“L’amico del popolo”, 24 novembre 2017

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

A KING IN NEW YORK (Un re a New York, Gran Bretagna, 1957), scritto, diretto, musicato e interpretato da Charlie Chaplin. Fotografia: Georges Périnal. Montaggio: John Seabourne Sr. Con: Joy Nichols, Dawn Addams, Robert Arden, Maxine Audley, Phil Brown, Clifford Buckton, Michael Chaplin, Robert Cawdron, Jerry Desmonde, Alan Gifford, Harry Green, Sidney James, Oliver Johnston, Vincent Lawson, Lauri Lupino Lane, George Truzzi, Shani Wallis, George Woodbridge, Joan Ingrams, John McLaren, Nicholas Tannar, Macdonald Parke, Charlie Chaplin.

Un Re, deposto da una rivoluzione, è costretto a lasciare il suo regno europeo e si rifugia nel paese della libertà, gli Stati Uniti d'America. A New York l'ex re si trova imprigionato nella libera vita della città americana; appena sceso dall'aereo, ha dovuto lasciarsi prendere le impronte digitali, più tardi, al cinema e al ristorante trova soltanto violenza, frastuono e danze selvagge. Lo si invita ad un pranzo per dar modo a telecamere nascoste di fargli svolgere, a sua insaputa, un'azione pubblicitaria. Responsabile di questa gherminella è Anna Kay; ma quand'ella si presenta per offrirgli un lauto compenso ed un regolare contratto, egli la respinge bruscamente. Uno spiacevole incidente costringe l'ex re a prendere in considerazione offerte del genere: il suo primo ministro è fuggito, derubandolo di tutto il denaro. Ora il povero re spodestato deve mettersi al servizio della pubblicità e per far la propaganda a favore di certi ormoni si sottopone ad un'operazione che gli sfigura il volto: un'altra operazione gli ridarà la sua faccia. Invitato a visitare una scuola, egli si meraviglia dei sistemi d'educazione, che vi sono applicati: si ferma a parlare con uno dei ragazzi, di nome Rupert, e scopre in lui un fanatico, che manifesta urlando le sue idee anarcoidi. Quando viene a sapere che i genitori del ragazzo, ex comunisti, arrestati su denuncia del Comitato per le attività antiamericane, sono in prigione, l'ex re prende con sé il ragazzo; ma questo gesto generoso gli tira addosso parecchi guai. Egli stesso viene convocato per discolparsi davanti al Comitato; ma poi viene lasciato libero. Ormai ne ha abbastanza dell'America; prima di partire, va a salutare Rupert, e trova che ha perduto la sua baldanza. Per ottenere la libertà dei genitori, ha rivelato ai giudici i nomi di certi comunisti. Rupert è tutto vergognoso e piangente; e l'ex re lo conforta esprimendo la speranza che anche in America le cose cambieranno.

“E quale migliore omaggio rendere a un artista di cinema, nel mezzo di questo ventesimo secolo, che citare queste parole di Rossellini dopo la visione di Un re a New York: È il film di un uomo libero!”

(Jean-Luc Godard. Da Il cinema è il cinema, Garzanti, Milano, 1971)

“Un re a New York è grande film, - scommetto che ci vorranno circa 10 anni prima che esso sembri buffo in prospettiva. Circa ogni due anni noi sogniamo, nel nostro sonno ti incontriamo. Perché non vai ancora avanti & fai un altro film & fotti tutti.”

(Allen Ginsberg. Da Filmculture n. 40, primavera 1966)

“D’accordo: Charlot non ci fa più ridere. Ma i critici, al contrario, non finiscono di divertirmi! Ciò che è più comico nel loro resoconto, come in tutti quelli negativi su A king in New York, sono le allusioni alla debolezza della sceneggiatura. Sarebbe come rimproverare al Nuovo Testamento di essere privo di suspense. Non è a caso che cito il Nuovo Testamento: il re Shahdow, monarca spodestato, arriva a New York dopo esser riuscito a salvare la pelle e i fondi della tesoreria reale. L’indomani apprende che il suo primo ministro ha tagliato la corda con tutto il malloppo”.

(François Truffaut)

“Divertente, letale freccia avvelenata contro quegli Stati Uniti che, sin da quando era L’Emigrante, hanno fatto sentire l’inglese Chaplin come un ospite indesiderato, lasciando che raccogliesse gli allori finché il successo era stratosferico, pronti a colpirlo alle spalle non appena scemava la sua popolarità: in esilio in Svizzera a causa della Commissione per le attività antiamericane, l'autore gira in Inghilterra questa farsa allegorica con un alter-ego regale che finisce con il “subire” l'american-way-of-life. Gli Stati Uniti sono dominati dal fracasso, da giovani scalmanati nel ballo, da un cinema (occhio ai trailers!) che vive di violenza fine a se stessa e morbosità gratuite, dalla televisione come occhio sul mondo che tutto controlla, dalla stampa sciacalla e manipolatrice, dalla pubblicità che ha ridotto qualsiasi rapporto ad una questione di dollari e marketing creando effimere stelle di massa, dal progresso che permette di comprare la giovinezza (irresistibile il riso trattenuto di Chaplin con la plastica facciale). I ragazzini vengono mal educati, il maccartismo ha creato un clima di terrore, avvilendo anche Il Monello che, stavolta, è rappresentato da un piccolo genio che si chiede: "Bisogna essere comunisti per leggere Carlo Marx?"
Chaplin demistifica la libertà d'un paese avvinghiato su se stesso, ma lo fa con invidiabile leggerezza, a parte un finale "esagerato" (sia davanti alla commissione che nella forzata chiusura malinconica) che è il segno tangibile d'una legittima voglia di rivincita. Se lo stile del regista non vuole mai rinunciare ai modi del cinema muto (vedi la sequenza d'apertura, gli sguardi in macchina da presa, la scenetta comica nel night club), quest'opera, sottovalutata, è molto moderna e lungimirante nel suo j’accuse”.

(Niccolò Rangoni Machiavelli)

A KING IN NEW YORK (Un re a New York, Gran Bretagna, 1957), scritto, diretto, musicato e interpretato da Charlie Chaplin

 

Una poesia al giorno

"Troppo tardi", di Flor Bela de Alma da Conceição.

Quando infine arrivasti, per vederti
Si aprì la notte in magico chiaro di luna
E per riconoscere il suono dei tuoi passi
Si pose il silenzio, intorno, ad ascoltare...

Arrivasti, infine! Miracolo da far perdere la ragione!
Si vide in quell'ora ciò che non può essere:
In piena notte, la notte illuminarsi
E fiorire le pietre del sentiero!

Baciando la sabbia d'oro dei deserti
Ti avevo cercato invano! Braccia aperte,
Piedi nudi, occhi ridenti, la bocca in fiore!

E son cent'anni che ero fresca e bella!
E la mia bocca morta grida ancora:
Perché arrivasti tardi, o mio Amore?

"Tarde de mais"

Quando chegaste enfim, para te ver
Abriu-se a noite em mágico luar;
E para o som de teus passos conhecer
Pôs-se o silêncio, em volta, a escutar...

Chegaste, enfim! Milagre de endoidar!
Viu-se nessa hora o que não pode ser:
Em plena noite, a noite iluminar
E as pedras do caminho florescer!

Beijando a areia de oiro dos desertos
Procurara-te em vão! Braços abertos,
Pés nus, olhos a rir, a boca em flor!

E hà cem anos que eu era nova e linda!
E a minha boca morta grita ainda:
Por que chegaste tarde, ó meu Amor?

Flor Bela de Alma da Conceição

 

Un fatto al giorno

24 novembre 1947: “Paura Rossa”. Dopo essersi rifiutati di cooperare con il Comitato della Camera per le Attività Anti-americane, riguardo alle accuse di influenza comunista nell'industria del cinema, la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti vota 346 a 17 l'approvazione delle citazioni di oltraggio del Congresso contro i cosiddetti Hollywood 10. L'espressione "Paura rossa" (in inglese Red Scare) è stato applicato a due distinti periodi di intenso anticomunismo nella storia degli Stati Uniti: dal 1917 al 1920 e durante i primi anni cinquanta. Entrambi i periodi furono caratterizzati da una diffusa paura dell'influenza dei comunisti sulla società statunitense e dell'infiltrazione comunista nel governo. Queste paure spronarono investigazioni aggressive e (particolarmente nel periodo 1917-1920) la carcerazione di persone che si riteneva fossero motivate dall'ideologia comunista o associate a movimenti politici comunisti o socialisti”.

(Wikipedia)

Attori, giornalisti e scrittori accusati di attività antiamericane e filocomuniste finiscono sulla lista nera Hollywood 10 che scatena una caccia alle streghe negli studios di Hollywood. La "paura rossa", così è definito questo periodo di intenso anticomunismo negli USA, vede tra i sospettati Marylin Monroe, Gary Cooper, Charlie Chaplin.

(teleborsa.it)

“Red scare (ingl. «paura rossa») Nome di due campagne contro il radicalismo di sinistra negli Stati Uniti. La prima, accentuatasi tra il 1919 e il 1920, rappresentò lo sviluppo delle iniziative per soffocare il dissenso neutralista e pacifista durante la Prima guerra mondiale. Promossa dal procuratore A. Mitchell Palmer, prese di mira immigrati anarchici, socialisti e comunisti con l’intento di prevenire una replica della rivoluzione bolscevica negli Stati Uniti. Comportò l’arresto di circa 9000 presunti sovversivi e la deportazione di oltre 500, trovando un’ultima eco nella condanna a morte e nell’esecuzione di Sacco e Vanzetti. La seconda costituì il riflesso della Guerra fredda in politica interna e si dipanò dal 1947 al 1954, incoraggiata dalle reiterate accuse demagogiche lanciate dal senatore J.R. McCarthy a partire dal 1950. Si propose di eliminare le ipotetiche infiltrazioni di comunisti nell’amministrazione federale e creò un clima inquisitorio di caccia alle streghe con ricadute in tutti gli ambiti della società, provocando arresti e licenziamenti, che colpirono alcune migliaia di persone, nonché richieste grottesche di giuramenti di lealtà anticomunista”.

(Treccani)

Immagini

24 novembre 1947: “Paura Rossa”

 

Una frase al giorno

“Non c’è realtà più grande per chi si sveglia dal sonno di un’esistenza mortale del sogno che abbiamo sognato dormendo”.

(Dalton Trumbo, Montrose, 9 dicembre 1905 - Los Angeles, 10 settembre 1976)

Dalton Trumbo

E’ stato uno sceneggiatore, regista e scrittore statunitense. Nel 1953 il premio Oscar per il miglior soggetto - “Best Story” in inglese - fu vinto da Ian McLellan Hunter, sceneggiatore di Vacanze romane. L’Oscar per il miglior soggetto del 1956 lo vinse invece Robert Rich per il film La più grande corrida. Né Hunter né Rich avevano scritto quelle sceneggiature: Hunter era un prestanome e Rich proprio non esisteva. Le sceneggiature di Vacanze romane e La più grande corrida le aveva scritte Dalton Trumbo, uno dei più prolifici e meglio pagati sceneggiatori della Hollywood degli anni Quaranta. Trumbo aveva pensato e scritto quelle due storie ma non aveva potuto firmarle perché nel 1947 era diventato uno degli Hollywood Ten: dieci professionisti del cinema statunitense che furono sospettati di simpatie comuniste e furono quindi sospesi e boicottati da Hollywood per anni”.

 

Un brano al giorno

Manuel Cardoso: Magnificat Secuni Toni 

Manuel Cardoso (11 dicembre 1566 - 24 novembre 1650) fu compositore e organista portoghese.


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k