L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...
Un film al giorno
DET SJUNDE INSEGLET (Il settimo sigillo, Svezia,1957), scritto e diretto da Ingmar Bergman, trasposizione cinematografica della pièce teatrale “Pittura su legno” (Trämålning) che lo stesso Bergman aveva scritto nel 1955 per la sua compagnia di attori teatrali. Fotografia: Gunnar Fischer. Montaggio: Lennart Wallén. Musiche: Erik Nordgren. Con: Gunnar Björnstrand, Bengt Ekerot, Nils Poppe, Max von Sydow, Bibi Andersson, Inga Gill, Maud Hansson, Inga Landgré, Gunnel Lindblom, Bertil Anderberg, Anders Ek, Åke Fridell, Gunnar Olsson, Erik Strandmark, Ulf Johansson, Lars Lind, Gudrun Brost, Benkt-Åke Benktsson.
Antonius Block, nobile cavaliere svedese, che recatosi come crociato in Terrasanta, vi ha passato dieci anni della sua vita, ritorna ora nel suo Paese. Sbarcato sulla spiaggia svedese, trova ad attenderlo la Morte, che ha scelto questo momento per portarselo via; ma Antonius, che durante gli anni vissuti in Terrasanta, tra battaglie cruente e lotte intime, ha sentito vacillare la propria fede, non vorrebbe morire prima di aver superato la crisi spirituale che lo travaglia. Egli propone quindi alla Morte di giocare con lui una partita a scacchi: sarà pronto a seguirla nel momento in cui dovrà dichiararsi vinto. S'inizia la partita e tra una mossa e l'altra il cavaliere continua il viaggio verso il suo castello. Inoltrandosi nel Paese, Antonius si rende conto delle desolate condizioni in cui si trova la Svezia: infuria infatti una terribile pestilenza che distrugge interi villaggi. Gli uomini in preda alla disperazione, incerti della vita, timorosi del futuro, si abbandonano alle violente pratiche dei flagellanti o cercano di spremere dall'attimo fuggente la maggior dose di piacere inebriante. In mezzo a queste diverse esaltazioni, Antonius scopre una piccola famiglia di attori girovaghi, composta da padre, madre ed un bimbo: questi esseri, sorretti da un sincero sentimento di reciproco affetto, sembrano estranei alla tragedia che coinvolge tutti gli altri. Prosegue intanto la partita a scacchi, e Antonius Block, incalzato dalla Morte, giocatrice implacabile, e dagli eventi, finisce per perderla. Ma fa in tempo ad allontanare da sé, e quindi dalla Morte, l'innocente famiglia degli attori e a rivedere la sua donna, che lo ha atteso fedelmente nel castello. Antonius, che si è reso conto degli errori e dei peccati commessi e se n'è pentito, si abbandona fiducioso alla misericordia divina.
“Il cinema di Ingmar Bergman è sempre stato caratterizzato da spietate quanto laceranti introspezioni dei rapporti personali, spesso familiari, sovente coniugali. Un’atomizzazione dei sentimenti, una scarnificazione quasi materiale dell’immateriale espressa e rappresentata in un contesto che affonda le radici nella cultura luterana del peccato, della confessione, della punizione, del perdono e della grazia, quella cultura di cui era austero esponente il pastore Erik, padre del cineasta, che ha profondamente segnato la sua educazione. Il cinema di Bergman è però al tempo stesso molto fisico nella sua sensualità, nella sua materialità dei corpi, perfino nella sua crudezza esistenziale, nella solitudine e nel tormento spirituale. Tematiche che lo stesso Bergman sviluppa nella stesura delle sceneggiature, spesso a forte impianto teatrale, e poi esalta col suo stile cinematografico asciutto, di intensi primi piani. La parola per Bergman, artista che si è formato in teatro, è importante quanto l’immagine. Parole, frasi e a volte significati che la morale cattolica italiana non sempre ha condiviso, ma anziché prenderne le distanze sguinzagliando i suoi critici militanti e dando così voce al proprio dissenso ha preferito agire radicalmente censurando scene e sequenze, modificando frasi e situazioni appositamente tradotte per un pubblico ignaro. Nel Settimo sigillo, per esempio, la canzone medioevale intonata dallo scudiero ha questi versi: “Tra le gambe di una troia / è la vita una gran gioia. / In alto siede l’Onnipotente / così lontano che è sempre assente / mentre il Diavolo suo fratello / lo trovi anche al tuo cancello”. Nella versione italiana le strofe diventano: “E’ stanco il cavaliere / è stanco lo scudiero / ma il cavaliere è fiero / e ammetterlo non può. / Ei sogna di pranzare / bere e poi dormire / però non lo vuol dire o forse non lo può”.
(Goffredo de Pascale articolo completo in “Bergman Collection senza censura - Golem Informazione”)
“Qualche volta, da bambino, mi fu permesso di accompagnare mio padre al lavoro. Predicava nelle piccole chiese dei paesi intorno a Stoccolma. Erano viaggi festosi e festivi, fatti in bicicletta attraverso un panorama primaverile. Mio padre mi insegnava i nomi di fiori, degli alberi e degli uccelli. Passavo il giorno senza essere disturbato dal mondo intorno a me. Per un piccolo il sermone è soltanto una questione da adulti. Mentre mio padre predicava dal pulpito e la congregazione pregava e cantava anch'essa, io dedicavo, invece, il mio interesse al mondo misterioso della chiesa fatta di archi bassi e muri spessi. Ero rapito dall'eternità. La luce del sole colorata vibrava sopra i dipinti medievali e le figure intagliate su muri e soffitti. C'era tutto quello che una fervida immaginazione poteva desiderare: angeli, santi, dragoni, profeti, diavoli, creature umane. C'erano animali che incutevano molto paura: serpenti in Paradiso, l'asino di Balaam, la balena di Jonah, l'aquila della Rivelazione. Tutto circondato da un panorama paradisiaco, insieme terreno e sotterraneo, fatto di un strano miscuglio eppure dalla familiare bellezza. Su uno scranno sedeva la Morte, che giocava agli scacchi con un Crociato. La stessa Morte che afferrava il ramo di un albero, dov'era seduto un uomo nudo con occhi sbarrati. Ancora, attraverso dolci colline la Morte conduceva il ballo finale verso le terre che ci sono oscure. In un altro arco la Vergine Santa entrava in un giardino rosa, sostenendo i passi esitanti del Bambino e le sue mani erano quelle della donna di un contadino. La sua faccia era grave e gli uccelli starnazzavano intorno alla sua testa. I pittori medievali avevano ritratto tutto questo con grande tenerezza, abilità e gioia. Tutto questo mi aveva trasportato in un mondo spontaneo e allettante, e quel mondo divenne davvero come il mondo di ogni giorno con mio padre, mia madre e fratelli e sorelle. D'altra parte mi difendevo contro il dramma ritratto sul crocifisso nel coro e nel presbiterio. La mia mente fu sopraffatta dalla crudeltà e dalla sofferenza estrema di quella scena. Fino a quando molto più tardi fede e dubbio sono diventati i miei compagni di viaggio. Era ovvio che finissi per dare forma alle esperienze della mia infanzia. Vi sono stato, quasi, costretto, per esprimere il dilemma universale. La mia intenzione è sempre stata “dipingere” nello stesso modo del pittore di quella chiesa medievale, con lo stesso interesse obiettivo, con la stessa tenerezza e gioia. La risata degli esseri umani, il loro pianto, l'ululato della paura, i giochi, la sofferenza, il loro terrore della piaga, del giorno del Giudizio Universale, della stella il cui nome è Assenzio. La nostra paura può essere di generi diversi, ma le parole per descriverla sono sempre le stesse...e i nostri quesiti universali permangono. La nostra domanda rimane”.
(Ingmar Bergman)
“Anteriore sia a Il posto delle fragole sia a Il volto, Il settimo sigillo appare già improntato alla stessa tematica cui Bergman dedicherà poi quelle sue successive opere. Protagonista di esse è sempre, in varia veste, l’uomo moderno, sconvolto dalla profonda crisi intellettuale e morale provocata dal crollo delle religiosità tradizionali, incapace di acquietarsi nell’aridità dello scetticismo, malcontento delle elusive risposte che la scienza può dare ai suoi interrogativi, ma sempre restio ad ammettere che i valori umani non possono essere riconosciuti altrove se non nell’esistenza stessa: nell’esistenza (dice Bergman) intesa come letizia, come amore, come universale solidarietà e fratellanza”.
(Vittorio Spinazzola, Cinema Nuovo)
Una poesia al giorno
Il contadino nel tempo fradicio - Dalabóndinn í óþurrknum, di Jónas Hallgrímsson (1807-1845), poeta islandese
Hví svo þrúðgu þú
þokuhlassi
súldanorn
um sveitir ekur?
Þér man eg offra
til árbóta
kú og konu
og kristindómi.
Dea della pioggerella
che guidi i tuoi
carri di nebbia
lungo i miei campi!
Mandami un po’ di sole
e sacrificherò
la mia mucca, mia moglie
la mia cristianità!
- Björk in Aurora rivede la poesia così: www.youtube.com
Aurora, Dea della Luce
l’ombra del monte ricalca la tua forma.
M’inginocchio
mi riempio la bocca di neve
nel modo in cui si scioglie
vorrei sciogliermi anch’io
dentro di te.
Un fatto al giorno
18 giugno 1815. Una delle battaglie più importanti dell'epoca moderna si svolse al di fuori del villaggio belga di Waterloo. Le forze britanniche e prussiane sconfiggono definitivamente Napoleone. Una tesi: “Senza l’intervento in extremis dell’esercito prussiano la campagna napoleonica del Belgio si sarebbe conclusa negativamente per gli Inglesi. Certo, non si può dimenticare che senza l’accanita resistenza degli uomini di Arthur Wellesley, duca di Wellington, lo stesso Gebhard Leberecht von Blücher avrebbe subito una cocente disfatta. Ma prima dell’arrivo dei Prussiani, gli Inglesi non erano soli a Waterloo. L’esercito affidato alla guida del duca di Wellington contava circa 68.000 uomini per un totale di 31 brigate. Fra queste solo 10 erano britanniche, mentre 14 erano tedesche e 7 olandesi. Come è stato ampiamente dimostrato dagli storici, se si aggiunge a questo complesso di forze anche il contributo delle truppe prussiane si può concludere che ben tre quarti degli avversari di Napoleone sul campo di battaglia di Waterloo erano di nazionalità tedesca. Si potrebbe quindi concludere che Waterloo è stata una vittoria tedesca, ottenuta con il concorso di contingenti britannici, olandesi e belgi. Insomma, l’esercito di Wellington non era inglese, ma anglo-olandese, se non addirittura anglo-germano-olandese. Il regno-elettorato di Hannover schierava 16.000 uomini e il ducato di Brunswick ne allineava ben 6.800. Questi due eserciti erano stati ricostituiti dai rispettivi Stati subito dopo aver conquistato nuovamente l’indipendenza nel 1813.
I soldati dell’Hannover formavano da circa un secolo la punta di lancia dell’Inghilterra sul continente. Dopo che nel 1714 Giorgio II Augusto, Elettore di Hannover era diventato re di Gran Bretagna e d’Irlanda, un’unione personale delle due corone aveva permesso al governo di Londra di contare sul piccolo ma solidissimo esercito hannoveriano. Da quel momento, dalle guerre di Luigi XIV a quelle dell’Impero, passando per Fontenoy, una parte importante delle truppe inglesi era costituita dai soldati dell’Hannover, che indossavano divise molto vicine a quelle degli “abiti rossi” anglosassoni”.
(Articolo completo di Massimo Iacopi in Waterloo, Una Vittoria... tedesca - Storia in Network)
- Si può vedere in: www.youtube.com
Una frase al giorno
“La fede è una pena così dolorosa! È come amare qualcuno che è lì fuori al buio e che non si mostra mai per quanto lo si invochi.”
(Ingmar Bergman)
Un brano al giorno
Il Cigno Bianco - An Eala Bhàn, di Julie Fowlis. La canzone, composta da Dòmhnall Ruadh Chorùna (Donald MacDonald di Coruna), poeta scozzese dal North Uist (isola e comunità delle Ebridi Esterne, in Scozia), mentre combatteva nelle trincee della Grande Guerra per il suo amore, Mhagaidh Nic Leòid (Maggie MacLeod), è eseguita da Julie Fowlis dall'album Dual, molto consigliato agli amanti della canzone e della cultura gaelica.
Ugo Brusaporco
Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.
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Ugo Brusaporco
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web www.brusaporco.org