“L’amico del popolo”, 20 giugno 2017

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

OTEC I SYN (Padre e figlio, Russia, 2003), regia di Aleksandr Sokurov. Sceneggiatura: Sergei Potepalov. Fotografia: Aleksandr Burov. Musica: Andrey Sigle. Con: Andrej Shetinin, Alexei Nejmyshev, Alexander Rasbash, Fyodor Lavrov.

Padre e figlio dividono un appartamento sui tetti. Da molto tempo vivono da soli, in un mondo a parte, pieno di rituali quotidiani. Seguendo l'esempio del padre, Alexei si è iscritto alla scuola militare. Ama lo sport, non pensa ad altro. La sua compagna è però gelosa del rapporto così intimo che lui ha con il padre. Anche se prima o poi tutti i figli devono lasciare la famiglia, Alexei ne è turbato. Suo padre sa che dovrebbe accettare un posto migliore in un'altra città e forse anche risposarsi ma allora chi consolerebbe Alexei? Mai un amore tra padre e figlio è stato così forte.

"Quasi nessuna trama, ma un vertiginoso dipanarsi di risonanze emotive nell'ipnotico 'Padre e figlio' di Aleksandr Sokurov. Che cerca nei corpi atletici dei due protagonisti membra, epidermidi, volti in primissimo piano la cifra di un rapporto difficile a dirsi e soprattutto a figurarsi, perché carico di interdetti e di echi religiosi. Un legame perfino soffocante, come testimonia quella ragazza bella come un angelo, ma esclusa dalla coreografia di gesti e di emozioni che Sokurov intreccia in una casa sui tetti di un vecchio caseggiato che domina Pietroburgo, o forse una città onirica composta con frammenti di località diverse. In ogni caso, uno dei pochi film di Cannes 2003 che vedremmo una seconda volta".

(Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 24 maggio 2003)

"Forse non è un capolavoro nello stesso modo del suo predecessore 'Taurus' o anche dell'ultimo 'Arca russa', ma 'Padre e figlio' reca la sua inconfondibile impronta. Sempre ai bordi del sogno, o di una deformazione personalissima della realtà, sempre fedele al suo caratteristico impiego del sonoro ossessivo e bisbigliato, Sokurov riesce a dare una rappresentazione dell'amore paterno e di quello filiale che, nel suo omettere quasi del tutto le informazioni, emoziona, turba, scava, regalandoci momenti di eccezionale potenza evocativa".

(Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 24 maggio 2003)

"Il senso ultimo è condensato nella frase: 'Un padre che ama il figlio lo crocifigge, un figlio che ama il padre si fa crocifiggere'. Pare poi che non si possa amare il padre e la morosa nella stessa misura: Sokurov, almeno, la pensa così. Morboso, sibillino e suggestivo, il film è quello che è. Prendere o lasciare".

(Tullio Kezich, Corriere della Sera, 24 maggio 2003)

“E’ stato, ed è tuttora, considerato l’erede di Tarkowski - anche se lui rifiuta questa etichetta per un eccesso di devozione nei confronti dell’autore russo che lo segnalò e tentò di proteggerlo ai tempi della censura sovietica - eppure Sokurov è figlio del cinema quanto della musica, della poesia o della pittura: soprattutto di quest’ ultima. Quanti registi, oggi, sono capaci di splendide anamorfosi - ricercate distorsioni delle immagini dovute all’uso di una prospettiva eccentrica - come i pittori barocchi? Bastano le prime immagini dei Padre e figlio, finalmente in DVD grazie alla Dolmen, per capire di cosa stiamo parlando.
Protagonisti, due uomini, uno adulto e uno giovane, che la società e la natura chiamano padre e figlio. Ma il film sembra chiamarli in infiniti altri modi. Si apre con una promiscuità di membra che ricorda molto da vicino il gioco degli amanti, negli occhi hanno la felicità dei coetanei quando passano del tempo libero insieme e allo stesso tempo tra essi fiorisce qualcosa come un rancore o un rammarico, un dolore o un desiderio di tutt’altro che è tipico di quelle relazioni in cui si accumula un “eccesso di amore”, come lo ha definito il regista stesso, che solo si deposita nei rapporti che legano membri della stessa famiglia.
Padre e figlio, infatti, è il secondo film di una trilogia (il primo era Madre e figlio), dedicato a tali legami (come è noto a molti, Sokurov ha invece eseguito tre ritratti di una quadrilogia dedicata invece al teatro interiore del potere, con straordinari affreschi di Hitler, Lenin, Hirohito, nei film Moloch, Taurus, Il sole). Il terzo sarà dedicato a fratello e sorella, e tutti insieme avranno sicuramente questo in comune: un andamento da allucinazione melanconica, l’improvviso e misterioso intensificarsi della sensazione nell’inquadratura, una provvista di immagini e suoni di straordinaria evocatività: qualcosa di cui il cinema, mai come oggi, sembra a corto un po’ dovunque.
Ma se Madre e figlio sembrava immergersi in un antro amniotico più enigmatico e, labirintico e distorsivo, questo, ha una figuratività nitida, solare, quasi apollinea: completamente immerso in una luce spessa e pastosa, quella delle notti bianche di San Pietroburgo. Una madre scomparsa da anni e mai nominata, una fidanzata gelosa dell’intimità di padre e figlio, un pudore coperto da fisicità animalesca, un set fatto di abbaini e terrazze e passerelle sospese: più che un racconto, è una rievocazione lirica, sospinta da un motivo di Chaikowki che riecheggia e riverbera come se fosse suonato in una sala di un palazzo abbandonato adiacente all’inquadratura.
Non solo è inutile chiedere spiegazioni sulla trama (chi è l’amico solitario e perché è abbandonato e invidioso dei due e che rapporto ha la storia di suo padre con la loro?), ma anche dividere o nominare le emozioni. L’inizio sembra agonia (come lo era in Madre e figlio) e invece è la tenerezza di un padre che assiste un figlio scosso dagli incubi. E’ la forza di un cinema di profondità eccessiva e disturbante: al suo occhio i padri sembrano più inermi dei figli e la luce più densa delle città e dei corpi”.

(Mario Sesti in Filmfilm.it)

“Autore di trilogie, Aleksandr Sokurov, secondo alcuni unico erede della lezione tarkovskijana: quella del potere (Moloch, Taurus, Il sole) e quella della famiglia, potremmo dire. Dopo Madre e figlio c'è questo Padre e figlio, a cui dovrebbe far seguito un film dedicato al rapporto fraterno. Si tratta in ogni caso di relazioni dominate da sentimenti ingombranti, a volte del tutto soffocanti. Qui le immagini distinte, solari, in qualche caso addirittura sovraesposte, sembrano rispondere alla confusione di emozioni che mescolano e confondono ruoli. Così che la relazione fra un padre e un figlio finisce per assomigliare, senza mai cedere il passo a toni troppo facilmente morbosi, a quella sentimentale fra due amanti. I loro corpi si uniscono in un abbraccio che restituisce tutto il senso di un'originaria co-appartenza che insieme precede ed eccede ogni altro possibile rapporto.
Le atmosfere languide a cui Sokurov ci ha abituati accompagnano, in questo caso, i gesti di due uomini i cui tratti sembrano a volte quasi irreali, così come sono sospesi i loro dialoghi, aerei i loro movimenti, fragili i loro sentimenti. La dimensione onirica si mescola così, in un numero considerevole di casi, a quella reale della vita quotidiana. Come a voler sostenere l'estrema labilità dell'essere uomo dell'uomo, sospeso fra un qui ed un altrove che corrisponde molte volte proprio al sogno. "Dove sei ora?" si chiedono il padre ed il figlio all'inizio e alla fine del film, colti dal timore di ritrovarsi soli, privati di un legame in grado di dar senso ad una vita intera.
Poco realismo, dunque. Ogni elemento della composizione filmica è forzato verso un'idea di in naturalità che corrisponde ancora una volta al rapporto così viscerale fra un padre e suo figlio. La sceneggiatura e l'uso del colore, così come l'impiego particolare delle inquadrature che alterano molte volte le leggi elementari della prospettiva, il senso delle proporzioni e della misura.
Un film apparentemente lontano dagli altri, ma che in realtà è un'ulteriore prova di quel modo di intendere il cinema di cui Sokurov si fa portatore e che ci permette di parlare, senza esagerazioni, di una vera e propria poetica in grado di restituire il senso di una intera cultura, quella russa”

(Sentieri Selvaggi)

OTEC I SYN (Padre e figlio, Russia, 2003), regia di Aleksandr Sokurov

 

Una poesia al giorno

A mio padre, di Alfonso Gatto (Salerno, 17 luglio 1909 - Orbetello, 8 marzo 1976), poeta e scrittore

Se mi tornassi questa sera accanto
lungo la via dove scende l’ombra
azzurra già che sembra primavera,
per dirti quanto è buio il mondo e come
ai nostri sogni in libertà s’accenda
di speranze di poveri di cielo
io troverei un pianto da bambino
e gli occhi aperti di sorriso, neri
neri come le rondini del mare.

Mi basterebbe che tu fossi vivo,
un uomo vivo col tuo cuore è un sogno.
Ora alla terra è un’ombra la memoria
della tua voce che diceva ai figli:
- Com’è bella la notte e com’è buona
ad amarci così con l’aria in piena
fin dentro al sonno - Tu vedevi il mondo
nel plenilunio sporgere a quel cielo,
gli uomini incamminati verso l’alba.

 

Un fatto al giorno

20 giugno 1940. Seconda guerra mondiale: l'Italia inizia una invasione senza successo della Francia. Il 20 giugno 1940 a 11 giorni dall'entrata in guerra contro le potenze anglo-francesi, le forze armate italiane sferrano un'offensiva militare al confine contro la Francia - la Battaglia delle Alpi Occidentali - modificando la loro iniziale strategia difensiva adottata subito dopo la dichiarazione di guerra; la resistenza francese, il terreno impervio e le condizioni meteo ostacolano notevolmente l'attacco italiano.

  • L'occupazione di Mentone durante la guerra con la Francia, nel 1940, su www.youtube.com

 

Father and son, Cat Stevens 

Un brano al giorno

Father and son, Cat Stevens

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k