“L’amico del popolo”, 21 gennaio 2018

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

THE GREATEST SHOW ON EARTH (Il più grande spettacolo del mondo, USA, 1951) di Cecil B. De Mille. Sceneggiatura: Barré Lyndon, Fredric M. Frank, Theodore St. John. Fotografia: George Barnes. Montaggio: Anne Bauchens.Musiche: Victor Young. Con: Charlton Heston, James Stewart, Betty Hutton, Cornel Wilde, Dorothy Lamour, Gloria Grahame, Henry Wilcoxon, Lyle Bettger, Lawrence Tierney, John Kellogg, Emmett Kelly, Antoinette Concello, John Ringling North, Tuffy Genders, Julia Faye, Frank Wilcox, Bobby Burns.

Per poter fare stagione completa, senza rimetterci, Braden, il giovane direttore di un colossale circo, ingaggia Sebastian, celeberrimo ginnasta, che sarà la maggiore attrattiva degli spettacoli. È un gran dolore per Holly, finora la migliore ginnasta, che dovrà cedere a Sebastian l'ambito numero di centro. Fra lei e Sebastian inizia una gara d'abilità e di audacia: una sera Sebastian, punto da un'osservazione di Holly, fa togliere la rete, che Braden aveva fatto stendere, e cade in malo modo. Non muore; ma il suo braccio destro resta paralizzato. Vorrebbe lasciare il circo, ma Holly, pentita, lo trattiene fingendo d'amarlo. Intanto il circo continua la sua marcia trionfale, procurando a Braden delle soddisfazioni, ma anche molte preoccupazioni. Deve allontanare dal circo un domatore d'elefanti che, mosso da gelosia, ha tentato d'uccidere un'artista. Il domatore, per vendicarsi, fa lega con certi gangsters e insieme danno l'assalto ad uno dei treni del circo, provocando il deragliamento del treno successivo con conseguenze disastrose. Braden, che non perde la testa, dà ordini precisi ai suoi; ma egli è stato gravemente ferito e viene curato e salvato da un clown, sotto la cui truccatura si nasconde un chirurgo, ricercato dalla polizia. Malgrado le perdite subite, il circo sarà in grado d'allestire la sera dopo, all'aperto, il consueto spettacolo.

THE GREATEST SHOW ON EARTH (Il più grande spettacolo del mondo, USA, 1951) di Cecil B. DeMille“Di film in film De Mille si conferma con un'esattezza imperturbabile. È il tipico regista hollywoodiano della vecchia guardia; vede tutto con ingenue lenti d'ingrandimento, anche i costi dei suoi film; e sarebbe un pittoresco caso di megalomania se i suoi film non rendessero poi fior di quattrini. Siamo quindi entro i limiti dello spettacolo per lo spettacolo; e di solito con preferenze per figure e ambienti remoti nel tempo, affrontati con una disinvoltura tutta americana. Da I dieci comandamenti a Il Re dei Re; da I crociati a Il segno della croce, al recente Sansone e Dalila, De Mille è sempre partito contro la storia lancia in resta; ogni suo nuovo film era per lui come una sua nuova personale crociata; e non s'accorgeva di dare a quella crociata una vibrazione da circo equestre...”

(Mario Gromo su La Stampa)

THE GREATEST SHOW ON EARTH (Il più grande spettacolo del mondo, USA, 1951) di Cecil B. DeMille

“Il gigantismo del regista Cecil B. De Mille ben si adatta al variopinto mondo del circo: inquadrature brulicanti, scenografie maestose, colori vivaci e un ritmo trascinante (grazie anche agli impressionanti numeri acrobatici) che non lascia spazio a pause di sorta. Le passioni e le tragedie nascoste dietro gli scintillii dello show business, alternate in modo fluido agli inserti puramente spettacolari, sono raccontate con spirito partecipe e sincero: l'invidia di Angela nei confronti della bella e corteggiata Holly; l'infortunio di Sebastian che gli paralizza un braccio e lo costringe all'inattività; il tormento di Brad, diviso tra l'amore e il lavoro. La morale di fondo appare però lievemente buonista e didascalica, soprattutto a causa di una moraleggiante voce narrante (dello stesso De Mille, doppiato nella versione italiana da Lauro Gazzolo); e l'unico personaggio a bucare realmente lo schermo è quello di James Stewart, pagliaccio triste lacerato da un dramma interiore. In ogni caso, un film girato con mano sapiente, godibile nonostante la durata impegnativa (152 minuti). Vincitore di due Oscar (miglior film e soggetto) e tre Golden Globe (miglior film drammatico, regia, fotografia).”

(www.longtake.it)

Il 21 gennaio 1959 moriva Cecil B. De Mille, regista, produttore e sceneggiatore americano (nato nel 1881)

Lo stesso giorno, nel 1938, moriva anche Georges Méliès, attore, regista e produttore francese (nato nel 1861) e lo vogliamo ricordare con il magnifico "À la conquête du pôle", del 1912, con due versioni, una muta e una musicata:

Georges Méliès,

 

Una poesia al giorno

Bilancio 1926, di Vahan Tekeyan (traduzione di Padre Mesrop Gianascian)

Bilancio: che cosa mi è rimasto, della mia vita che cosa è rimasto?
Strano, solamente quello che ho dato ad altri:
Una nascosta tenerezza, benedizioni silenziose,
A volte uno svuotarsi del cuore, oppure una lacrima muta...

Quello che è andato ad altri, è ritornato reso più dolce
E reso più forte per rimanermi nell’anima per sempre;
Quello che Amore mi tolse, Iddio non lo perdette,
Me lo ridiede, profumando in tal modo la vita...

Signore, sebbene adesso abbia tormenti
E per me ormai sia prosciugata la sorgente di gioia,
Ancora mi inebrio di vino vecchio straripato...

E non dico: “Che cosa è rimasto?”.
Sotto la terra che cosa rimane
Delle flessuose canne, delle querce robuste,
Se non la consolazione senza fine di aver bevuto il sole?

 

21 gennaio 1878 nasce Vahan Tekeyan, poeta e attivista armeno (morto nel 1948).

 

Un fatto al giorno

21 gennaio 1749: il Teatro Filarmonico di Verona viene distrutto da un incendio. È ricostruito nel 1754.

21 gennaio 1793: dopo essere stato riconosciuto colpevole di tradimento dalla Convenzione nazionale francese, Luigi XVI di Francia viene ghigliottinato a Parigi in piazza della Rivoluzione.

 

Una frase al giorno

“La maggior parte dei socialisti si limita a evidenziare che una volta instaurato il socialismo saremo più felici in senso materiale e presuppone che ogni problema venga a cadere quando si ha la pancia piena. Invece è vero il contrario: quando si ha la pancia vuota non ci si pone altro problema che quello della pancia vuota. È quando ci lasciamo alle spalle lo sfruttamento e la dura fatica che cominciamo davvero a farci domande sul destino dell'uomo e sulle ragioni della sua esistenza”.

(George Orwell, pseudonimo di Eric Arthur Blair, nato a Motihari, 25 giugno 1903, morto a Londra, 21 gennaio 1950. È stato un giornalista, saggista e scrittore britannico).

ANIMAL FARM è un film d'animazione diretto nel 1954 da John Halas e Joy Batchelor, basato sull'omonimo romanzo di George Orwell. È il primo lungometraggio d'animazione britannico a distribuzione internazionale. Nel 1956 è stato nominato al premio BAFTA per il miglior film d'animazione. All’epoca fu considerato dal New York Times ‘un capolavoro’ e venne nominato al premio BAFTA per il miglior film d’animazione.

“Uno dei più bei film a disegni animati della storia del cinema, in cui i personaggi sono volutamente "adulti" e non realizzati solo per i più piccoli.”

(Mymovies.it)

ANIMAL FARM è un film d'animazione diretto nel 1954 da John Halas e Joy Batchelor, basato sull'omonimo romanzo di George Orwell

Solo diversi anni dopo il suo rilascio si venne a sapere che fu voluto e finanziato dalla CIA, che fornì al produttore Louis de Richemont i fondi necessari per acquisire i diritti del romanzo dalla vedova di Orwell. L’intento dei servizi d’intelligence statunitensi era di creare un film da distribuire nei paesi sotto l’influenza statunitense o in buoni rapporti con gli USA, in modo da usarlo come strumento di contrasto e manipolazione nei confronti dell’Unione Sovietica di Stalin durante la guerra fredda. In Italia la pellicola non è mai stata rilasciata nei cinema, ma nel 1989 fu distribuita in VHS”.

(su www.fumettologica.it)

Il 21 gennaio 1950 muore George Orwell, scrittore, saggista e critico britannico (nato nel 1903).

 

Un brano musicale al giorno

Todor Skalovski, "Prispivna" (Lullaby)

"A lullaby from the Shar Mountain", di Todor Skalovski (1909 - 2004). Esecuzione: Marija Muratovska - Naumovska. Testi e musica di Todor Skalovski.

Traduzione inglese:

Sleep, sleep my child, so that you grow and grow up.
Come, come oh white sun, oh white sun from Solun! (Thessaloniki)
Sleep like a lamb, like a lamb from Shar Mountain. X2
Sleep and grow, grow up to be a great hero,
Great hero like Goce.
Sleep, sleep dear child.
Ah!

Todor Skalovski (21 gennaio 1909 - 1 luglio 2004), famoso compositore macedone, direttore d'orchestra e di coro. Tra le sue opere famose è l'inno nazionale della Repubblica di Macedonia.

 

Igino MaggiottoUn anno fa, 21 gennaio 2017, moriva Igino Maggiotto, poeta, fisarmonicista, sindacalista, imprenditore, politico, marito, padre, amico, ma soprattutto Uomo Umano, con tutto quello che vale per cultura e civiltà. Questa notte ho voluto ricordarlo con queste parole.

È notte Igino!
Ed è passato un anno
E tu non te ne sei accorto,
Come quando,
Senza guardare,
Trovavi gli accordi giusti
Sulle tue fisarmoniche,
Amate come madri,
Per il senso del vivere
Che ti davano.
E ora,
Che la musica è finita,
La tua musica:
I tuoi valzerini
E le polke e le mazurke
E le tante improvvisazioni
Per accompagnare un film,
Un testo teatrale, una poesia,
Cosa resta
Nel sapore
Di un bicchiere di vino
Se non il tuo silenzio,
La tua assenza,
L’esserci detti “A domani!”
E non avere più domani?
Il tuo non esserci
È vuoto incolmabile!
E il dire poesie
Non è più lo stesso,
E le serate
Hanno preso altri colori
E sembra che tutto vada bene
Meglio.
Sai, Igino
Le serate si riempiono di gente
Al 23!
Ti ricordi
Quante ne abbiamo fatte,
E quante in pochi,
In quattro gatti?!
E allora
Forse non ci siamo accorti
Di essere vecchi
E la nostra gente
Ora
Fatica a venire
Impaurita
Dal non sentire la tua musica.
Sai, Igino,
Sono stato su Ponte Pietra
A far recitare Barbarani,
Dove tu amavi suonare
Alla luna e all’Adige.
Vicino a quel Liceo Classico
Che ti aveva fatto amare
Platone e i poeti latini
E il tuo Dante, da contrapporre
Al mio Foscolo e al mio Dino Campana.
E ancora mi sei mancato!
E avanti Igino,
Avanti bisogna andare!
E tu aspettami,
Non tarderò a venirti a trovare,
Preparati!


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k