L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...
Un film al giorno
LA JOVEN (Violenza per una giovane, Messico - USA, 1960) di Luis Buñuel. Sceneggiatura: Hugo Butler, Luis Buñuel, basata sul racconto “Travelin' Man” di Peter Matthiessen. Fotografia: Gabriel Figueroa. Montaggio: Carlos Savage. Musica: Jesus Zarzosa. Con: Bernie Hamilton, Claudio Brook, Graham Denton, Kay Meersman, Zachary Scott.
Traver, un musicista jazz afroamericano, falsamente accusato di violenza ad una donna, sfugge ad una caccia all'uomo con un motoscafo e giunge su un'isola di fronte alle coste della Carolina, riserva di caccia, abitata solo da un uomo, Miller, e un'adolescente, Evvie, il cui nonno, l'altro abitante della riserva, è morto da poco. Mentre Miller è in città per le provviste, Traver si presenta a Evvie, prendendo il mangiare e l'occorrente per aggiustare la sua barca, lasciando del denaro. Evvie prende subito in simpatia l'uomo e racconta poi del suo arrivo a Miller, che invece vorrebbe che l'uomo se ne andasse via. Miller va alla ricerca del musicista e, trovata la barca, la danneggia a fucilate e poi cerca di sparare a Traver. La sera Traver si presenta nell'abitazione di Miller e requisisce le armi, poi il guardiacaccia e il musicista giungono ad un compromesso: Traver resterà il tempo necessario per riparare i danni alla sua imbarcazione e in cambio si renderà utile. Durante la notte Miller, da sempre attratto da Evvie, approfitta di lei. Il giorno seguente giunge sull'isola lo sceriffo, alla ricerca di Traver, e un sacerdote, il reverendo Fleetwood. Lo sceriffo racconta al reverendo e a Miller delle accuse su Traver e Miller, geloso della simpatia che Evvie prova per il musicista, riferisce allo sceriffo della sua presenza e i due lo imprigionano. Il reverendo, che ha compreso l'innocenza di Traver, raccoglie le confidenze di Evvie riguardo a Miller e mette l'uomo di fronte alle sue responsabilità. Miller, che è intenzionato a sposare la ragazza, promette di riparare al male fatto a Evvie e aiuta Traver a fuggire.
“La recente presentazione in Italia dell'altro film di Buñuel, L'angelo sterminatore, che è del 1962, giunge a proposito se viene messa in relazione con la presentazione di questo Violenza per una giovane, che è del 1960, perché un film fa da pendant all'altro, essendo il primo ambientato nel mondo dell'alta borghesia, il secondo nel mondo del sottoproletariato, entrambi girati in Messico, nell'ambito di uno stesso discorso. La giovane (La joven) di cui parla il titolo è il perno del conflitto non tanto come una minorenne di cui si voglia narrare l'anticipata esperienza sessuale, al pari di una qualsiasi Lolita; quanto perché ella è un essere umano adoperato dagli altri, a rappresentare il punto massimo di violenza in una vicenda intessuta di violenze, più ancora che materiali, ideologiche. Il film, in ogni caso, procede ad un ribaltamento graduale di valori. Esso inizia con la scena del nero braccato (non si sa quale delitto abbia commesso: forse ha violentato una bianca). Il luogo, al quale si giunge da un altro mondo, è selvaggio; il mare e la palude infidi lo circondano; una materia sorda, verminosa, brulicante, lo popola. In quell'ambiente, sia il nero sia il bianco uccidono e divorano esseri viventi per nutrirsi e sopravvivere. Dapprima non si capisce perché il nero e il bianco siano accomunati nello stesso gesto del divorare animali. Il bianco è contro il nero: che cos'hanno in comune? Il bianco, infatti, si comporta da bianco quando tenta di eliminare il nero, proseguendone la caccia, mentre difende, intanto, il possesso conquistato della giovane, un'altra preda per un altro appetito. Ma quando l'arrivo del sacerdote permetterà di dare almeno una parvenza d'ordine al processo del bianco contro il nero, il bianco dovrà accorgersi che, invece di processare il nero, egli sta processando se stesso. Costretto, in tal modo, a cercare le proprie ragioni, si scoprirà vittima. Quindi, proprio guardando in se stesso, vedrà che anche il nero è soltanto una vittima. Anzi, sarà messo persino di fronte ad una superiorità del nero, quando quest'ultimo interromperà, con la non violenza, la catena della violenza. Allora anche noi scopriamo alcune cose. In primo luogo: che l'isola è un luogo simbolico, la zona di riflusso in cui è gettata la gente comune, alla quale giungono dubbiosi messaggi e sporadici rifornimenti da un'altra terra, distante, di là dal mare: la terra del potere (quella de L'angelo sterminatore?). Ad un simile livello d'esistenza ci sarebbe soltanto la possibilità di un meccanismo di sopraffazione per poter sopravvivere, se non intervenisse un atto amorevole risolutore, che non è quello del sacerdote, ma quello del nero. La figura del sacerdote, infatti, è vista da Buñuel, sotto un'apparenza di normalità, in maniera molto critica. A parole, per esempio, il sacerdote condanna il razzismo: ma volge il materasso sul quale si era sdraiato il nero; prima di coricarsi a sua volta; col rito retorico del battesimo, quasi affoga la giovane: risolve il rapporto di violenza tra il bianco e la ragazza istituzionalizzandolo col matrimonio, invece di aiutare la ragazza a trasformarsi da Oggetto in persona; nei confronti del nero, non combatte per affermarne l'innocenza, ma, semplicemente, lo aiuta a scappare, perpetuando, in tal modo, la sua condizione di perseguitato. Il sacerdote è, insomma, il simbolo di una mezza religione, la quale offre scappatoie, lasciando intatto l'ordine ingiusto, anziché combattere per instaurare un ordine giusto. Il nero, al contrario, non solo è l'innocente; ma, come si diceva, è colui che saprà compiere il gesto risolutore (alla maniera di Luther King) che precede il finale: un finale, per la verità, frettoloso come un manifesto di Bakunin. A questo punto, sorge spontanea una domanda: che cosa simboleggia la terraal di là dal mare, dalla quale provengono alcuni dei personaggi? Buñuel, come sempre, è - vuole essere - ambiguo Egli ondeggia tra una posizione storica ed una posizione metastorica, religiosa forse cercandone la sintesi (in tal senso potremmo considerarlo il più vero maestro di Pasolini). Infatti: se nella zona di là dal mare sta un misterioso potere ultraterreno, è chiaro che la condizione de gli abitanti dell'isola vuole essere quelli del genere umano, condannato alla pro pria bestialità in attesa di un divino atte d'amore, che nasca, magari, dal più semplice e perseguitato degli uomini. Se, invece, di là dal mare sta la borghesia capitalistica (come, più di preciso, Buñuel vuol lasciarci pensare, anche quando realizza film come L'angelo sterminatore) È chiaro che gli abitanti dell'isola sono gli sfruttati, in balia di un potere sopraffattore che li emargina dalla vita vera, riducendoli a cose governate dai riflessi di una concezione morale obbrobriosa. In questo secondo caso, unitamente alla rabbia autentica della denuncia, emerge il Buñuel che, per essere sostanzialmente un anarchico, ha bisogno di rappresentare le vittime come un sottoproletariato né cosciente né armato (nonostante i fucili che circolano per la storia) che risolve il suo problema con la non violenza evangelica, nel tempo in cui (ma questo film risale a nove anni fa), proprio in quelle terre dell'America latina, anche una parte del clero si è resa consapevole che alla violenza permanente dell'ordine ingiusto occorre contrapporre un'altra, seppure momentanea, violenza”.
(Renzo Renzi in “Vent’anni al cinema d’essai 1968-1988”, Grafis)
“Un musicista negro (Bernie Hamilton) accusato di violenza carnale, fugge su un'isola abitata da un guardiacaccia (Zachary Scott) e da una fanciulla tredicenne (Key Meersman) di cui questi ha abusato dopo la morte del vecchio che la accudiva. I difficili rapporti tra i tre lasciano via via il posto a una specie di solidarietà e comprensione. Calmo nella sua violenza, disteso nella sua estrema tensione, complesso nella sua semplicità, questo film di Buñuel, di rara armonia, unisce il surrealismo a Defoe e a Rousseau, e dimostra come l'ipocrisia, la religione, il razzismo, non resistano a un vero contatto tra gli uomini, come le regole e i pregiudizi sociali, astratti dal contesto oppressivo e di disuguaglianza in cui sono sorti, siano destinati a svuotarsi”.
(Georges Sadoul)
“In un'isoletta del Sud degli Stati Uniti d'America vivono il guardacaccia Miller (Z. Scott) e l'orfana quattordicenne Ewie (K. Meersman). Sbarca sull'isola il nero fuggiasco Travers (B. Hamilton), accusato di avere violentato una bianca. Miller gli danneggia l'imbarcazione e, durante la convivenza a tre, approfitta di Ewie. Arrivano un pastore (C. Brook) e un bianco razzista (G. Denton). Il primo scopre che cosa è successo tra Miller e la ragazza. Non denuncerà il guardacaccia a due condizioni: sposare Ewie e lasciare in pace il nero. Tratto dal racconto “Travellin' Man” di Peter Matthiessen, sceneggiato con H. B. Addis, è un film che spiazza lo spettatore (quando uscì spiazzò anche molti critici) per la sua assenza di manicheismo, il modo insolito di rappresentare il tema razzista e di proporre un superamento dei pregiudizi e dei tabù. Persino l'abuso di minore assomiglia molto a una seduzione consensuale: il ritratto di Ewie è quello di una ninfetta consapevole della propria attrazione erotica. Aveva ragione Truffaut a dire che L. Buñuel aveva saputo "con grande abilità mescolare la nozione di personaggi simpatici e antipatici, e mescolare le carte del gioco psicologico tenendo un discorso perfettamente chiaro e logico". Uno dei quattro film di Buñuel con la fotografia di Gabriel Figueroa. Premio speciale della giuria a Cannes 1960”.
(Il Morandini)
Una poesia al giorno
Alguien que no soy yo, di Alí Calderón (Messico, 1982) poeta e critico letterario
Qualcuno che non sono io
e del tutto identico a me stesso
passeggia sui miei passi e mi segue
Un altro è colui che enuncia le mie parole
e attesta i miei atti
la mia memoria è ricordata da un altro
un altro è colui che dietro al mio occhio osserva.
Qualcuno di cui sono alternativa
Mi spia nello specchio
e ricalca una a una
persino le più impercettibili smorfie.
A somiglianza e preciso riflesso
io non sono che immagine dell’altro.
(da “Ser en el mundo”, 2007)
Un fatto al giorno
17 marzo 1805: a Milano viene proclamato il Regno d'Italia in sostituzione della precedente Repubblica Italiana del 26 gennaio 1802. Napoleone Bonaparte, già imperatore dei francesi, viene proclamato Re d'Italia (verrà incoronato nel Duomo di Milano il 26 maggio dello stesso anno). Il 17 marzo 1805 fu creato il Regno d'Italia e il 26 maggio dello stesso anno Napoleone fu incoronato Re d'Italia. Napoleone, che si era fatto proclamare dal Senato Imperatore dei francesi facendosi incoronare da Papa Pio VII, trasformò la precedente Repubblica Italiana in Regno d'Italia proclamandosi Re. L'incoronazione di Napoleone Re d'Italia avvenne il 26 maggio 1805 nel Duomo di Milano, attraverso l'antica Corona ferrea dei sovrani longobardi da sempre custodita nel Duomo di Monza, in questa occasione avrebbe pronunciato la famosa frase "Dio me l'ha data, guai a chi la tocca”. Il Regno napoleonico d'Italia o Regno Italico è considerato dalla storica anglo-italiana Jessie White l'embrione dello Stato unitario italiano costituitosi poi nel 1861.
Il Regno d'Italia cessò di esistere nel 1814 con la fine del periodo napoleonico: il 6 aprile 1814, Napoleone si disse pronto ad abdicare, atto che fu formalizzato il giorno 11. Il giorno 16 il Beauharnais comunicava di avere concluso anch'egli un armistizio con il feldmaresciallo austriaco Bellegarde, anche se sperava che il suo trono potesse essere salvato dalla disfatta napoleonica.
Dopo i disordini milanesi del 20 aprile con il linciaggio del ministro delle finanze Giuseppe Prina ad opera della folla inferocita, Beauharnais capì tuttavia di non avere l'appoggio della popolazione. La gente lo identificava infatti con i detestati francesi e così il 26 aprile abdicò, lasciando il giorno successivo l'Italia per ritirarsi in esilio in Baviera presso i suoceri. Aveva così fine il Regno napoleonico d'Italia, ma la restaurazione diede ad Eugenio di Beauharnais, auspice lo Zar di Russia, un cospicuo appannaggio nelle Marche: 2.300 tenute agricole e 137 palazzi urbani che erano stati espropriati durante il periodo napoleonico allo Stato della Chiesa. Il 25 maggio, assumendo la presidenza della Reggenza del governo provvisorio, Heinrich Johann Bellegarde proclamava a Milano la cessazione anche legale del Regno.
Una frase al giorno
“Io sono profondamente e coscienziosamente ateo, e non ho nessun tipo di problema religioso. Anzi, attribuirmi una tranquillità spirituale di tipo religioso è innanzitutto non capirmi, e poi offendermi. Non è Dio che mi interessa, ma gli uomini”
(Luis Buñuel)
Ugo Brusaporco
Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.
INFORMAZIONI
Ugo Brusaporco
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