“L’amico del popolo”, 3 ottobre 2017

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

JUVENTUDE EM MARCHA (Portogallo, Francia, Svizzera, 2006), scritto, diretto, fotografato da Pedro Costa. Fotografia: Leonardo Simões. Montaggio: Pedro Marques. Con Maria do Céu Barbosa, Mario Ventura Medina, Ventura, Vanda Duarte, Beatriz Duarte, Gustavo Sumpta, Cila Cardoso, Isabel Cardoso.

Ventura è un uomo che viene da Capo Verde e vive e lavora a giornata in un quartiere alla periferia di Lisbona. Quando sua moglie Clotilde decide di lasciarlo, Ventura si sente perso e non riesce più ad orizzontarsi né nel vecchio e cadente quartiere dove ha trascorso gli ultimi 34 anni della sua vita, né nei nuovi alloggi temporanei che sono stati costruiti di recente. Inoltre ha l'impressione che tutti i giovani che incontra possano diventare il figlio che non ha.

“Il vecchio Ventura, operaio capoverdiano della periferia di Lisbona, è stato abbandonato dalla moglie Clotilde e vaga sperduto tra il quartiere degradato dove è vissuto tanti anni e il nuovo alloggio in un palazzone di recente costruzione. Trascorre la giornata visitando i tanti figli, reali e ideali, mentre scrive mentalmente una lettera d'amore alla moglie, aggiungendo ogni giorno una frase. Si costruisce così, nelle piccole variazioni di un presente immutabile, Juventude em Marcha, di Pedro Costa.

Ventura abitava a Fontainhas, la baraccopoli di immigrati a nord-ovest di Lisbona dove Costa aveva già ambientato Ossos (1997), storia di un figlio conteso e di volti segnati dalla maledizione della droga. Poi venne No quarto da Vanda (Nella stanza di Vanda), un film in una stanza, documento della difficile disintossicazione di Vanda Duarte. Con Juventude em Marcha, Costa sembra recuperare i fili di entrambi i film e cucirli su una nuova tela. Il capo del filo, la cruna dell'ago, è la figura di Ventura, che il regista segue attraverso un pedinamento zavattiniano, facendo di lui, uomo solo e abbandonato, il pungolo e il punto di raccolta dei racconti di vita di quella gioventù che incontra nella sua marcia e che diventa la sua famiglia. Nella stanza di Vanda o nel tugurio di un'altra "figlia", pronto sulla porta quando un terzo smonta il turno, presente al momento di addormentarsi per terra, accanto ad un giovane povero, anche se la casa Ventura ora ce l'ha, ma è troppo grande per lui solo.

In armonia con l'oscurità delle baracche senza energia elettrica di Fontainhas, la sagoma nera del protagonista si staglia invece come un'ombra viva nel bianco abbacinante delle nuove costruzioni a basso costo di Casal Boba. Costa disegna con la luce, per contrasto, accecandoci in una sequenza per insegnarci a scrutare nel buio nella successiva. Ci parla, col cinema, di ciò che dentro e fuori dagli schermi solitamente non vediamo e non chiediamo di vedere. I suoi personaggi, privi di tutto, possiedono però il dono umanissimo della parola: non sapranno farne un'arte ma uno strumento di vita sì, riempiendo col racconto e con il sogno un tempo in cui nulla succede e nulla cambia.
Il vecchio si trascina nella sua missione silenziosa di tenere unita la comunità, di creare dei legami anche dove non esistono, di far rinascere un quartiere dalle sue macerie, di rimettere in marcia la gioventù che si è persa. Si affaccia, nella tragedia dell'immobilità, una spinta di speranza”.

(Marianna Cappi in Mymovies.it)

“Non c’è nessun andare se non questo continuo ritornare, quest’anziana gioventù in marcia che è ferma eppure in cammino, inghiottita dal tempo e dallo spazio. Ancora più che nei precedenti Ossos e No quarto da Vanda, Juventude Em Marcha è l’opera-monstrum dell’esploratore ai margini, il progetto etnografico che antepone alla scienza della visione una sorprendente morale dello sguardo. Morale che combina la pura, cristallina ascesi bressoniana con un’inestricabile, perfino sgradevole traccia materica. I volti, gli spazi, le pareti, i mobili, perfino l’aria, tutto ha corpo, massa e volume... tutto si può toccare nel cinema di Pedro Costa, perché è qui, ora, in questo momento eternamente presente.

L’aspetto più commovente del suo gesto filmico è l’assoluta anti-programmaticità, la costruzione di un film sempre eventuale, sempre ipotetico, sempre in divenire. Filmare per lui significa entrare nelle case, scendere per strada, instaurare un rapporto affettivo con ciò che riprende. Il suo cinema è sempre di più un luogo di condivisione, un avamposto di piccoli sguardi dove ciò che conta sono gli attimi passati insieme, istanti dilatati, senza passato né futuro, diluiti in un eterno presente. Anche in Juventude Em Marcha riconosciamo il regime affettivo di un’espressione che sgorga sempre dalla vita, mai da referenti cinematografici, mai da dettami o teorie di messa in scena. L’unica morale è allora quella della scoperta dell’altro. L’altro è l’epifania improvvisa che si consuma davanti alla camera come una vera e propria rivelazione: ogni persona è un mistero assoluto cui voler bene.

Fonthainas, quartiere capoverdiano, terra dimenticata a nord-ovest di Lisbona, era il set-mondo dei due film precedenti di Costa. In Juventude Em Marcha quel set reale è stato ormai smantellato, costringendo gli abitanti a un inevitabile esodo. Gli eroi ultimi del cinema di Costa si sono spostati a Casal Boba. Ciò che colpisce immediatamente l’occhio è il chiarore accecante di mura e palazzi: la casa di Vanda, ad esempio, sembra inghiottire il tempo in uno sfacelo di luce bianca, in un nitore privo di memoria. Tutto il passato pare come cancellato, riverniciato, rimosso. Come i due titoli che l’hanno preceduto, Juventude Em Marcha richiede un’adesione assoluta perché ospita letteralmente lo spettatore all’interno delle stanze in cui è ambientato. La visione di Costa deve arrivare a quel punto estremo, pericolosissimo, in cui il reportage implode e si apre all’altro da sé, alla vera voce del territorio.

Juventude Em Marcha, del resto, nasce da oltre trecento ore di girato ridotte a centocinquanta minuti, una camera digitale che non vuole conquistare lo spazio, ma lascia che esso si faccia avanti, disvelandosi all’interno di un conturbante immobilismo. Il tempo si è fermato, gli ambienti parlano attraverso emissari che si moltiplicano come correnti: il territorio è lo spazio in cui siamo, la nostra stessa Storia. Ogni uomo è un’architettura che riconduce sempre a una geografia tutta interiore, mai detta, mai esibita, ma sempre implicita. Il cinema di Costa continua a essere un problema, perché sa che i luoghi non possono dire se non deformandosi, che gli occhi non possono vedere se non stancandosi. In questa spossatezza, in quest’andamento nebuloso, in questa fatica quasi beckettiana, si trova la verità di chi vive.

Ventura, operaio in pensione che era appena una comparsa nei film precedenti, è il corpo-veicolo che ci traghetta da un luogo all’altro. E’ un corpo fuori controllo, impossibile da collocare, perché non segue alcuna traiettoria se non quella del suo presente, infinito vagare. Attraverso la sua figura è proiettata un’odissea tutta interiore. La luce è quella della penombra dove si attende un’impossibile rivelazione: Ventura, del resto, è ciò che rimane del santo, la sua eccedenza, il suo retaggio come esistenza lasciata a sé. Esistenza sempre in attesa di una visione, di un dono che non sia solo il suo abbandono. Egli, cuore del film, solitudine pensante lasciata dalla moglie dopo trent’anni di matrimonio, ricerca nuovi figli da poter amare e di cui potersi prendere cura.

Nel loro immobilismo i piani di Costa ci consentono di guardare dove gli occhi non arrivano, in queste visioni che esauriscono il tempo e lo spazio si scopre qualcos’altro (che è diverso e affine allo sguardo infinito di uno Tsai Ming-liang che deve stancare, consumare, superare il tempo pur di vedere un oltre, un di più). E’ lo spazio stesso a proiettarsi e ad accadere davanti all’occhio di chi guarda. E’ un film che si fa vedendolo, si costruisce facendolo: Juventude Em Marcha semplicemente succede, privo di filtri, trucchi o attori. Ventura, come gli altri protagonisti, sembra un reduce, il sopravvissuto di una catastrofe tossica. Fontainhas è dentro di lui, come un passato che non può più esistere, come un futuro che è incerto e precario: crollano le case, rimangono i lunghi frammenti di un presente che continua a oscillare. Ora non resta che questo continuo vagare.

Ma non si può dire Juventude Em Marcha: il cinema di Costa richiede, inquadratura dopo inquadratura, di essere abitato. Non un cinema di edificante ricostruzione, ma di estrema precarietà. E’ questo continuo slittamento, questo scivolare via lentamente verso i margini dell’immagine, questo possederla, questo vagare continuo in un andirivieni infinito di dentro e fuori. Nella penombra, nella stasi senza fine di un presente che risuona come una maledizione, gli occhi sono fari nella notte, bagliori grondanti di scintillante tristezza. Non si può esigere nulla da quegli occhi, se non di essere percepiti. Quello di Pedro Costa continua a essere un cinema fieramente ai margini, della società, dello schermo, del cinema stesso”.

(www.pointblank.it)

JUVENTUDE EM MARCHA (Portogallo, Francia, Svizzera, 2006), scritto, diretto, fotografato da Pedro Costa

 

Una poesia al giorno

Autunno, di Boris Leonidovič Pasternak (traduzione di Mario Socrate. Da “Il dottor Živàgo”, Feltrinelli, 1957)

Ho lasciato disperdersi i miei cari,
tutti i miei sono da tanto chissà dove,
e, nel cuore e nella natura, tutto
è pieno della solitudine di sempre.

Ed eccomi qui con te in questo capanno,
nel bosco senza nessuno e deserto.
Come nella canzone, i viottoli e i sentieri
già quasi li cancella l’erba.

Ora noi soli guardano
rattristati i muri di tronchi.
Non promettemmo di assaltare ostacoli,
noi periremo a viso aperto.

Ci sediamo all’una e ci alziamo alle tre,
io con un libro, tu con il ricamo,
e all’alba non ci accorgiamo
che abbiamo cessato di baciarci.

Più sfarzose e più sfrenate ancora
stormite, scrollatevi, foglie,
e con l’odierna angoscia fate
che trabocchi l’intero calice di ieri.

Attaccamento, trasporto, fascino!
Disperdiamoci nello stormire di settembre!
Immergiti tutta nel fruscio dell’autunno!
Vieni meno o esci di senno!

Tu l’abito lasci andare, così,
come il bosco lascia le foglie,
quando cadi nell’abbraccio
con la vestaglia dal fiocco di seta.

Tu sei il bene d’un passo funesto,
quando vivere dà più nausea d’un male.
Ma la radice della bellezza è l’ardire,
e questo l’un verso l’altra ci attrae.

Осень

Я дал разъехаться домашним,
Все близкие давно в разброде,
И одиночеством всегдашним
Полно всё в сердце и природе.

И вот я здесь с тобой в сторожке.
В лесу безлюдно и пустынно.
Как в песне, стежки и дорожки
Позаросли наполовину.

Теперь на нас одних с печалью
Глядят бревенчатые стены.
Мы брать преград не обещали,
Мы будем гибнуть откровенно.

Мы сядем в час и встанем в третьем,
Я с книгою, ты с вышиваньем,
И на рассвете не заметим,
Как целоваться перестанем.

Еще пышней и бесшабашней
Шумите, осыпайтесь, листья,
И чашу горечи вчерашней
Сегодняшней тоской превысьте.

Привязанность, влеченье, прелесть!
Рассеемся в сентябрьском шуме!
Заройся вся в осенний шелест!
Замри или ополоумей!

Ты так же сбрасываешь платье,
Как роща сбрасывает листья,
Когда ты падаешь в объятья
В халате с шелковою кистью.

Ты - благо гибельного шага,
Когда житье тошней недуга,
А корень красоты - отвага,
И это тянет нас друг к другу.

Boris Leonidovič Pasternak

 

Un fatto al giorno

3 ottobre 1935: l'Italia invade l'Etiopia con le truppe guidate dal generale de Bono (sostituito l'11 novembre da Pietro Badoglio). L'Italia già possedeva le isole dell'Egeo, la Somalia e l'Eritrea. Mussolini ora punta il mirino espansionistico sull'Etiopia. Il pretesto gli viene offerto da incidenti di frontiera ai confini con la Somalia. La Società delle Nazioni, di cui fa parte anche l'Etiopia, condanna l'Italia come stato aggressore e impone le sanzioni economiche. Anche se di fatto le potenze continuano a rifornire l'Italia di benzina e la Gran Bretagna consente il passaggio delle navi italiane attraverso il Canale di Suez, Mussolini sollecita il popolo italiano a donare l'oro alla patria - e più tardi il ferro - per fronteggiare l'assedio economico. L'unità didattica si conclude con le sequenze filmiche della guerra in Etiopia e dell'avanzata italiana sino alla conquista della capitale Addis Abeba (5 maggio 1936).

Video:

 

Una frase al giorno

“Cos'è la tradizione? È il progresso che è stato fatto ieri, come il progresso che noi dobbiamo fare oggi costituirà la tradizione di domani”.

(Giovanni XXIII, al secolo Angelo Giuseppe Roncalli, 1881-1963, papa della Chiesa cattolica)

 

Un brano al giorno

Giovanni Pierluigi da Palestrina - Vergine bella, da "Madrigali spirituali a cinque voci" su testi di Francesco Petrarca.

Sybylle Henn, Bärbel Karey, Christine Rombach, Susanne Schmollinger, Gabriele Elisabeth Wirr, soprano.
Michael Berner, Gerhard Hölze, Marc Lewon, Jon Maidstone, Stefan Mitze, Christof N. Schöder, tenore.
Rudolf Hennecke, Georg Klein, Jörg Rieger, baritono.
Christoph Obert, Hartmut Petri, basso.
Wilfried Rombach, direzione.

Giovanni Pierluigi da Palestrina (Palestrina, 1525 ca. – Roma, 2 febbraio 1594)

Vergine bella, che di sol vesta,
coronata di stelle, al sommo sole
piacesti si che 'n te sua luce ascose,
amor mi spinge a dir di te parole:
ma non so 'ncominciar senza tu 'aita
e di colui ch'amando in te si pose
invoco lei che ben sempre rispose,
chi la chiamo con fede.
Vergine, s'a mercede
miseria estrema de l'umane cose
già mai ti volse, al mio prego t'inchina;
socorri alla mia guerra,
ben ch'i sia terra e tu del ciel regina.

(Francesco Petrarca)

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k