“L’amico del popolo”, 12 marzo 2017

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

UN GIORNO NELLA VITA (Italia, 1946), regia di Alessandro Blasetti. Soggetto: Alessandro Blasetti, Cesare Zavattini, Edoardo Anton. Sceneggiatura: Alessandro Blasetti, Cesare Zavattini, Mario Chiari, Anton Giulio Majano, Diego Fabbri. Fotografia: Mario Craveri. Montaggio: Mario Serandrei, Gisa Radicchi Levi. Musica: Enzo Masetti. Con: Amedeo Nazzari (il capitana De Palma), Massimo Girotti (Monotti), Elisa Cegani (Olga, la madre superiora), Arnoldo Foà (Brusan), Mariella Lotti, Dina Sassoli, Ave Nichi, Alda Dondini, Marcella Melnati, Amalia Pellegrini, Enzo Biliotti, Flavia Grande, Goliarda Sapienza, Dante Maggio, Ada Colangeli, Antonio Pierfederici, Luciano Mondolfo.

Durante la guerra, un gruppo di partigiani ricercati dai tedeschi si rifugia in un convento di suore. Considerando la presenza degli uomini come una violazione sacrilega dello stato di clausura, queste cercano di non avere contatti con gli uomini ma sono costrette a farlo per curare uno di essi, gravemente ferito. In lui la madre superiora riconosce l'uomo che le aveva ucciso il marito molti anni prima. A causa di un bombardamento aereo, i partigiani sono costretti a rimanere in convento più del previsto. Rifugiatisi nelle cantine, uomini e donne incominciano a simpatizzare. Una delle suore, addirittura, vorrebbe andarsene con i partigiani quando questi abbandonano il convento. Poco dopo, i tedeschi scoprono che le suore avevano ospitato i partigiani e per rappresaglia le fucilano. I partigiani, riconquistato il convento assieme agli alleati, vorrebbero vendicarsi passando per le armi i superstiti ma i corpi delle suore sembrano non chiedere alcuna vendetta. L'unica suora sopravvissuta è preda della follia e ripete senza sosta: "Nessuno di noi sa quello che fa".

“Nel film che si intitola molto letterariamente Un giorno nella vita, il talento di Blasetti e i difetti della sua cultura si sono così ben distribuite le zone di influenza, che questo film può passare per tipico nella produzione di questo autore. Sin dai suoi esordi, da Terra nostra, il pericolo più grave cui Blasetti è andato incontro è stato nella rozzezza del suo gusto, nutrito, pare, dal peggiore dannunzianesimo, da un gusto figurativo, incerto tra Chini e Cascella, e da un'aspirazione musicale che deve trovare il suo appagamento in Puccini e Respighi.”

(Pietro Bianchi)

“Il film è tecnicamente ben fatto e alcune sue parti sono molto belle. L'episodio di vita partigiana che in esso si riflette è efficace, pulito, decisamente antiretorico. L'episodio odioso dell'ira germanica, che si affianca al primo, è pure contenuto entro limiti ch'era facile oltrepassare per amore dell'effetto e che invece, così rispettati, ne rinvigoriscono la suggestione.”

(Raul Radice, L'Europeo Milano, 26 maggio 1946)

“La progressione drammatica degli eventi è così continua, così continua la tensione degli stati d'animo, e dei sentimenti, che certe concessioni fatte al dialogo e certe intrusioni narrative non riescono a rallentarle. Se un appunto può farsi al film è quello di non aver saputo del tutto armonizzare i toni descrittivi dei due ambienti (...).”

(Ermanno Contini, Domenica Roma, 14 aprile 1946)

“Un giorno nella vita è un film di Alessandro Blasetti che vi rivela le sue migliori qualità di esperienza e di incisività di narrazione. (...). Il racconto è vario, umano, intensamente drammatico e spoglio di ogni retorica.”

(Guido Aristarco, Il Giornale del Lunedì Roma, 8 aprile 1946)

“La retorica era in agguato ad ogni passo sul sentiero che Blasetti s'era scelto, e bisogna riconoscergli subito il merito di avere quasi sempre evitato di mettere il piede nella tagliola (...). Un buon film, in Italia si sono visti già vari film ispirati alla Resistenza, e altri se ne aspettano. Fossero tutti di questa misura si potrebbe esser contenti”.

(Orio Vergani, Film d'Oggi Roma, 25 aprile 1946)

Non siamo d’accordo con questa critica.

“Un giorno nella vita (117 minuti) racconta la difficile coabitazione tra un gruppo di partigiani rifugiatisi dentro le mura di un convento di clausura e le suore che lo abitano. I due eterogenei gruppi di persone fraternizzano durante la lunga permanenza in un sotterraneo ove si sono rifugiati a causa di un bombardamento aereo. Nel finale l'irruzione dei nazisti nel convento provoca la catastrofe: resi furibondi dalla scoperta che le suore hanno dato asilo ai partigiani, nonché dalla morte di uno dei loro commilitoni avvenuta all'interno del luogo sacro, sterminano le povere donne prima di venire a loro volta uccisi dai partigiani. Il triste spettacolo finale è contemplato anche dagli inglesi appena giunti.
Blasetti e i suoi sceneggiatori (tra cui Zavattini e Fabbri) celebrano la nuova alleanza tra la chiesa e le forze democratiche del CLN (De Gasperi è al governo dal dicembre '45), futura classe dirigente della repubblica mentre il nemico assume i colori dello stereotipo truce dei soldati nazisti. I fascisti, non a caso, sono assenti in questa pellicola; al contrario Amedeo Nazzari, il tipico eroe del cinema fascista (lo si è visto anche in esempi recenti come Bengasi del 1942) riesce sfrontatamente a riciclarsi come capopartigiano, divenendo (parallelamente allo stesso Blasetti che avrebbe fatto meglio a evitare la tematica politica) l'ennesimo esempio del trasformismo di un popolo, pronto a scaricare l'intero peso della sconfitta su una ristretta cerchia di gerarchi, quando non sul solo Mussolini e a proclamarsi sorprendentemente estraneo alle vicende del ventennio. I fascisti sono scomparsi dalla scena poiché si sono tramutati in combattenti della libertà, al fianco degli angloamericani celebrati ora (dopo le recenti, ostili raffigurazioni in Un pilota ritorna e ancora in Bengasi) come popolo portatore della vera, auspicata civiltà democratica. Lo stile della pellicola è anonimo e incolore, ostacolato da tipi umani stereotipati e grevi; solo nel drammatico finale la mdp di Blasetti sembra trovare qualche momento di sincera intensità. La lieve e originale semplicità di 4 passi tra le nuvole non riesce a manifestarsi tra le anguste mura del convento.
La pellicola si compone di quattro parti. Nella prima un gruppo di partigiani (uno di loro è ferito) si nasconde in un convento di clausura, mettendo in imbarazzo le suore, mentre fuori infuriano i combattimenti. La descrizione del gruppo maschile ripete gli accenti di festoso cameratismo con il quale si era soliti descrivere i combattenti del regime (si pensi ai film di De Robertis e Rossellini). Poco cambia: qualche generica frase di lode (ammirazione per la ricca cultura inglese e biasimo per l'incoscienza di un'Italia povera che si è arrischiata a sfidare una simile potenza) cerca di motivare il nuovo atteggiamento italiano, successivo all'otto settembre.
La seconda parte racconta l'operazione chirurgica necessaria a salvare la gamba di Monotti, il partigiano ferito. Chi opera è un americano, figura fraterna e gioviale, che fa parte del gruppo combattente. La lettura simbolica è palese: gli USA curano e salvano un'Italia malata e ciò è reso possibile dal rifugio accogliente del convento, ovvero del Papato destinato a ereditare questa nazione allo sbando. Blasetti celebra a suo modo la triplice "santa" alleanza: USA-Chiesa-CLN (ovvero nuova partitocrazia). In questo episodio Blasetti inserisce un mediocre intreccio melodrammatico: Monotti è nientemeno che l'assassino che uccise, dieci anni prima, il marito della madre superiora del convento, causandone la crisi spirituale e la scelta cristiana. Questi incontri inverosimili (si veda anche La nave bianca e Marinai senza stelle) sono un portato del melodramma e risultano quanto mai artificiosi all'interno della pretesa realistica insita nell'essenza stessa del racconto filmico.
La terza parte vede stringersi ulteriormente l' "alleanza" tra partigiani e suore: a sorpresa i primi si recano in chiesa a pregare; nel sotterraneo, dove tutti si sono rifugiati a causa di un bombardamento aereo, le seconde abbandonano il rigido atteggiamento claustrale e collaborano con gli uomini a liberare l'accesso al sotterraneo bloccato dalle esplosioni.
L'ultima parte è la più drammatica ed anche l'unica a contenere immagini incisive: la lotta in chiesa tra il partigiano e il tedesco; la sofferta morte di quest'ultimo che ringrazia le stupefatte suore che ne raccolgono le parole estreme; l'irruzione della bestialità nazista e l'orrenda strage sono pagine scritte con dura essenzialità da Blasetti e culminano nella splendida immagine dell'unica suora superstite che, traumatizzata, chiude il cancello di un convento svuotato e distrutto: nel suo sguardo folle c'è l'unico accento di verità del film ovvero l'apolitico orrore per la guerra e per le sue crudeli mostruosità”.

(Da www.giusepperausa.it/un_giorno_nella_vita.html)

“Un gruppo di partigiani per sfuggire ai tedeschi si rifugia in un convento. Dapprima le suore evitano qualsiasi contatto con loro, poi la necessità di soccorrere un ferito crea l'occasione per una maggiore comprensione. Il neorealismo secondo Blasetti che non rinuncia ad attori famosi e non scende per strada, chiudendo la macchina da presa all'interno di un convento, ma riesce a restituire e a riaffermare l'umanità che sopravvive a qualsiasi guerra. Si osservi anche la perspicacia con cui il regista controlla e restringe il potenziale melodrammatico di Un giorno nella vita [...] a beneficio di un'osservazione sfumata e minuziosa delle suore che sfilano davanti alla macchina da presa. Si apprezzi, inoltre, l'insolita curiosità che lo induce a scovare, sotto i panni severi e uniformanti di un ordine religioso, una soggettività e una femminilità non sopite, a dispetto degli esercizi adottati per il conseguimento di un assoluto distacco dai piaceri e dalle tribolazioni mondane.”

(Morandini)

Il Centro Cattolico Cinematografico produsse i film Un giorno nella vita e Guerra alla guerra.

 

Una poesia al giorno

《서시》 (Prologo)

죽는 날까지 하늘을 우러러 Possa guardare in alto il cielo fino al giorno in cui muoio
한점 부끄럼이 없기를, senza neppure un briciolo di vergogna.
잎새에 이는 바람에도 Anche per il vento che passa fra le foglie
나는 괴로워했다 ho sofferto.
별을 노래하는 마음으로 Con l'animo che canta le stelle
모든 죽어가는 것을 사랑해야지 devo amare tutte le cose che vanno verso la morte.
그리고 나한테 주어진 길을 E poi, la strada che mi è stata assegnata
걸어가야겠다 dovrò percorrere.
오늘 밤에도 Anche stanotte
별이 바람에 스치운다 le stelle piangono agitate dal vento

 

Un fatto al giorno

Il 12 marzo 1622 veniva canonizzata a Roma Santa Madre Teresa. Teresa di Gesù, la riformatrice del Carmelo, è la prima donna della storia a cui è stato riconosciuto il titolo di Dottore della Chiesa. Nata ad Avila nel 1515, educata religiosamente dai genitori, ancora fanciulla si appassionò talmente alla lettura delle vite dei santi da sentirsi spinta a fuggire di nascosto col fratellino Rodrigo verso la «terra dei mori» per morirvi martire. Ricondotta a casa dallo zio che la sorprese alle porte di Avila, si diede a imitare la vita degli eremiti del deserto. Educanda presso le agostiniane del monastero di S. Maria di Grazia, ne uscì per ragioni di salute nel 1532 e tre anni dopo decise di entrare fra le Carmelitane dell’Incarnazione ad Avila, ma poiché il padre vi si era opposto, lei fuggì di casa e, accolta in quel monastero, dopo un anno di postulato ricevette all’abito e il 3 novembre 1537 emise i voti. Colpita poi da un’altra grave malattia che, dopo varie peripezie, la vide per tre anni paralitica, nell’agosto 1542 ottenne la completa guarigione, da lei attribuita a san Giuseppe di cui era fervente devota. Nel 1554, quando era quasi quarantenne, Gesù le fece sperimentare, inondandola di grazie interiori e anche di visioni e rapimenti (tra cui più volte la grazia della “transverberazione”), che egli era «veramente Dio e «veramente uomo» e che, abbandonandosi a Lui con tutto il cuore, era possibile amare Dio «con tutto il cuore, l’anima e le forze» e ricevere da Lui in dono tutto il resto.

 

Una frase al giorno

"La verginità, secondo S. Paolo, è un bene maggiore del matrimonio, non solo perché questa ci libera dalle sollecitudini o dagli imbarazzi delle cose temporali, come ha detto Lutero; ma anche perché essa tende a rendere una persona più santa, mentre le porge la felicità di attendere più lietamente al servizio di Dio, come hanno insegnato i santi Padri della Chiesa nei libri che hanno scritto sopra questo argomento".

(Bernardin de Picquigny)

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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web www.brusaporco.org