“L’amico del popolo”, 26 febbraio 2018

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

WHO KILLED WHO (USA, 1943), regia di Tex Avery. Musica: Scott Bradley. Sceneggiatura: Heck Allen. Animatori: Ray Abrams, Preston Blair, Ed Love. Character designer: Claude Smith. Background artist: John Didrik Johnsen. Musica: Scott Bradley. Con le voci di: Robert Emmett O'Connor, Billy Bletcher, Tex Avery, Kent Rogers, Sara Berner.

Un narratore (Robert Emmett O'Connor) introduce la storia che sta per essere raccontata la quale è destinata a "dimostrare oltre ogni dubbio che il crimine non paga". Si parla dell'omicidio di un duca. L'indagine del commissario si svolge nella vecchia magione piena di insidie, tra fantasmi, scheletri e maggiordomi assassinati. Nel finale a sorpresa il colpevole verrà attirato in una trappola dal commissario travestito da pin-up.

WHO KILLED WHO (USA, 1943), regia di Tex Avery“Tex Avery aveva all’epoca 27 anni, il che lo rendeva il più anziano del gruppo, ma era anche quello con le idee più radicali. Negli 11 film a cui collabora quell’anno (di cui 7 con Porky Pig), si nota un veloce allontanamento dalle atmosfere stucchevoli tipiche dei cartoon Disney, il numero di gag si moltiplica e la narrazione si fa più ritmata. Questo porta i prodotti del gruppo delle termiti ad essere apprezzati non solo dai bambini, che amano l’azione continua, ma anche dagli adulti, che gradiscono il sarcasmo e l’ironia di quei cartoni. Avery stesso, tra l’altro, si presta a doppiare alcuni dei personaggi, in genere quelli più buffoneschi.
Il successo del gruppo non si esaurisce con il 1936. Il 17 aprile 1937, infatti, esce Porky Pig Duck Hunt, in cui il protagonista dà la caccia ad un papero nero, un po’ supponente ma decisamente simpatico, cui viene dato il nome di Duffy Duck. Ritroveremo Duffy all’inizio del 1938, in Duffy Duck and Egghead, cartone in cui Avery usa per la prima volta una gag sull’interazione tra gli eroi del film e gli spettatori, assolutamente inedita nel mondo dei cartoni animati ma certamente nota agli intellettuali grazie alle opere di gente come Pirandello e Brecht. Nel film del ’38, comunque, uno spettatore che fa dei gestacci attraverso il fascio di luce del proiettore viene abbattuto da un colpo di fucile di Egghead, che il pubblico italiano conosce col nome di Taddeo. Lo spettatore si vendicherà sparando a Taddeo in A Feud There Was l’anno dopo, e verrà definitivamente arrestato in Who Killed Who? nel 1943. Questo tipo di gag, la presenza del pubblico in genere raffigurato con delle silhouette a fondo schermo, verrà usata spesso da Avery durante la sua collaborazione con la Warner, mentre proprio Who Killed Who? è l’unico film in cui la usa per un’altra casa di produzione (in questo caso la MGM). Questa gag è solo un esempio di come i protagonisti dei cartoni di Avery siano consci, loro per primi, di essere solamente dei personaggi animati, di star recitando una parte scritta e disegnata per loro, parte che non mancano di commentare (e spesso sbeffeggiare) in ogni occasione.”

(Articolo completo in www.cinefile.biz)

Altro articolo in: tvtropes.org

26 febbraio 1908 nasce Tex Avery, animatore, produttore e doppiatore americano (morto nel 1980).

 

Una poesia al giorno

Gandkvæði Tróndar (I cori magici di Trónd), di Jens Hendrik Oliver Djurhuus, chiamato Janus Djurhuus, (Tórshavn, 26 febbraio 1881 - 1 settembre 1948).

Hevjið í homrum
Harðmælta kvæðIð,
Villu valkyrjur,
Vetrarins børn,
Tit mínar frælsu,
Froysandi hvirlur,
Føddar av ódn.

Hastið í hernað
Hamranmna døtur,
Vekið til veldis
Vilt glaðustrok;
Gravið frá grunni
Goysandi orrusturok.

Ramar eg risti
Rúnir, Ið rinda
Ravni ræ.
Sanna skal Sigmundur,
Tróndur trøllsterkur kvað.

Verjast skal valhøll,
Ið vølvur veittu
Miklum norðlanda monnum til mið.
Eydnast at inna
Ei skal Signumdi
Eystlanda sið.

Fjallfríðu Føroyar,
Ramasta rúnin,
Ritað av gudum
Um einstakra rætt!
Trygdareið Tróndur
Hann treystligt at verja
Svór síni ætt.

Hevjið í homrum
Harðmælta kvæðIð,
Villu valkyrjur
Veiti mær vørn.
Fram móti Sigmundi
Skip hansar sorandi,
Land honum forðandi,
Fram móti kristni
Kirkjurnar brótandi,
Tróndur til Tórs og til Óðins er blótandi,
Høgt kvøður heiðin ørn.

Janus Djurhuus (prima fila, a sinistra) nel 1900 con (seconda fila, da sinistra a destra) Jákup Dahl, Magnus Dahl e Jógvan Waagstein; (in prima fila, a destra) Petur Dahl e Oluf SkaalumTrónd’s Magical Chantings

Raise the roar
of rage from the rocks,
wild valkyries
from winter born,
fly my freeborn
furious whirlwinds,
born in the storm.

Ride in rage
daughters of rocks,
wake up the wildest
waves of the sea,
raise from the sea-beds
raving madness and fear.

I carve ruthless
runes that reach
the ravens rape.
Sigmund shall suffer,
Trond the sorcerer sang.

Stand up for Valhall,
granted by gods,
to the great Norsemen as ultimate bait.
Sigmund shall never
succeed to impose
the East-landers faith.

Mountainous Faeroes
the ranciest runes
written by gods
about human rights!
Oath of allegiance
Trond made in truth
for all in his sight

Raise the roaring
rage from the rocks,
wild valkyries
protect my rights.
Storm against Sigmund,
ship wreck his vessels,
keep him from land.
Storm Christianity,
churches and vanity,
Trond prays for Thor’s and Odin’s insanity,
the heathen eagle fares high

I cori magici di Trónd

Janus Djurhuus fu il primo poeta faroese (isole Faroe) moderno. Lui e Hans Andreas Djurhuus, suo fratello minore, anche lui poeta, sono stati chiamati i fratelli Áarstova, dal nome della casa in cui sono cresciuti.
La sua poesia combina la mitologia classica e norvegese. Il linguaggio delle sue poesie attinge sia al moderno faroese e alla lingua delle ballate tradizionali, sia alla poesia antica e moderna in altre lingue scandinave; il loro ritmo è influenzato anche dall'antica poesia greca e moderna tedesca.

“... L’eroe norreno chiamato Trondur, cui è dedicato il ballo in cerchio che conoscono bene i familiari di Eivør, altro non è che il norreno Þrándr í Götu ovvero Tróndur í Gøtu (945-1035), un vichingo delle isole Faroe. Insieme a Sigmundur Brestisson egli è il personaggio principale della Føroyingasøga, la Saga dei Faroesi. Questa saga racconta la storia antica delle isole e l’arrivo del cristianesimo.
Il capitolo 3 della Saga narra che Tróndur aveva “una scioccante testa di capelli rossi, ed era lentigginoso e con lo sguardo truce”, caratteristiche tipiche del folklore faroese, e si dice che discenderebbe dalla figlia di Thorstan il Rosso.
Tróndur í Gøtu viveva sull’isola di Eysturoy, nella casa del padre Gøta, il quale prese il nome dal soprannome di Torbjørn Gøtuskegg. Inizialmente Tróndur e Thorlac si scontrarono a lungo per decidere chi avrebbe ereditato le proprietà. Dopo aver perso, Thorlac si trasferì a vivere nelle vicine isole con la moglie. Il capitolo 35 descrive in dettaglio tutti i fratelli che vivevano con Gøta, ed i rispettivi figli. Lo stesso capitolo spiega che Thorlac aveva due figli, Sigurd (uomo forte con lunghi capelli ricci) e Thord (chiamato “il basso”); la sorella di Tróndur ebbe un figlio noto come Geat “il rosso”.
Tróndur si oppose all’arrivo al cristianesimo nelle Faroe e pronunciò una maledizione contro di esso e contro Sigmundur, che lo promulgava. Questo è l’argomento principale di una poesia faroese scritta da Janus Djurhuus dal titolo Gandkvæði Tróndar”.

(In wunderkammern.wordpress.com)

Musica:

26 febbraio 1881 nasce Janus Djurhuus, poeta Faroese (morto nel 1948)

Le isole Fær Øer (Faroe) sono un arcipelago subartico formato da 18 isole, situato al largo delle coste settentrionali dell'Europa, tra il Mare di Norvegia e il nord dell'Oceano Atlantico, a metà strada tra l'Islanda e la Norvegia

 

Un fatto al giorno

26 febbraio 364: Valentiniano I è proclamato imperatore romano.

Flavio Valentiniano (latino: Flavius Valentinianus), meglio conosciuto come Valentiniano I (Cibalae, 3 luglio 321 - Brigetio, 17 novembre 375) è stato un imperatore romano, dal 364 alla sua morte.

“Nato in Pannonia da un certo Graziano, di oscura famiglia, come il padre, entrò nell'esercito e vi fece una rapida carriera; alla morte dell'imperatore Gioviano (364) fu scelto come suo successore dai dignitari civili e militari convenuti a Nicea, e quindi fu acclamato Augusto dall'esercito. Riservò per sé l'Occidente con l'Illirico e l'Italia, stabilendo la sua sede a Milano; affidò al fratello Valente il governo delle province orientali. Pur fervente seguace del credo niceno, lasciò larga libertà di coscienza, assumendo un atteggiamento di grande tolleranza anche di fronte ai pagani e ai giudei. Cercò di migliorare l'economia del suo stato, represse gli abusi fiscali, tutelò le classi povere (compito affidato al defensor civitatis, che assunse perciò il nome di defensor plebis): ma la sua opera fu in gran parte senza effetto per le tristi condizioni del tesoro pubblico, e per gli abusi dei funzionari. L'attenzione di V. all'esterno fu assorbita dal grave compito della difesa dell'Impero contro i barbari che minacciavano i confini della Gallia (Alamanni) e stavano penetrando in Britannia (Pitti e Scoti), mentre in Africa la popolazione, istigata alla ribellione dai donatisti, si univa ai barbari per sottrarsi al malgoverno dei funzionari imperiali. Contro gli Alamanni mosse egli stesso (365), riportando una vittoria a Solicinium (Sulz) che non fu però decisiva. Contro i Pitti e gli Scoti in Britannia mandò Flavio Teodosio, padre del futuro imperatore Teodosio, che ristabilì l'ordine in quella regione; lo stesso Flavio Teodosio sedò la rivolta capeggiata da Firmo in Africa. Nel 374 irruppero sulla linea del Danubio, spezzandola, i Quadi, i Sarmati e gli Iazigi. L'imperatore accorse personalmente in Pannonia col piccolo figlio Valentiniano (il futuro Valentiniano II) e l'imperatrice Giustina, e morì proprio quando i Quadi erano sul punto di chiedere la pace”.

(Treccani)

 

Una frase al giorno

“Guai al generale che si presenta su un campo di battaglia con un sistema”

(Napoleone Bonaparte, Ajaccio, 15 agosto 1769 - Isola di Sant'Elena, 5 maggio 1821. Politico e militare francese, fondatore del primo impero francese)

Napoleone a 23 anni, tenente colonnello della Guardia Nazionale

Ufficiale d'artiglieria e quindi generale durante la rivoluzione francese, Napoleone Bonaparte divenne famoso come principale generale della Francia rivoluzionaria grazie alle vittorie ottenute nel corso della prima campagna d'Italia. Dopo il colpo di Stato del 18 brumaio (9 novembre 1799) assunse il potere in Francia: fu Primo Console dal novembre di quell'anno al 18 maggio 1804, e Imperatore dei francesi, con il nome di Napoleone I (Napoléon Ier) dal 2 dicembre 1804 al 14 aprile 1814 e nuovamente dal 20 marzo al 22 giugno 1815. Fu anche presidente della Repubblica Italiana dal 1802 al 1805, re d'Italia dal 1805 al 1814, «mediatore» della Confederazione svizzera dal 1803 al 1813 e «protettore» della Confederazione del Reno dal 1806 al 1813.
Napoleone a Il CairoGrande uomo di guerra, protagonista di oltre venti anni di campagne in Europa, Napoleone è stato considerato il più grande stratega della storia dallo storico militare Basil Liddell Hart, mentre lo storico Evgenij Tàrle non esita a definirlo "l'incomparabile maestro dell'arte della guerra" e "il più grande dei grandi". Grazie al suo sistema di alleanze e a una serie di brillanti vittorie contro le potenze europee, conquistò e governò larga parte dell'Europa continentale, esportando gli ideali rivoluzionari di rinnovamento sociale e arrivando a controllare numerosi Regni tramite persone a lui fedeli (Giuseppe Bonaparte in Spagna, Gioacchino Murat nel Regno di Napoli, Girolamo Bonaparte in Vestfalia, Jean-Baptiste Jules Bernadotte nel Regno di Svezia e Luigi Bonaparte nel Regno d'Olanda).
La sua riforma del sistema giuridico (confluita nel Codice Napoleonico), introdusse chiarezza e semplicità delle norme e pose le basi per la moderna giurisdizione civile.”

(Articolo intero su Wikipedia)

“Nella storia del mondo occidentale la figura di Napoleone Bonaparte, imperatore dei Francesi e re d’Italia, è paragonabile solo a quella di Giulio Cesare. Come questi, Napoleone fu un genio militare senza pari e un grande legislatore in un momento di trapasso da un’epoca storica a un’altra profondamente segnata dagli sconvolgimenti della Rivoluzione francese. Ma Napoleone fu anche l’artefice, nell’Europa continentale, tra Settecento e Ottocento, della definitiva trasformazione della società di antico regime in società borghese”.

(Treccani)

26 febbraio 1815: Napoleone Bonaparte fugge dall'Elba.

Andrea Appiani, Napoleone come Re d'Italia

 

Un brano musicale al giorno

Francesco Nicola Fago (detto il Tarantino): Toccata per cembalo in Mi maggiore

Francesco Nicola Fago, compositore italiano, nacque a Taranto il 26 febbraio 1677 e morì a Napoli, il 18 febbraio 1745.

 


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k