“L’amico del popolo”, 1 marzo 2018

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

NUIT ET BROUILLARD (Notte e nebbia, Francia, 1955), regia di Aain Resnais. Commento di Jean Cayrol. Narratore: Michel Bouquet. Fotografia: Ghislain Cloquet, Sacha Vierny. Montaggio: Henri Colpi, Jasmine Chasney, Anne Serraute, Alain Resnais. Musica: Hanns Eisler.

“Commissionato dal 'Comité d'Histoire de la Deuxième Guerre Mondiale' e realizzato per iniziativa del produttore Anatole Dauman, Nuit et brouillard descrive il funzionamento dei campi di sterminio nazisti. La struttura fluida del film evidenzia quattro momenti: 1. La costruzione dei campi (dal 1933) e la deportazione. 2. La vita nei campi di concentramento: organizzazione e gerarchia; la notte, il lavoro, il cibo, le latrine; curiosità e imprevisti; la torre; umiliazioni e resistenza; l'ospedale: le cure, il blocco operatorio, le mutilazioni sperimentali; i registri; la vita dei kapò e quella del comandante; il bordello e la prigione. 3. Lo sterminio (1942): 'l'annientamento produttivo'; la recrudescenza e la deportazione; il forno crematorio, la camera a gas, i roghi, il recupero. 4. L'apertura dei campi (1945): l'arrivo degli alleati; "Io non sono responsabile"; il rischio dell'oblio; le grida incessanti”.

NUIT ET BROUILLARD (Notte e nebbia, Francia, 1955), regia di Aain Resnais

"Nuit et brouillard è un film sublime di cui è difficilissimo parlare; qualsiasi aggettivo, qualunque giudizio estetico risulterebbero fuori luogo", affermava François Truffaut sui "Cahiers du cinéma". Certo, la portata del film di Alain Resnais va al di là dello schermo e l'intensa emozione che è in grado di suscitare è dovuta anche, in gran parte, a elementi extracinematografici. Ma se Nuit et brouillard è un grande film, un film davvero 'sublime', è soprattutto grazie alla regia di Resnais, al suo contributo artistico, che non consiste nel dotare di una veste estetica l'orrore dei fatti evocati. L'autore non si accontenta di provocare una semplice, inevitabilmente fugace, indignazione, ma riesce a coinvolgerci in una profonda riflessione sul fenomeno dei campi di concentramento e, oltre a questo, a introdurci nella sua tematica personale, quella della memoria e dell'oblio. In tal modo Nuit et brouillard, costruito principalmente su immagini di repertorio, si realizza anche come 'film d'autore' nel suo significato più pieno. Lontano dal carattere banalmente divulgativo di un documentario qualsiasi, il film mostra un vero e proprio rigore filosofico.

L'idea originale di Resnais consiste nel contrapporre ai materiali d'archivio alcune sequenze che egli stesso aveva filmato nella desolazione dei campi di concentramento (Auschwitz, Birkenau, Maidanek). In tal modo il regista monta alternativamente due serie di immagini. La prima serie consiste in inquadrature a colori realizzati da Resnais: lunghi movimenti di macchina che esplorano le inquietanti vestigia dei siti abbandonati, oggi ricoperti da una piacevole vegetazione autunnale. Il montaggio è disteso, il tono contemplativo. La seconda serie è costituita da immagini di repertorio (film, foto) e documenti filmati in bianco e nero la cui stampa su pellicola a colori presenta una leggera tonalità verde-grigio quanto mai appropriata: le inquadrature sono fisse, il montaggio serrato, la musica stridente. L'insieme suggerisce un'idea di contrazione e di caos.

L'utilizzo dei tempi verbali all'interno del commento sottolinea tale differenziazione. Nelle sequenze a colori la scelta cade sul presente (l' 'oggi del film') e, nell'evocare l'organizzazione dei campi di concentramento, sull'imperfetto. Mentre scorrono le immagini in bianco e nero il commento è affidato al presente narrativo, un presente storico. Questa regola viene applicata in modo talmente rigoroso che l'espressione della temporalità viene modificata all'interno di una stessa frase nel punto di intersezione tra due sequenze: "Soltanto allora il mondo reale, quello dei paesaggi tranquilli, quello del tempo andato, può apparire in lontananza, non così distante..." (bianco e nero), "...per il deportato era un'immagine..." (colore). Resnais utilizza questa successione colore/bianco e nero, presente/passato, calma/caos, in modo magistrale. L'alternanza dei movimenti, ora distesi e flessibili, ora frammentari e contratti, non costituisce solo un motivo di interesse compositivo, ma impedisce l'assuefazione all'orrore. Le sequenze a colori, contrappunto sottile e caratteristico della 'terribile dolcezza' del cineasta, non fanno che dare ulteriore risalto all'atrocità del bianco e nero.
Il commento è il secondo strumento costitutivo del film. Senza ubbidire a una logica didascalica che avrebbe potuto imporre alle immagini una serie di idee semplici, il testo di Jean Cayrol segue il complesso fluire del pensiero, valorizza il sottile gioco del presente e del passato, si fa testimone della lotta della memoria per recuperare i brandelli della realtà passata e strapparli all'oblio. Sotto questo aspetto il film si integra perfettamente alla tematica di un autore che ha reso costanti nella sua opera la riflessione sulla dialettica della memoria e dell'oblio e sulla distruzione delle civiltà: prima di Nuit et brouillard Resnais aveva realizzato insieme a Chris Marker Les statues meurent aussi (1953), e in seguito Toute la mémoire du monde (1956) e Hiroshima, mon amour. Ma il problema dei campi di concentramento non riguarda forse sia il passato che il presente? Resnais lancia un messaggio d'allarme. È destinato a noi che "facciamo finta di credere che tutto ciò appartenga a un solo tempo e a un solo paese, e che non pensiamo a guardarci intorno, e che non sentiamo le grida incessanti".

(Vincent Pinel - Enciclopedia del Cinema, 2004)

NUIT ET BROUILLARD (Notte e nebbia, Francia, 1955), regia di Aain ResnaisNotte e nebbia presenta riferimenti storici a tre date importanti: 1933 (avvento del nazismo), 1942 (inizio del sistematico genocidio ebraico) e 1945 (chiusura dei lager con la fine del conflitto mondiale).
Il film mostra materiali d'archivio incentrati sulle atrocità compiute dai nazisti, sulla vita nei lager e sugli internati, vittime principali delle stragi concentrazionarie. Alterna immagini in bianco e nero con alcune a colori: queste ultime riprendono un lager, con la macchina da presa che si avvicina progressivamente all'edificio per poi fermarsi. Notte e nebbia è un documentario storico originale che affronta in modo non convenzionale un delicato argomento storico ed è quindi considerato documento di denuncia e tragica testimonianza sui campi di concentramento.
Il documentario è costituito da una serie di contrapposizioni; vengono alternate inquadrature in bianco e nero con altre a colori: le prime costituiscono i 9/10 del film e sono riprese brevi e quasi prive di movimenti di macchina da presa, mentre le seconde - il restante 1/10 delle immagini - sono inquadrature lunghe e dinamiche, girate dallo stesso regista in Polonia durante la realizzazione del film.
L'alternanza di immagini in bianco e nero e quelle a colori evidenzia un'opposizione tra passato e presente. Mentre le immagini si fanno più drammatiche, la musica di commento sempre più dolce.
Il testo della voce di commento è scritto in un francese letterario aulico e sembra obbedire a una logica diversa dal resto del film: la colonna visiva si contrappone, perciò, alla colonna sonora. Tali elementi - a detta della critica - hanno contribuito a rendere Notte e nebbia un film di grande impatto emotivo sullo spettatore.
Si considera che il documentario rappresenti un saggio esemplare di utilizzo di materiale d'archivio, che mescola audacemente diversi ordini temporali”.

(Testo completo su Wikipedia)

1° marzo 2014 muore Alain Resnais, regista, cineasta e sceneggiatore francese (nato nel 1922).

NUIT ET BROUILLARD (Notte e nebbia, Francia, 1955), regia di Aain Resnais

 

Una poesia al giorno

Duel aux Camélias (Duello delle Camelie), di Tristan Corbière (pseudonimo di Édouard-Joachim Corbière, 18 luglio 1845 - 1 marzo 1875, poeta maledetto francese scoperto da Verlaine dopo la morte).

J'ai vu le soleil dur contre les touffes
Ferrailler. - J'ai vu deux fers soleiller,
Deux fers qui faisaient des parades bouffes;
Des merles en noir regardaient briller.
Un monsieur en ligne arrangeait sa manche;
Blanc, il me semblait un gros camélia;
Une autre fleur rose était sur la branche,
Rose comme... Et puis un fleuret plia.
- Je vois rouge... Ah oui! c'est juste: on s'égorge -
... Un camélia blanc - là - comme Sa gorge...
Un camélia jaune, - ici - tout mâché...
Amour mort, tombé de ma boutonnière.
- A moi, plaie ouverte et fleur printanière!
Camélia vivant, de sang panaché!

Duello delle Camelie

Ho visto il sole duro contro i ciuffi
Duellare. - Ho visto due lame brillare,
Due lame che facevano buffe parate
Merli rivestiti di nero che le guardavano brillare.
Un signore in camicia si rimboccava la manica;
Bianco, mi sembrava una grossa camelia;
Un altro fiore rosa era sul ramo,
Rosa come... e poi un fioretto s’inclinò.
- Vedo rosso... Ah sì! è giusto: ci si squarta -
... una camelia bianca - là - come la sua gola...
Una camelia gialla, - qui - tutta macerata...
Amore deceduto, caduto sul mio occhiello.
- A me, piaga dischiusa e fiore primaverile!
Camelia vivente, di sangue screziata!

Tristan Corbière (pseudonimo di Édouard-Joachim Corbière, 18 luglio 1845 - 1 marzo 1875)

Figlio dello scrittore di feuilleton Edouard Corbière, ebbe un'infanzia infelice e appena adolescente inizio a frequentare il liceo ma si ammalo di reumatismo articolare, una malattia che lo perseguitò per il resto della sua breve vita e ne causò la morte prematura.
Dovette abbandonare gli studi per le sue condizioni di salute, si diede a una vita vagabonda finché non si stabilì sul mare nel nord della Francia, a Roscoff in una casa di proprietà del padre. Il mare era la sua passione, il suo sogno era di fare il marinaio ma non poteva essendo ammalato, allora si comprò una barca con la quale amava navigare in mare quando c'era tempesta.
Gli abitanti del paese lo soprannominarono "lo spettro della morte" per il suo aspetto; aveva dei comportamenti eccentrici e provocatori: a volte si vestiva da donna, da galeotto, da mendicante, si rase le sopracciglia, creò scalpore andando a Roma alla sfilata di carnevale davanti al papa travestito da vescovo con un maiale al guinzaglio.
Si innamorò di una giovane attrice parigina Armida Josefina Cucchiani che divenne la sua musa ispiratrice e che lui ribattezzò Marcelle. Pubblicò a sue spese un libro di poesie ma non ebbe nessun successo. Morì a 29 anni nel 1875.
Alcuni anni dopo la sua morte, nel 1883, Verlaine lo fece conoscere al pubblico e lo descrisse così:
"Tristan Corbière fu un Bretone, un Marinaio e lo sdegnoso per eccellenza, aes triplex (navigatore impavido), Bretone senza essere un praticante cattolico, ma credente nel diavolo; marinaio, né militare, né soprattutto mercante, ma innamorato furioso del mare, che egli non navigava se non nella tempesta, eccessivamente impetuoso su questo più dei cavalli (di lui si raccontano prodigi di folle imprudenza). Sdegnoso del successo e della gloria fino al punto che sembrava avere l'aria si sfidare questi due imbecilli a commuovere per un istante la sua pietà per loro!"

(In Poesia Ribelle)

“An Ankou”, spettro della morte, veniva chiamato dagli abitanti di Roscoff il giovane Edouard Joachim Corbière. Magro, sfigurato dai reumatismi, un’aria sperduta da dandy maledetto, stivali e cappello calato sul volto dominato da un lungo naso aquilino: così si presentava vagando per la costa bretone. Re della poesia e buffone, eccentrico, barocco, eccessivo, ribelle, anarchico. Tutto questo e molto altro ancora fu questo poeta bretone, uno dei più importanti e originali di tutto l’Ottocento.
La lista delle sue ribellioni e comportamenti eccentrici si snoda a dismisura: dallo sfilare con una catena da forzato alle caviglie per le strade di quella Roscoff nella quale soleva trascorrere i mesi estivi, al dormire su amache invece che in letti, al tenere un rospo inchiodato a disseccare sul caminetto della propria dimora.
Dandy plebeo, punk aristocratico, re della contraddizione e dello sberleffo. Incoerenza che si dipana lungo il corso della sua burrascosa esistenza, improntata su di una sfida ai propri genitori, dai quali tuttavia dipende economicamente per pagare i vizi, i viaggi in Italia e i soggiorni parigini.
Si definisce pittore (e affreschi pittorici sono le sue poesie) e a Montmartre frequenta artisti del pennello snobbando i poeti. Si vagheggia marinaio, pur non possedendone la tempra e il fisico. Sogna di superare il padre, autore di un romanzo dalle tinte marinaresche - Le Négrier - incensato dalla critica, ma verso di lui palesa tutto il proprio masochismo, mostrandogli i propri insuccessi scolastici, animato da una pulsione autodistruttiva che lo permea in ogni rapporto (a partire da quello con la madre per arrivare al triangolo amoroso che imbastì con Arminda-Josephine Cucchiani, prosperosa e volgare attrice di origini italiana e il suo amante, il conte Rodolphe de Battine, che guardava divertito gli approcci amorosi non corrisposti del giovane Corbière) e che scorre lungo tutte le sue liriche”.

Ritratto di Edouard Joachim Corbière in barca

 

Un fatto al giorno

1° marzo 1954: Prove di armi nucleari. Castle Bravo, una bomba a idrogeno da 15 megatoni, viene fatto detonare nell'atollo di Bikini nell'Oceano Pacifico, causando la peggiore contaminazione radioattiva mai provocata dagli Stati Uniti.
Castle Bravo è il nome in codice assegnato al test nucleare effettuato da parte degli Stati Uniti d'America, che ebbe luogo il 1º marzo 1954 nell'atollo di Bikini, con la detonazione di un dispositivo termonucleare a fusione con combustibile solido di circa 1000 volte superiore alla potenza delle bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki al termine della Seconda guerra mondiale.

1 marzo 1954: Castle Bravo, una bomba a idrogeno da 15 megatoni, viene fatto detonare nell'atollo di Bikini nell'Oceano Pacifico

“Il primo marzo 1954 all'Atollo Bikini viene effettuato dall'esercito statunitense il test "Castle Bravo", consistente nel fare esplodere una devastante bomba all'idrogeno (Bomba H). La deflagrazione dell'ordigno termo-nucleare supera le previsioni degli scienziati che l'hanno progettato, coinvolgendo l'equipaggio di un peschereccio giapponese presente in quella zona. Da questa tragica vicenda traggono ispirazione i film Godzilla (1954) di Ishiro Honda e Lucky Dragon No. 5 (1959, inedito) di Kaneto Shindo, quest'ultimo incentrato sul racconto drammatico della vita dei membri dell'equipaggio del peschereccio, uno dei quali viene intervistato dalla Rai, offrendo un'importante testimonianza diretta di ciò che accadde quel giorno del 1954 e delle conseguenze per le persone coinvolte nell'esplosione. Quella testimonianza viene rilasciata da Yoshio Misaki (scomparso nel marzo 2016 a 90 anni), pescatore-capo dell'imbarcazione chiamata "Daigo Fukuryu Maru" (lett. "Drago Fortunato n. 5"). Il giorno dell'esplosione, Misaki era la persona con più esperienza a bordo della sua nave, poiché il capitano era assente per malattia, venendo sostituito da Hisakichi Tsutsui (22 anni), uno tra i membri più giovani dei 23 uomini che componevano l'equipaggio del peschereccio. Misaki - insieme a Matashichi Oishi, autore del libro The Day the Sun Rose in the West: Bikini, the Lucky Dragon, and I (2011) -, è anche una delle poche persone della sua nave ad aver parlato pubblicamente di ciò che avvenne quel giorno del 1954, mentre molti dei suoi compagni dell'equipaggio preferirono evitare dichiarazioni pubbliche e contatti con i giornalisti, a causa dei pregiudizi e delle maldicenze che potevano investirli creando loro problemi lavorativi o sociali, come la possibilità di essere ritenuti portatori di una "malattia contagiosa" in seguito alla loro esposizione alle radiazioni (atteggiamento che può culminare nella "radiophobia"), lo stesso pregiudizio di cui furono vittime molte delle persone sopravvissute alle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki, i cosiddetti "hibakusha".”

(Articolo completo molto importante e interessante in alemontosi.blogspot.it)

Immagini: The Lucky Dragon Incident

  • Il film Lucky Dragon No. 5 (1959), regia di Kaneto Shindo si può vedere:

netflixfilm.net

moviesonline.la

Lucky Dragon No. 5 (1959), regia di Kaneto Shindo

 

Una frase al giorno

“Credo nell'esperienza di un fato che ci genera e ci costringe a sporcare la faccia del mondo per vedere come ce la caveremo. Per difendermi ho imparato a maneggiare il fango. In fondo solo con il fango una mano sapiente può costruire qualche cosa che resista al fuoco. Anche se i più lo maneggiano non per costruire, ma per insozzare e per distruggere”.

(Gabriele D'Annunzio, Pescara, 12 marzo 1863 - Gardone Riviera, 1º marzo 1938, scrittore, poeta, drammaturgo, militare, politico, giornalista e patriota italiano, simbolo del Decadentismo e celebre figura della prima guerra mondiale, dal 1924 insignito del titolo di "principe di Montenevoso").

Gabriele D'Annunzio, Pescara, 12 marzo 1863 - Gardone Riviera, 1º marzo 1938

 

Un brano musicale al giorno

Jean Ferrat canta Nuit et Brouillard

Nuit et Brouillard
Ils étaient vingt et cent, ils étaient des milliers,
Nus et maigres, tremblants, dans ces wagons plombés,
Qui déchiraient la nuit de leurs ongles battants,
Ils étaient des milliers, ils étaient vingt et cent.
Ils se croyaient des hommes, n'étaient plus que des nombres:
Depuis longtemps leurs dés avaient été jetés.
Dès que la main retombe il ne reste qu'une ombre,
Ils ne devaient jamais plus revoir un été

La fuite monotone et sans hâte du temps,
Survivre encore un jour, une heure, obstinément
Combien de tours de roues, d'arrêts et de départs
Qui n'en finissent pas de distiller l'espoir.
Ils s'appelaient Jean-Pierre, Natacha ou Samuel,
Certains priaient Jésus, Jéhovah ou Vichnou,
D'autres ne priaient pas, mais qu'importe le ciel,
Ils voulaient simplement ne plus vivre à genoux.

Ils n'arrivaient pas tous à la fin du voyage;
Ceux qui sont revenus peuvent-ils être heureux?
Ils essaient d'oublier, étonnés qu'à leur âge
Les veines de leurs bras soient devenus si bleues.
Les Allemands guettaient du haut des miradors,
La lune se taisait comme vous vous taisiez,
En regardant au loin, en regardant dehors,
Votre chair était tendre à leurs chiens policiers.

On me dit à présent que ces mots n'ont plus cours,
Qu'il vaut mieux ne chanter que des chansons d'amour,
Que le sang sèche vite en entrant dans l'histoire,
Et qu'il ne sert à rien de prendre une guitare.
Mais qui donc est de taille à pouvoir m'arrêter?
L'ombre s'est faite humaine, aujourd'hui c'est l'été,
Je twisterais les mots s'il fallait les twister,
Pour qu'un jour les enfants sachent qui vous étiez.

Vous étiez vingt et cent, vous étiez des milliers,
Nus et maigres, tremblants, dans ces wagons plombés,
Qui déchiriez la nuit de vos ongles battants,
Vous étiez des milliers, vous étiez vingt et cent.

Notte e nebbia
Erano venti, erano cento, erano migliaia,
Nudi e magri, tremanti, in quei vagoni piombati
Strappavano la notte con le unghie disperate,
Erano migliaia, erano venti, erano cento.
Si credevano uomini, non eran più che dei numeri:
Da lungo tempo ormai i loro dadi eran stati tratti.
Quando la mano ricade, non resta che un'ombra,
Non avrebbero mai più riveduta un'estate.

Lo scorrer monotono e senza fretta del tempo,
Sopravvivere un giorno o un'ora in più, ostinatamente
Quanti giri di ruota, fermate e partenze
Che non cessano di distillare la speranza.
Si chiamavano Jean-Pierre, Natascia o Samuel,

Qualcuno pregava Dio, qualcuno Yahvè o Visnù,
Altri non pregavano affatto, ma che importa al cielo,
Volevan soltanto non vivere più in ginocchio.

Non arrivavano tutti alla fine del viaggio,
Quelli che son tornati, potevano esser felici?
Provano a dimenticare, stupiti che alla loro età
Le vene delle braccia gli sian diventate tanto blu.
I tedeschi guardavan da sopra le altane,
La luna taceva proprio come tacete voi,
Guardando lontano, guardando fuori,
La vostra carne era tenera per i loro cani poliziotto.

Mi dicono adesso che queste parole non son più alla moda,
Che val meglio la pena cantar solo canzoni d'amore,
Che il sangue secca presto quando entra nella storia
E che non serve a nulla impugnare una chitarra.
Ma chi avrà il coraggio di fermarmi?
L'ombra s'è fatta umana, oggi è estate,
Twisterei le parole se occorresse twistarle
Perché un giorno i bambini sappiano chi eravate.

Erano venti, erano cento, erano migliaia,
Nudi e magri, tremanti, in quei vagoni piombati
Strappavano la notte con le unghie disperate,
Erano migliaia, erano venti, erano cento.

(Versione italiana di Riccardo Venturi in www.antiwarsongs.org)

Jean Ferrat canta Nuit et Brouillard

"...Non è quindi per caso che Jean Ferrat, il cui padre, di origine ebrea (ricordiamo che il vero cognome di Jean Ferrat è Tenenbaum), era stato deportato, ha intitolato la sua più famosa canzone sui campi di sterminio Nuit et brouillard. Scritta nel 1966, si trattava in origine di una durissima risposta indiretta ad un’altra celebre canzone di Georges Brassens, Les deux oncles. La canzone di Brassens, con il suo anarchismo totale che invitava a dimenticare il passato e a non tenere più conto delle tragedie belliche, non poteva essere accettata dal comunista Ferrat che, anzi, insiste sulla necessità di perpetuare la memoria ad ogni costo, anche al prezzo di usare una musica alla moda perché le giovani generazioni possano conoscere (o ricordare) la verità storica: «Twisterei le parole se occorresse twistarle / perché un giorno i bambini sappiano chi eravate». In effetti, Nuit et brouillard è la canzone della memoria, è esattamente, a livello musicale, ciò che il film di Resnais era stato a livello cinematografico. Ciò nonostante, tutto questo non ha risparmiato a Jean Ferrat delle accuse di «negazionismo» da parte di qualcuno, dato che non avrebbe utilizzato la parola «ebreo» nella sua canzone."

(Si veda questa discussione tra Maïr Waintrater e Jean Ferrat sul sito L’Arche - Mensuel du judaïsme français)

 


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k