“L’amico del popolo”, 19 gennaio 2018

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

LE MÉPRIS (Il disprezzo, Italia-Francia, 1963), regia di Jean Luc Godard. Dal romanzo di Alberto Moravia. Sceneggiatura: Jean-Luc Godard, Alberto Moravia. Fotografia: Raoul Coutard. Montaggio: Agnès Guillemot. Musica: Georges Delerue, Piero Piccioni. Con: Brigitte Bardot (Camille Javal), Michel Piccoli (Paul Javal), Jack Palance (Jeremy Prokosch), Georgia Moll (Francesca Vanini), Fritz Lang (se stesso), Jean-Luc Godard (assistente alla regia), Raoul Coutard (operatore), Linda Véras (sirena).

Tra marito e moglie scoppia improvvisamente la crisi, inattesa, che li porta a riflettere su quell’amore che si erano giurati solo pochi istanti prima tra le lenzuola, e che insinua il disprezzo del titolo a serpeggiare pericolosamente nel loro rapporto. Lui è uno sceneggiatore francese alle prese con un regista tedesco saggio e con un produttore americano smargiasso, tutti spaesati tra l’assolata Cinecittà romana e la paciosa cornice marinaresca di Capri.

A Capri il film è girato a Villa Malaparte, è un'abitazione privata situata su un irto e stretto promontorio roccioso, che sembra sorgere dal mare. È stata ideata da Curzio Malaparte come risulta anche dal Pubblico Registro delle Opere protette presso il MIBACT. È considerata uno dei capolavori dell'architettura moderna, rappresentando un meraviglioso esempio di integrazione tra modernità razionalista e ambiente naturale.

“Lo scrittore Paul Javal vive a Roma con la moglie Camille. Gli viene chiesto dal produttore americano Jerry Prokosch di riscrivere la sceneggiatura di un film ispirato all'Odissea la cui regia è stata affidata a Fritz Lang che Prokosch ritiene troppo intellettuale. Il produttore è attratto da Camille e Paul lascia che i due, nonostante la contrarietà di lei, possano rimanere da soli. Da questa situazione prende forma il disprezzo che Camille inizierà a provare per il marito. Jean-Luc Godard è reduce dal clamoroso insuccesso commerciale di Les Carabiniers quando accetta di girare questo che sarà uno dei film più mutilati (nella versione italiana) della storia del cinema. Già il casting fu contrastato. Godard voleva Kim Novak e Frank Sinatra mentre Ponti aveva in mente la coppia Loren-Mastroianni (che in quello stesso anno avrebbe dato prova di sé in Ieri, oggi, domani). L'accettazione da parte della Bardot mise d'accordo tutti anche se poi Godard definì lapidariamente il loro rapporto con la frase: "Io non l'interessavo, lei non m'interessava".
Godard però può, grazie anche a un budget decisamente superiore a quelli a cui è abituato, al contempo accettare dei condizionamenti ed irriderli. A partire dal formato di ripresa: il cinemascope che non gli piace e del quale fa dire a Lang che si tratta di una tecnica di ripresa funzionale a riprendere solo serpenti e funerali. Proprio grazie alla presenza di Fritz Lang può permettersi poi uno sdoppiamento in due personaggi che lo rappresentino sullo schermo. Il Maestro tedesco nel ruolo di se stesso può mostrare come un regista che ha diretto dei capolavori continui ad essere comunque alla mercé di produttori che nascondono la loro scarsa cultura dietro frasi rubate dai libri. Sull'altro versante c'è Michel Piccoli, con il suo cappello in testa anche in casa 'alla Godard', che nella lunghissima sequenza nell'appartamento in fase di sistemazione discute con la moglie utilizzando battute che il regista scriveva di giorno in giorno trasferendovi spesso i battibecchi che aveva con la moglie Anna Karina.
Su tutto domina il 'farsi' di un film con la sua quotidianità, gli scontri, la materia informe che troverà un proprio senso compiuto solo in una fase successiva dovendo superare un'infinità di ostacoli. Godard riesce anche a spostare di senso la nudità della Bardot, pretesa da Ponti, con una sequenza che segue i titoli di testa recitati. La allora icona di bellezza BB chiede al proprio compagno sullo schermo di dichiararle l'attrattiva delle parti del suo corpo quasi avesse bisogno di una conferma. Ponti taglierà, tra le altre manomissioni, l'intera sequenza nella versione italiana in cui quasi nulla verrà risparmiato, a partire dalla colonna sonora musicale che dalla incombente drammaticità dell'originale di Georges Delerue si trasforma, grazie a Piero Piccioni, in una partitura allegra e movimentata.”

(Giancarlo Zappoli)

LE MÉPRIS (Il disprezzo, Italia-Francia, 1963), regia di Jean Luc Godard

“Il disprezzo è un film di parole e emotività, di lucida psicologia, dove il maschio e la femmina si scontrano, non del tutto consapevoli della potenziale gravità delle conseguenze. Ai lati del campo di battaglia l’umanità sta a guardare, e commenta placida, partendo dalla scusa di un rifacimento cinematografico dell’Odissea diretto da Fritz Lang, che interpreta se stesso, come nei sogni di ogni cinefilo, categoria cui Jean-Luc Godard appartiene di diritto sin dai tempi in cui era critico per i Cahiers du Cinema. Il quesito se Ulisse vaghi per non tornare a casa da Penelope, di cui potrebbe non essere più innamorato, oppure se siano semplicemente gli dei del caso a voler dividere la coppia è lezioso. Lo stesso, per contrapposizione, si potrebbe dire dell’autoritario Prokosch, padre-padrone-produttore che quando è in scena, grazie al viso arcigno e al talento di Jack Palance, si mangia gli avversari e impone le medesime regole del gioco, impedendo di sondare la causa scatenante della crisi in atto.
Da una piccola scintilla - un silenzio di troppo, uno sguardo diverso dal solito, una bugia detta per orgoglio - nascono smisurate conclusioni, che sfociano nella tragedia.
Qualcuno potrebbe considerarlo un po’ datato nella forma a tratti teatraleggiante del monologo reiterato, soprattutto se visto con gli occhi del pubblico contemporaneo, abituato a ritmi e tempi più secchi, eppure Il disprezzo rivela ancora oggi la capacità di Godard di abbracciare un’idea di cinema universale, straniera in patria e a proprio agio all’estero; e per questo motivo fruibile liberamente, senza eccezioni. Nel director’s cut che “Il Cinema Ritrovato” riporta in sala, il melting pot di culture, lingue e personalità va a creare un unicum indivisibile, uno spaccato sociale tanto cinico quanto amaro.
Sin dall’apertura con una citazione da André Bazin, infatti, Godard è, al solito, talmente estremo da non prevedere alcuna possibilità di redenzione. La morale è crudele, agra come la rabbia: il compromesso e il passo indietro sono il fallimento, ma andare avanti comporta una consapevolezza ugualmente dolorosa”.

(In www.sentieriselvaggi.it)

“Lo scrittore Paul Javal ama sua moglie Camille totalmente, teneramente e tragicamente, al punto da commettere l'errore fatale che gliela farà perdere per sempre: quello di offrirla, per poterla soddisfare e dimostrarle così la forza del proprio amore, a un uomo ricco, potente e affascinante come il produttore cinematografico Prokosch, che ha affidato a Paul il compito di riscrivere la sceneggiatura per un adattamento dell'Odissea. Lei ama il marito al punto di accontentarsi semplicemente del suo amore e rompe istantaneamente con lui nel momento stesso in cui percepisce la sua vigliaccheria. La mancanza di fiducia in lei e il sentimento di inferiorità che egli prova nei confronti della sua bellezza dimostrano, secondo Camille, che il marito non crede nel suo amore. A Capri, sul set del film diretto da Fritz Lang, Camille sale in auto con il produttore. I due muoiono in un incidente, le riprese continuano.

Le mépris possiede la semplicità e la ricchezza di una tragedia. Ma al centro dell'infelicità della coppia moderna, e della scrittura di Jean-Luc Godard, ci sono il frammento, l'istante, la rottura. Da sempre la coppia si era retta su una durata imposta dalla sacra istituzione del matrimonio. La sua forzata chiusura provocava tensioni estreme che crescevano da una scena all'altra, da un atto all'altro, fino a sfociare in esplosioni di urla e di rabbia, obbedendo a una drammaturgia violenta perfettamente rappresentata dall'opera di August Strindberg. Ma la vita moderna brucia i tempi e sconvolge la durata. La coppia ha conquistato maggiore libertà, istituendo diverse modalità di crisi. Niente più urla e piatti rotti. Tutto avviene in modo più sotterraneo, più filtrato. Dopo Viaggio in Italia di Rossellini, al quale Le mépris è chiaramente ispirato, Godard istituisce una nuova drammaturgia della coppia: ora si tratta di seguire, come in un reportage, l'avvenimento che si svolge davanti ai nostri occhi. In questo modo Godard situa la prima scenata al centro del film e la fa durare una trentina di minuti. Paul si sente in colpa e desidera che sua moglie si sfoghi violentemente, in modo da potersi discolpare. Ma Camille rifiuta di compiere un atto che per lei significherebbe irrimediabilmente una rottura di coppia. Dopo tutti i tentativi di sfuggire a un chiarimento, la scena si chiude con una semplice frase tagliente, fatale, definitiva: "Paul, je te méprise".

Poiché il cinema è diventato il testimone della nostra vita, la macchina da presa ha sostituito le antiche divinità, ormai ridotte a figure di cartapesta che, nel corso del film, ritornano più volte a scandire il procedere della tragedia. La macchina da presa diviene allora un dio che ci guarda già a partire dai titoli di testa. Essa osserva il percorso del destino non più dal punto di vista della fatalità e del determinismo, ma da quello dell'alea e dell'evento fortuito, registrando per sempre una successione di istanti non prevedibili, affidati al caso come alla libertà di ciascuno.

Le mépris propone una riflessione su ciò che è accaduto a Ulisse, cioè all'uomo occidentale, non al termine di un viaggio durato un decennio, ma dopo tremila anni di Storia. In cosa consiste la sua conoscenza, da quali ambigue certezze è offuscata? Si tratta quindi di una storia dei tempi; e il cinema, luminosa invenzione del ventesimo secolo, è destinato a divenirne il testimone e, soprattutto, il narratore. Il guercio Fritz Lang è il successore del cieco Omero. E Godard è il loro scrivano. Nella sua ossessione di possedere, di controllare tutto, Paul cerca di impossessarsi del tempo; ma si tratta di un tempo che ha perduto valore e qualità, di un tempo meramente quantitativo, frammentato e acquistabile (esattamente come il corpo di Camille). La tragedia dell'uomo occidentale moderno nasce dal fatto che egli vuole salvaguardare la purezza qualitativa (la durata eterna dell'amore assoluto) in un mondo divenuto semplicemente quantitativo. Egli è smarrito; il dubbio e l'ansia sono divenuti la sua sorte quotidiana. Il tempo è denaro. E grazie al denaro Paul si illude di poter possedere l'amore di Camille. Prokosch, inebriato dal proprio illusorio potere che ama esibire, manifesta la propria ricchezza tramite ciò che oggi la simboleggia: la velocità. Ma questa accelerazione del tempo finirà per distruggerlo insieme a Camille.

Di fronte alla cosmica immensità del mare, la lotta incessante di Ulisse assume l'aspetto patetico di un peplum italiano. Una carrellata laterale percorre lo schermo panoramico e finisce per conservare soltanto cielo e mare, aria e luce, spazio-tempo intatti per sempre. Allo stesso modo vuole conservarsi intatta Camille/Penelope. Alla parola esplicativa che distrugge, manda in frantumi il senso del mondo, lei oppone un'opacità ostinata, un silenzio supremo, l'animalità del proprio essere. Camille non ha senso, ma è senso. Il suo corpo non appartiene a nessuno - poiché lei concede soltanto la propria immagine - ma fa parte dell'intero universo: esso si muove all'interno dell'inquadratura, si sposta nello spazio, indifferente al trascorrere del tempo, inalterabile. Materia prima, scultura mobile, colore puro (giallo, blu, rosso), esso è trattato come un oggetto d'arte moderna, oggetto che l'imprudenza, che l'impudenza di Paul/Ulisse distruggerà. In una frazione di secondo, come il fulmine di Zeus, il disprezzo colpirà l'infelice Paul. Ogni tentativo di riconciliazione sarà inutile. Le mépris è un film perfetto: classico, moderno, realista e romantico. Ma la versione italiana, ripudiata da Godard, è accorciata di una ventina di minuti, provvista di musiche diverse dall'originale, alterata cromaticamente e sottoposta a un doppiaggio demenziale”.

(Jean Douchet, Enciclopedia del Cinema, 2004)

LE MÉPRIS (Il disprezzo, Italia-Francia, 1963), regia di Jean Luc Godard

 

Una poesia al giorno

Dove siete, voi, rose rosse, tuttavia... di Adam Oehlenschläger

Dove siete, voi, rose rosse, tuttavia,
dei giorni lieti della gioventù?
Nel breviario della mia memoria
nascono i vostri petali.

E sebbene ogni petalo sia giallo e grigio,
come il colore dei morti,
mi ricordo bene il giorno estivo
quando eravate di un rosso porpora.

Ancora nel vostro fine tessuto
riconosco ogni venatura.
Come prima dalla rugiada, ora
è bagnata dalla mia lacrima.

Adam Gottlob Kristoff von Birg - Oehlenschläger (Frederiksberg, 14 novembre 1779 - Copenaghen, 20 gennaio 1850) è stato un poeta danese. È il massimo rappresentante del romanticismo nei paesi scandinavi e uno dei rinnovatori delle letteratura danese.

 

Un fatto al giorno

20 gennaio 1976: massacro di Damour. ”La strage di Dāmūr, nel contesto della guerra civile libanese, è un massacro di civili cristiano-maroniti, operato dai palestinesi del campo profughi libanese di Tell al-Za'tar a danno della popolazione del villaggio di Damur, in prevalenza cristiana, situato a 25 km a sud di Beirut. La causa principale era quella di ritorsione a seguito del massacro perpetrato dalle Falangi Libanesi cristiano-maronite al campo profughi di Qarantina (Beirut) che causò la morte di oltre 1.000 persone, in prevalenza civili. L'operazione militare palestinese comportò un numero di morti civili di 582 vittime”.

(Wikipedia)

“Un crimine palestinese compiuto con l'ausilio di neonazi Europei e la compiacenza delle sinistre internazionali terroriste. Per non dimenticare”.

“Uno a uno, come le donne palestinesi seviziate e stuprate e sodomizzate dai falangisti nel massacro di Sabra e Chatila, o come quelle maronite seviziate e stuprate e sodomizzate dai palestinesi nel massacro di Damour, dai drusi nei massacri dello Chouf.”

(Oriana Fallaci)

“Sono trascorsi 27 anni dalla fine della cruenta e devastante guerra civile libanese che costò la vita a 150mila tra militari e civili. Il conflitto si è concluso ufficialmente nel 1990, con l’amnistia generale e l’Accordo di Taif che misero fine al conflitto armato tra le varie fazioni, anche se persiste un costante conflitto sociale e una divisione tra le varie comunità, spesso frutto di ingerenze straniere e della cronica mancanza di un serio dialogo politico.
Le cifre di questa guerra furono agghiaccianti; tra il 1975 e il 1990, più di 700mila persone in Libano sono state sfollate e molti massacri furono commessi dalle varie milizie in conflitto, tra cui il massacro di Karantina del 1976, il massacro di cristiani a Damour e il massacro di Tel Al-Zaatar. La guerra civile ha avuto un impatto drammatico oltre che traumatico sulla popolazione libanese. Le statistiche disponibili dimostrano che circa il 2,7 per cento della popolazione libanese è rimasta uccisa durante i combattimenti, il 4 per cento è rimasta ferita e circa un terzo della popolazione ha dovuto abbandonare la propria casa.
I vari leader protagonisti e responsabili di atrocità e massacri si perdonarono a vicenda in virtù dell’amnistia generale del 1991, ma il popolo, vittima principale di quella guerra non ha superato del tutto quel conflitto, e soprattutto, non ha dimenticato quei massacri. I civili hanno subito realmente le perdite, hanno perso i loro cari, le loro case e il loro futuro, mentre i leader non hanno perso nulla, anzi hanno stretto ulteriormente la loro presa sul potere.
Oggi il Libano e i libanesi si trovano comunque sempre al centro di conflitti, tensioni e ingerenze. L’Arabia Saudita con i suoi petrodollari cerca di mantenere quel controllo trentennale grazie al suo “pupillo” Hariri, influenzando pesantemente e negativamente la politica interna ed estera del Paese dei cedri. Il vicino conflitto siriano non ha fatto altro che infiammare ulteriormente le divisioni tra le varie fazioni politiche, con scontri armati e attentati che hanno causato centinaia di vittime.
Fortunatamente si registrano anche cambiamenti positivi rispetto agli anni bui della guerra. Sicuramente l’elezione del nuovo presidente Aoun, che faticosamente sta cercando di ridare al Paese quella sovranità persa tanti anni fa, ha ridato forza e fiducia al Paese. Il ruolo sempre più determinante del movimento di Resistenza Hezbollah nel tessuto sociale, politico e militare, ha portato oggi il Libano a recitare un ruolo di primissimo piano nella regione”.

(Giovanni Sorbello)

20 gennaio 1976: massacro di Damour

 

Una frase al giorno

“Dopo la guerra dominava il sentimento della rinascita, della speranza: tutto il male era finito, si poteva ricominciare. Adesso, non so se quest'ombra che si allunga sull'Italia preveda una resurrezione. Dopo la guerra, si aveva il sentimento d'aver patito sciagure immeritate ma che facevano parte della Storia, che rendevano partecipi della Storia: non era certo un conforto, ma alle sofferenze dava un senso, un riscatto. Adesso questo manca del tutto: c'è soltanto il sentimento d'un buio in cui stiamo sprofondando”.

(Federico Fellini, Rimini, 20 gennaio 1920 - Roma, 31 ottobre 1993. Regista, sceneggiatore, fumettista e scrittore italiano. Considerato uno dei più grandi registi della storia del cinema).

IL BIDONE, un film del 1955, diretto da Federico Fellini, scritto dal regista insieme a Ennio Flaiano e Tullio Pinelli. Fotografia: Otello Martelli. Montaggio: Mario Serandrei, Giuseppe Vari. Musiche: Nino Rota Con: Gustavo De Nardo, Broderick Crawford, Ada Colangeli, Tiziano Cortini, Lorella De Luca, Alberto De Amicis, Rosanna Fabrizi, Richard Basehart, Sue Ellen Blake, Ettore Bevilacqua, Gino Buzzanca, Grazia Carini, Irene Cefaro, Franco Fabrizi, Riccardo Garrone, Giacomo Gabrielli, Paul Grenter, Yami Kamadeva, Giuliana Manoni, Giulietta Masina, Emilio Manfredi, Lucetta Muratori, Mario Passante, Gianna Gobelli, Sara Simoni, Amedeo Trilli, Tullio Tomadoni, Barbara Varenna, Mara Werlen, Maria Zanoli, Xenia Walderi.

Augusto, Roberto e Picasso sono tre 'bidonisti' di professione. Si impegnano quasi quotidianamente nella costante ricerca di persone da truffare fingendosi inviati del Vaticano oppure spacciandosi per funzionari pubblici pronti ad assegnare appartamenti a baraccati solo, però, dopo aver ricevuto la prima rata del pagamento. Picasso, un pittore fallito, ha moglie e figlia a cui tiene nascosta la propria attività. Roberto pensa solo ad apparire il ricco che non è mentre Augusto, il meno giovane, ha una figlia ormai adolescente che non vede mai. Un giorno la incontra casualmente in strada e sente rinascere il senso della paternità e il desiderio di aiutarla a realizzare le proprie aspettative.

IL BIDONE, un film del 1955, diretto da Federico Fellini, scritto dal regista insieme a Ennio Flaiano e Tullio Pinelli

Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia dopo La strada, che aveva ottenuto il Leone d'Argento e aveva diviso la critica tra sostenitori e detrattori, Il bidone mette tutti (o quasi) d'accordo. Al Lido lo accoglie un gelo assoluto (alcune cronache parlano addirittura di numerosi spettatori che abbandonano la sala durante la proiezione) e la critica non è da meno contribuendo a decretarne l'insuccesso commerciale. Il motivo è semplice quanto banale. Allo spettatore non viene offerto nessun personaggio con cui potersi identificare appieno. Se il duro Zampanò era capace di scoppiare in un pianto che ne rivelava la residua umanità, se il vitellone Alberto era un vigliacco con sentimenti filiali in questo film nessuno si salva. Fellini mostra la fragilità di ognuno dei suoi personaggi ma non consente loro (assieme ad Ennio Flaiano e Tullio Pinelli co-sceneggiatori) l'opportunità della redenzione. Ognuno si è privato di un orizzonte che vada al di là della truffa occasionale (ma ben architettata) a danno di persone tanto ingenue da cadere nei tranelli. Non c'è nessun senso morale nel loro agire e Fellini ci mostra, con la freddezza di un anatomopatologo, la necrosi delle coscienze di ognuno. La vicenda procede per accumulo e i veri snodi narrativi sono riservati solo a due momenti del film. Il primo riguarda il rapporto sociale. La festa di Capodanno si rivela come la cartina al tornasole che evidenzia le differenze. Chi traffica illegalmente ad alti livelli può permettersi un tenore di vita e una 'rispettabilità' che ai bidonisti è negata. Sul piano invece dello sviluppo dei personaggi è ad Augusto che viene offerta, nella parte finale, il maggiore dispiegamento di chiaroscuri psicologici. L'ultima bidonata (che ripropone la prima ma con comprimari diversi) evidenzia una personalità ormai incapace di distinguere tra ciò che è giusto e ciò che non lo è e ne porta all'estremo le conseguenze.”

(Giancarlo Zappoli)

 

Un brano musicale al giorno

Guillaume Lekeu, Adagio pour Quatuor d'Orchestre (1891)

Direttore: Pierre Bartholomée, Orchestra Filarmonica di Liegi

Guillaume Lekeu

Jean Joseph Nicolas Guillaume Lekeu (Verviers, 20 gennaio 1870 - Angers, 21 gennaio 1894) fu un compositore belga. Adagio pour Quatuor d'Orchestre è una composizione per archi profondamente sentita del giovane compositore, che ha il sottotitolo "Les fleurs pâles de Souvenir" (I fiori pallidi del Ricordo). Lekeu fu colpito dalla morte prematura del suo maestro e eroe César Franck alla fine del 1890, dopo un incidente che coinvolse un carro trainato da cavalli. Il giovane Lekeu ha dato voce al suo dolore in questa composizione intensamente lirica, che tra l'altro contiene una scrittura per archi straordinariamente anticonvenzionale.


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k