L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno IV. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...
Un film al giorno
CANI DIETRO LE SBARRE (Italia, 1955), regia di Gillo Pontecorvo. Fotografia: Giuseppe De Mitri. Musiche: Franco Potenza. Montaggio: Bruno Mattei.
Quella dei cani randagi a Roma è una vera piaga: ogni giorno gli accalappiacani ne catturano una quindicina. E se nessuno viene a reclamarli al canile entro qualche giorno, per gli animali c'è la camera a gas.
“Il valore sociologico di questo lavoro, uno dei primissimi diretti da Gillo Pontecorvo, non è poco: Cani dietro le sbarre ci racconta infatti di una Roma - e più in generale di un'Italia - ancora immersa nella ricostruzione postbellica, nella quale non è difficile veder scorrazzare cani randagi anche in zone centrali delle città e il mestiere dell'accalappiacani è fondamentale. Ma è un mestiere crudo e pieno di rischi, ci ricordano gli undici minuti e mezzo del film: molti degli animali randagi hanno malattie e quasi sempre nutrono un atteggiamento diffidente e aggressivo nei confronti degli esseri umani. Considerando che l'alternativa è la cattura, per essere rinchiusi in una cella di canile in attesa della camera a gas, non è difficile parteggiare per le bestiole. Ma nel 1955 ciò era tutt'altro che scontato, anzi: i diritti degli animali erano ancora tutti da considerare e Cani dietro le sbarre ci offre uno spaccato a suo modo anche scioccante. Efficaci le riprese, in stile giornalistico con qualche vezzo ironico di troppo il commento della voce esterna; il doppiaggio successivo alle riprese penalizza senza dubbio l'opera. Montaggio di Bruno Mattei, futuro regista di genere, uno degli ultimi a portare avanti la tradizione del cinema nostrano a basso costo e tanta fantasia”
(In www.filmtv.it)
- Il film: Cani dietro le sbarre (1958)
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19 novembre 1919: nasce Gillo Pontecorvo, regista e sceneggiatore italiano (morto nel 2006).
“Pontecorvo, Gillo (propr. Gilberto), regista cinematografico, nato a Pisa il 19 novembre 1919. Erede dell'approccio diretto alla realtà del Neorealismo e dell'intensità poetica e corale del cinema sovietico, P. ha realizzato opere con uno stile essenziale, sostenute da un montaggio non narrativo basato su un'asciuttezza cronachistica e da un commento musicale (al quale in più di un'occasione ha collaborato) in grado di intensificare il ritmo del film. Si è mantenuto fedele all'idea di un cinema caratterizzato da un saldo impegno ideologico e da una forte carica di denuncia, il cui comune denominatore è la 'dittatura della verità', l'indagine di situazioni 'limite' nelle quali si verifica, come inevitabile, una rottura, un rovesciamento, mentre le figure individuali risultano in lotta sullo sfondo di situazioni collettive.
Nel corso di una pur non prolifica carriera P. ha ottenuto numerosi riconoscimenti tra cui il Leone d'oro alla Mostra del cinema di Venezia nel 1966 per La battaglia di Algeri e in seguito due David di Donatello, rispettivamente per Queimada (1969) nel 1970 e per Operación Ogro (1979; Ogro) nel 1980.
Quinto degli otto figli di un ricco imprenditore tessile ebreo, P. ricevette un'educazione antifascista e al contempo laica. Dopo essere stato cacciato dal ginnasio e aver frequentato con scarso interesse il liceo scientifico, nel 1936 si iscrisse, senza convinzione, alla facoltà di Chimica dell'Università di Pisa. Nel 1939 raggiunse il fratello Bruno (il celebre fisico che nel 1950 sarebbe espatriato in Unione Sovietica) a Parigi per seguire un corso di giornalismo. Nella capitale francese cominciò a lavorare per l'Havas (attuale Agence France Press) ed entrò in contatto con il Partito comunista italiano clandestino, rifugiato in Francia dopo l'abolizione dei partiti a opera della dittatura fascista, partecipando poi alla Resistenza in Piemonte con il nome di battaglia di Barnaba. Finita la Seconda guerra mondiale fu corrispondente da Parigi dei quotidiani "Repubblica" e "Paese sera" e direttore di "Pattuglia", il settimanale della gioventù socialista e comunista d'Europa. Esordì nel cinema come attore nel 1946 interpretando Il sole sorge ancora diretto da Aldo Vergano, film prodotto dall'Associazione nazionale partigiani d'Italia, e più tardi fu aiuto regista di Yves Allégret sul set di Les miracles n'ont lieu qu'une fois (1951; I miracoli non si ripetono).
Negli anni in cui viveva tra l'Italia e Parigi P. diresse una serie di documentari, come Missione Timiriazev (1953), ambientato sul delta padano, Cani dietro le sbarre in cui compare un primo accenno narrativo, Porta Portese, entrambi del 1954, e Pane e zolfo (1956), vicini al Neorealismo per il linguaggio e per la scelta dei temi.
Esordì nella regia con Giovanna (1956), episodio di Die Windrose, film collettivo curato da Joris Ivens sul ruolo della donna nella lotta sociale. I quaranta minuti diretti da P. raccontano di un'operaia che, per solidarietà con le colleghe licenziate, disubbidisce al marito e sciopera rischiando il posto. L'interesse (già individuato in Giovanna) per la storia di personaggi che, dopo aver perseguito un tornaconto individuale, si 'redimono' a favore della solidarietà di classe costituisce il tema di La grande strada azzurra (1957), suo primo lungometraggio tratto da un romanzo di Franco Solinas, con cui stringerà un fruttuoso sodalizio artistico. Per volere dei produttori, il film, ambientato nell'Isola della Maddalena, in Sardegna, fu realizzato a colori e sfruttando i volti di due professionisti, Yves Montand e Alida Valli. Montand interpreta il ruolo di Squarciò, un pescatore di frodo che non si rassegna alla poco redditizia pesca con la rete praticata nell'isola finché, in punto di morte, rendendosi conto dell'isolamento al quale ha costretto la moglie Rosetta (Alida Valli) e i figli, elogia la costituzione della cooperativa di pescatori.
Il successivo Kapò (1960), scritto con Solinas, ebbe uno strepitoso successo alla Mostra del cinema di Venezia, anche se non mancarono critiche di eccessivo sentimentalismo e spettacolarizzazione, considerati le principali cause della caduta del film sul piano espressivo. Pur tuttavia il film incentrato sulla vicenda di un'adolescente ebrea che prima per la paura di morire tradisce il suo popolo, divenendo una carceriera in un lager nazista, e poi si redime aiutando a costo della vita i prigionieri a fuggire, ebbe il merito di portare sullo schermo italiano la tragedia della Shoah. Per ottenere immagini simili a quelle di un documentario, P. ricavò un interessante impasto visivo controtipando la pellicola: dal negativo originale ricavò un positivo e, quindi, un nuovo negativo, da cui stampò le copie del film. La stessa qualità fotografica fu ricercata in La battaglia di Algeri, in cui P. riuscì per la prima volta a utilizzare un cast di attori non professionisti, a eccezione di Jean Martin (colonnello Mathieu), uno sconosciuto attore di teatro. Con il montaggio brusco del reportage e la musica, firmata insieme a Ennio Morricone, che enfatizza l'andamento ritmico del film, P. suggerisce il percorso che dalla lotta per la liberazione algerina dall'oppressione francese giunge alla presa di coscienza di un popolo.
Nell'opera la ruvidezza documentaristica è frutto di un'elaborazione linguistica tesa a restituire la coralità della cronaca immergendola nell'epicità della Storia. Grazie soprattutto a una struttura di montaggio fondata sull'analogia simbolica e sul taglio musicale, P. ottiene una trasfigurazione del dato realistico lontana da ogni mimetismo e tutta risolta dialetticamente nel pathos della forma. Il soggetto del film, pur creando aspre polemiche diplomatiche per la sua visione non 'europeista' della lotta, ebbe il merito di contribuire alla nascita dell'orgoglio nazionale algerino.
La critica al colonialismo e il tentativo di analizzarne le origini e le ripercussioni furono portati avanti con Queimada, titolo portoghese con cui la produzione, per non alienarsi un'importante parte del mercato, sostituì quello spagnolo, Quemada, 'la bruciata', scelto come nome dell'immaginaria isola delle Antille in cui è ambientato il film e riferito agli incendi appiccati dai portoghesi per impadronirsene. Sullo sfondo della lotta per l'indipendenza degli indigeni, traspare lo scontro ideologico tra Sir William Walker (Marlon Brando), l'agente segreto inglese inviato intorno al 1840 per fomentare e poi tradire la ribellione della popolazione locale, e José Dolores (Evaristo Marquez), il capo dei rivoluzionari pronto a morire per il suo popolo. Dopo dieci anni e molti progetti non realizzati (tra cui Confino Fiat, scritto e ideato con Solinas), P. diresse Operación Ogro, sull'uccisione di L. Carrero Blanco, primo ministro di Spagna, delfino del generale F. Franco, avvenuta il 20 dicembre 1973, raccontata nel libro di uno dei congiurati. Il risvolto politico del film, la legittimità della continuazione della lotta armata, suscitò molte polemiche, pur se ne venne riconosciuta la qualità tecnica.
Nel 1992 P. è stato chiamato a dirigere la Mostra del cinema di Venezia e si è impegnato per i cinque anni della carica a colmare lo scarto tra il cinema 'alto' e quello sperimentale. È stato presidente dell'Ente cinema (attuale Cinecittà Holding) e, dopo quasi vent'anni di inattività registica, ha diretto il cortometraggio Danza della fata Confetto - Nostalgia di protezione, episodio del film collettivo I corti italiani (1997) dal quale trapela un sentimento nostalgico per le magiche feste dell'infanzia, e, insieme ad altri grandi registi del cinema italiano, ha firmato il segmento su Udine del documentario 12 registi per 12 città (1989) e quindi Un altro mondo è possibile (2001), ancora un documentario sugli eventi accaduti a Genova in occasione del G8 del luglio 2001.”
(Federica Pescatori - Enciclopedia del Cinema, 2004, in: www.treccani.it)
- Il suo primo film La missione del Timiriazev
1951: un’alluvione devasta il Polesine. I sovietici inviano a Genova la nave Timiriazev, carica di aiuti… di Gillo Pontecorvo. Italia, 1952.
- La prima fiction? Giovanna, cortometraggio di Gillo Pontecorvo
Un gruppo di operaie lotta per difendere il posto di lavoro dai licenziamenti voluti dalla proprietà. Le donne occupano la fabbrica. Giovanna guida le sue compagne nella protesta contro i padroni e anche contro i loro stessi mariti che disapprovano l'occupazione della fabbrica e che chiedono la fine dell'occupazione e il ritorno a casa delle lavoratrici.
Giovanna è un film girato nel 1955, il primo diretto da Gillo Pontecorvo, interpretato da attori non professionisti e ambientato tra le operaie tessili di Prato.
Una poesia al giorno
Things i say to myself while hanging laundry, di Ruth Stone
If an ant, crossing on the clothesline
from apple tree to apple tree,
would think and think,
it probably could not dream up Albert Einstein.
Or even his sloppy moustache;
or the wrinkled skin bags under his eyes
that puffed out years later,
after he dreamed up that maddening relativity.
Even laundry is three-dimensional.
The ants cross its great fibrous forests
from clothespin to clothespin
carrying the very heart of life in their sacs or mandibles,
the very heart of the universe in their formic acid molecules.
And how refreshing the linens are,
lying in the clean sheets at night,
when you seem to be the only one on the mountain,
and your body feels the smooth touch of the bed
like love against your skin;
and the heavy sac of yourself relaxes into its embrace.
When you turn out the light,
you are blind in the dark
as perhaps the ants are blind,
with the same abstract leap out of this limiting dimension.
So that the very curve of light,
as it is pulled in the dimple of space,
is relative to your own blind pathway across the abyss.
And there in the dark is Albert Einstein
with his clever formula that looks like little mandibles
digging tunnels into the earth
and bringing it up, grain by grain,
the crystals of sand exploding
into white-hot radiant turbulence,
smiling at you, his shy bushy smile,
along an imaginary line from here to there.
Le cose che mi dico mentre stendo i panni (traduzione di Pina Piccolo)
Se una formica che attraversa la corda tesa
tra un melo e l’altro
si mettesse a pensare senza tregua
è probabile che mai e poi mai riuscirebbe a inventarsi Albert Einstein.
Ma neppure quei baffi disordinati,
o quelle borse rugose sotto gli occhi
che anni dopo gli si sono gonfiate,
dopo essersi è sognato quella esasperante relatività.
Perfino i panni stesi sono tridimensionali.
Le formiche attraversano le grandi foreste fibrose
da una molletta all’altra,
portandosi tra le mandibole o nella sacca proprio il cuore della vita,
il cuore stesso dell’universo nelle loro molecole di acido formico.
E come sono fresche le lenzuola,
quando la notte ti ci stendi dentro,
e ti sembra di essere la sola sulla montagna,
e il tuo corpo sente la setosa carezza del letto
come l’amore sulla tua pelle
e quella sacca pesante che sei tu si rilassa nel suo abbraccio.
Quando spegni la luce,
sei cieca nell’oscurità
forse come lo sono le formiche,
con quello stesso balzo d’astrazione fuori da questa dimensione limitante.
Così che la curva stessa della luce, attratta nella fossetta dello spazio,
è relativa al tuo stesso percorso cieco attraverso l’abisso.
E lì al buio c’è Albert Einstein
con la sua formula sagace che assomiglia a quelle piccole mandibole
che traforano la terra
e la sollevano, granello per granello,
mentre esplodono i cristalli di sabbia
nella calda turbolenza d’un bianco raggiante,
ti sorride, quel sorriso timido e irsuto,
su una linea immaginaria da qui a lì.
Ruth Stone (8 giugno 1915 - 19 novembre 2011), poetessa americana, autrice e insegnante.
“24 novembre 2011 La scrittrice statunitense Ruth Stone, poetessa uscita clamorosamente da una relativa oscurità all'età di 87 anni vincendo il National Book Award per la raccolta "In the Next Galaxy", è morta nella sua casa di Ripton, nel Vermont. Aveva 96 anni. L'annuncio della scomparsa è stato dato oggi dalla figlia Abigail Stone al "New York Times".
Autrice rispettata ed appartata, che ha vissuto per decenni in solitudine nella quiete di campagna, Stone conquistò inaspettatamente la scena letteraria nel novembre 2002 quando fu premiata per la collezione di poesie che raccontavano la sua singolare esistenza e la sua lotta esistenziale quotidiana, dominata drammaticamente dal fantasma del suicidio nel 1959 di suo marito, promettente poeta ma povero in canna.
Grazie a "In the Next Galaxy", critici e nuovi lettori hanno potuto scoprire una poetessa dotata di rara grazia nella scrittura, capace di versi forti e crudi, al tempo stesso in grado di volgersi all'elegia e al lirismo con temi colloquiali e quotidiani. Prima della vittoria del National Book Award, il più prestigioso premio letterario statunitense, Stone aveva già pubblicato 13 raccolte, ma con scarsa eco presso la critica.”
(In www.swissinfo.ch)
“Ruth Stone nacque a Roanoke, in Virginia, nel 1915 e frequentò l'Università dell'Illinois a Urbana-Champaign. Ha vissuto in una fattoria rurale nel Vermont per gran parte della sua vita e ha ricevuto un ampio riconoscimento relativamente tardi con la pubblicazione di Parole Ordinarie (1999). Il libro ha vinto il National Book Critics Circle Award ed è stato presto seguito da altre collezioni premiate, tra cui In the Next Galaxy (2002), vincitore del National Book Award; In the Dark (2004); e What Love Comes To: New & Selected Poems (2008), finalista del Premio Pulitzer.
I testi di Stone nel loro insieme sono noti per la loro accuratezza, stranezza e capacità di parlare a problemi domestici e metafisici in una sola volta. Spiritose e ironiche, le sue poesie colpiscono per "un registro tragico/ comico che pochi altri poeti americani hanno colto", ha osservato Chard de Niord nel Guardian. Descrisse il lavoro di Stone così "spesso ricorda i versi a doppio taglio di Emily Dickinson, solo in uno stile più colloquiale." La poetessa Sandra Gilbert, una delle prime ammiratrici di Stone, notò che la "speciale audacia" della poesia di Stone è "almeno in parte un prodotto del dolore e della perdita che ha dovuto affrontare, la vita pericolosa che ha vissuto sull'orlo del conforto che la maggior parte delle altre persone di lettere dà per scontata nella nostra società... Le sue straordinarie parole sono tra quelle che scorreranno attraverso la valle del nostro dire da qui a lì, da ora a allora, fino ai confini più lontani del ventunesimo secolo e oltre." .
Il primo libro di versi di Stone, In an Iridescent Time, fu pubblicato nel 1959. Poco dopo che il secondo marito di Stone, il promettente poeta e scrittore Walter Stone, si suicidò, lasciando Stone vedova con tre bambini piccoli. Lo shock e il dolore per il suicidio del marito hanno segnato la sua poesia per il resto della sua vita. Si stabilì nel Vermont, e per molti anni si trasferì da un'università all'altra con contratti di insegnamento a breve termine. Stone pubblicò il suo secondo libro, Topografia, solo nel 1971 e rimase una voce piuttosto oscura fino a quando una serie di premi e riconoscimenti all'inizio del millennio non attirò l'attenzione nazionale. Nel 1990 è diventata professore di inglese alla SUNY Binghamton.
Gli altri premi e riconoscimenti di Stone includono due Guggenheim Fellowships, il Bess Hokin Prize, il Wallace Stevens Award, lo Shelley Memorial Award e il Walter Cerf Award for Lifetime Achievement in the Arts. Il discorso di accettazione di Stone per i National Book Awards illustra sia la sua devozione alla poesia che la sua umiltà:
"Scrivo poesie o qualsiasi cosa sia da quando avevo cinque o sei anni, e non riuscivo a smettere, non riuscivo mai a smettere. Non so perché l'ho fatto.... Era come un ruscello che passava accanto a me, sai, la mia vita passava di qui, e io mi sono sposata, ho avuto tre figli e ho fatto tutte le cose che dovevo fare, e per tutto il tempo questo ruscello andava avanti al mio fianco. E davvero non sapevo cosa stesse dicendo. Appena mi parla io l'ho scrivo. Quindi non posso nemmeno prendermene il merito."
Autrice di 13 libri di poesia, Ruth Stone è morta alla fine del 2011.”
(Traduzione di Ugo Brusaporco da: www.poetryfoundation.org)
Un fatto al giorno
19 novembre 1942: Seconda guerra mondiale, Battaglia di Stalingrado. Le truppe sovietiche dei generali Aleksandr Vasilevskij e Georgij Žukov lanciano l'Operazione Urano, la grande offensiva generale dell'Armata Rossa che porterà all'accerchiamento della 6ª Armata tedesca, volgendo le sorti della battaglia in favore dell'Unione Sovietica.
“Operazione Urano era il nome in codice assegnato dai sovietici alla grande offensiva di accerchiamento sferrata dall'Armata Rossa per intrappolare le forze della Wehrmacht impegnate nella regione di Stalingrado, durante la seconda guerra mondiale. Il doppio accerchiamento, conseguito dall'Armata Rossa con una gigantesca manovra a tenaglia, ebbe inizio il 19 novembre 1942 e i due attacchi si congiunsero a sud di Kalač quattro giorni dopo. Questa riuscita e rapida offensiva ebbe una funzione decisiva nel complesso di operazioni militari che prendono il nome di battaglia di Stalingrado, segnando anche una svolta strategica irreversibile a favore dell'Unione Sovietica nella guerra sul fronte orientale e nell'intera seconda guerra mondiale…”
(Leggi l’articolo completo in: wikipedia.org)
“Non contate i giorni, non contate i chilometri. Contate solo i tedeschi che avete ucciso. Uccidete i tedeschi, è la preghiera di vostra madre. Uccidete i tedeschi, è il grido del vostro cuore russo, non esitate, non rinunciate, uccidete al Volga non si arriva, resiste Stalingrado.
Operazione Urano a Stalingrado. Essa segna una svolta nelle sorti del secondo conflitto mondiale. La battaglia per Stalingrado infuriava da mesi, i combattimenti erano feroci e le forze in campo non risparmiavano nessuno sforzo per ottenere la vittoria. E d’altronde non poteva essere altrimenti data la posta in palio.
Stalingrado, città della Russia meridionale nel bacino del Volga, era di un’importanza strategica essenziale. Polo meccanico e minerario indispensabile per le industrie belliche sovietiche e porto fluviale basilare per le comunicazioni e i trasporti, non sorprende che la sua conquista fosse il fulcro dell’Operazione Blu voluta da Hitler per annientare il nemico sovietico. Inoltre, oltre all’ingente danno economico, la caduta della città avrebbe significato un grande smacco psicologico nella popolazione, con la città che portava il nome del loro leader caduta in mano ai tedeschi.
La disciplina e la superiorità di mezzi e potenza di fuoco permise alla 6° armata della Wermacht di ottenere iniziali successi, ma nessuno decisivo data la strenua difesa dei civili e dell’Armata Rossa, che, nonostante le centinaia di caduti quotidiani, continuava a ricevere rinforzi reclutati da Stalin in ogni parte del paese.
Per provare a capovolgere le sorti del conflitto il comando generale sovietico decise di attendere l’arrivo dell’implacabile inverno russo per far partire il piano di controffensiva ideato dal vice comandante in capo dell’Armata Rossa Georgij Žukov e dal capo di Stato Maggiore generale Aleksandr Vasilevskij. Questi consisteva in una controffensiva generale e a sorpresa in più settori per riuscire a circondare con una manovra a tenaglia l’armata tedesca usando due armate ed un enorme numero di soldati, che superava il milione.
Il nome in codice dell’operazione era Urano. Dopo settimane passate ad affrontare le complessità che l’organizzazione e la coordinazione di un così enorme numero di uomini comportava, il 19 di novembre, con l’attacco alle postazioni italiane e rumene che difendevano i due fianchi dell’esercito nazista, la controffensiva russa iniziò.
I tedeschi inizialmente sottostimarono l’attacco, credendolo una delle frequenti azioni di alleggerimento dei sovietici, e questo, insieme al fatto di non aver preparato un preciso piano strategico per un’eventuale ritirata da Stalingrado, segnò la loro disfatta.
Quattro giorni di accesi combattimenti dopo, presso la cittadina di Kalac, situata ad un’ottantina di chilometri da Stalingrado, i due contingenti russi all’attacco si riunirono, chiudendo quello che rimaneva dell’esercito tedesco in una sacca. La liberazione di Stalingrado era virtualmente avvenuta.
Fu la prima grande sconfitta subita da Hitler dall’inizio della guerra. La vittoria dei russi invece fu totale, anche se il numero dei caduti fu enorme, la controffensiva dell’esercito russo con questa vittoria ebbe quello slancio irresistibile che si concluse solo con la caduta di Berlino 3 anni dopo.”
Immagini:
- Stalingrad - L'ora della forza. Regia: Pascale Lamche, Daniel Khamdamov.
- World War II - Operation Uranus (HD Color)
- Stalingrad: The Campaign
- Operation Uranus WWII Newscast - Stalingrad
Una frase al giorno
“Per migliaia di anni le migliori menti dell'umanità hanno lottato con il problema teorico di trovare le forme che avrebbero dato ai popoli la possibilità, senza il più grande dei tormenti, senza lotte intestine, di vivere fianco a fianco in amicizia e fratellanza. In pratica, il primo passo in questa direzione viene compiuto solo ora, oggi.”
(Mikhail Ivanovich Kalinin dal Discorso di chiusura dopo la formazione dell'URSS da parte del Congresso dell'Unificazione. 1999)
“Michail Ivanovič Kalinin (Verčnjaja Troica, 19 novembre 1875 - Mosca, 3 giugno 1946) politico e rivoluzionario sovietico.
Nato da una famiglia contadina a Verčnjaja Troica, in Russia, Kalinin lavorò dapprima in una fattoria, per poi trasferirsi nel 1889 a Pietrogrado dove divenne operaio nel 1895. Lavorò anche come maggiordomo ed operaio addetto alla linea ferroviaria in un deposito di Tbilisi, dove incontrò Sergej Alliluev, padre della seconda moglie di Stalin.
Nel 1898, frustrato dai soprusi dello zarismo e dalle terribili condizioni dei lavoratori, si unì al Partito Operaio Socialdemocratico Russo.
Nel 1906 sposò l'estone Ekaterina Lorberg (1882-1960).
Nel 1916 venne arrestato dalla polizia zarista per la sua attività politica, e fu liberato durante la Rivoluzione di febbraio del 1917, che portò all'abdicazione dello Zar Nicola II. Partecipò alla Rivoluzione d'ottobre nella fazione bolscevica divenendo un sostenitore di Lenin.
Kalinin entrò nella commissione bolscevica di Pietrogrado e collaborò all'organizzazione del giornale di partito Pravda, ora legalizzato dal nuovo regime.
Nell'aprile 1917, Kalinin, come molti altri Bolscevichi, inizialmente si collocò politicamente tra quanti proponevano di sostenere condizionatamente il Governo provvisorio in cooperazione con i Menscevichi, posizione in netto contrasto con quella di Lenin. Egli continuò a dichiararsi contrario all'ipotesi di un'insurrezione armata per rovesciare il governo di Aleksandr Kerenskij durante l'estate.
Nel corso delle elezioni per la Duma di Pietrogrado dell'autunno 1917, Kalinin venne scelto come sindaco della città, che egli amministrò durante e dopo la rivoluzione bolscevica del 7 novembre.
Kalinin ricoprì importanti cariche. Dal 1919 fu membro candidato del Politburo, entrandone a far parte attivamente nel 1925. Dal 1919 al 1946 fu Presidente del Presidio del Soviet Supremo, cioè capo dello Stato dell'Unione Sovietica. Dal 1941 affiancò Stalin, che era stato appena eletto Premier dell'Unione Sovietica, cioè capo del governo.
Nel 1920, Kalinin presenziò alla Seconda Internazionale di Mosca come parte della delegazione russa, prendendo ampiamente parte ai vari dibattiti.
Durante l'aspra lotta per il potere scatenatasi alla morte di Lenin nel 1924, Kalinin fu alleato di Stalin. Consegnò un rapporto confidenziale su Lenin al Comintern durante il quinto congresso nel luglio dello stesso anno.
Kalinin era uno dei pochi membri della cerchia ristretta di Stalin ad avere origini veramente proletarie. Le sue umili origini furono ampiamente pubblicizzate sulla stampa ufficiale.
Esercitò un potere molto limitato pur essendo parte della dirigenza, e le sue proposte non erano sempre prese in considerazione. Ricordandolo, il futuro leader sovietico Nikita Chruščёv disse: «Non so bene quale lavoro pratico svolgesse Kalinin sotto Lenin. Ma sotto Stalin egli era il prestanome per la firma di tutti i decreti, anche se in realtà raramente prendeva parte agli affari di Stato. Certe volte veniva fatto membro di una commissione, ma gli altri non tenevano in conto la sua opinione più di tanto. Fu imbarazzante per noi vedere ciò; uno semplicemente si sentiva addolorato per Michail Ivanovič».
Durante le grandi purghe degli anni Trenta tenne un profilo basso, ma contribuì a sanare diversi errori nell'applicazione della linea del Partito che furono poi denunciati dal governo sovietico stesso. Per questo, si guadagnò l'appellativo di "caro nonno Kalinin" (mentre Stalin era il "caro padre"). Nel contempo, ebbe comunque un ruolo fondamentale nelle condanne dei dirigenti epurati. Tra il 1937 e il 1941, ricevette a colloquio centinaia di persone nella sua dacia e migliaia di lettere da parte di sospettati dal regime che lo supplicavano di aiutarli a sfuggire gli arresti. Anche se si oppose (senza successo) all'esecuzione di suoi amici personali, quali Avel Enukidze, Kalinin restò sempre fedele al volere di Stalin che, con la motivazione di proteggerlo, faceva attentamente sorvegliare i suoi appartamenti da agenti dell'NKVD.
La moglie di Kalinin venne arrestata il 25 ottobre 1938 dall'NKVD e costretta sotto tortura a confessare "attività trockiste controrivoluzionarie". Venne inviata in un gulag, dove rimase fino al 1945, poco prima della morte del marito. La prigionia della moglie di Kalinin forniva a Stalin una garanzia sul fatto che il presidente dell'URSS avrebbe avallato le sue scelte.
Kalinin si dimise dalla presidenza per motivi anagrafici il 19 marzo 1946. Morì di cancro il 3 giugno dello stesso anno a Mosca e fu elogiato in un grande funerale di Stato e venne sepolto nella necropoli delle mura del Cremlino.
Tre città sovietiche furono fondate o rinominate in suo onore: Tver', che assunse il nome Kalinin tra il 1931 e il 1990; Korolëv, fondata nel 1938 come Kaliningrad e che mantenne tale nome fino al 1996, e Königsberg città ex tedesca, tuttora chiamata Kaliningrad, nome assunto nel giugno 1946 dopo la sua annessione all'Unione Sovietica.”
(In wikipedia.org)
“In base al censimento effettuato nei territori dell’Unione Sovietica, nel 1926 il numero totale di ebrei che vi risiedeva era di 2.672.398. Di essi, il 59% viveva in Ucraina, il 15,2% in Bielorussia, il 22% nella Repubblica socialista federativa sovietica russa e la parte restante, ossia il 3,8%, nelle altre repubbliche. Il Birobidjan, ovvero il tentativo di dare vita e sostanza ad un Oblast ebraico, una regione dotata di un elevato grado di autonomia amministrativa, come già si è detto, fallì miseramente. Doveva essere la «Sion dell’Urss», nata come la meta alla quale ancorare la propria definitiva emancipazione ma, di fatto, nulla di ciò avvenne. Non era solo il tracollo di un tassello della politica delle nazionalità ma anche il riscontro che i disegni geopolitici che Stalin, e il gruppo dirigente bolscevico, andavano coltivando, non trovavano necessariamente dei fedeli esecutori.
La ragione di fondo della nascita dell’Oblast rimandava alla necessità di popolare una regione prospiciente la Cina, al medesimo tempo garantendosi contributi statunitensi per i programmi di colonizzazione rurale e depotenziando le spinte sioniste. A tale riguardo, Michail Ivanovič Kalinin, presidente del Presidium del Comitato Centrale, figura di rilievo nello stretto entourage di Stalin, ebbe modo di affermare che gli ebrei, unica fra tutte le nazionalità a non godere di uno “Stato proprio”, avrebbero ora avuto una società politica che ne avrebbe salvaguardato la cultura nazionale. Quanti si fossero opposti, o comunque avessero scelto diversamente, si sarebbero invece dovuti lasciare assimilare.
Lo stesso Kalinin, che più volte ebbe a soffermarsi sulla «questione ebraica» nella Russia rivoluzionaria, era peraltro il sostenitore di una linea per la quale la politica dei matrimoni misti, la dispersione delle famiglie ebraiche all’interno del gigantesco arcipelago di gruppi nazionali e nelle comunità slave (e non), la destinazione a ruoli professionali e produttivi diversi da quelli praticati in origine, avrebbero fatto sì che nel giro di poche generazioni l’ebraismo medesimo perdesse i suoi caratteri distintivi («a Mosca, gli ebrei mischiano il loro sangue col sangue russo, ed essi sono persi per la nazione ebraica dalla seconda, massimo dalla terza generazione. Di regola essi si trasformano in grandi russificatori»).
Se la formalizzazione della nascita dell’Oblast data al 1934, già nel 1928 il Partito comunista si era mosso per promuovere l’immigrazione nella regione, con risultati più che demotivanti. A fronte di poche migliaia di donne e uomini che si spostavano di anno in anno verso l’Est, altri, dopo un primo tentativo di insediamento, tornavano velocemente indietro. Tra il 1928 e il 1933 due terzi degli immigrati, quindi, abbandonarono il territorio. Le condizioni di vita erano pessime, la decantata libertà culturale e “religiosa” (il virgolettato deriva dal fatto che ufficialmente l’Unione Sovietica praticava l’ateismo di Stato) risultava estremamente vincolata, il comando politico rimaneva nelle mani dei fedelissimi del regime, le infrastrutture inesistenti, le prospettive - nel loro insieme - deludenti….”
(In www.joimag.it)
Immagini:
- Mikhail Ivanovich KALININ (1875-1946), documentário
- Funeral Of Kalinin (1946)
19 novembre 1875 nasce Mikhail Kalinin, funzionario e politico russo, primo capo di Stato dell’Unione Sovietica (morto nel 1946)
Un brano musicale al giorno
Mikhail Ippolitov-Ivanov (1859 - 1935): Symphonia n. 1 in Mi minore, Op.46 (1908).
I. Adagio.Allegro risoluto: 00:00
II. Scherzo:Allegro: 14:58
III. Elegia:Larghetto: 21:45
IV. Finale:Allegro moderato: 28:58
Singapore Symphony Orchestra, direttore Choo Hoey.
“Michail Michajlovič Ippolitov-Ivanov (Gatčina, 19 novembre 1859 - Mosca, 28 gennaio 1935) compositore russo .Nacque nei pressi di San Pietroburgo, suo padre era macchinista impiegato presso la Reggia di Gatčina. Il suo nome di nascita era Michail Michajlovič Ivanov; aggiunse il cognome materno Ippolitov solo successivamente per evitare di essere confuso con un omonimo critico musicale.
In gioventù fece parte del coro di voci bianche della cattedrale di Sant'Isacco, dove ricevette anche la sua prima educazione musicale. Entrò al conservatorio di San Pietroburgo nel 1875, dove ottenne il diploma in composizione nel 1882 sotto la guida di Nikolaj Rimskij-Korsakov, il cui stile influenzò molto Ivanov.
La sua prima occupazione fissa fu la direzione per ben sette anni dell'Accademia musicale e dell'orchestra di Tbilisi. Questo periodo gli consentì di sviluppare interesse e familiarità con la musica popolare georgiana, riflessione delle tradizioni musicali delle minoranze non slave e di popolazioni esotiche confinanti. Uno dei suoi allievi di maggior rilievo a Tbilisi fu il direttore d'orchestra Ėduard Grikurov. Qui il 1º maggio 1886 diresse la prima esecuzione della terza e ultima versione del Romeo e Giulietta di Čajkovskij.
Nel 1893 divenne docente presso il Conservatorio di Mosca, di cui assunse anche il ruolo di direttore dal 1905 al 1924. Nel contempo fu membro e direttore della Società Corale russa, delle compagnie operistiche del teatro Mamontov e, a partire dal 1925, del Bol'šoj. Fu inoltre attivo nell'ambito della critica musicale.
Ippolitov-Ivanov si mantenne sempre indipendente. Nel corso della sua carriera divenne presidente della Società degli Autori e dei Compositori, ma non prese parte al dibattito fra musicale che incoraggiava lo sviluppo di nuovi gusti musicali o fomentava la nascita di un'arte del proletariato. Il suo stile si era sviluppato sotto la guida di Rimskij-Korsakov, a cui si erano aggiunte influenze della musica popolare, in particolare quella caucasica della Georgia.
Morì a Mosca nel 1935, qualche anno dopo essere stato insignito dell'Ordine della Bandiera rossa del Lavoro.
Nonostante la vasta produzione operistica, orchestrale e cameristica, della musica di Ivanov restano popolari ai nostri giorni soltanto gli Schizzi caucasici del 1894, una suite che racchiude le citate influenze e include il suo brano più noto, una caratteristica marcia dal titolo La processione del Sardar.”
(In wikipedia.org)
- Un film con le sue musiche: Кара Бугаз. Чёрная пасть (1935) Kara Bugaz. Bocca nera
Direttore: Aleksandr Razumnyj. Scrittori: Konstantin Paustovsky (storia, come K.G. Paustovsky), Ivan Popov (sceneggiatura, come I.F Popov). Musica di Mikhail Ippolitov-Ivanov (come M.M. Ippolitov-Ivanov), Sergei Pototsky (come S.I. Pototskiy). Fotografia di Aleksandr Frolov, Yevgeni Slavinsky.
Cast: Aleksandr Chausov nel ruolo di Hans Miller, Aleksandra Vasilyeva nel ruolo di Valya Nesterova, N. Radischev nel ruolo di Nikolay Shatskiy.
Il Garabogazköl Aylagy o Kara-Bogaz-Gol (turkmeno: Garabogazköl, letteralmente "lago nero stretto o possente") è una depressione piena d'acqua poco profonda nell'angolo nord-occidentale del Turkmenistan. È il soggetto del libro del 1932 Kara-Bogaz dello scrittore "socialista-realista" Konstantin Paustovsky...
(In qaz.wiki)
19 novembre 1859 nasce Mikhail Ippolitov-Ivanov, compositore, direttore d’orchestra ed educatore russo (morto nel 1935).
Ugo Brusaporco
Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.
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Ugo Brusaporco
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