“L’amico del popolo”, 22 febbraio 2018

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

L'AGE D'OR (Francia, 1930), regia di Luis Buñuel. Sceneggiatura: Luis Buñuel, Salvador Dalí da scritti del Marquis de Sade. Fotografia: Albert Duverger. Montaggio: Luis Buñuel. Musica: Luis Buñuel, Georges Van Parys. Con: Jean Aurenche, Jacques B. Brunius, Luis Buñuel, Jean Castanier, Pancho Cossío, Simone Cottance, Xaume De Maravilles, Marie Berthe Ernst, Juan Esplandiu, Pedro Flores, Claude Heymann, Valentine Hugo, Jean-Paul Le Chanois, Marval, Jacques Prévert, Paul Éluard.

"L'âge d'or è un film del 1930 diretto da Luis Buñuel. Si tratta del secondo film del regista spagnolo, anche questo spiccatamente surrealista e sceneggiato insieme a Salvador Dalí, come il precedente Un chien andalou - Un cane andaluso (1929). È stato proiettato anche in occasione dell'Esposizione internazionale surrealista di Tenerife del 1935. Il film narra i tentativi di una coppia di amanti di "consumare" la propria relazione romantica. Essi però sono continuamente frustrati dai valori borghesi e dai tabù sessuali imposti da istituzioni autoritarie quali famiglia, chiesa, e società."

(Wikipedia)

L'AGE D'OR (Francia, 1930), regia di Luis Buñuel. Sceneggiatura: Luis Buñuel, Salvador Dalí da scritti del Marquis de Sade.

“Il secondo film Buñuel lo può girare grazie al successo di Un chien andalou. Anche questa è un'impresa extraindustriale, frutto del mecenatismo del visconte Charles de Noailles. Il surrealismo ha ormai trovato nel trentenne spagnolo Luis Buñuel (Calanda, Aragona, 22 febbraio 1900) il suo vate cinematografico: se ne serve per le sue battaglie - memorabile sarà quella in occasione dei tumulti provocati dai giovani dell'Action française nel cinema dove si proietta il film - e lo serve nella sua ricerca di uno stile. Dai 17 minuti (muti) del cortometraggio “benedetto” da Breton, passiamo ai 60 (sonori) di L'âge d'or, opera a modo suo regolare, che dispone di un bilancio di un milione di franchi e di un piano di lavorazione del quale sono previste quattro settimane in interni (nei teatri di Billancourt), alcuni giorni di esterni alla periferia di Parigi e un trasferimento a Cadaqués in Spagna per la sequenza iniziale. Le circostanze non potrebbero essere più favorevoli. Il visconte ama le arti, non pone vincoli a Buñuel. Una libertà provvisoria, che ha tutta la precarietà dei fatti “irregolari” e tutta la bellezza dell'imprevisto e dell'infrazione. La libertà del surrealismo: un momento felice in cui il grido della ribellione può uscire non soltanto dalle pagine della letteratura ma anche dallo schermo di un'arte che i surrealisti considerano il mezzo espressivo più congeniale ai loro principi. Nei confronti di Chien andalou, L'âge d'or si segnala per una organizzazione più rigorosa dei processi psicologici presi a oggetto del film. La libertà delle associazioni d'idee resta intatta, ma il ritmo al quale si susseguono - più disteso - permette allo spettatore di “leggere” meglio tra le pieghe degli eventi e di decifrarne con minore fatica (minore incertezza) il significato. Non è un caso che contro L'âge d'or si siano scatenati gli squadristi fascisti dell'Action française e non soltanto i borghesi offesi nel loro buongusto: ciò vuol dire che la provocazione politica ha colto nel segno. Qui si mette in discussione il potere, apertamente. Sornione, secondo uno stile qui appena abbozzato (in attesa di precisarsi nei film maggiori, trent'anni dopo), Buñuel inizia con uno squarcio di documentario sugli scorpioni. Poi, sui dirupi di un paesaggio sassoso, vediamo un gruppo di vescovi assorti in preghiera. Nei pressi si aggirano folcloristici banditi. Uno di loro entra in una baita a scuotere i compagni, li trascina fuori, ma quelli cadono a uno a uno esausti (l'infrazione “tradizionale” e anarchica è fuori gioco). Un corteo di barche attracca in una insenatura. Ne scendono dignitari, militari, preti e suore. Passano davanti al luogo dove c'erano i vescovi: ci sono rimasti gli scheletri e i paludamenti (non è la vecchia Chiesa che conta, coi suoi riti, ma il nuovo potere economico-militare). Il dignitario in capo sta per pronunciare un discorso (vedremo che si tratta della posa della prima pietra della “città eterna”, simbolo del potere e della religione) quando un grido di donna lo interrompe. Una ragazza si dibatte per il piacere tra le braccia di un uomo. Gli scherani agguantano l'uomo, mentre la donna al gabinetto medita. La “città eterna” che ora stanno fondando può anche crollare (crollare nel desiderio dei ribelli). L'uomo è trascinato per le strade, la donna in casa si strugge per lui: va in camera sua, dove sul letto è sdraiata una vacca, siede davanti allo specchio, il vento (del desiderio) le agita i capelli. L'uomo mostra un documento ai suoi custodi, che lo liberano. “I marchesi X” interrompe una didascalia “si apprestano a ricevere gli ospiti”, in una villa presso Roma (la “città eterna” sempre in piedi, eppure da sempre morta). Arriva anche l'uomo, che si sbarazza di alcune importune megere, e trascina in giardino la donna. Fremono d'amore, si abbrancano. Sul più bello li interrompono: il ministro vuole lui al telefono. L'uomo va, lo manda al diavolo, e quello muore, appiccicato al soffitto. In giardino, una orchestra suona (Wagner, Tristano e Isotta), finché il vecchio maestro barbuto non si secca e si allontana. La donna lo vede e lo bacia con trasporto. La gelosia sconvolge l'uomo che, a casa, sventra un cuscino di piume, getta dalla finestra un pino in fiamme, un aratro, un vescovo, una giraffa. Didascalia: “Tornavano i sopravvissuti del castello di Selliny”. Siamo alle sadiane Centoventi giornate. Il film si conclude con la figura dì Cristo che avanza sul ponte levatoio del castello, rientra per uccidere una ragazza insanguinata apparsa sulla soglia, ne esce vecchissimo. Una croce, brevissimi accordi di un paso doble. Il 28 novembre 1930, allo Studio 28 (dove aveva trionfato Un chien andalou), cominciano le proiezioni del film, con l'esito che si è detto. Buñuel ha di nuovo levato un inno all'amore, inteso stavolta non solo come trasgressione della morale borghese ma anche come rivolta totale contro il potere. Il surrealismo come arma di lotta, e come beffa. Dunque, doppiamente intollerabile”.

(Fernaldo Di Giammatteo, 100 film da salvare, Mondadori, 1978)

“Secondo film surrealista di Bunuel, ideato con Salvador Dali come Un chien andalou (1929), non ha una continuità narrativa anche se vi si possono individuare un prologo, un epilogo e un filo conduttore, l'amore folle che butta l'uno nelle braccia dell'altra un uomo (G. Modot) e una donna (L. Lys) che non potranno unirsi mai. Disponibile scena per scena alle più varie interpretazioni e in linea con l'ideologia surrealista, è un pamphlet visionario contro i pilastri della borghesia capitalista (la Chiesa, lo Stato, l'esercito) e sostiene che soltanto la forza sovversiva del desiderio e dell'amore è accettabile. Lo fa con un fuoco di fila di invenzioni visive fondate sull'esasperazione, l'indegnità, l'assurdo, pur rifiutando, in nome di un realismo "oggettivo", i procedimenti formali dell'avanguardia del tempo. "... è un'opera fortemente tesa alla creazione di un nuovo linguaggio, un linguaggio articolato secondo i dettami del Secondo Manifesto del Surrealismo di cui Bunuel e Dali furono tra i firmatari e che è contemporaneo al film.
Finanziato dal visconte Charles de Noailles che rischiò la scomunica, fu proiettato per 6 giorni allo Studio 28 di Parigi, bersaglio di un'incursione di squadristi di destra che lo devastarono. Pochi giorni dopo il prefetto Chiappe lo vietò. Uscì in pubblico soltanto nel 1950 a New York e nel 1951 a Parigi.

(Auro Bernardi)

L'âge d'or film (1930) surrealista, diretto dal regista cinematografico L. Buñuel (1900-1983), ideato e scritto da Buñuel e S. Dalí (1904-1989), violenta polemica contro i valori consacrati. La dissacrazione si attua a livello dello stesso linguaggio e l'immagine gioca un ruolo libidico reificandosi in forme simboliche che irrompono violentemente. L'iconoclastia antiborghese e l'irreligiosità divengono pretesto per una messinscena frantumata con iterazioni ossessive e sarcastiche”.

(Treccani)

Il film:

Il 22 febbraio 1900 nasce Luis Buñuel, regista e produttore ispano-messicano (morto nel 1983).

L'AGE D'OR (Francia, 1930), regia di Luis Buñuel. Sceneggiatura: Luis Buñuel, Salvador Dalí da scritti del Marquis de Sade.

 

Una poesia al giorno

I sogni di un bambino, di Antonio Machado.

C'era un bambino che sognava,
un cavallo di cartone.
Apri gli occhi il bimbo
e più non vide il cavallino,
un cavallino bianco.
Il bimbo tornò a sognare;
per il crine l'afferrava...
Ora non mi sfuggirai!
Appena l'ebbe afferrato,
il bimbo si svegliò.
Aveva chiuso il pugno.
Il cavallino volò!
Serio serio restò il bimbo
pensando che non è vero
un cavallino sognato.

Antonio Machado, nome completo è Antonio Cipriano José María y Francisco de Santa Ana Machado Ruiz (Siviglia, 26 luglio 1875 - Collioure, 22 febbraio 1939)

Antonio Machado è stato un grandissimo poeta morto drammaticamente nell’anno in cui si conclude la guerra civile, 1939. Nell’anno in cui invece la guerra ebbe inizio, nel 1936 ci fu l’omicidio di un altro grande autore: Garçia Lorca. La morte di Machado ebbe un’eco fortissima nel mondo letterario, perché negli anni della guerra civile era stato un grande animatore di dibattiti letterari e politici e fervido oppositore dei fascismi europei.
Il magistero di Machado oltre ad essere poetico fu anche politico. La creazione poetica del poeta spagnolo si sviluppa in un percorso che possiamo dividere in tre parti; la prima coincide con la prima raccolta Soledades pubblicata nel 1903, la seconda corrisponde a Campos De Castilla del 1912, la terza coincide con la raccolta Nuevas Canciones del 1924. Dopo queste pubblicazioni, il suo percorso diventa complesso e accidentato, peculiare di Machado che scriverà poesie e prose che riunirà nel Canzoniere apocrifo, attribuito a diversi eteronimi (creando delle personalità letterarie a cui dà una dignità letteraria, e a cui affiderà delle riflessioni poetiche). Accanto al Canzoniere apocrifo, Machado continua a scrivere liriche anche durante la guerra, che poi verranno chiamate poesie sciolte, non organizzate dall’autore. La tensione alla riedizione delle singole raccolte è sottomessa alla creazione di un’opera complessiva e attraverserà tutta la vita di Machado ritorna sempre sulle sue raccolte.
Come ha osservato Cesare Segre, parlare della poesia di Machado significa parlare di un sistema di varianti. Quando il poeta sceglie una variante interviene sul sistema intero della sua poetica. In tutte le raccolte ritroviamo infatti sempre gli stessi simboli in un sistema di immagini, come ad esempio l’immagine del limone, letto da Machado come simbolo dell’infanzia andalusa, assumerà altre sfumature nel tempo e si perpetuerà in tutta la vita letteraria”.

(Articolo completo in www.900letterario.it)

Il 22 febbraio 1939 muore Antonio Machado, poeta e autore franco-spagnolo (nato nel 1875).

 

Un fatto al giorno

22 febbraio 1848: in Francia inizia la rivoluzione che porterà alla conclusione della monarchia di Orléans (1830-1848) e alla creazione della Seconda Repubblica francese. La Rivoluzione del 1848 in Francia, a volte conosciuta come la Rivoluzione di febbraio (révolution de Février), è compresa nell’ondata di rivoluzioni nel 1848 in Europa.

Lamartine devant l’Hôtel de Ville de Paris le 25 février 1848 refuse le drapeau rouge. Pittura a olio di Henri Felix Emmanuel Philippoteaux

“Nel corso degli anni la monarchia di Filippo d'Orleans, che aveva conquistato il potere nel 1830, aveva sempre più acuito il suo carattere antioperaio e antidemocratico; ciò era avvenuto malgrado la politica di compromesso (detta del “giusto mezzo”) attuata dal ministro Guizot, che finì per scontentare sia l'alta borghesia finanziaria, corrotta e sfrenatamente affarista, sia la media e piccola borghesia e, principalmente, i ceti operai. Questi ultimi vennero di fatto esclusi politicamente e costretti alla disoccupazione e alla fame; infatti la politica inflazionistica e corrotta dei gruppi al potere aveva provocato una profonda crisi economica che investiva la produzione industriale. L'opposizione delle masse piccolo - borghesi e operaie si muoveva rivendicando una riforma elettorale a suffragio universale e non più ristretta ai possidenti e ai ricchi borghesi.
La rivoluzione scoppiò il 22 febbraio 1848 proprio a seguito di un divieto, da parte delle forze dell'ordine, di una manifestazione per la riforma elettorale. Come nelle tradizioni della storia francese dalla grande rivoluzione in poi, in pochi giorni Parigi fu in mano al popolo; in testa all'insurrezione questa volta erano le forze repubblicano - radicali e socialiste.
Il vero protagonista della rivoluzione che combatté nelle piazze fu il proletariato cittadino, che aveva già una sua espressione politica nel partito socialista. Si formò un governo provvisorio con socialisti, radicali, repubblicani moderati che proclamò la “Repubblica Sociale”. Al centro dei problemi si pose quello del lavoro; i primi decreti ufficiali riguardarono infatti la riduzione della giornata lavorativa a 10 ore, l'allargamento del diritto di voto a tutta la popolazione maschile, l'abolizione della pena di morte per i reati politici.

Il governo provvisorio fece il primo esperimento di collaborazione governativa tra borghesia e proletariato, il quale era rappresentato al governo dal deputato socialista Louis Blanc e dall'operaio Alexandre Martin detto Albert. Ben presto però questa possibilità di programma e di azione comune si rivelò impraticabile. Per i problemi del lavoro si formò una commissione specifica, la Commissione del Lussemburgo, presieduta da Blanc e Albert, che così vennero allontanati dal governo di cui facevano parte; gli “ateliers nationaux” (fabbriche nazionali), speciali organismi che avrebbero dovuto occuparsi del problema dell'occupazione, si ridussero a degli uffici di collocamento in grado soltanto di dare assistenza o lavori precari ai disoccupati.

In realtà l'apparato dello Stato e le leve del potere economico restavano interamente nelle mani dei borghesi moderati, ed in questa situazione le rivendicazioni operaie e la Commissione del Lussemburgo apparvero presto come elementi di turbamento rispetto ai compiti, non certo facili, della creazione di una repubblica borghese. La paura del comunismo si fece viva anche tra le forze democratiche creando un clima politico che portò all'Assemblea Costituente, eletta a suffragio universale, una maggioranza di repubblicani di destra. Questi ultimi furono eletti soprattutto con i voti dei contadini piccolo - proprietari, cui un'abile propaganda borghese e clericale aveva prospettato il pericolo della perdita della loro proprietà sulla terra. Per questi motivi la Repubblica Sociale venne liquidata dalla Seconda Repubblica, costituita nel novembre 1848. I socialisti furono, in seguito ad una legge speciale, esclusi dal governo e gli “ateliers nationaux” chiusi. Le condizioni politiche resero inoltre possibile quella sanguinosissima repressione militare che, diretta dal generale Eugène Cavaignac, soffocò nel sangue l'insurrezione operaia del giugno 1848, lasciando sulle piazze migliaia di morti. Tremila operai furono fucilati senza processo, i centri organizzativi del movimento furono dispersi. La Repubblica francese imboccava così la strada dell'involuzione autoritaria che avrebbe portato per la seconda volta in Francia all'affermazione del potere personale di un capo“.

(Homolaicus - La Rivoluzione di Febbraio in Francia).

 

Una frase al giorno

“Ancora la nostra generazione a scuola ha appreso più cose su Serse, Dario e Cambise, su re barbarici a noi del tutto indifferenti, che su Leonardo, Volta, Franklin, Montgolfier e Gutenberg. Eravamo tenuti a sapere a memoria ogni minima battaglia, ma nei testi non c'era una riga su chi aveva costruito le prime ferrovie o inventato la chimica moderna. Eravamo intenzionalmente tenuti all'oscuro circa gli apporti culturali dei popoli a noi vicini e sapevamo soltanto in quali battaglie e sotto quali generali li avevamo affrontati sul campo.”

(Stefan Zweig, traduzione Emilio Picco da Tempo e mondo, 2014)

Questa frase serve da monito alla scuola italiana dove la stessa non cultura è stata da anni scelta per una scuola primaria sempre più imbarbarita nei contenuti di Storia e Geografia, con il chiaro scopo denunciato da Zweig: via libera ai fascismi e ai nazismi, via libera al disprezzo dell’altro...

Stefan Zweig (Vienna, 28 novembre 1881 - Petrópolis, 23 febbraio 1942)

Stefan Zweig (Vienna, 28 novembre 1881 - Petrópolis, 23 febbraio 1942) fu uno scrittore, drammaturgo, giornalista, biografo e poeta austriaco naturalizzato britannico. All'apice della sua carriera letteraria, tra gli anni Venti e Trenta del XX secolo è stato mediatore fra le culture, animato da sentimenti pacifisti e umanisti; è noto come autore di novelle e biografie. Politicamente era internazionalista, cosmopolita ed europeista, e come ebreo laico, considerava il sionismo nazionalista di Theodor Herzl un'idea errata, propugnando una pacifica assimilazione degli ebrei. Oppositore fermo dei totalitarismi, lasciò l'Europa dopo l'avvento al potere del nazionalsocialismo, rifugiandosi infine in Brasile dove si suicidò nel 1942.

Immagini:

 

Un brano musicale al giorno

Hugo Wolf (1860-1903) "Morgenstimmung" (Morning Mood, 1896). Versi di Robert Reinick. Baritono: Dietrich Fischer-Dieskau. Pianoforte: Gerald Moore. Registrazione del 1959.

Hugo Wolf (1860-1903)

Morgenstimmung

Bald ist der Nacht ein End' gemacht,
Schon fühl' ich Morgenlüfte wehen.
Der Herr, der spricht:» Es werde Licht!
«Da muß, was dunkel ist, vergehen.
Vom Himmelszelt durch alle Welt
Die Engel freudejauchzend fliegen;
Der Sonne Strahl durchflammt das All.
Herr, laß uns kämpfen, laß uns siegen!

Morning Mood (traduzione Emily Ezust)

Soon night will reach its end;
already I feel the morning breezes blowing.
The Lord, he says: "Let there be light!"
Then all that is dark must disappear.
From Heaven's vault through all the world
the angels fly, cheering with joy;
rays of sunlight blaze through the universe.
Lord, let us struggle, let us win!

22 febbraio 1903 muore Hugo Wolf, compositore austriaco, nato nel 1860.


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k