“L’amico del popolo”, 5 novembre 2018

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

THE WEDDING PARTY (Oggi sposi, USA, 1963, 1969), regia di Brian De Palma, Wilford Leach e Cynthia Munroe. Sceneggiatura: Brian De Palma, Wilford Leach e Cynthia Munroe. Fotografia: Peter Powell. Montaggio: Brian De Palma, Wilford Leach e Cynthia Munroe. Musiche: John Herbert McDowell. Cast: Valda Setterfield: Mrs. Fish. Raymond McNally: Mr. Fish. John Braswell: Reverend Oldfield. Charles Pfluger: Charlie. Jill Clayburgh: Josephine. William Finley: Alistair. Robert De Niro: Cecil. Jennifer Salt: Phoebe.

 

Vecchio film girato con pochi mezzi, che però assembla molti talenti che sarebbero esplosi nella decade successiva. È la storia di una vigilia di nozze. Un giovanotto sta per sposare una ragazza di ottima famiglia. Ottima, ma nient'affatto entusiasta del futuro marito della figliola. A raffreddare ulteriormente il giovane arrivano gli amici di sempre che cercano di convincerlo a non rinunciare allo "scapolaggio".
La sua trama semplice si concentra su un promesso sposo nel conoscersi con i vari parenti della sua fidanzata e di altri membri che parteciperanno alle nozze, prima della cerimonia nella tenuta di famiglia a Shelter Island.

“Progetto giovanile di Brian De Palma, che firma regia, sceneggiatura e montaggio insieme a Wilford Leach e Cynthia Munroe. Il tono è scanzonato, la messinscena piuttosto semplice e raffazzonata, ma dietro il velo di una commedia apparentemente leggera, si nasconde una riflessione non banale sulla paura del futuro e sul peso da dare alle proprie scelte. Il film, risultato di tre anni di riprese, raccoglie materiale girato tra il 1963 e il 1966, ma venne distribuito in sala solo nel 1969. Il prodotto finale risulta così una commistione di diversi stili, quasi del tutto privo di omogeneità e coerenza interna: una sperimentazione interessante, ma dal respiro tutto sommato corto. Uno dei primi ruoli in assoluto per Robert De Niro, già apparso nel precedente film di De Palma, Ciao America (1968), e esordio per Jill Clayburgh. Oggi sposi è stato a lungo invisibile in Italia, prima di essere presentato al Torino Film Festival del 1992.”

(In www.longtake.it )

“Che il cinema De Palma sia postmoderno e che il postmoderno americano abbia filtrato il cinema classico attraverso le nuove onde europee è cosa piuttosto nota. Forse è meno scontato accorgersi che le radici di De Palma, e per estensione anche quelle del postmoderno, siano quasi contemporanee ai film di un autore non associabile direttamente come Richard Lester. Proprio a Lester viene da pensare di fronte a Oggi sposi, esordio di un De Palma ancora studente realizzato con pochi fondi nel 1963 (e A Hard Day’s Night è addirittura del ’64!) e poi distribuito in pochissime copie solamente nel ’69. Progetto collettivo (la regia porta formalmente tre firme, fra cui quella di Wilford Leach, professore di De Palma), più che per lo script sgangherato il film si fa notare per la scelte stilistiche estreme, per i rimandi alla slapstick e al muto, per gli sperimentalismi ingenui e scatenati, per le accelerazioni, i ralenti, i jump cut, le sovrimpressioni e quelle frammentazioni del quadro che sembrano le prove generali dei futuri split screen... Visto oggi può far sognare una via alternativa e impossibile alla New Hollywood. O più semplicemente confermare quanto De Palma, prima della maturità, fosse il più innovativo ed “europeo” della sua generazione.”

(Stefano Santoli in www.cineforum.it)

Il film è stato prodotto dalla Oudine Productions. Si tratta del primo ruolo cinematografico di Jill Clayburgh. Il film è stato girato nel 1963. La casa di produzione però è fallita, e il film non è stato rilasciato nelle sale cinematografiche fino al 1969. Le riprese sono state ambientate completamente nello stato di New York, precisamente a Shelter Island (Long Island), e a New York City. Il budget stimato per la realizzazione della pellicola ammonta a circa $ 43.000.

 

Una poesia al giorno

Non diceva parole, di Luis Cernuda

“Non diceva parole
ascoltava soltanto un corpo interrogante
ignorando che il desiderio è una domanda
per cui non c’è risposta
una foglia il cui ramo non esiste
un mondo di cui il cielo non esiste
L’angoscia si fa strada tra le ossa
risale per le vene
erompe nella pelle
in zampilli di sogno
fatti carne che interroga le nubi
Qualcuno che ci sfiori
uno sguardo fugace tra le ombre
bastano perché il corpo s’apra in due
avido di ricevere in se stesso
altro corpo che sogni
metà e metà
sogno e sogno
carne e carne
uguali in figura
in amore
in desiderio
E sia pure soltanto una speranza
ché il desiderio è una domanda la cui risposta nessuno conosce.”

(In www.lundici.it)

Luis Cernuda Bidón (Siviglia, 21 settembre 1902 - Città del Messico, 5 novembre 1963) è stato un poeta spagnolo.

 

In Italia il poeta è stato osteggiato per paura della sua omosessualità, basti leggere Treccani: Carmelo SAMONA' - Enciclopedia Italiana - III Appendice, 1961

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Un fatto al giorno

5 novembre 1925: L'agente segreto Sidney Reilly (1873-1925), la prima "super-spia" del XX secolo, viene ucciso con una esecuzione dall'OGPU, la polizia segreta dell'Unione Sovietica.

 

“Quello di Sidney Reilly è un mito controverso oltremanica. C’è chi lo ha definito come “la prima super-spia del XX secolo” e chi come un “abile truffatore e inguaribile donnaiolo”. Qualunque sia la verità, la figura di questo uomo ha affascinato generazioni di inglesi, compreso Ian Fleming, il “padre” di James Bond, tanto da spingerlo a trarne ispirazione per l’ideazione del personaggio del suo agente “con licenza di uccidere”.
Carismatico, trasformista, coraggioso, intelligente, abilissimo a tessere relazioni sia sociali che amorose, animato da un odio viscerale per i bolscevichi, marito premuroso e abile uomo d’affari, di Reilly non si è sicuri né dell’identità, né quando sia morto e in che circostanze. Solo recentemente, molto dopo la scrittura di questa biografia, il mistero che circonda la vita di Reilly si è fatto un poco meno fitto, solo perché i servizi segreti britannici hanno declassificato la documentazione sul suo conto.
La sua parabola è iniziata a fine ‘800 in Ucraina, dove dovrebbe essere nato, è passata per il sud America dove ha svolto vari lavori, per poi approdare in Gran Bretagna. Qui divenne un’agente segreto di Sua Maestà e si distinse in diverse rocambolesche azioni oltre le linee tedesche durante la Prima Guerra Mondiale. Il punto più alto della sua carriera di agente segreto probabilmente è stata l’organizzazione di un complotto volto a soffocare la rivoluzione comunista in Russia sul nascere, nel 1918. Tale tentativo fallì per un soffio e gli costò la sentenza di morte emessa in contumacia da parte dei bolscevichi. A quel punto la sua parabola intraprese il proprio ramo inesorabilmente discendente. Fino a portarlo a cadere proprio tra le fauci degli odiati e machiavellici bolscevichi. Ma veniamo, appunto, al libro.

i tratta di un’autobiografia curata da quella che credeva di essere la moglie legittima di Reilly al momento della sua scomparsa in territorio russo nel 1925. Sì, perché Pepita, poco dopo che il libro fu dato alle stampe, scoprì che il matrimonio contratto con Reilly era in realtà nullo in quanto, in seguito, egli risultò essere già sposato con altre donne. Comunque, nella prima parte del libro, grazie alle carte di Reilly in possesso di Pepita, viene ricostruito l’ambizioso piano per far fallire la rivoluzione in Russia. Con astuzia, coraggio e determinazione, Reilly riuscì a costituire un’organizzazione clandestina che per un soffio non riuscì nel proprio intento. Tuttavia, per una tragica circostanza del caso, il piano che poteva cambiare la storia della Russia e del mondo intero fallì e l’organizzazione di Reilly fu scoperta e smantellata dalla temibile polizia politica comunista: la Čeka. Fortunatamente, grazie alla struttura innovativa dell’organizzazione ideata da Reilly proprio per fronteggiare questa evenienza e al coraggio dell’agente, la maggior parte dei cospiratori riuscì a salvarsi dalla tremenda vendetta della famigerata Čeka. Anche Reilly riuscì a sfuggire per un pelo sia ai russi che ai tedeschi e a far ritorno sano e salvo in Patria. Dalla Gran Bretagna, dopo queste vicenda, inizia il racconto basato sui ricordi personali di Pepita nella seconda parte del libro, con il supporto anche di alcune lettere e telegrammi da essa conservati. Pepita quindi riporta come Reilly, nonostante fosse cosciente di essere sorvegliato dalla Čeka e in perenne pericolo di vita anche in Patria, spese anima e corpo nel tentativo di contribuire alla causa di combattere gli odiati bolscevichi. Fino al tragico epilogo. Per una sorte di beffarda e malvagia legge del contrappasso, cadrà in un sofisticato tranello: verso la fine del settembre del 1925, convinto di essersi affiliato ad una nuova organizzazione clandestina anticomunista, Reilly attraversò il confine tra Finlandia e Russia per incontrarne i capi. In realtà era tutta una macchinazione per far uscire allo scoperto i nemici del regime come Reilly e l’agente, che agì di iniziativa senza la copertura del proprio governo, fu catturato appena passata la frontiera e, secondo le autorità locali, fu ucciso in un bosco da comuni banditi. Pepita non credette mai alla verità raccontata dalle autorità russe e nella terza e ultima parte del libro descrive con quanta angoscia e disperazione si impegnò in prima persona per scoprire la reale sorte del marito. Fino a quando dovette arrendersi all’idea che suo marito, anzi colui che pensava fosse suo marito, era morto in Russia.

Solo molto dopo un ex agente russo ha rivelato che Reilly fu detenuto per diversi anni in una prigione speciale russa, finché secondo lui fu assassinato a sangue freddo dalla Čeka dando così corso alla sentenza di morte emessa anni prima.
Si tratta di un libro interessante su una figura davvero straordinaria, comunque la si pensi sul suo conto. Certo non si tratta di un avvincente romanzo sulle mirabolanti avventure dell’agente doppio zero più famoso del mondo, tuttavia è affascinante leggere i resoconti di Reilly sulle trame politiche dell’epoca e scoprire la lotta mortale e clandestina tra la Čeka e gli oppositori esterni e interni al regime comunista.”

(Ciro Metaggiata dal libro “Sidney Reilly: Io sono il re delle spie” Ed. Castelvecchi pp. 187)

 

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  • Sidney Reilly (life) www.youtube.com
  • Reilly, Ace of Spies - Episode 01 - 1901 - An Affair with a Married Woman. Episode 01 of 12. From 1983 Sam Neill stars as Sidney Reilly, who lived from 1873 to 1925. Written by Troy Kennedy Martin and Directed by Jim Goddard.

“Nel 1983, una miniserie televisiva, Reilly, Ace of Spies, ha drammatizzato le avventure storiche di Reilly. Diretto da Martin Campbell e Jim Goddard, il programma ha vinto il BAFTA TV Award 1984. Reilly è stata interpretata dall'attore Sam Neill. Leo McKern ha interpretato Sir Basil Zaharoff. La serie era basata sul libro di Robin Bruce Lockhart, Ace of Spies, adattato da Troy Kennedy Martin." (Tutti gli episodi sono su YouTube)

 

Una frase al giorno

"I Galli, sconfitti, depongono le armi ai piedi di Cesare? Invece no! Un villaggio, abitato dai cugini di Vercingétorix, resiste ancora all'invasore."

(René Goscinny, Parigi, 14 agosto 1926 - Parigi, 5 novembre 1977, è stato un fumettista, editore e umorista francese, famoso nel settore dei fumetti per ragazzi).

Numerose le pubblicazioni a cui ha partecipato e le serie da lui portate al successoː tra queste Lucky Luke e, in sodalizio con il disegnatore Albert Uderzo, Asterix. È anche autore dei racconti per bambini della serie Le petit Nicolas. “Goscinny, fan del calembour, crea i primi abitanti: Panoramix, Assurancetourix, Abraracourcix. Per il personaggio principale viene scelto Astérix, per ragioni bassamente pratiche. Le collane di fumetti sono in ordine alfabetico: trovarsi in cima è un'ottima pubblicità. Trovata l'idea si aggiungono i dettagli. Il duo René Goscinny-Albert Uderzo consulta il loro vecchio manuale scolastico, il Mallet-Isaac, ritrovano druidi, bardi, guerrieri e ribaltano il tutto. La comicità diventa prendere in contropiede i luoghi comuni: il bardo canta male, la pozione sa di aragosta e l'eroe è un soldo di cacio.
Nei primi schizzi di Uderzo il personaggio Asterix è alto e atletico, sarà Goscinny ad insistere per farne un omuncolo. Ciò che aveva in mente René era un antieroe, un personaggio più astuto che forte, con un carattere rissoso, "da gallico". Nuove discussioni, nuovi bozzetti. Il gallico si delinea: un bel nasone, baffi spioventi ed un casco con ali mobili. La matita riesce nell'exploit di fare una caricatura dei Galli senza urtare il lettore. Si tratta pur sempre delle radici della nazione francese.”

(Articolo completo in Wikipedia)

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Un brano musicale al giorno

Attilio Ariosti (1666-1729), Viola d'amore Sonata no.18 in Re minore. Andante/Allegro/Largo/Allegro. Richard Fleischman, viola d'amore e Aaron Merritt, violoncello.

Attilio Ariosti (Bologna, 5 novembre 1666 - Londra, 1729) è stato un compositore, cantante e organista italiano, virtuoso di violoncello e viola d'amore.
 

«ARIOSTI, Attilio Malachia (Ottavio) nacque a Bologna il 5 novembre 1666 da Giuseppe (che apparteneva a un ramo bolognese della famiglia nobile Ariosti) e da Caterina Sgargioli; fu battezzato il 10 novembre nella chiesa di S. Maria Maggiore con i nomi di Attilio Malachia, quest'ultimo in seguito sostituito spesso dall'A. con Clemente.
L'A. ebbe due fratelli: uno maggiore, Ludovico Agostino, che morì fanciullo, e uno minore, Giovanni Battista, nato nel 1668, che, come lui, divenne frate col nome di Odoardo e fu musico. Da notare come la madre morta verso il 1716, nel suo testamento, così come è riportato in data 4 febbr. 1716 nel Repertorio degli Cognomi nell'Archivio de' Servi (Arch. di Stato di Bologna), nomini suo erede universale "il molto R. Pre. Odoardo Areosti, Sacerdote dell'ordine di S. Maria de' Servi, di questa città, suo figlio..." e non faccia cenno dell'altro figlio Attilio. Forse questa voluta omissione deve ricercarsi nella vita avventurosa che conduceva l'A. e che poco si conciliava con le regole dell'Ordine che invece avrebbe dovuto osservare.
Dell'educazione musicale dell'A. non si sa nulla. Il 21 giugno 1688 entrò con altri due giovani, Giuseppe Franzoni e Gaspare Cavazza, nel convento dei Servi per il probandato. Non si conoscono le ragioni per cui divenne frate, poiché, come dimostrerà nella sua vita, in lui il musicista prevalse sempre sul religioso (tanto da far scrivere in seguito alla regina Sofia Carlotta di Prussia in una lettera al Leibniz - forse del 25 marzo 1703 - che "il personaggio in questione [l'A.], sia detto fra di noi, muore di paura di ritornare nel suo convento, e ciò mi fa pietà").
Il 25 luglio 1688, nella cerimonia della vestizione, l'A. assunse il nome di frate Ottavio; il 28 luglio 1689 fece la professione pubblica e il 13 settembre prese gli ordini minori. Tre anni dopo (25 maggio 1692) divenne diacono. Non si ha notizia di una sua successiva ordinazione sacerdotale. In questo periodo l'A. occupò il posto di organista nella chiesa dei Servi. Nel 1693 fece eseguire a Modena un suo oratorio, La Passione, su testo di C. Arnoldi e, due anni dopo, stampò per i tipi di Carlo Maria Fagnani di Bologna i Divertimenti da camera a violino e violoncello. La sua fama di musicista superò presto i confini della sua città, e già nella primavera del 1696 egli si trovava a Mantova al servizio di quella corte ducale così amante delle arti e in particolare della musica. Nella stagione 1696-97, trovandosi a Venezia - con ogni probabilità al seguito del duca Carlo IV di Mantova ch'era solito trascorrere ivi il carnevale -, l'A. compose il dramma pastorale Il Tirsi, in collaborazione con A. Lotti e A. Caldara, e fece eseguire anche la sua opera Erifile. Forse da Venezia stessa, su ordine del duca, l'A. si recò direttamente a Berlino alla corte di Selia Carlotta elettrice di Brandeburgo che, ricevuta una buona educazione musicale alla corte patema di Hannover, aveva voluto fare di Berlino un nuovo centro della musica italiana e perciò aveva riunito intorno a sé molti artisti italiani, fra i quali il violinista N. Orio, il tiorbista A. F. Moscatelli, il compositore R. Fedeli e il cantante F. Chiaravalle, precedentemente al servizio, come l'A., del duca di Mantova. In questo ambiente, favorevole alla sua attività, l'A. in pochi mesi riuscì a conquistarsi la benevolenza di Sofia Carlotta, per la quale egli divenne presto insostituibile, suscitando così l'invidia dei suoi colleghi - e in particolare del Chiaravalle, che era stato privato del favore dell'elettrice - e dando origine a diverse voci calunniose a suo riguardo, seppure infondate.
Queste calunnie (insinuazione sui rapporti fra l'A. e Sofia Carlotta, suo possibile matrimonio con una damigella di corte, ecc.) resero l'A. oggetto di un lungo carteggio, complicato da un sottile gioco diplomatico, fra illustri personaggi: il cardinale Francesco Maria Medici, il duca Giovanni Gastone di Toscana, il p. generale dell'Ordine dei Servi, il filosofo Leibniz (che nell'occasione si dimostrò abile diplomatico e buon amico dell'A.), l'elettrice Sofia Carlotta - divenuta nel frattempo regina di Prussia -, il duca Carlo IV di Mantova, il nunzio apostolico a Vienna Giovanni Antonio Davia, il principe vescovo Jodocus Edmund di Hildesheün ed altri ancora, fra i quali non ultimo l'abate Agostino Steffani, compositore e uno dei migliori rappresentanti della musica italiana in Germania, e il poeta aulico Ortensio Mauro, che scrisse alcuni libretti per l'Ariosti .
La diatriba si protrasse per lunghi anni per la resistenza opposta dalla regina, che non voleva privarsi del suo compositore preferito, e per il poco entusiasmo mostrato dall'A. nell'obbedire alle ingiunzioni dei suoi superiori di far ritorno in patria. Infine la regina dovette cedere e nel maggio del 1703, a seguito di un'ultima lettera del granduca di Toscana Cosimo III, diede il permesso richiesto per l'A. di "restituirsi in Italia ove il suo P. Generale lo desidera per vantaggio della propria Religione" (Ebert). Il 13 giugno l'A. inviava una lettera di obbedienza al generale, nella quale assicurava un suo prossimo ritorno, ma trascorsero ancora alcuni mesi prima della sua partenza da Berlino. Questa avvenne, infatti, soltanto nell'ottobre, quando alla regina fu assicurato che l'A. non sarebbe incorso in alcuna sanzione disciplinare, ma anzi, sarebbe stato "avanzato al grado di Maestro... per remunerare l'obbedienza da esso dimostrata in partirsi dalla Corte di Brandemburgo alla volta d'Italia" (Ebert). Nel viaggio di ritorno, l'A. si fermò a Vienna (24 novembre), dove restò fino al 1709 (dopo un breve soggiorno in Italia nel 1708), facendovi rappresentare nuovi lavori teatrali, cantate e oratori, fra i quali la giovanile Passione.»

(Riccardo Nielsen - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 4, 1962)

  • Per conoscerlo di più: Attilio Ariosti "Cantatas"

 


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

 

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

 

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

 

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

 

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

 

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

 

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

 

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

 

Nous serons

 

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

 

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

 

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

 

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

 

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

 

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

 

Un fatto al giorno

 

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k