L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno IV. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...
Un film al giorno
Un film da riscoprire
LA BEAUTÉ DU DIABLE (Francia, Italia, 1950), regia René Clair. Soggetto dal “Faust” di Goethe. Sceneggiatura: René Clair, dal “Faust” di Goethe. Produttore: Franco-London-Films (Paris), Universalia e Enic (Roma). Fotografia: Michel Kelber e Giulio Venanzo. Montaggio: James Cuenet. Musiche: Roman Vlad. Cast: Michel Simon: Faust vecchio e Mefistofele, Gérard Philipe: Faust giovane. Nicole Besnard: Margherita (Marguerite). Simone Valère: La principessa. Carlo Ninchi: il principe Raymond Cordy: Antonio. Paolo Stoppa: il procuratore. Tullio Carminati: il ciambellano. Gaston Modot: il capo degli zingari.
Dopo una vita dedicata allo studio ed alle ricerche scientifiche, il professor Faust non si sente soddisfatto: vorrebbe essere più potente, godersi la vita, ma è vecchio e stanco. Combattuto da pensieri contrastanti, gli appare il diavolo, il quale offre a lui i suoi servigi. Faust, sapendo che il prezzo è la dannazione, rifiuta. Il diavolo allora lo trasforma nel giovane Enrico, gli fa godere i piaceri della giovinezza, le soddisfazioni della ricchezza e del potere, poi gli fa credere che è stato tutto un sogno. Se firmerà il patto proposto dal diavolo, vedrà questo sogno tramutarsi in realtà. Faust accetta e torna nei panni di Enrico. Si unisce a una compagnia di zingari, dove conosce e ama la bella Margherita, ma è accusato di aver ucciso il vecchio Faust: per salvarlo, Mefistofele assume in pubblico le sembianze del vecchio professore. Enrico fa il suo ingresso a corte, conquista la fiducia del principe e l'amore della principessa e di altre donne. Diventa così potente da costringere il diavolo a rivelargli il futuro. Riflesse in uno specchio, vede le conseguenze disastrose della sua potenza: una dittatura fondata sulla distruzione e sul delitto. Allora si ribella e fugge con Margherita, tornando alla carovana degli zingari. Il diavolo, furibondo, provoca terribili catastrofi: poiché la sabbia è stata trasformata in oro, le monete ora diventano sabbia e la popolazione insorge. Margherita è accusata di stregoneria, ma la ragazza riesce a impossessarsi del diabolico contratto e a gettarlo al popolo: quando la folla apprende che la colpa è di Faust, reo di aver stipulato un patto infernale, si lancia contro il diavolo che ne ha assunto le sembianze. Nel tentativo di sfuggire, il diavolo si getta dalla finestra. Enrico è finalmente libero.
“(...) La bellezza del diavolo non segna l'inizio di un nuovo ciclo narrativo, ma di una vera e propria crisi, più grave di quella del periodo americano. La strada ora imboccata da Clair è un vicolo scuro senza uscita: vi domina un intellettualismo arido e privo di vibrazioni umane, che si risolve in giochi d'artificio, in sofismi e contraddizioni, in espedienti umoristici troppo calcolati per essere almeno piacevoli.”
(Fernaldo Di Giammatteo, "Bianco e Nero", 10, ottobre 1950)” in www.comingsoon.it)
“Uno studioso anziano fa un patto con il diavolo per riconquistare la sua giovinezza. Per questo adattamento del famoso mito faustiano, René Clair applica una magica teatralità piena di inventiva visiva ed effetti speciali. Il suo approccio al Faust è decisamente poetico e romantico, portando una satira comica all'opera di Goethe.
Girato negli studi romani di Cinecittà, offre set grandiosi e stilizzati di Léon Barsacq che ha collaborato anche con altri grandi francesi come Jean Renoir e Marcel Carné. Ma il film è soprattutto un formidabile duello tra gli attori Gérard Philipe (Fanfan La Tulipe, La Ronde) e il grande Michel Simon (l'Atalante, Boudu Sauvé des Eaux, Le Quai des Brumes). Clair ha avuto l'idea elettrizzante di avere i due ruoli di scambio a metà strada con un giovane Faust che adotta i tratti di Philipe mentre Simon diventa il diavolo. Mentre il primo esalta il suo bell'aspetto e la sua vulnerabilità, il secondo è imprevedibile, turbolentemente esagerato e semplicemente geniale. In realtà, Simon detestava il suo collega attore (più giovane, più bello?) E l'atmosfera sul set divenne piuttosto tesa.
Meno conosciuto delle sue controparti nazionali come Renoir o Feyder, Clair ha lasciato ancora una notevole impressione sul cinema francese. Nel 1924 dirige Paris Qui Dort che rivela il tono libero e onirico che ha segnato la maggior parte dei suoi film successivi come La Beauté du Diable e Les Belles de Nuit. Con il suo Entr’acte, crea un film celebrato come un bel lavoro surrealista che vede la partecipazione di Francis Picabia, Marcel Duchamp e Man Ray, tra gli altri. All'epoca scrisse anche testi e critiche essenziali per comprendere l'avanguardia degli anni '20. Egli annovera À Nous La Liberté e Le Silence Est d'Or tra i 30 film che ha realizzato insieme a opere realizzate nel Regno Unito e negli Stati Uniti".
(In www.concordia.ca)
- Il film: La Beauté du Diable
Un attore: “Tullio Carminati, conte Tullio Carminati de Brambilla (Zara, 21 settembre 1895 - Roma, 26 febbraio 1971), attore italiano, attivo in teatro e nel cinema. Nacque in una famiglia italiana a Zara, allora appartenente all'Impero austro-ungarico ed attualmente alla Croazia. Dopo aver riscosso i suoi primi successi sulla scena teatrale con le compagnie di Ettore Paladini e Ermete Novelli, ebbe l'occasione di debuttare nel mondo cinematografico, intorno al 1914, grazie alla sua presenza elegante e raffinata. Partecipò ad una trentina di film muti prima di fondare una propria casa produttrice verso la fine degli anni dieci del Novecento.
Nel 1921 ottenne una tale popolarità, grazie all'interpretazione ne La signora delle camelie (dal romanzo omonimo di Alexandre Dumas) assieme ad Alda Borelli, da indurre la diva Eleonora Duse ad invitarlo alla direzione della sua compagnia. Si mise quindi in evidenza per l'allestimento delle ultime recite della Duse, tra le quali La donna del mare, scritto da Henrik Ibsen, e La porta chiusa, di Emilio Praga.
Durante l'anno 1924 si trasferì per lavoro in Germania e due anni dopo negli Stati Uniti d'America, dove continuò con un certo successo la sua carriera fino al 1940, intervallata da una unica partecipazione ad una produzione cinematografica italo-francese del 1934.
In America si mise in evidenza per le 725 recite della commedia Strictly Dishonorable, suscitando entusiasmi per il suo ruolo di "latin lover". In questo periodo si dedicò anche alle commedie musicali non disdegnando quindi il ruolo di cantante. Nel 1932 è Bruno Mahler nella prima assoluta di Music in the Air di Jerome Kern all'Alvin Theatre per il Broadway theatre con Al Shean, Walter Slezak e Marjorie Main e nel 1933 nella prima al 44th Street Theatre di New York.
Dopo l'inizio delle ostilità della seconda guerra mondiale rientrò in Italia dove svolse da questo momento una buona parte della sua attività fino al 1963, anno del suo ritiro, senza per questo trascurare i suoi impegni con produzioni francesi, spagnole ed americane.
Tra i suoi film di quest'ultimo periodo si annoverarono l'Antigone per la regia di Luchino Visconti (1946) e la Beauté du diable di René Clair (1950).
Nel 1953 è San Domenico nella prima di Giovanna d'Arco al rogo con Ingrid Bergman, Marcella Pobbe, Miriam Pirazzini, Agnese Dubbini, Giacinto Prandelli e Piero De Palma, diretto da Gianandrea Gavazzeni, al Teatro di San Carlo di Napoli e ripreso dal film omonimo di Roberto Rossellini.
Morì il 26 febbraio del 1971 a causa di un'emorragia cerebrale.”
(In wikipedia.org)
Una poesia al giorno
Dal Libro Quarto di Publio Virgilio Marone: Georgiche (I secolo a.C.). Traduzione dal latino di Clemente Bondi (1801)
Del rugiadoso mel, celeste dono,
Restami a dir. Tu a questa parte ancora
Benigno volgi, o Bice, il guardo.
Meraviglioso di minute cose
Spettacolo vedrai: tutte io de l’api
Con ordine dirò l’arti e i costumi,
I duci audaci, e i popoli, e le guerre.
Tenue soggetto ha il mio lavor, ma lode
Forse non tenue avrà, se avverso nume
Nol vieti, e m’oda l’invocato Apollo.
Prima di tutto è da cercarsi a l’api
Riparato soggiorno, ove né il vento
Penetri, che le trepide lor ali
Sbatte, e a l’albergo la raccolta preda
Vieta portar, né pecora, o capretto
A i fiori insulti, né giovenca errante
Ivi al mattin la tremula rugiada
Scuota, o prema col piè l’erbe nascenti.
Lungi sien pur le squallide lucerte
Dipinte il tergo, e la dolente Progne
Tinta di sangue il seno, e la vorace
Merope, e gli altri augei, che a tutto intorno
Danno la caccia devastando, e l’api
Pigliano a volo, e portanle nel rostro
Esca söave a i barbari lor nidi.
Ma chiare fonti, e pelaghi muscosi
Sien ivi intorno, o limpido ruscello,
Che tra l’erbe serpeggi; e di sue foglie
Il vestibolo adombri o palma, od ampio
Silvestro ulivo, onde allor quando al primo
Tepor di primavera i re novelli
Guidan gli sciami, e fuor de i favi uscita
Scherzando va la giovinetta prole,
A se l’inviti la vicina sponda
Da i caldi soli, e ne l’opaco seno
Fresco e comodo ospizio offran le piante.
Tu poscia in mezzo a l’onda, ossia che in lago
Ristagni, o scorra in rio, rami a traverso
Gitta di salcio, e rilevati sassi
Di ponti a guìsa, ove posare il piede
Possano l’api, ed a l’estivo sole
L’umid’ale spiegar, se pioggia a caso
Per soverchio indugiar di poche stille
Spruzzolle, o vento le tuffò ne l’onde.
Del serpillo odoroso, e de la verde
Casia fiorisca, e de l’acuta timbra
Il suolo in copia, e de l’irrigua fonte
Bevan l’umor le mammole vïole.
Ma gli alvëari, o di cortecce cave
Sien fabbricati, o di flessibil giunco,
Stretto l’ingresso avranno, onde per freddo
Non geli il mel, né per calor si sciolga.
E l’uno e l’altro, ove soverchio ecceda,
Pur nuoce a l’api, e non indarno a gara
De le lor celle ogni spiraglio, o buco
Turan di cera, od empiono di fiori;
E a stuccar gli orli serbano riposta
Una lor gomma, che del visco istesso
E’ più tenace, e de la pece idéa.
Sovente ancor, se narrò fama il vero,
Sotterra si scavarono le case
A più difeso asilo, e dentro i tufi,
E le porose pomici, e ne i tronchi
Di vecchie piante s’annidaro ascose.
Tu dunque il genio ne seconda, e attento
Il rimosso alvëar d’umida creta
Vesti al difuor ristuccando, e sopra
Di rare lo ricopri ombrose foglie.
Presso a gli apiari non soffrir, che metta
Radici il tasso, o che bruciati al foco
Fumino i rossi giunchi; e i luoghi fuggi,
Dove o l’acqua impaludi, o greve esali
Odor di fango, e i curvi colli, e gli antri,
Dove nascosta a le lontane voci
Imitandone il suon l’eco risponde.
Ma Febo già serena il cielo, e guida
Cacciando il verno la stagion migliore;
Tutte allor fuor le industrïose pecchie
Escon, pe i boschi e per le verdi selve
Peregrinando, e i rugiadosi fiori
Suggono, e lievi a vol radendo i fiumi
L’onda somma delibano, e pasciute
E prese poi da non so qual dolcezza
A nutrire, e a covar la prole, e i nidi
Tornano allora, e le tenaci cere
E il mel con arte a fabbricar si danno.
Ma quando il nido abbandonando i folti
Sciami vedrai lungi involarsi, ed alto
Nuotar per l’aër liquido e sereno,
Quasi spinte dal vento oscure nubi,
Osserva il corso lor, ché di dolci acque
In cerca andran su la vicina riva,
O d’arbore frondosa; ivi tu spargi
Trita melissa, e de la vil cerinta
Il gradito sapor, poi fa d’intorno
Tintinnar cavo rame, o di Cibele
Il cembalo percoti, e le vedrai
Con presto vol su i medicati seggi
Volontarie calarsi, e mano a mano
Ne i buchi entrar del preparato albergo.
Che se a battaglia sanguinosi in campo
Dispongasi ad uscir (ché avvien sovente,
Che odio e discordia fra i due re s’accenda).
Tu molto pria ne gli agitati petti
L’ire nascenti antiveder potrai,
Poichè le pigre ad eccitar già s’ode
Un fremer sordo, e un bellico fragore,
Che il rotto squillo de le trombe imita:
Di qua di là con trepido tumulto
Attruppando si van, le stridul’ali
Snodan vibrando, e arruotano co i rostri
I lor pungoli acuti, e braccia e piedi
Atteggiano a pugnar: schieransi dense
Ai re d’intorno, e da la tenda il noto
Segno aspettando con querriero strido
Sfidano a l’armi le falangi ostili.
Ed ecco al primo estivo dì, che in cielo
Spunta sereno, ne gli aperti campi
Slanciansi fuor de le porte, e a fronte
Già stansi; arde la zuffa, ed alto in aria
Ne ronza il suono, agglomerate in globo
Pugnano, e giù precipitando a terra
Piombano estinte, né si spessa cade
La grandine dal ciel, nè in tanta copia
Da scossa quercia piovono le ghiande.
Distinti a l’ali d’oro i re per mezzo
Van de le schiere, e intrepidi pugnando
Chiudono in picciol seno anima grande,
Ostinati a non cedere, se prima
O l’uno o l’altro vincitor non forzi
L’oste fuggendo a rivoltar le spalle.
Ma quest’ire feroci, e sì gran guerra
Un pugno ammorza di scagliata arena.
Poiché i due re da la battaglia avrai
Tratti, uccidi il peggior, che a i fiori e al mele
Prodigo nuocerebbe, e in vôta reggia
L’altro poi solo a governar rimanga.
Di due specie ve n’ha: d’aureo colore
Ad un l’ali biondeggiano, e di squame
Lucide ei brilla, e di leggiadre membra,
Ed è questo il miglior; deforme ha l’altro
E sozzo aspetto, e neghittoso a stento
Sul suolo il ventre tumido strascina.
Come diversi i re, diverso è pure
Il popolo de l’api; altre son turpi,
Livide, e come i glutinosi sputi,
Che trae da l’arse ed assettate fauci
Il polveroso viaggiator; son altre
Lucide, e d’oro fiammeggianti, ed hanno
D’eguali macchie colorato il corpo.
Tu queste eleggi, e in sua stagion ne avrai
Più dolce il mel, più liquido, e de i vini
Più quindi acconcio a mitigar l’asprezza.
Ma quando incerti e vagabondi i sciami
Van per l’aria scherzando, e vôti e freddi
Lasciano i favi, e in abbandon gli alberghi,
Tu la licenza raffrenar procura
De l’incostante popolo; né il farlo
Difficile sarà, solo che l’ali
Tarpinsi a i re; che se rimangon essi,
Niuna oserà lungi scostarsi, o svelte
Dal campo altrove trasportar le insegne.
E a rimanerne le lor celle invito
Facciano pure gli odorosi fiori
De l’ameno orticel; dove custode
Sieda Priapo con la falce in mano
Gl’ingordi augelli a spaventare, e i ladri.
Quel poi; che cura avrà de l’api, ei timo
Semini intorno a gli alvëari, e pini
Vi trasporti da i monti, egli la mano
Incallisca al lavor, rivesta il suolo
D’utili piante, e sovra i fiori e l’erbe
Prodigo versi i fecondanti umori.
“Le Georgiche (in latino Georgica, dal greco γεωργικός, "abile contadino", o, più semplicemente, "agricoltura") sono un poema di Publio Virgilio Marone, scritto in esametri, composto tra il 36 e il 29 a.C., diviso in quattro libri dedicati rispettivamente al lavoro nei campi, all'arboricoltura, all'allevamento del bestiame e all'apicoltura, per un totale di 2188 versi. Il titolo molto probabilmente deriva da un'opera del poeta greco didascalico Nicandro di Colofone.
Il genere letterario didascalico era ritenuto privo di alcuna utilità pratica. Questa scelta, nelle intenzioni di Mecenate, aveva un fine ultimo di propaganda, ma Virgilio crea un'opera di pura poesia. Tuttavia si documentò seriamente sulla bibliografia specifica e non si accontentò di consultare il De agri cultura di Catone o l'appena pubblicato De re rustica di Marrone, ma risalì fino a Le Opere e i Giorni del poeta greco Esiodo, alle Georgiche del poeta greco Nicandro, all'Economico dello storico greco Senofonte.
Nato in Grecia con Esiodo, il poema didascalico aveva assunto un suo stile particolare, elevando a linguaggio poetico quello che era un idioma tecnico specifico. L'opera richiese un lungo periodo di composizione nella tranquillità della dimora napoletana, dal 37 al 29 a.C., anno in cui Virgilio, insieme a Mecenate, la lesse a Ottaviano.
Virgilio curò due edizioni dell'opera: una intorno al 29 e una dopo il 26 a.C.; nella seconda sostituì con il mito di Aristeo, o con la sola favola di Orfeo e Euridice, l'elogio per Gallo, che si era suicidato in Egitto dopo aver perso il favore di Augusto. Questa ultima è l'edizione che è giunta.”
(Con video in sites.google.com)
- Dalle Georgiche un film:
"Георгики / Georgica" (1998, HD, Субтитры)
Georgica è un film drammatico estone del 1998 diretto da Sulev Keedus. Il film prende il nome dall'omonima poesia di Virgilio.
L'azione si svolge nell'Estonia del secondo dopoguerra. Un vecchio vive da solo su un'isola deserta che gli aerei da combattimento sovietici usano per esercitazioni notturne. Un giovane ragazzo trascurato, divenuto muto, viene bandito dalla terraferma e inviato sull'isola per tenere compagnia al vecchio. Entrambi sono ossessionati dai ricordi, il ragazzo di sua madre e il vecchio degli anni prima della prima guerra mondiale trascorsi da giovane missionario in Africa.
Sceneggiatura: Sulev Keedus, Madis Kõiv, da Publius Vergilius Maro. Fotografia: Rein Kotov Film. Montaggio: Kaie-Ene Rääk. Musiche: Ariel Lagle. Cast: Evald Aavik - Jakub Mait. Merekülski - Maecenas (ragazzo). Ülle Toming - madre.
“Publio Virgilio Marone
Nel 70 avanti Cristo, nelle Idi di ottobre, (15 ottobre) Publio Virgilio Marone nacque ad Andes, presso Mantova. Compiuti i primi studi a Cremona e a Milano, Virgilio, ancora giovinetto, approdò finalmente nella grande Roma; avviato a una carriera forense che tuttavia non si confaceva alla sua timidezza, era destinato ad incontrarsi con i maggiori intellettuali ed aristocratici del tempo, tra cui Mecenate e il futuro imperatore Augusto. Nemmeno la tumultuosa e caotica vita della capitale si rivelò adatta ad un animo desideroso di pace che spesso colto dalla nostalgia per i semplici costumi della terra natia, per sempre abbandonati. Fu così che se ne andò a Napoli, a frequentare il celebre cenacolo del filosofo epicureo Sirone, sperando probabilmente di staccarsi dagli eventi mondani, in una sublimazione eterea del reale. Nel frattempo, all'indomani dell'uccisione di Giulio Cesare, le guerre fratricide non cessarono di creare nuovi scompigli. I triumviri, tra il 42 e 41 avanti Cristo, ordinarono una confisca di terre in vista della distribuzione di lotti agricoli ai veterani congedati. Ed è qui che la storia del poeta si incrocia con quella del nascente Impero. Il piccolo podere di famiglia rientrò infatti nel grandioso piano della divisione delle terre e il dolore dei contadini che si videro espropriare i propri possedimenti echeggia nelle struggenti note della poesia virgiliana, in modo particolare nelle Bucoliche.
Dal 37 al 29 a.C. furono composte le Georgiche nelle quali il poeta, dopo aver cantato l'Idillio di un idealizzato mondo pastorale in cui soltanto a tratti riusciamo a scorgere la realtà del paesaggio mantovano, esalta il lavoro nei campi come una delle più alte dignità umane, il quotidiano sacrificio dei contadini, la generosa abbondanza della madre terra, aderendo così ad un programma politico che voleva deliberatamente aggrapparsi ai valori della campagna, così da sfuggire alla corruzione dei tempi.
Con l'Eneide il sommo poeta diede alla luce il capolavoro che gli doveva guadagnare fama paragonabile a quella di Omero. Attraverso innumerevoli espedienti poetici ed una abilissima operazione di recupero dei miti tradizionali, Virgilio evitò in qualunque momento del poema di lodare in modo diretto il committente dell'opera, il potente imperatore Augusto, la cui stirpe, quella della nobilissima gens Iulia, veniva miracolosamente a riallacciarsi ad Ascanio/Iulio, a suo padre il pio eroe troiano Enea, e la madre di quest'ultimo, la dea Venere.
Il più illustre cantore delle glorie di Roma non fu mai completamente soddisfatto dalla sua Eneide; non era destino, tuttavia, che egli potesse apportavi i cambiamenti che riteneva necessari. Di ritorno da un viaggio in Grecia il poeta morì a Brindisi, il 21 settembre del 19 a.C. Fu sepolto a Napoli sulla via per Pozzuoli; qui, un ignoto appose quella famose epigrafe che la tradizione avrebbe attribuito inevitabilmente allo stesso Virgilio: "Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc / Parthenope; cecini pascua rura duces"
Popolare già in vita il grande maestro dopo la morte acquistò immediatamente una fama senza limiti. Il medioevo cristiano ne fece una sorta di mago e fu lo stesso Dante a consacrarlo "maestro e dottore", scegliendolo come guida nel suo viaggio ultraterreno.”
“Parla di lui Giorgio Manganelli, saggista e scrittore, che recensisce sulle colonne de “La stampa” l’edizione delle Bucoliche virgiliane con traduzione di Luca Canali e ne approfitta per riflettere sull’opera di Virgilio in generale. Manganelli giunge così a una constatazione importante, che troppo spesso si tende a dimenticare: le Bucoliche sono un testo violento, che parla della vita di tutti noi, hanno un contenuto simbolico e ‘morale’ che va oltre la pura lettera del racconto.
“Nell’infanzia di molti di noi pesa una Grande Immagine, insieme domestica ed esotica, infantile e gigantesca: il presepio. Il presepio accoglie e giustappone immagini di bizzarra e pure non ostile estraneità; vi sono pastori e re, uomini della terra, e araldici magi, contemplatori dei cieli e interpreti dei segni dei tempi. Vi sono uomini pii e predoni, e l’erba è fitta e alta, gli alberi si affollano in modo antiscientifico - pini, faggi e banani - e animali miti, ingenui si mescolano, in una solenne sospensione dei tempi, con le belve e i predatori dell’astuzia. Al centro di questa macchina allegorica sta un che di poderoso e misterioso, qualcosa che possiamo conoscere come l’infinita gentilezza, la grazia minuscola ed inesauribile, ed anche come la promessa della violenza e della tragedia: accanto al profumo della lana e del latte fresco, urge e ferve un presentimento di sangue.
Chiunque abbia per primo fantasticato questa immobile e tesa “rappresentazione” ha, forse ignaro, forse inconsapevole ma non ignaro, evocato una figura colta e difficile, che nel trascorrere dei tempi conobbe molti e contrastanti mascheramenti: l’Arcadia. L’Arcadia è molte cose e, come nella botanica fantastica del presepio, si tratta di cose stranamente raccolte. Fu in primo luogo una regione del Peloponneso: la geografia può dare qualche non volgare piacere letterario. In quell’Arcadia, di clima sgarbato e contadini poveri, ma flautisti ottimi, vi erano santuari di una sacralità terribile: chi entrava nel tempio di Zeus sul Lycaeon veniva lapidato; a Figalia, dove sopravvive un mirabile tempio deserto di uomini e numi, una Signora Nera, che era Demetra, veniva venerata in una figura con testa di cavallo; infine, era la regione del dio Pan.
Ad un certo punto quella terra aspra e mitica divenne, più di qualsiasi altra regione della Grecia, un puro simbolo; pur essendoci, conquistò il grado del non essere fisico, dell’essere puramente mentale. La vita simbolica di quell’oscura provincia fu enorme; ed alla fine si estinse in una immagine di delicata e frivola pastorelleria. Come si usa dire oggi, l’Arcadia venne “consumata”. Ma quel consumo fu lungo.
"L’Arcadia venne scoperta nell'anno 42 o 41 a.C." scrive Bruno Snell, che è uomo d’onore (La cultura greca e le origini de pensiero europeo, Einaudi, ristampa ’77). E aggiunge: “Questo paese venne scoperto da Virgilio”. Ma che cosa “scoperse” Virgilio, e perché ciò che scoperse si chiamava Arcadia? E perché mai non lo scopersero i Greci? Teocrito, maestro di poesia bucolica nei suoi idilli nomina solo tre volte l’Arcadia: ma una di queste citazioni (lI, 48) val la pena di recuperarla; in Arcadia, scrive, prospera lo hippomanès fytòn, la Datura, l’erba di cui i cavalli sono avidi e che li fa impazzire. E’ una immagine selvaggia che sa di magia e di veleni. L’Arcadia che Virgilio venne lentamente “scoprendo” nel lungo lavoro - quattro anni - delle dieci Bucoliche non era un luogo di morbidi ozi, di amori felici, una isola di Citera ignara di affanni, una sorta di Eden non consolato e non minacciato dalla divinità. Chi le rilegge ora, magari molti anni dopo un dimenticato liceo, ha la sorpresa di trovarsi per le mani un testo irrequieto, drammatico, enigmatico, segreto, di estrema eleganza e di continua nascosta violenza, un testo intensamente doloroso ma non mai sentimentale, nel quale tutte le emozioni si fermano nella pace ben disegnata di una cerimonia.
E’ uscita ora, in una nuova collana della BUR (Rizzoli) dedicata alla poesia, una edizione delle Bucoliche, che al testo latino giustappone la nitidamente elegante traduzione di Luca Canali. La scuola, che non ne combina mai una buona, faceva leggere le Bucoliche tra i primi classici facili, poco dopo il solito Tibullo. Di conseguenza, di questo testo rimane un ricordo musicale, un po’ languido, fatto di flauti, di pastori che mangiano ricotta e castagne molli. In nota si trovava qualche precisazione storica: espropri, guerre civili, veterani, Augusto. Possiamo, forse, legittimamente chiederci che cosa è mai, oggi, per chi si occupa di lettere, questo straordinario, esile volume vecchio di duemila anni. Che non sia niente di quel che abbiamo creduto di imparare a scuola, pare ovvio; ma anche molti clichés tradizionali non ci sembrano persuasivi. Mi permetto di non credere che la poesia delle Bucoliche sia “poesia della natura”. Certo, ci sono i faggi, le selve, le fonti, le api, c’è tutta la mobilia della Natura. Ma non dimentichiamo: questa Arcadia ha traslocato; non si è trasferita dalla Grecia al Mantovano, ma ha cambiato livello, è uscita da un piano di realtà, ha avuto accesso al piano della irrealtà. La luce dell’irreale tocca ed illumina tutti gli oggetti, e tutte le figure. I ligustri hanno una esistenza fonica, i fonti sono pura scenografia, il luogo della rappresentazione. Non sono falsi, sono inventati, e poco conta che siano uguali ai fonti, ai ligustri tangibili e perituri. La “natura” virgiliana delle Bucoliche trasuda potenza magica, le immagini sono numi, il disegno che si forma ha la difficile e occulta arguzia del labirinto. E’ il labirinto che fa il libro, non le siepi di bosso che fanno il labirinto, e che senza di esso non potrebbero mai esistere. Essendo l’Arcadia virgiliana una regione mentale, essa è tendenzialmente immobile. Si dirà che vi sono tracce, e molto evidenti, di angustie storiche; ma per noi lettori di oggi, lo straordinario non è già la presenza clandestina della storia, ma il modo come quella tragedia del quotidiano si è sciolta in una pura allusione, in un racconto non scritto. Le Bucoliche sono fitte di racconti, forse di romanzi non scritti: nomi evocati e lasciati cadere, rapidi affanni del ricordo; sono, in gran parte, racconti d'amore. Ed eccoci prossimi al centro del labirinto bucolico: l’Arcadia non è luogo di passioni placate, ma furibonde; l’amore è “dementia, furor, exitium”: smania e morte. L’ottava egloga racconta il suicidio di Damone, che ha “imparato che mai sia Amore”, nato “tra aspri macigni”, e le magherie che il pastore magico Alfesibeo tesse in pro’ di una donna abbandonata; giacché la magia può “evocare anime dal fondo dei sepolcri”. In un dolcissimo verso, che ha dato gran da fare a filologi disinnamorati, Virgilio raccoglie le contraddizioni amorose: “chiunque / temerà le delizie d'amore o ne proverà le amarezze” (III, 110) “amores / metuet dulces...”.
Ma in questa selva Arcadica, lacerata dalla memoria del mondo, e dalla demenza dell’amore, percorsa da formule di magia potente, soffiano venti intensi, che vengono si ignora donde: i grandi, criptici venti del cosmo e dell'eterno. Nella sesta egloga un Sileno mitemente ebbro ripete la nascita del mondo e, per allusioni - altri racconti non raccontati - tocca una serie di grandi miti. Testo misterioso, il canto di Sileno sembra essere il catalogo dionisiaco del modo sacro di esistere del cosmo, come può essere inteso in quel tempio inaccessibile che è questa Arcadia. Ancora più occulta, la quarta egloga - letta per secoli come un profetico annuncio del cristianesimo imminente - ci appare come una pura “profezia”, intesa come genere letterario e come modo di intendere il significato del tempo, il mito del “futuro”, che imporrà all’Arcadia un’ulteriore trasformazione, una sublimazione di cui l’Arcadia poetica appare come una tappa in un ignoto itinerario.
L’Arcadia “scoperta” da Virgilio è dunque un luogo severo, aspro violento, passionale; turbato da magie e sommosso da un poderoso destino profetico. Le piaghe del mondo lo raggiungono senza ferirlo. Questa Arcadia è, infatti, un tessuto impossibile a lacerare, un tessuto di parole. Al centro del labirinto sta il dio Pan: Dio solitario, rapinoso, “dio dello stupro” l’ha definito Hillman (Saggio su Pan, Adelphi), ma anche dio della musica, degli strumenti musicali, dei ritmi. Tutte le egloghe sono musicali, cioè trasformano in suono, consumano in una modulazione perfetta tutta la violenza che è l’Arcadia. La trasparenza, la lenta insinuazione del discorso, direi l’uso fonico dei silenzi, delle pause, delle interpunzioni, ha di rado raggiunto una così limpida precisione di gesti. Nella letteratura italiana, mi vien fatto di pensare ad un testo che deve molto a questo Virgilio: l’Aminta del Tasso. Vorrei chiudere questo accenno alla magia bianca delle parole con un esempio: la prima egloga finisce con un famoso verso: “maioresque cadunt altis de montibus umbrae” (“e più lunghe dall'alto dei monti discendono le ombre”); gli ultimi tre versi dell’ultima sono una perfetta variazione sul tema, con una sostituzione che avviene solo quando il motivo è nitidamente fissato:
Surgamus. Solet esse gravis cantantibus umbra,
iuniperi gravis umbra: nocent et frugibus umbrae.
Ite domum saturae. venit Hesperus, ite capellae.
[Alziamoci. L’ombra di solito nuoce a coloro che cantano,
nociva è l’ombra del ginepro. L’ombra nuoce alle messi.
Tornate sazie alle stalle, capre, Espero sorge].
Al centro del labirinto d’Arcadia sta una triplice “umbra” magica, una angustia “gravis”, amara, che la mite esattezza del canto trasforma nell’ambigua, notturna e luminosa apparizione di Espero, l’astro lontano che è il sole arcadico. “Umbrae”: l’Arcadia svanisce in un profilo indecifrabile, una melodia di dèi la conduce all’esistenza del sonno, dei sogni.”
21 settembre 19 a.C. - Muore a Brindisi Publio Virgilio Marone.
Un fatto al giorno
21 settembre 1976: a Washington l'ex ministro del governo di Salvador Allende, Orlando Letelier, viene assassinato tramite una bomba collocata nella sua automobile.
“Orlando Letelier del Solar (Temuco, 13 aprile 1932 - Washington, 21 settembre 1976) è stato un diplomatico e politico cileno, attivista politico contro la dittatura di Augusto Pinochet. Fu assassinato a Washington da agenti segreti della DINA la Dirección de Inteligencia Nacional (Direzione Nazionale dei servizi segreti del Cile), la polizia segreta di Augusto Pinochet, che fu probabilmente il mandante dell'omicidio.
Nacque a Temuco, figlio più giovane di Orlando Letelier Ruiz e Inés del Solar. Studiò allo Instituto Nacional e a sedici anni entrò nell'Accademia Militare Chilena, dove concluse l'istruzione secondaria. Abbandonò poi la carriera militare per iscriversi all'Università del Cile, dove fu laureato avvocato nel 1954. Nel 1955, entrò a far parte del nuovo Ufficio del rame (Departamento del Cobre, oggi CODELCO), dove lavorò fino al 1959 come analista e ricercatore. Fu quindi licenziato per aver appoggiato la seconda campagna elettorale presidenziale di Salvador Allende, che in quell'occasione fu sconfitto.
La famiglia Letelier dovette riparare in Venezuela, dove Orlando divenne consulente per il rame del ministro delle finanze. Da lì, Letelier si fece strada fino a entrare a far parte fin dalla fondazione della Banca interamericana per lo sviluppo, dove finì col diventare senior economist e direttore della divisione prestiti. Fu anche uno dei consulenti dell'ONU responsabili della fondazione della Banca di Sviluppo Asiatico. Sposò Isabel Margarita Morel Gumucio il 17 dicembre, 1955, dalla quale ebbe quattro figli: Christian, Jose, Francisco, e Juan Pablo.
Il suo debutto nella vita politica avvenne all'Università del Cile, dove fu il rappresentante dell'Unione degli Studenti. Nel 1959 si iscrisse al partito socialista (PS). Nel 1971 il Presidente Allende lo nominò ambasciatore negli Stati Uniti riconoscendogli qualità peculiari di leadership, piuttosto rare tra i rivoluzionari latinoamericani dell'epoca: tra le altre, la sottile comprensione delle complesse politiche americane e la profonda conoscenza, dall'interno, dell'industria del rame, materia prima strategica per il Cile. La sua missione specifica consisteva proprio nel far accettare agli Stati Uniti la recente nazionalizzazione cilena di quell'industria.
Nel corso del 1973 Letelier fu richiamato in patria, dove divenne ministro degli affari esteri, poi dell'interno e infine della difesa. Nel colpo di Stato dell'11 settembre 1973 fu il primo membro di alto livello dell'amministrazione Allende a essere fermato e arrestato al suo arrivo al Ministero della difesa. Rimase per 12 mesi in diversi centri di detenzione, dove subì pesanti torture: prima fu portato nella caserma del Reggimento Tacna, poi all'Accademia militare; successivamente, rimase per 8 mesi in una prigione politica sull'isola di Dawson.
Di lì venne trasferito all'Accademia militare aeronautica, e infine nel campo di concentramento di Ritoque, dove venne infine improvvisamente liberato nel settembre del 1974 per le pressioni del Governatore di Caracas Diego Arria, alla condizione che lasciasse immediatamente il Cile. Dopo il rilascio, riparò dapprima con la famiglia a Caracas, per poi scegliere di trasferirsi a Washington, come gli aveva proposto di recarsi lo scrittore statunitense Saul Landau. Ci arrivò nel 1975, per diventare membro esperto dell'Institute for Policy Studies (Istituto di studi politici, in sigla IPS), un centro di ricerca sulla politica internazionale di derivazione kennedyana, al quale talvolta collaborava lo stesso Landau.
Divenne anche direttore del Transnational Institute (TNI), un centro di ricerca indipendente con sede ad Amsterdam, e insegnò alla Scuola per il servizio internazionale dell'Università Americana di Washington. Lavorò intensamente, scrivendo, tenendo discorsi e organizzando gruppi di pressione sul Congresso americano e i governi europei contro il regime di Pinochet, diventando in breve la voce più ascoltata della resistenza cilena. In più occasioni riuscì a evitare che governi europei, e gli stessi Stati Uniti, sostenessero finanziariamente il governo militare.
Il 21 settembre 1976, a Washington, Orlando Letelier stava andando al lavoro con Ronni Karpen Moffitt, una collega dell'IPS, e suo marito Michael, sposato quattro mesi prima. Moffitt era un'attivista venticinquenne, procacciatrice di fondi che all'epoca gestiva un programma di aiuti per sviluppare l'educazione musicale tra i poveri, producendo strumenti musicali, fortemente impegnata nelle campagne per il ripristino della democrazia in Cile. Letelier era al volante con al fianco Ronni, mentre Michael sedeva sul sedile posteriore.
Appena entrati in Sheridan Circle, un'esplosione sollevò l'auto dalla strada, scagliandola contro una Volkswagen parcheggiata in divieto di sosta davanti all'ambasciata irlandese. Michael Moffitt riuscì a uscire dal lunotto posteriore. Vide sua moglie allontanarsi barcollando dall'auto e presumendo che stesse bene cercò di aiutare Letelier. Lo trovò ancora sul sedile di guida, sofferente e appena cosciente. La testa oscillante, gli occhi quasi vitrei, balbettava parole inintelligibili. Moffitt cercò di portarlo fuori dalla macchina, ma non ci riuscì, sebbene l'esplosione ne avesse devastato la parte inferiore del corpo, mozzandogli le gambe.
A quel punto, si dedicò a Ronni, che era sdraiata a terra, soccorsa da un medico che stava passando in auto al momento dell'attentato. Ronni perdeva molto sangue dalla bocca. Entrambi i feriti furono quindi trasportati in ospedale, dove venne scoperto che un frammento metallico aveva reciso la carotide della donna. Ronni soffocò nel proprio sangue 47 minuti dopo la morte di Letelier, mentre miracolosamente suo marito aveva riportato solo una ferita leggera alla testa. Michael Moffitt ritenne che la bomba fosse esplosa alle 9,30 del mattino. Le cartelle dell'ospedale riportano alle 9,50 la morte di Letelier e alle 10,37 quella di Ronni Moffitt. La causa per entrambi fu riportata essere per ferite da esplosione di una bomba piazzata sotto la macchina all'altezza del sedile del guidatore.
L'FBI aveva concreti elementi per ritenere che Michael Townley, un emigrato statunitense in forza alla DINA, che in passato aveva collaborato con la CIA, avesse organizzato l'assassinio di Letelier. Townley e Armando Fernandez Larios, che pure era implicato nell'omicidio, avevano ottenuto i visti d'ingresso da George Landau, ambasciatore statunitense in Paraguay, su richiesta del governo paraguaiano e a dispetto del fatto che entrambi esibissero passaporti falsi. Nel 1978 il Cile accettò di estradare Townley negli Stati Uniti.
Durante il processo che si celebrò, Townley confessò di aver assoldato cinque esiliati cubani anticastristi per piazzare la bomba sotto l'auto di Letelier. Secondo Jean-Guy Allard vi furono consultazioni con dirigenti del CORU, una struttura di coordinamento tra esiliati cubani anticastristi che l'FBI ha ufficialmente definito terrorista, Coordination of United Revolutionary Organizations tra i quali Luis Posada Carriles e Orlando Bosch. Alla fine, per eseguire l'attentato furono scelti i cubano-americani José Dionisio Suárez, detto 'Massacro', Alvin Ross Díaz, Virgilio Paz Romero, e i fratelli Guillermo e Ignacio Novo Sampoll.
Secondo il Miami Herald, Luis Posada Carriles partecipò personalmente all'incontro che mise a punto i particolari dell'omicidio di Letelier e anche l'attentato al volo Cubana 455 di due settimane dopo. Townley accettò di fornire le prove contro gli indiziati dopo un accordo che prevedeva che si dichiarasse colpevole di un solo capo di accusa per concorso in omicidio, per il quale avrebbe ricevuto una condanna a dieci anni. Sua moglie Mariana Callejas accetto anch'essa di testimoniare contro di loro, in cambio del proscioglimento.
Il 9 gennaio 1979, cominciò il processo contro i fratelli Novo Sampoll e Diaz (il generale Pinochet aveva rifiutato di fare estradare Romero e Suarez, che erano funzionari della DINA). I tre imputati furono ritenuti colpevoli di omicidio. Guillermo Novo e Diaz ebbero l'ergastolo, mentre Ignacio fu condannato a ottanta anni di carcere. Townley venne liberato alle condizioni del Programma di protezione dei testimoni. Nel 1987, Larios fuggì dal Cile con l'aiuto dell'FBI, sostenendo di temere che Pinochet progettasse di assassinarlo, dato che si era rifiutato di prender parte ad azioni di spionaggio legate all'assassinio di Letelier.
Il 4 febbraio 1987, Larios si dichiarò colpevole di complicità nell'assassinio. In cambio della confessione e delle informazioni fornite sul complotto ordito contro Letelier, le autorità americane ritirarono le accuse contro di lui. Diverse altre persone furono inquisite e condannate per l'omicidio. Tra le altre, il generale Manuel Contreras, già capo della DINA, di cui faceva parte anche Pedro Espinoza Bravo. Entrambi vennero condannati da una corte cilena il 12 novembre 1993, rispettivamente a sette e sei anni di reclusione. Pinochet, che morì il 10 dicembre 2006, non è mai stato processato, sebbene anche Townley l'avesse indicato come responsabile dell'attentato.
La presunzione che gli Stati Uniti sapessero in anticipo dell'attentato a Letelier si basa sulla corrispondenza del loro ambasciatore in Paraguay George Landau con il Dipartimento di Stato e altre agenzie governative. Quando Townley e il suo complice cileno cercarono di ottenere in Paraguay visti di categoria B2 per gli Stati Uniti, a Landau venne fatto sapere dai servizi segreti paraguaiani che scopo del viaggio era incontrare il generale Walters per questioni di competenza della CIA. Landau, insospettito da queste informazioni, telegrafò in patria per verificarle. I visti vennero revocati dal Dipartimento di Stato il 9 agosto 1976. Tuttavia, sotto gli stessi nomi, i due agenti della Dina avrebbero usato falsi passaporti cileni con visti diplomatici A2 per arrivare negli Stati Uniti e liquidare Letelier.
Lo stesso Townley sarebbe fuggito negli Stati Uniti con un altro passaporto cileno falso, e sotto altro nome. Landau però aveva tenuto copia delle richieste di visto che gli erano pervenute in Paraguay, e questo permise di documentare successivamente il coinvolgimento di Townley e della Dina con le richieste dei visti. Il 25 ottobre 1976 l'opinionista americano William F. Buckley, Jr. scrisse: "Gli investigatori statunitensi pensano che non sia verosimile che il Cile abbia voluto rischiare il rispetto che si era faticosamente guadagnato negli ultimi anni tra le nazioni occidentali inizialmente ostili alla sua politica con un'azione di questo tipo". Secondo Donald Freed, Buckley ha riciclato depistaggi fatti trapelare dal regime di Pinochet fin dal 1974.
Ha anche scoperto un'informativa che adombrava la possibilità che il fratello di Buckley, James, si fosse incontrato a New York con Townley e Guillermo una settimana prima dell'attentato a Letelier. Secondo John Dinges, coautore di Assassinio in Via dell'Ambasciata, documenti resi pubblici nel 1999 e 2000 provano che "la CIA avesse piena conoscenza del complotto assassino almeno due mesi che fosse messo in atto, ma omise di agire per impedirlo". Sapeva anche di un piano uruguaiano per uccidere il congressista Edward Koch, ma lo avvertì solo dopo la morte di Letelier.
Kenneth Maxwell sottolinea come i politici statunitensi fossero a conoscenza non solo dell'Operazione Condor ma in particolare che "...un gruppo cileno stesse organizzando il modo di entrare negli Stati Uniti". Un mese prima dell'assassinio di Letelier, Kissinger ordinò "... che i governanti sudamericani coinvolti devono essere informati del fatto che l'assassinio di sovversivi, politici e figure preminenti, sia dentro sia fuori i confini di certi paesi del Cono Sud creerebbe un serissimo problema morale e politico". Nella sua recensione dei libri di Peter Kornbluh Maxwell scrisse: "Apparentemente, questa direttiva non fu trasmessa: l'ambasciata degli Stati Uniti a Santiago obiettò che un monito così severo avrebbe irritato il dittatore, e che il 20 settembre 1976, alla vigilia dell'assassinio di Letelier e del suo assistente Ronni Moffitt, "il Dipartimento di Stato aveva dato disposizione agli ambasciatori di non intraprendere ulteriori azioni nel quadro dell'Operazione Condor [Maxwell, 2004,)
(Articolo completo in: wikipedia.org)
“Omicidio di Orlando Letelier, ministro di Salvador Allende, ad opera della Cia e del regime militare cileno.
Erano le 9 del 21 settembre 1976 quando l’auto di Orlando Letelier esplose ad un paio di chilometri dalla Casa Bianca: per il ministro di Salvador Allende e la sua segretaria, Ronni Moffitt, non ci fu scampo. Letelier si trovava in esilio a Washington, ma non aveva fatto i conti con la fase tre del Plan Condor, il piano ideato dai regimi militari del continente latinoamericano per eliminare gli oppositori politici ovunque essi si trovassero. Il terzo livello consisteva proprio nel compiere omicidi politici su ordine della giunta pinochettista ai danni di esiliati che avevano trovato rifugio all’estero: per svolgere questa operazione alla Moneda non si fecero scrupoli e misero in contatto la Dina (Dirección de Inteligencia Nacional, la polizia politica cilena) con i gruppi paramilitari degli altri paesi che avevano aderito al Plan Condor e con i mercenari al soldo dell’ultradestra cubana.
Fu Guillermo Novo a schiacciare il tasto che nel giro di pochi secondi avrebbe fatto saltare in aria l’auto di Orlando Letelier, rifugiatosi negli Stati Uniti a seguito del golpe militare che aveva rovesciato il governo di Salvador Allende e la sua Unidad Popular. L’attentato compiuto contro Letelier fu opera dei gruppi terroristi che agivano per destabilizzare Cuba (ad esempio il Movimento Nacionalista Cubano, a cui apparteneva lo stesso Novo), della Dina, ma soprattutto della Cia, sotto la cui guida avvennero omicidi politici come quello del ministro degli Interni, delle Relazioni Internazionali e della Difesa, rimasto fedele a Salvador Allende.
Letelier aveva ingaggiato una coraggiosa battaglia contro il regime pinochettista, tanto che al momento del colpo di stato fu arrestato e confinato nell’isola di Dawson, vicino all’Antartide. Fu grazie alle pressioni internazionali che Orlando Letelier, il quale aveva ricoperto anche la carica di ambasciatore negli Stati Uniti, fu rimesso in libertà e approdò in Venezuela: da lì giunse negli Stati Uniti. Fu Pinochet in persona a togliergli la cittadinanza cilena, senza però aver messo in conto la replica di Letelier: “Nací, soy y moriré Chileno. Pinochet nació fascista y traidor y así vivirá, morirá y será recordado”. Al tempo stesso gli Stati Uniti, che avevano concesso asilo al ministro di Allende, avallarono le peggiori trame ai danni della democrazia cilena e latinoamericana. Poco dopo l’assassinio di Letelier Bush padre, allora a capo della Cia, liquidò così la questione senza alcuna vergogna: “Fu un regolamento di conti nella sinistra”, disse. In realtà i legami tra la dittatura cilena e la Cia sono facilmente comprovabili, a maggior ragione a seguito della declassificazione di alcuni documenti che evidenziano il ruolo di Henry Kissinger nell’omicidio: l’allora segretario di stato Usa (sotto la presidenza di Gerald Ford) avrebbe potuto prevenire l’attentato, ma non lo fece. Kissinger dette l’ordine ai funzionari della Cia di non avvisare il Cile su una serie di assassinii di carattere politico che si stavano preparando e di non muovere un dito. A differenza di quanto ha sempre sostenuto lo stesso Kissinger, la Cia e il Dipartimento di Stato americano, tutti erano a conoscenza del Plan Condor. Il giornalista John Dinges, direttore di Archivos Chile, e Peter Kornbluh, direttore dell’omonimo Nacional Security Archive negli Stati Uniti, raccontano che l’ordine di Kissinger partì il 16 settembre 1976, cinque giorni prima che Letelier venisse assassinato.
Nei loro libri, Operación Condor: una década de terrorismo internacional en el Cono Sur, e Pinochet: los archivos segretos, Dinges e Kornbluh scrivono che ci sono almeno trenta documenti declassificati della Cia in cui è testimoniato come gli Stati Uniti non avessero alcuna intenzione di intraprendere azioni contro i paesi del Plan Condor per tutelare gli oppositori politici, anzi: il timore è una “cubanizzazione” dell’America Latina. Tuttavia Guillermo Novo (implicato nel 2000 anche in un attentato all’Università di Panama che avrebbe dovuto uccidere Fidel Castro, oltre ad aver cercato di far fuori Ernesto Che Guevara durante una sessione Onu a cui partecipava il comandante in persona nel 1964), condannato a soli sette anni di carcere, non è certo l’unico mercenario professionista ad agire a libro paga Cia. La rete che agiva a livello continentale per creare un’internazionale nera in America Latina godeva di ampio sostegno (solo per fare qualche nome Posada Carriles, Orlando Bosch, José Basulto, Rodolfo Frómeta), come già avvenne in occasione degli omicidi del generale democratico René Scheneider e di Carlos Prats: quest’ultimo fu assassinato a Buenos Aires nel 1974. Entrambi erano rimasti legati a Salvador Allende.
Un ruolo decisivo nell’operazione condotta contro Letelier fu svolto dal Frente de Liberación Nacional de Cuba, un’organizzazione terroristica sorta nel 1974 e composta da membri dell’Asociación de Veteranos de la Bahía de Cochinos (la Baia dei Porci), nota come Brigada 2506: fu proprio il loro presidente, Juan Pérez Franco, ad ammettere che il Cile aveva messo a loro disposizione dei campi per l’addestramento paramilitare. Grazie alle indagini della giustizia cilena sulla morte di Ronni Moffitt (collaboratrice ventiseienne di Letelier presso l’Instituto de Estudios Políticos), richieste dall’Agrupación de Familiares de Ejecutados Políticos, è emerso che svolse un ruolo di primo piano anche Manuel Contreras, massimo rappresentante della Dina, insieme ad alcuni suoi scagnozzi. La giustizia cilena è intervenuta perché nell’omicidio di Letelier e Moffit svolsero un ruolo di primo piano gli agenti della polizia politica pinochettista, nonostante la giovane fosse di nazionalità statunitense. Non solo: la compagnia aerea cilena Lan Chile (di cui adesso è proprietario l’attuale presidente uscente cileno Sebastian Piñera, che si è sempre dichiarato un sostenitore di Pinocho ed ha militato nei partiti di estrema destra) fornì già nel 1975 tre pasajes abiertos all’addetto culturale cileno a Miami, Héctor Durán, e a Frank Castro Paz, uno dei più noti terroristi anticubani, fin dal 1975.
Il destino di Orlando Letelier era quindi segnato da tempo. Il 9 settembre 1976 gli Usa accolsero Michael Townley, agente della Cia al servizio della Dina di ritorno da Santiago del Cile insieme ad alcuni componenti del Movimento Nacionalista Cubano, a cui apparteneva anche un altro autore materiale dell’attentato di Washington, José Dionisio Suárez, colui che avrebbe collocato la bomba sotto l’auto di Letelier e Moffit. Townley aveva già numerosi contatti con la mafia cubano-americana di Miami fin dal 1967 e successivamente agì in collaborazione con i paramilitari fascisti cileni di Patria y Libertad, gli stessi che hanno salutato con tutti gli onori Pinochet al momento della sua morte. Sempre Townley ebbe contatti anche con Eugenio Berrios Sagredo, alias agente Hermes, anch’esso al servizio della Cia, della Dina, ma anche ufficiale di collegamento con i neofascisti italiani di Avanguardia Nazionale.
Il 21 settembre 1976 Letelier aveva quarantaquattro anni: negli Stati Uniti aveva cominciato a lavorare come ricercatore per l’Instituto de Estudios Políticos. Come ultimo affronto Pinochet non gli concesse la sepoltura in Cile e i suoi resti furono portati nel suo paese dal Venezuela, dove era stato sepolto, solo nel 1994. Settembre è il mese del ricordo di Orlando Letelier: Pinochet lo uccise, ma come gli aveva preannunciato lo stesso Letelier, il generale sarà ricordato come un vigliacco e un traditore del suo paese.”
(David Lifodi in: www.labottegadelbarbieri.org)
Immagini:
- 21 settembre 1976 viene assassinato Orlando Letelier
- Chile's US ambassador remembers DC car bomb that killed his boss - BBC News
Una frase al giorno
“Mi chiedo se resterà una piccola nicchia, anche scomoda, per gli antiquati reazionari come me. I grandi assorbono i piccoli e tutto il mondo diventerà più piatto e noioso. Tutto diventerà una piccola, maledetta periferia provinciale. Quando avranno introdotto il sistema sanitario, la morale, il femminismo e la produzione di massa all'est, nel medio Oriente, nel lontano Oriente, nell'Urss, nella pampa, nel Gran Chaco, nel bacino danubiano, nell'Africa equatoriale, nelle terre più lontane dove esistono ancora gli stregoni, nel Gondhwanaland, a Lhasa e nei villaggi del profondo Berkshire, come saremo tutti felici. Ad ogni modo, questa dovrebbe essere la fine dei grandi viaggi. Non ci saranno più posti dove andare. E così la gente (penso) andrà più veloce. Il colonnello Knox dice che un ottavo della popolazione mondiale parla inglese e che l'inglese è la lingua più diffusa. Se è vero, che vergogna - dico io. Che la maledizione di Babele possa colpire le loro lingue in modo che possano solo dire "baa baa". Tanto è lo stesso. Penso che mi rifiuterò di parlare se non in antico merciano. Ma scherzi a parte: trovo questo cosmopolitanesimo americano terrificante.”
(Sir John Ronald Reuel Tolkien, 1892-1973, scrittore, filologo, glottoteta e linguista britannico. Da: La realtà in trasparenza. Lettere 1914-1973, traduzione di Cristina De Grandis, Rusconi, Milano, 1990, p. 76.)
“TOLKIEN, John Ronald Reuel, filologo e scrittore inglese, nato da genitori inglesi a Bloemfontein (Sudafrica) il 3 gennaio 1892, morto a Bournemouth (Hampshire) il 2 settembre 1973. In Inghilterra dal 1896, studiò a Oxford interessandosi alla filologia e alle antiche saghe e leggende nordiche. Dopo aver partecipato alla prima guerra mondiale, tornò a Oxford, dove insegnò prima inglese medievale (1925-45), poi lingua e letteratura inglese (1945-59).
Frutto del suo interesse filologico sono: A middle English vocabulary (1922), Sir Gawain and the Green Knight (1925), Chaucer as a philologist (1934), Beowulf: the monsters and the critics (1937), Fairy stories, a critical study (1946), The homecoming of Beorhtnoth (1953).
Ma la notorietà internazionale gli venne dal suo essere un vero creatore moderno di miti. Fin dal 1936 aveva pubblicato The Hobbit, che narra le vicende fantastiche del mite e saggio popolo di questo nome, rappresentando la lotta tra bene e male con finale trionfo del bene. Sul medesimo tema si svolge la sua famosa trilogia The fellowship of the Ring, che ebbe inizio con The Lord of the Rings (1954), seguito da The two towers (1954) e The return of the King (1955).
La sua fantasia fertilissima ha creato in questa trilogia la minuziosa e complessa geografia di un paese immaginario e le caratteristiche proprie di ognuno dei molti personaggi, componendo una vera e propria saga che è ormai tradotta in moltissime lingue, e attendendo lungamente (dal 1917) a un epos complessivo di questo mondo mitologico, The Silmarillion (postumo, 1977), cinque lunghi racconti concepiti come capitoli di un'unica "storia sacra".”
(Salvatore Rosati - Enciclopedia Italiana - IV Appendice, 1981)
- Il 21 settembre 1937 J. R. R. Tolkien pubblica Lo Hobbit.
“Lo Hobbit o la riconquista del tesoro (titolo originale: The Hobbit, sottotitolato There and Back Again, ossia "Andata e ritorno"), noto anche semplicemente come Lo Hobbit, è un romanzo fantasy scritto da J. R. R. Tolkien. La sua prima pubblicazione risale al 21 settembre 1937. È seguito da Il Signore degli Anelli (The Lord of the Rings), pubblicato tra il 1954 ed il 1955 in 3 volumi.
Il romanzo presenta alcuni importanti elementi, riconducibili alle altre opere di Tolkien sulla Terra di Mezzo: ad esempio l'Unico Anello sarà il tema centrale de Il Signore degli Anelli, mentre le antiche spade elfiche di Gondolin riportano alle storie narrate ne Il Silmarillion, opus maximum dell'autore, lasciato incompiuto e pubblicato postumo dal figlio Christopher Tolkien. Il tema dell'eroismo è centrale nell'opera, che è stata vista come una metafora della Prima guerra mondiale dove contadini o persone della campagna in genere sono costrette a compiere atti di eroismo.
Lo Hobbit e gli altri due libri costituiscono un unico racconto che si dipana fra le quattro Ere in cui Tolkien divideva la sua subcreazione. Nella Prima Era, raccontata nel Silmarillion, hanno luogo la creazione del mondo assieme alla genesi delle varie razze (a parte quella degli Hobbit) e le vicende relative al primo Signore Oscuro, Melkor; durante la Seconda Era, su cui si possono trarre informazioni attraverso le appendici a Il Signore degli Anelli e l'Akallabêth, una sezione del Silmarillion, si assiste alla salita e alla caduta del grande regno degli Uomini di Númenor e alla creazione degli Anelli di Potere a opera degli Elfi, aiutati in questa impresa da Sauron, nuovo Signore Oscuro, poi sconfitto dall'Ultima Alleanza di Uomini ed Elfi. La Terza Era è quella in cui hanno luogo gli eventi di Il Signore degli Anelli e Lo Hobbit; durante essa si svolgono le vicende dei regni fondati dai Númenoreani superstiti, la missione ai danni del drago Smaug e gli episodi della Guerra dell'Anello contro Sauron redivivo. Durante gli ultimi anni della Terza Era, a eroi Elfi, Umani e Nani di altissimo lignaggio si accostano i piccoli Hobbit della Contea, sbalzati al centro degli eventi dai fatti narrati in Lo Hobbit. Infine, nella Quarta Era, alla quale non è stata dedicata alcuna opera, ma i cui primi anni si possono trovare riassunti nelle appendici a Il Signore degli Anelli, gli Uomini prendono definitivamente le redini della Terra di Mezzo, mentre le altre razze si avviano a scomparire. Tolkien non scriverà storie ambientate nella Quarta Era del mondo, perché per lui la Terra di Mezzo perde assieme agli Elfi tutto il suo fascino e la sua bellezza.
Tolkien immagina il suo fantastico mondo in questa prima opera come un passato molto remoto rispetto all'attuale realtà storica, tant'è che gli Hobbit sono indicati come esseri che, per quanto siano molto difficili da vedere, un tempo ebbero un ruolo cruciale nell'estirpare il Male dal mondo.”
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- Immagini: Lo Hobbit, 1977, speciale televisivo musicale animato creato da Rankin/Bass, uno studio noto per gli speciali natalizi, e animato da Topcraft, un precursore dello Studio Ghibli, utilizzando testi adattati dal libro. Il film è un adattamento dell'omonimo libro del 1937 di J. R. R. Tolkien ed è stato trasmesso per la prima volta su NBC negli Stati Uniti domenica 27 novembre 1977.
Un brano musicale al giorno
Gustav Holst, The Planets, Op. 32 https://www.youtube.com/watch?v=3OD_HzdZwKk
0:35 Mars, the Bringer of War
8:13 Venus, the Bringer of Peace
17:57 Mercury, the Winged Messenger
22:33 Jupiter, the Bringer of Jollity
31:20 Saturn, the Bringer of Old Age
41:11 Uranus, the Magician
47:08 Neptune, the Mystic
Maciej TARNOWSKI - direttore
Henryk WOJNAROWSKI - direttore del coro
Orchestra e coro femminile della Filarmonica di Varsavia
Orchestra Filarmonica di Varsavia e Coro Femminile
Il concerto è stato registrato il 27 novembre 2015 nella sala concerti della Filarmonica Nazionale, registrato alla Warsaw Philharmonic Concert Hall, il 27 novembre 2015.
Gustav Theodor Holst (Cheltenham, 21 settembre 1874 - Londra, 25 maggio 1934) fu compositore e direttore d'orchestra inglese, ma di origine svedese, nato a Cheltenham (Gloucestershire) il 21 settembre 1874. Studiò al Collegio reale di musica di Londra con C. W. Stanford. Fece parte di orchestre e nel 1905 iniziò al Collegio femminile di St Paul la sua carriera d'insegnante. Attualmente è anche professore di composizione al Collegio reale di musica.
Come compositore ha subito dapprima l'influenza della canzone popolare inglese (A Somerset Rhapsody, op. 21; Cotswolds Symphony, op. 8); poi, più profondamente, quella del misticismo orientale, in Savit/ri, opera da camera rappresentata nel 1910, e in una serie di inni corali su testi tratti dal Rgveda, dal Mahābhārata e dai poemi di Kalidasa, nei quali tuttavia mai si riscontra traccia di un facile orientalismo melodico o armonico.
In genere le composizioni di Holst rivelano una grande austerità di concezione e una ponderata riflessione: alieno per natura dal brillante e dal pittoresco, egli ha cercato di valersi di mezzi espressivi sempre più ridotti, e dalla complessità dei Pianeti, op. 32, è pervenuto alla chiara elaborazione del Doppio Concerto per due violini e orchestra.
Tra le altre sue opere si segnalano: la suite orchestrale Beni Mora, la notissima St Paul's Suite per archi, la Fugal Ouverture e il Fugal Concerto, op. 40, per flauto, oboe e archi, l'opera in un atto The Perfect Fool (Covent Garden 1923), l'interludio musicale At the Boar's Head da Shakespeare (rappresentato a Manchester nel 1925), l'opera da camera The Tale of the Wandering Scholar, The Hymn of Jesus, op. 37 per due cori, semicoro e orchestra, Ode to Death, op. 38 per coro e orchestra, Choral-Symphony, op. 41, numerose pagine di polifonia vocale, alcune liriche da camera e pezzi per pianoforte.”
(Guido Maria Gatti - Enciclopedia Italiana, 1933, in www.treccani.it)
Ugo Brusaporco
Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.
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Ugo Brusaporco
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