ordine e la stabilità, i militari incoraggiarono culture la fioritura di politiche violente. Le discussioni, talvolta anche su piccolissime differenze, erano fissate dal potere delle armi, se erano indicate come una minaccia alla sicurezza nazionale.
Differentemente dalla cultura politica corrotta che il regime si è lasciata alle spalle, l’eredità di una cultura politica violenta è molto meno riconosciuta. Non si è mai tentato di affrontare questo problema in modo serio, persino quando il paese iniziò le riforme politiche ed economiche per porre il paese sul percorso della democrazia il 1999.
Anche oggi forza e violenza sono mezzi usati per sistemare le differenze o per costringere la gente alla sottomissione. Sebbene i militari siano usciti dalla politica e la sicurezza nazionale è affidata alla polizia, la cultura politica che è lasciata dietro è ancora sentita largamente, e di volta in volta solleva la sua brutta testa.
Un problema è l’attitudine prevalente della società verso il massacro che varia dalla negazione completa ad una giustificazione per cui fu inevitabile e necessaria.
Ma la democrazia, dal 1999, ha aperto lo spazio pubblico ad un dibattito più vasto e l’Indonesia lotta per fare i conti con la tragedia nazionale, una pagina nera nella storia moderna della nazione che ha serie e durature implicazioni sulla vita stessa della nazione.
Ma dopo 50 anni, non si vede alcuna possibilità di conclusione. Ci sono stati tentativi di portare fuori storie, e di riconoscere che ci sono differenti interpretazioni degli eventi, oltre la versione militare che era stata imposta sul resto del paese per tutto il regime di Suharto.
Si sono pubblicati libri che offrono differenti versioni ed interpretazione della storia. L’aviazione militare, per esempio, che fu screditata tra le accuse di complicità nella questione G30, ha prodotto un Libro Bianco che dà la propria versione. I figli dei capi del PKI hanno pubblicato libri per presentare la loro storia.
Studiosi e storici che ricercano questo episodio della storia indonesiana hanno trovato difficoltà a parlare ai sopravvissuti e ai perpetratori, dal momento che non vogliono rivivere il trauma, preferendo lasciarsi il passato alle spalle.

Sono stati prodotti film e documentari, tra i quali vi è l’acclamato “The Act Of Killing” del produttore Joshua Oppenheimer che guardò agli omicidi dalla prospettiva dei perpetratori.
Altri hanno preferito scrivere romanzi, usando l’episodio tragico come uno sfondo per portare fuori storie in assenza di dati ufficiali.
Gli Indonesiani cominciano appena ad avere una conoscenza migliore di quello che è realmente accaduto.

“The Act Of Killing”, di Joshua Oppenheimer

Una eredità di negazioni

Il presidente indonesiano Abdurrahman Wahid or Gus Dur, nel 1999, chiese scusa per le atrocità commesse da Nahdlatul Ulama che una volta presiedette. Ma dopo la sua morte nel 2013, molti nell’organizzazione dissero che non dovevano le scuse a nessuno e che non riconoscevano le scuse fatte da Gus Dur.
Il parlamento nel 2004 promulgò una legge per stabilire una commissione sulla verità e sulla riconciliazione modellata sulla base dello sforzo del Sud Africa di fare i conti con il governo dell’Apartheid.
Il presidente Susilo Bambang Yudhoyono assicurò che la legge non vedesse la luce del giorno. Non appena fu eletto la inviò alla corte costituzionale che diligentemente la decretò “anticostituzionale”. Non è probabilmente una coincidenza che il suocero di Yudhoyono fosse il generale Sarwo Edhie Wibowo, comandante delle forze speciali che guidarono la purga comunista negli anni 60.
Il nuovo parlamento, eletto lo scorso anno, ha reintrodotto la legge della Commissione per la verità e la riconciliazione nell’agenda legislativa nazionale e spera di poterla approvare il prossimo anno.
La Commissione Nazionale sui diritti umani, corpo statale indipendente, produsse nel 2012 il rapporto più dettagliato sul massacro dopo quattro anni i indagine ed ha concluso che la purga dei comunisti fu una grave violazione dei diritti umani ed un crimine contro l’umanità.
Il rapporto fu presentato a Yudhoyono con alcune raccomandazioni che includevano l’incriminazione dei colpevoli e per lo stato presentare le scuse alle vittime. Da allora non si sa più nulla dello stato di questo rapporto.
Nonostante il corpo crescente di dati ed informazioni su ciò che accadde a metà degli anni 60 e la più aperta discussione pubblica, le vecchie guardie sono ancora ben salde al potere e la loro posizione comanda.
Anche quando riconoscano che il massacro dei comunisti ebbe luogo, la vecchia guardia afferma che fu necessario ucciderli. Credevano allora come oggi che i comunisti li avrebbero uccisi se non avessero agito per primi.
Fin quando queste attitudini hanno presa chi attende le scuse da parte dello stato dovrà continuare ad attendere.
Il tempio guarisce ma, considerate le ferite profonde inflitte da quei tragici eventi, 50 anni forse sono insufficienti per la completezza del processo di guarigione. L’Indonesia ha bisogno di un altro po’ di tempo.
C’è almeno un po’ di consolazione nel fatto che ora c’è apertura maggiore per discutere quello che accadde, e che si fanno più sforzi per portare a galla la verità di quel periodo orrendo.
Potrebbe essere lasciato alla prossima generazione, chi non ha mai vissuto il trauma degli omicidi e delle traversie della vita sotto un regime militare brutale, per provare a trattare tutto questo meno emozionalmente e più obiettivamente.
Solo allora, forse, l’Indonesia potrà chiudere questo capitolo oscuro della sua storia moderna.”

(Endy Bayuni)

Il presidente Sukarno

 

Immagini:

Una canzone:

  • Genjer-Genjer - Lilis Suryani [PKI-SONG]. Gendger Gendger, canzone vietata, simbolo delle organizzazioni femministe Gerwina, vicina al PKI, la Bella Ciao indonesiana

 

Una frase al giorno

Venice is like eating an entire box of chocolate liqueurs in one go.” (Venezia è come mangiare un'intera scatola di cioccolata al liquore in una sola volta)

(Tuman Capote, pseudonimo di Truman Streckfus Persons, New Orleans, 30 settembre 1924 - Bel Air, 25 agosto 1984, scrittore, sceneggiatore, drammaturgo e attore statunitense. Citato in The Observer, 26 novembre 1961)

Tuman Capote, pseudonimo di Truman Streckfus Persons, nato New Orleans, 30 settembre 1924 - morto Bel Air, 25 agosto 1984, scrittore, sceneggiatore, drammaturgo e attore statunitense

Truman Capote, scrittore statunitense, vinse nel 1946 il premio O. Henry per il racconto Shut a final door e subito si affermò con i romanzi Other voices, other rooms (1948), The grass harp (1951) e le raccolte di novelle A tree of night (1949), Breakfast at Tiffany's (1958). Autore di un libro di viaggi (Local color, 1950) e di un resoconto giornalistico scritto al seguito della tournée russa della compagnia di Porgy and Bess, The Muses are heard (1956), pubblicò anche brevi commedie autobiografiche (A Christmas memory, 1965; Thanksgiving visitor, 1968). Scrittore prezioso e sottilmente ironico, è passato dai primi racconti a sfondo autobiografico, che gli acquistarono fama di ragazzo prodigio, a uno stile più brillante e oggettivo. In seguito ha tentato una nuova forma di romanzo non convenzionale, attingendo a dati di cronaca per giungere a una ricostruzione intenzionalmente oggettiva della vicenda (In cold blood, 1966). Nel 1980 uscì una raccolta di racconti e di saggi: Music for chameleons.”

(In www.treccani.it)

Tuman Capote, pseudonimo di Truman Streckfus Persons, nato New Orleans, 30 settembre 1924 - morto Bel Air, 25 agosto 1984, scrittore, sceneggiatore, drammaturgo e attore statunitense

Il 30 settembre 1924 nasce Truman Capote, scrittore, drammaturgo e sceneggiatore americano (morto nel 1984).

A sangue freddo è un film del 2005, diretto da Bennett Miller, basato sulla vita dello scrittore statunitense Truman Capote, in particolare sul lavoro di ricerca e approfondimento svolto dall'autore in preparazione del suo romanzo A sangue freddo, ultima opera compiuta di Capote. Grazie a questo film Philip Seymour Hoffman vinse l'Oscar al miglior attore nel 2006.
Kansas, 1959. Con i proventi della vendita dei diritti per il film sul libro Colazione da Tiffany, Truman Capote decide di dedicarsi per 6 anni alla stesura di un romanzo-documento, descrivendo con cinismo e freddezza l'assassinio di un'intera famiglia di Holcomb. 4 dei 6 componenti dei Clutter infatti furono sterminati da due assassini, quasi immediatamente catturati e condannati alla pena capitale.
Capote, anche grazie all'aiuto dell'amica d'infanzia Harper Lee, ha accesso ai verbali e alle foto delle indagini e riesce per lungo tempo ad avere contatti con i due assassini, in particolare con Perry Smith, di origini irlandesi e cherokee, ossessionato dalla cultura quanto spietato nella realtà. Capote apre il lato umano dell'assassino, facendosi infine rivelare i reali fatti accaduti quel giorno in Kansas.
Il romanzo porterà Truman Capote definitivamente nell'Olimpo dei grandi scrittori d'America, ma allo stesso tempo critica e opinione pubblica faranno nascere in lui molti dubbi esistenziali, che lo porteranno a non completare mai più alcun libro.

 

Un brano musicale al giorno

Karl Böhm: Mozart, Overture da Il flauto magico

Karl August Leopold Böhm (Graz, 28 agosto 1894 - Salisburgo, 14 agosto 1981) fu un direttore d’orchestra austriaco. Particolarmente dotato nelle sue interpretazioni di Wagner e Mozart, è ampiamente considerato uno dei più grandi direttori del XX secolo.

Karl August Leopold Böhm (Graz, 28 agosto 1894 - Salisburgo, 14 agosto 1981)

«Il flauto magico (K 620), titolo originale Die Zauberflöte, è un Singspiel in due atti musicato da Wolfgang Amadeus Mozart (Salisburgo, 27 gennaio 1756 - Vienna, 5 dicembre 1791), su libretto di Emanuel Schikaneder e con il contributo di Karl Ludwig Giesecke.

Il flauto magico è stato interpretato utilizzando varie chiavi di lettura: oltre che come fiaba per bambini, è stato letto anche come racconto massonico o come storia a contenuto illuminista. Oltre al filone razionalista della cultura massonica del '700, l'opera documenta un filone caratterizzato dal misticismo e dall'attrazione per i misteriosi scenari dell'Oriente. Mozart vi affronta tematiche tipiche della cultura massonica, e a lui care: morte e rinascita, rapporto tra terreno e ultraterreno, iniziazione e prova come cammino per giungere all'amore universale. La Rivoluzione francese porterà a "politicizzare" i personaggi: la perfida Regina della Notte sarà associata all'odiato Ancien Régime, Sarastro all'Illuminismo.
La vicenda racconta però anche lo sviluppo di un individuo che, da giovane, ignorante e debole che era, diventa saggio, sapiente e uomo attraverso la scoperta dell'amore e il superamento di varie prove iniziatiche. Durante questo percorso formativo, il giudizio di Tamino sui due Regni nemici si capovolge: il bene, inizialmente identificato con il Regno Lunare della Regina della notte in quanto vittima del rapimento della figlia perpetrato da Sarastro, finirà per essere identificato nel Regno Solare di quest'ultimo, dapprima giudicato come malvagio. Nel Regno di Sarastro Tamino troverà ragione e saggezza. Si scoprono così le buone intenzioni di Sarastro nel portare a sé Pamina, non togliendole libertà, ma sottraendola con intento protettivo alla malvagia madre, onde poterla destinare al giovane predestinato ed eroe della vicenda, ovvero lo stesso Tamino.

Oltre alla contrapposizione orizzontale fra i due Regni, la vicenda si può leggere in un'ottica verticale dove la contrapposizione è fra il potere, l'autorità, i Regni, ed il sotto-mondo popolare, semplice e genuino rappresentato da Papageno. L'antitesi è allora fra il concreto uomo-animale allo stato naturale e l'eletto, aristocratico ed astratto Tamino. Il Regno della Luna e quello del Sole sono nemici ma, allora, sostanzialmente equivalenti. Entrambi rappresentano l'autorità e l'ordine, mentre Papageno - che non ha superato le prove iniziatiche ma che di ciò s'infischia beatamente - è l'uomo di tutti i giorni capace di servire allo stesso modo la Regina della notte come Sarastro, consapevole che la bontà e la felicità, seppur materiale, stanno dalla sua parte.

Pietro Citati rileva che Tamino e Pamina sono due nomi egiziani. Le stesse palme con le foglie d'oro appaiono tra le mani dei sacerdoti di Apuleio (Le metamorfosi XI, 10) e dei sacerdoti di Mozart (atto II, scena I). Le strane grottesche piramidi in miniatura che nel Flauto Magico i sacerdoti usano come lanterne o portano sulle spalle (atto II, scena XIX) apparivano già nelle tombe egizie. Alcune caratteristiche di questo viaggio iniziatico hanno suggerito anche, alla dantista Maria Soresina, la possibilità di un parallelo con il percorso di Dante Alighieri nella Divina Commedia, che viene proposta come una diversa chiave di lettura dell'opera...»

(In wikipedia.org)

Diana Damrau, Regina della Notte in Il flauto magico

30 settembre 1791: la prima rappresentazione dell'opera di Mozart, Il flauto magico, avviene due mesi prima della sua morte.

 


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k