L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...
Un film al giorno
JUVENTUDE EM MARCHA (Portogallo, Francia, Svizzera, 2006), scritto, diretto, fotografato da Pedro Costa. Fotografia: Leonardo Simões. Montaggio: Pedro Marques. Con Maria do Céu Barbosa, Mario Ventura Medina, Ventura, Vanda Duarte, Beatriz Duarte, Gustavo Sumpta, Cila Cardoso, Isabel Cardoso.
Ventura è un uomo che viene da Capo Verde e vive e lavora a giornata in un quartiere alla periferia di Lisbona. Quando sua moglie Clotilde decide di lasciarlo, Ventura si sente perso e non riesce più ad orizzontarsi né nel vecchio e cadente quartiere dove ha trascorso gli ultimi 34 anni della sua vita, né nei nuovi alloggi temporanei che sono stati costruiti di recente. Inoltre ha l'impressione che tutti i giovani che incontra possano diventare il figlio che non ha.
“Il vecchio Ventura, operaio capoverdiano della periferia di Lisbona, è stato abbandonato dalla moglie Clotilde e vaga sperduto tra il quartiere degradato dove è vissuto tanti anni e il nuovo alloggio in un palazzone di recente costruzione. Trascorre la giornata visitando i tanti figli, reali e ideali, mentre scrive mentalmente una lettera d'amore alla moglie, aggiungendo ogni giorno una frase. Si costruisce così, nelle piccole variazioni di un presente immutabile, Juventude em Marcha, di Pedro Costa.
Ventura abitava a Fontainhas, la baraccopoli di immigrati a nord-ovest di Lisbona dove Costa aveva già ambientato Ossos (1997), storia di un figlio conteso e di volti segnati dalla maledizione della droga. Poi venne No quarto da Vanda (Nella stanza di Vanda), un film in una stanza, documento della difficile disintossicazione di Vanda Duarte. Con Juventude em Marcha, Costa sembra recuperare i fili di entrambi i film e cucirli su una nuova tela. Il capo del filo, la cruna dell'ago, è la figura di Ventura, che il regista segue attraverso un pedinamento zavattiniano, facendo di lui, uomo solo e abbandonato, il pungolo e il punto di raccolta dei racconti di vita di quella gioventù che incontra nella sua marcia e che diventa la sua famiglia. Nella stanza di Vanda o nel tugurio di un'altra "figlia", pronto sulla porta quando un terzo smonta il turno, presente al momento di addormentarsi per terra, accanto ad un giovane povero, anche se la casa Ventura ora ce l'ha, ma è troppo grande per lui solo.
In armonia con l'oscurità delle baracche senza energia elettrica di Fontainhas, la sagoma nera del protagonista si staglia invece come un'ombra viva nel bianco abbacinante delle nuove costruzioni a basso costo di Casal Boba. Costa disegna con la luce, per contrasto, accecandoci in una sequenza per insegnarci a scrutare nel buio nella successiva. Ci parla, col cinema, di ciò che dentro e fuori dagli schermi solitamente non vediamo e non chiediamo di vedere. I suoi personaggi, privi di tutto, possiedono però il dono umanissimo della parola: non sapranno farne un'arte ma uno strumento di vita sì, riempiendo col racconto e con il sogno un tempo in cui nulla succede e nulla cambia.
Il vecchio si trascina nella sua missione silenziosa di tenere unita la comunità, di creare dei legami anche dove non esistono, di far rinascere un quartiere dalle sue macerie, di rimettere in marcia la gioventù che si è persa. Si affaccia, nella tragedia dell'immobilità, una spinta di speranza”.
(Marianna Cappi in Mymovies.it)
“Non c’è nessun andare se non questo continuo ritornare, quest’anziana gioventù in marcia che è ferma eppure in cammino, inghiottita dal tempo e dallo spazio. Ancora più che nei precedenti Ossos e No quarto da Vanda, Juventude Em Marcha è l’opera-monstrum dell’esploratore ai margini, il progetto etnografico che antepone alla scienza della visione una sorprendente morale dello sguardo. Morale che combina la pura, cristallina ascesi bressoniana con un’inestricabile, perfino sgradevole traccia materica. I volti, gli spazi, le pareti, i mobili, perfino l’aria, tutto ha corpo, massa e volume... tutto si può toccare nel cinema di Pedro Costa, perché è qui, ora, in questo momento eternamente presente.
L’aspetto più commovente del suo gesto filmico è l’assoluta anti-programmaticità, la costruzione di un film sempre eventuale, sempre ipotetico, sempre in divenire. Filmare per lui significa entrare nelle case, scendere per strada, instaurare un rapporto affettivo con ciò che riprende. Il suo cinema è sempre di più un luogo di condivisione, un avamposto di piccoli sguardi dove ciò che conta sono gli attimi passati insieme, istanti dilatati, senza passato né futuro, diluiti in un eterno presente. Anche in Juventude Em Marcha riconosciamo il regime affettivo di un’espressione che sgorga sempre dalla vita, mai da referenti cinematografici, mai da dettami o teorie di messa in scena. L’unica morale è allora quella della scoperta dell’altro. L’altro è l’epifania improvvisa che si consuma davanti alla camera come una vera e propria rivelazione: ogni persona è un mistero assoluto cui voler bene.
Fonthainas, quartiere capoverdiano, terra dimenticata a nord-ovest di Lisbona, era il set-mondo dei due film precedenti di Costa. In Juventude Em Marcha quel set reale è stato ormai smantellato, costringendo gli abitanti a un inevitabile esodo. Gli eroi ultimi del cinema di Costa si sono spostati a Casal Boba. Ciò che colpisce immediatamente l’occhio è il chiarore accecante di mura e palazzi: la casa di Vanda, ad esempio, sembra inghiottire il tempo in uno sfacelo di luce bianca, in un nitore privo di memoria. Tutto il passato pare come cancellato, riverniciato, rimosso. Come i due titoli che l’hanno preceduto, Juventude Em Marcha richiede un’adesione assoluta perché ospita letteralmente lo spettatore all’interno delle stanze in cui è ambientato. La visione di Costa deve arrivare a quel punto estremo, pericolosissimo, in cui il reportage implode e si apre all’altro da sé, alla vera voce del territorio.
Juventude Em Marcha, del resto, nasce da oltre trecento ore di girato ridotte a centocinquanta minuti, una camera digitale che non vuole conquistare lo spazio, ma lascia che esso si faccia avanti, disvelandosi all’interno di un conturbante immobilismo. Il tempo si è fermato, gli ambienti parlano attraverso emissari che si moltiplicano come correnti: il territorio è lo spazio in cui siamo, la nostra stessa Storia. Ogni uomo è un’architettura che riconduce sempre a una geografia tutta interiore, mai detta, mai esibita, ma sempre implicita. Il cinema di Costa continua a essere un problema, perché sa che i luoghi non possono dire se non deformandosi, che gli occhi non possono vedere se non stancandosi. In questa spossatezza, in quest’andamento nebuloso, in questa fatica quasi beckettiana, si trova la verità di chi vive.
Ventura, operaio in pensione che era appena una comparsa nei film precedenti, è il corpo-veicolo che ci traghetta da un luogo all’altro. E’ un corpo fuori controllo, impossibile da collocare, perché non segue alcuna traiettoria se non quella del suo presente, infinito vagare. Attraverso la sua figura è proiettata un’odissea tutta interiore. La luce è quella della penombra dove si attende un’impossibile rivelazione: Ventura, del resto, è ciò che rimane del santo, la sua eccedenza, il suo retaggio come esistenza lasciata a sé. Esistenza sempre in attesa di una visione, di un dono che non sia solo il suo abbandono. Egli, cuore del film, solitudine pensante lasciata dalla moglie dopo trent’anni di matrimonio, ricerca nuovi figli da poter amare e di cui potersi prendere cura.
Nel loro immobilismo i piani di Costa ci consentono di guardare dove gli occhi non arrivano, in queste visioni che esauriscono il tempo e lo spazio si scopre qualcos’altro (che è diverso e affine allo sguardo infinito di uno Tsai Ming-liang che deve stancare, consumare, superare il tempo pur di vedere un oltre, un di più). E’ lo spazio stesso a proiettarsi e ad accadere davanti all’occhio di chi guarda. E’ un film che si fa vedendolo, si costruisce facendolo: Juventude Em Marcha semplicemente succede, privo di filtri, trucchi o attori. Ventura, come gli altri protagonisti, sembra un reduce, il sopravvissuto di una catastrofe tossica. Fontainhas è dentro di lui, come un passato che non può più esistere, come un futuro che è incerto e precario: crollano le case, rimangono i lunghi frammenti di un presente che continua a oscillare. Ora non resta che questo continuo vagare.
Ma non si può dire Juventude Em Marcha: il cinema di Costa richiede, inquadratura dopo inquadratura, di essere abitato. Non un cinema di edificante ricostruzione, ma di estrema precarietà. E’ questo continuo slittamento, questo scivolare via lentamente verso i margini dell’immagine, questo possederla, questo vagare continuo in un andirivieni infinito di dentro e fuori. Nella penombra, nella stasi senza fine di un presente che risuona come una maledizione, gli occhi sono fari nella notte, bagliori grondanti di scintillante tristezza. Non si può esigere nulla da quegli occhi, se non di essere percepiti. Quello di Pedro Costa continua a essere un cinema fieramente ai margini, della società, dello schermo, del cinema stesso”.
(www.pointblank.it)
- Immagini: Juventude Em Marcha (2006)
Una poesia al giorno
Autunno, di Boris Leonidovič Pasternak (traduzione di Mario Socrate. Da “Il dottor Živàgo”, Feltrinelli, 1957)
Ho lasciato disperdersi i miei cari,
tutti i miei sono da tanto chissà dove,
e, nel cuore e nella natura, tutto
è pieno della solitudine di sempre.
Ed eccomi qui con te in questo capanno,
nel bosco senza nessuno e deserto.
Come nella canzone, i viottoli e i sentieri
già quasi li cancella l’erba.
Ora noi soli guardano
rattristati i muri di tronchi.
Non promettemmo di assaltare ostacoli,
noi periremo a viso aperto.
Ci sediamo all’una e ci alziamo alle tre,
io con un libro, tu con il ricamo,
e all’alba non ci accorgiamo
che abbiamo cessato di baciarci.
Più sfarzose e più sfrenate ancora
stormite, scrollatevi, foglie,
e con l’odierna angoscia fate
che trabocchi l’intero calice di ieri.
Attaccamento, trasporto, fascino!
Disperdiamoci nello stormire di settembre!
Immergiti tutta nel fruscio dell’autunno!
Vieni meno o esci di senno!
Tu l’abito lasci andare, così,
come il bosco lascia le foglie,
quando cadi nell’abbraccio
con la vestaglia dal fiocco di seta.
Tu sei il bene d’un passo funesto,
quando vivere dà più nausea d’un male.
Ma la radice della bellezza è l’ardire,
e questo l’un verso l’altra ci attrae.
Осень
Я дал разъехаться домашним,
Все близкие давно в разброде,
И одиночеством всегдашним
Полно всё в сердце и природе.
И вот я здесь с тобой в сторожке.
В лесу безлюдно и пустынно.
Как в песне, стежки и дорожки
Позаросли наполовину.
Теперь на нас одних с печалью
Глядят бревенчатые стены.
Мы брать преград не обещали,
Мы будем гибнуть откровенно.
Мы сядем в час и встанем в третьем,
Я с книгою, ты с вышиваньем,
И на рассвете не заметим,
Как целоваться перестанем.
Еще пышней и бесшабашней
Шумите, осыпайтесь, листья,
И чашу горечи вчерашней
Сегодняшней тоской превысьте.
Привязанность, влеченье, прелесть!
Рассеемся в сентябрьском шуме!
Заройся вся в осенний шелест!
Замри или ополоумей!
Ты так же сбрасываешь платье,
Как роща сбрасывает листья,
Когда ты падаешь в объятья
В халате с шелковою кистью.
Ты - благо гибельного шага,
Когда житье тошней недуга,
А корень красоты - отвага,
И это тянет нас друг к другу.
Un fatto al giorno
3 ottobre 1935: l'Italia invade l'Etiopia con le truppe guidate dal generale de Bono (sostituito l'11 novembre da Pietro Badoglio). L'Italia già possedeva le isole dell'Egeo, la Somalia e l'Eritrea. Mussolini ora punta il mirino espansionistico sull'Etiopia. Il pretesto gli viene offerto da incidenti di frontiera ai confini con la Somalia. La Società delle Nazioni, di cui fa parte anche l'Etiopia, condanna l'Italia come stato aggressore e impone le sanzioni economiche. Anche se di fatto le potenze continuano a rifornire l'Italia di benzina e la Gran Bretagna consente il passaggio delle navi italiane attraverso il Canale di Suez, Mussolini sollecita il popolo italiano a donare l'oro alla patria - e più tardi il ferro - per fronteggiare l'assedio economico. L'unità didattica si conclude con le sequenze filmiche della guerra in Etiopia e dell'avanzata italiana sino alla conquista della capitale Addis Abeba (5 maggio 1936).
Video:
Una frase al giorno
“Cos'è la tradizione? È il progresso che è stato fatto ieri, come il progresso che noi dobbiamo fare oggi costituirà la tradizione di domani”.
(Giovanni XXIII, al secolo Angelo Giuseppe Roncalli, 1881-1963, papa della Chiesa cattolica)
Un brano al giorno
Giovanni Pierluigi da Palestrina - Vergine bella, da "Madrigali spirituali a cinque voci" su testi di Francesco Petrarca.
Sybylle Henn, Bärbel Karey, Christine Rombach, Susanne Schmollinger, Gabriele Elisabeth Wirr, soprano.
Michael Berner, Gerhard Hölze, Marc Lewon, Jon Maidstone, Stefan Mitze, Christof N. Schöder, tenore.
Rudolf Hennecke, Georg Klein, Jörg Rieger, baritono.
Christoph Obert, Hartmut Petri, basso.
Wilfried Rombach, direzione.
Vergine bella, che di sol vesta,
coronata di stelle, al sommo sole
piacesti si che 'n te sua luce ascose,
amor mi spinge a dir di te parole:
ma non so 'ncominciar senza tu 'aita
e di colui ch'amando in te si pose
invoco lei che ben sempre rispose,
chi la chiamo con fede.
Vergine, s'a mercede
miseria estrema de l'umane cose
già mai ti volse, al mio prego t'inchina;
socorri alla mia guerra,
ben ch'i sia terra e tu del ciel regina.
(Francesco Petrarca)
Ugo Brusaporco
Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.
INFORMAZIONI
Ugo Brusaporco
e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org