DIARIO DI NATALE IN ETIOPIA

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Era il 1972, quando partii la prima volta per l'Etiopia: ero alla ricerca del luogo di sepoltura di mio padre. Fu un impatto sconvolgente, con una società retta ancora da un regime feudale e quindi con tutte le conseguenze negative sul piano sociale. Sono tornato altre volte, spostandomi liberamente nel vasto territorio (cinque volte l'Italia'); essendo solo, mi potevo muovere senza ostacoli. L'unica zona che mi è rimasta ancora da visitare è la Dancalia: oltre che inospitale per il suo territorio particolare, è abitata da gente bellicosa e per questo non ho trovato mai chi mi accompagnasse.

Nel 1994, in occasione del viaggio "Alle Sorgenti del Nilo", portai gli amici del Gruppo Archeologico prima in Tanzania e successivamente in Etiopia; oltre ai siti archeologici e naturalistici, li portai a conoscere una realtà diversa, quella delle Missioni, a Zeway. Da poco era deceduto il fondatore della missione, l'amico Elio, ma la sua impronta era evidente ovunque. Quella volta, nel ricordo di quel giorno, gli amici del Gruppo Archeologico hanno voluto danni un segno tangibile della loro generosità, un'offerta in denaro, da portare a Zeway. Lo stesso hanno fatto gli amici della "Fratellanza Sammarinese di Roma", di cui sono parte.

Due motivi mi hanno spinto alla partenza. Il primo, mantenere la promessa fatta all'amico Elio di trascorrere un periodo in missione, per vivere quella che lui chiamava una "magnifica realtà". Il secondo quello di creare una pausa nella vita di tutti i giorni, mettendomi nelle condizioni di riflettere su certi aspetti e ritrovare quel "Natale" che la società dei consumi sta annullando. Ho soggiornato in Missione una ventina di giorni. Mi ha accompagnato mia nipote Alessandra, anche lei interessata ad un'esperienza umana diversa.

Zeway, come tutti i laghi della Rift Valley, è un lago di origine vulcanica. La missione è posta sulla riva ovest del lago, a 2000 m di altezza; di giorno il caldo si sente, la notte il freddo è micidiale. La vita in Missione richiede un fisico "in ordine" e tanto desiderio di donare. È una vita dinamica senza soste, ognuno si muove nel proprio settore, dando il massimo, e questo con il sorriso sulle labbra; tutto viene coordinato dal direttore della Missione Salesiana, Don Aristide.
Uno dei punti focali della missione di Zeway è l'oratorio dei ragazzi: è un riferimento che li attira tutti, di qualsiasi età. Qui si segue l'esempio di Don Bosco, fatto di preghiere, lavoro e divertimento. La giornata tipo inizia alle prime ore dell'alba, con la preghiera, quindi si fa colazione e subito inizia la giornata operativa, in cui ognuno ha il suo compito.

La cosa più importante è la scuola: sono presenti tutti i livelli, anche la formazione al lavoro attraverso il laboratorio. L'ultimo creato è quello di informatica, prepara i giovani alla vita, ad essere operativi, nel nucleo vitale della nuova società. Le ragazze svolgono le stesse attività dei ragazzi, insieme ad alcuni lavori particolari per loro.

Fanno parte di Zeway scuole distaccate anche a molti chilometri (come Amadullu); oltre 2000 ragazzi vi fanno riferimento; un piccolo esercito che ha bisogno di tutto. Il contributo delle famiglie è minimo, se non nullo: a tutto provvede la Missione, pagando, fra l'altro, anche gli insegnanti provenienti dall'esterno.

La missione distribuisce, nell'arco della giornata, anche i pasti, compresa la colazione del mattino. Per le lezioni si debbono fare i doppi turni: le classi arrivano a 60, 70 alunni e molti ragazzi rimangono esclusi per insufficienza di posti. Questo è il rammarico maggiore per i Salesiani.

Mia nipote Alessandra è stata inserita dalle suore dove, sin dal primo mattino, convergono decine di bambini in condizioni pietose, spesso solo accompagnati dalla sorellina più grande, di appena 6 o 7 anni.
Il miraggio è costituito da una tazza di "zuppa" dove c'è di tutto, uova, latte, medicine, farina, che costituisce l'unico alimento di una lunga giornata. Contemporaneamente si fa ambulatorio (se ne occupa Suor Ines), per casi clinici che, purtroppo, abbondano. Uno "straccetto" ricopre le membra colpite dal male e dalla fame. Aids e tubercolosi mietono il maggior numero di vittime tra i bambini. Ogni giorno affluiscono alla missione bambini abbandonati, malati.

Nel mondo della scuola tutto è diverso. I bambini, fin dalle prime classi, vengono abituati all'igiene, all'ordine, alle responsabilità. Già alle otto, ora d'inizio della scuola, i loro canti gioiosi rallegrano la Missione. Non dimenticherò i loro saluti di benvenuto a me e ad Alessandra. Sono diligenti, attenti. Quello che cercano sempre è il contatto umano: i loro occhi neri, profondi, ti scrutano l'animo; cercano la tua mano contendendola agli altri; spesso, insieme ad un sorriso, ti donano un fiore. Non chiedono altro.

Il gioco fa parte della giornata: è una valvola di sfogo, ma anche una scuola di vita che non può mancare, come ha insegnato Don Bosco. Tornei di calcio, pallavolo, atletica sono sempre presenti all'oratorio del sabato e della domenica. Ho assistito a tutto questo. Migliaia di ragazzi venivano coinvolti, era una festa per tutta la Missione; l'agonismo portava, nei giorni successivi, a discutere su quanto avvenuto.

Parlando di rivalità, lontano dall'Italia migliaia di chilometri, si tifa per la Roma, l'Inter, ecc., come se si fosse a casa. L'utilizzo, anche se moderato, di Internet permette di compiere passi da gigante nelle comunicazioni, ma anche la vecchia amica radio è sempre presente. Almeno una volta a settimana, si va nelle "cappelle" istituite dai missionari, a fare oratorio, insegnare, pregare e lavorare.
Spesso l'unico riferimento è un capannone di fango e paglia con il pavimento indurito dallo sterco, protetto da un recinto spinato, e spesso lontano anche venti o trenta chilometri. Tutti lì aspettano con ansia quel giorno. In questi centri lontani le necessità sono ancora più gravi.

Gli aspiranti, i futuri sacerdoti locali, sono la speranza dei nostri amici missionari, ragazzi in gamba, conoscitori della società dove opereranno; li aspetta una preparazione lunga e non facile che affrontano con serietà e sacrificio.
La natura che circonda Zeway si sta, purtroppo, modificando. L'uomo, alla ricerca permanente di legna, per costruire e per cucinare, sta distruggendo l'ambiente unico della savana, quello immortalato dai libri di Hemingway.

Lo spazio è tiranno e quindi non posso prolungarmi nel citare altri episodi particolari; ma voglio ricordare alcuni nomi di missionari e volontari che mi hanno donato ed insegnato molto, a loro la mia gratitudine: Don Aristide, Don Franco, Don Ermanno, Isidoro, gli Aspiranti Gebrè, Haileselassiè, Hasfha, le Suore Suor Ines, Suor Giò.

Dal diario di viaggio di Marino Giorgetti
Presidente Coordinatore Nazionale dei Gruppi Archeologici DLF

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