“L’amico del popolo”, 2 ottobre 2017

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

DZIEJE GRZECHU (Storia di un peccato, Polonia, 1975), regia di Walerian Borowczyk. Tratto dal romanzo dello scrittore polacco Stefan Zeromskj. Sceneggiatura: Walerian Borowczyk. Fotografia: Zygmunt Samosiuk. Montaggio: Lidia Pacewitz. Musiche: Johann Pachelbel, Felix Mendelssohn Con: Irena Burawska, Jadwiga Chojnacka, Diavolo, Grazyna Dlugolecka, Barbara Dembinska, Wladyslaw Hancza, Sofia Gienieczko, Zbigniew Koczanowicz, Eugeniusz Korczarowski, Maria Kowalik, Ewa Jez, Tomasz Lengren, Karolina Lubienska, Olgierd Lukaszewicz, Henryk Hunko, Paul Arenkes, Piotr Augustyniak, Marek Bargielowski, Jan Piechocinski, Maria Robaszkiewicz, Thea Schmidt-Keune, Jadwiga Siennicka, Jolanta Szemberg, Tadeusz Teodorczyk, Marek Walczewski, Stanislaw Tylczynski, Mieczyslaw Voit, Roman Wilhelmi, Janusz Zakrzenski, Zbigniew Zapasiewicz, Barbara Maszalek, Zdzislaw Mrozewski, Jerzy Zelnik, Bogdan Wisniewski.

A Varsavia, verso la fine del secolo scorso, Ewa Pobratynska si innamora di Lucas Niepolomski, scrittore in attesa di divorzio. Divenuto precettore dei figlio del conte Szczerbic, Lucas viene ferito dallo stesso in duello e si reca a Roma per meglio curare i propri interessi coniugali. Ewa, confusa e delusa, provoca a Roma, ove non trova l'amato (di cui in seguito verrà a sapere sia del divorzio, sia del nuovo felice matrimonio); con il nobile polacco passa a Montecarlo (ove inopinatamente vince una fortuna), a Vienna, in Svizzera. Ma viene derubata, ricattata e plagiata dal bandito Pochron che la costringe a uccidere il conte con il curaro a scopo di rapina. Dopo altre turbinose esperienze, Ewa si ritrova prostituta a Varsavia. Qui il Pochron la ingaggia per tentare su Lucas un'altra impresa assassina. Ma nella donna si risveglia il vecchio amore: il suo grido salva Lucas tra le cui braccia spira la disgraziata donna.

“Varsavia, ai primi del Novecento, Ewa Pobratynska (Grazyna Dlugolecka) si innamora del giovane scrittore Lukasz Niepolomski (Jerzy Zelnik). Sedotta, abbandonata e travolta da una lunga e sfortunata serie di eventi, in balìa di una schiera di uomini variamente interessati a lei, Ewa terminerà la sua parabola in giro per l'Europa (Roma, Berlino, Montecarlo, Vienna) prigioniera di due loschi individui senza scrupoli che la spingeranno al delitto e alla rapina. L'ultimo suo atto sarà però un estremo sacrifricio per salvare proprio Lukasz, l'unico uomo che abbia davvero amato.
Storia di un peccato segna il ritorno del controverso Walerian Borowczyk (Goto, I Racconti immorali, La bestia), da poco scomparso, in Polonia dopo anni passati in Francia, con un accurato melodramma in costume che rappresenta il suo capolavoro, grazie anche all'estrema raffinatezza formale. "Un racconto gonfio, turgido, sontuoso di scene maniacali e di feticismo raffinato" con sequenze straordinarie come quella dell'infanticidio messo in atto da Ewa, una vicenda di 'amour fou' esaltata dalla mobilità della macchina da presa, dall'utilizzo delle soggettive, da una perfetta aderenza delle scenografie e delle musiche”.

(Piero Di Domenico in mymovies.it)

“Ignorato per anni, bollato come mero pornografo o neanche, il mondo sembra accorgersi di Walerian Borowczyk solo nel 1975, anno di produzione de La storia del peccato, primo e praticamente unico film ad essere acclamato. Peccato che contemporaneamente egli firmi anche il maledetto La Bestia, che oltre a valanghe di censure segnerà anche l’inizio del suo declino (economico, beninteso). Che La storia del peccato, il solo ad essere girato nella cattolica e odiata Polonia, sia l’unico film a non imbarazzare le platee e ad essere posto sul piedistallo del cinema d’autore, titolo che a Boro fu raramente concesso, salvo poche eccezioni lungimiranti (i Cahiers, Filmcritica e pochi altri) sembra forse una questione puramente epidermica. Come a dire, meno centimetri di pelle si mostrano e più è probabile essere presi sul serio? Che il film sia insolitamente castigato per gli standard del regista, visti gli eccessi del suo contemporaneo, preceduto dai Racconti Immorali (ma a pensarci bene anche da Blanche, dove anche lì la carne era sacrificata all’eleganza anemica) è evidente. Al punto che qualche volenteroso distributore pensa bene di girare appositamente un inserto hard a base di petali di rose per risollevare un po’ il tono ingannando parecchi spettatori, compreso Moravia che su quei pochi minuti contraffatti sprecò fin troppe parole. Aldilà dell’ipocrita canonizzazione istantanea, poi subito ritirata, rimane un film che del genio di Boro ha ben poco, appesantito dalle pagine dense e melodrammatiche del romanzo di Zeromski da cui è tratto. Nulla manca alla formula, dall’amore febbrile e non consumato all’infanticidio, dalla prostituzione alla morte, tutto è presente come da prassi. Peccato che però nulla riesca a prendere davvero vita, una mancanza enorme da un Storia di un peccato, di Walerian Borowczyk regista che ha inciso il suo ingresso nel cinema animando oggetti ormai morti e informi. Ma come il più classico dei collezionisti ossessivi, questa vecchia mania ritorna costante, e a diventare i protagonisti sono libri, cartoline, lettere, lenti d’ingrandimento, soprammobili, quadri e tutto quell’arredamento soffocante che rende ogni stanza una piccola bara, a ricordare che il sesso ha sempre odore di morte. Durante l’amplesso tra i corpi dei due amanti si accumulano libri e pagine, stampe erotiche e reperti antropologici (la vergogna è solo un’invenzione, come i vestiti!), le figure umane si sdoppiano e sommergono l’inquadratura, scavalcano gli attori, anche loro hanno occhi e conducono la visione.
Ma rimane questo e poco altro di due ore di film che stentano a dire di più rispetto ad altri lavori del regista ben più riusciti. Rimane giusto Grazyna Dlugolecka, la Ewa protagonista del film, i suoi occhi sgranati che guardano più in là del dovuto, le lettere incollate al petto, il suo corpo seminascosto da lenzuola che sembrano schiuma marina, lo stesso corpo che si fa freddo nell’ultima inquadratura, la testa inerme stretta tra le mani dell’amato”.

(Renato Loriga in sentieriselvaggi.it)

“Con Storia di un peccato Borowczyk ha dato prova della propria maestria nel maneggiare realisticamente un materiale alquanto difficile, poiché già marchiato dall’etichetta del feuilletton. Il film è, infatti, la traduzione cinematografica dell’omonimo romanzo di Stefan Zeromski, polacco anch’egli, che l’aveva dato alle stampe, a puntate, su un giornale a grossa tiratura nel 1906. Se il romanzo, propriamente d’appendice, lascia piuttosto a desiderare per la sua carenza d’approfondimento psicologico, il film che ne ha fatto Borowczyk è di ben altra levatura. Piatto da buongustai, si potrebbe dire, se egli non avesse tralasciato buona parte della sua abilità di sceneggiatore e di scenografo allo scopo, assai evidente, di porre meglio in risalto attraverso la vicenda narrata una realtà in cui risvolti socio-psicologici diventano i cardini principali dell’intero impianto filmico. Raramente si è potuto vedere un gioiello di realismo quale Storia di un peccato. Per far questo, il regista si è infatti lasciato alle spalle - o perlomeno li ha accantonati - il gusto della sequenza impeccabile, il dialogo raffinato e tutti quegli elementi che rendono piacevole, nel senso di spettacolare, anche un film di piccolo o medio livello. Davvero esemplare, come spesso accade per questo autore, il comportamento della critica. Grazzini, in particolare, ha perfino commentato: “Portarsi il fazzoletto e prepararsi al peggio: alla misera fine d’una polacca del primo Novecento, sedotta, abbandonata e infanticida, e ad un’assemblea dei luoghi canonici del romanzo d’appendice”. Sinceramente, il critico del “Corriere della Sera” si è beccato un grosso granchio. Il film propone ed espone di tutto, tranne che “un’assemblea dei luoghi canonici del romanzo d’appendice” e, soprattutto, senza mai spingere all’uso del “fazzoletto”. Tutt’altro: il realismo del film, tutt’al più, può costringere qualche spettatore (o spettatrice) a serrarsi gli occhi di fronte alla crudezza di certe scene, così violente e dissacranti almeno quanto lo può essere la realtà in determinate circostanze. In più, Borowczyk si è avvalso di vari riferimenti allegorico-simbolici proprio per imprimere maggiore incisività contenutistica a quella che è stata la propria traduzione cinematografica del romanzo di Zeromski. La storia stessa, in effetti, si prestava ottimamente ad un intervento del genere ed il regista non s’è lasciata sfuggire l’occasione".

Forse più polemico e dissacratorio de I racconti immorali e de La bestia, Storia di un peccato è un ulteriore smembramento della mediocrità, della ferocia, dell’ipocrisia dei ceti piccolo e medio borghesi, musicalmente avvalorato, con gusto squisito, dalle irripetibili melodie di Mendelssohn e di Pchelbel. La vicenda vede come protagonista la giovane Eva, la quale assume il ruolo simbolico - e catartico - di una colpa che dovrebbe essere insita in quella sorta di “orgoglio” rappresentato dal cosiddetto “fiore del cristianesimo”, vale a dire della “verginità”. Una colpa che viene qui magistralmente riscattata tramite la rivolta e che, consequenzialmente, si scontra con le regole ed i codici della realtà, fino ad infrangersi e spezzarsi nell’inesorabilità della morte. La figura/emblema morte possiede peraltro tutte le caratteristiche rintracciabili nella repressione spinta fino alle estreme conseguenze, la quale, non rispettata, si vendica utilizzando tutti i mezzi a propria disposizione. In causa, ovviamente, si trovano lo sfruttamento socioeconomico, la proprietà privata con i suoi relativi lussi, l’alienazione e la frustrazione.
Il panico nei confronti del peccato e dell’infrazione diventa quindi la diretta documentazione dello scontro perennemente in atto tra impulsi naturali e condizione etico-sociale, cioè impulsi indotti. L’innamoramento di Eva per Luca costituisce, a livello simbolico, l’innamoramento della rivolta e, tramite essa, della libertà che vi è comunque intrinseca. Cosicché anche l’aborto - mostrato con scene di alto livello formale e realistico -, nel suo attuarsi quale rifiuto d’un condizionamento che indica tutto un complesso manipolo di capitolazioni e di compromessi, diviene atto liberatorio nei riguardi di una realtà castrante, a senso unico e perciò terribilmente riduttiva.
La rivolta si conclude, come già s’è detto, con una morte - Eva s’interpone tra il bandito Pochron ed il suo perduto-inseguito-ritrovato-perduto amore, Luca, per risparmiare quest’ultimo ai colpi mortali del primo - ; morte che è un autentico inno alla sola possibile libertà che ci è concessa, in un mondo dove la libertà, e anche la sua sola ricerca, va scontata con i sacrifici più atroci e disumani e talvolta, logicamente, col proprio sangue”.

(Teresio Zaninetti in fucinemute.it)

 

Una poesia al giorno

Sono un Sinto, di Spatzo (Vittorio Mayer Pasquale).

Sono un Sinto vivo in carcere
solo nel mio dolore.
Bevo la luce del sole.

Nei miei sogni raccolgo i fiori
di tutti i giardini.
Intreccerò per te una corona
con tutte le stelle del cielo,
con tutte le stelle dell’universo.

Vita oscura quando sei solo
con la tristezza nella miseria.
Piange il mio cuore
la vita libera,
piangono i miei occhi.

Con le lacrime ho scritto
sulle ali di una rondine:
rendimi la mia libera vita.
Che io possa morire
sotto un piccolo pino,
come un Sinto.

(Vittorio Mayer Pasquale, in arte Spatzo, nacque a Bolzano da padre siciliano, Enrico Pasquale, e da madre tedesca di etnia sinti, Giovanna Mayer, vittima con la figlia Edvige degli orrori del Porrajmos: l'olocausto degli zingari. Vittorio per salvarsi nascose le sue origini e collaborò con i partigiani. Nella sua poesia si legge tutto l'amore per la musica e la libertà per la propria cultura).

 

Un fatto al giorno

2 ottobre 1925: John Logie Baird esegue la prima prova di un sistema televisivo funzionante. John Logie Baird (Helensburgh, 13 agosto 1888-Bexhill-on-Sea, 14 giugno 1946) è stato un inventore britannico. William Taynton è il primo uomo a comparire in televisione.

“Dopo la prima guerra mondiale, più precisamente il 2 ottobre 1925, invia a distanza un'immagine televisiva vera e propria formata da 28 linee. Come soggetto si offre il suo fattorino William Taynton, che diviene quindi il primo uomo della storia a comparire in televisione. La televisione di Baird era costituita da un sistema di scansione meccanico: un disco di Nipkow girava davanti agli elementi sensibili di selenio, e istante dopo istante si otteneva un valore elettrico corrispondente alla luminosità di un punto dell'immagine, riga dopo riga. Il principio è insomma esattamente quello che viene usato ancor oggi, ma con un sistema di scansione elettronica. Il visore era costituito da un altro disco di Nipkow, che girava davanti ad una lampada al neon comandata dal segnale modulato a seconda della luminosità dei punti letti istante dopo istante: in pratica, si comandava la corrente di scarica del neon. I dischi dei due apparecchi (lo "scanner" e il visore) erano naturalmente sincronizzati. La televisione elettronica si impernia sul tubo catodico, né più né meno di come quella a scansione meccanica si fonda sul disco di Nipkow”.

(Wikipedia)

2 ottobre 1925: John Logie Baird esegue la prima prova di un sistema televisivo funzionante

 

Una frase al giorno

“Lo Stato rappresenta la violenza in forma concentrata e organizzata. L'individuo ha un'anima ma lo Stato, essendo una macchina senz'anima, non potrà mai rinunciare alla violenza alla quale deve la propria esistenza”

(Mohandas Karamchand Gandhi, detto il Mahatma, 1869-1948 pensatore e attivista non violento, padre fondatore indiano)

  • "Mahatma", raro video storico sulla vita di Mohandas Karamchand Gandhi

 

Un brano al giorno

Max Bruch (1838-1920), Adagio per motivi celtici, per violoncello e orchestra op. 56.

Julius Berger al violoncello. Orchestra Sinfonica Nazionale di Radio Polonia. Dirige Antoni Wit.

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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