“L’amico del popolo”, 23 novembre 2017

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

SKEPP TILL INDIA LAND (La terra del desiderio, Svezia, 1947) di Ingmar Bergman. Soggetto: Ingmar Bergman, Martin Söderhjelm. Sceneggiatura: P. A. Lundgren. Fotografia: Göran Strindberg. Montaggio: Tage Holmberg. Musiche: Erland von Koch. Con: Holger Löwenadler, Anna Lindahl, Naemi Briese, Åke Fridell, Erik Hell, Hjordis Petterson, Lasse Krantz, Birger Malmsten, Jan Molander, Gertrud Fridh, Ami Aaröe, Jonas Bergström, Torsten Bergstrom, Ingrid Borthen, Gunnar Nielsen, Gustaf Hiort, Peter Lindgren.

“Johannes è un marinaio che ritorna in patria dopo sette anni di viaggio e ritrova Sally, la ragazza che un tempo aveva amato e riaffiorano in lui tanti ricordi. Accortosi di amarla ancora glielo dichiara ma Sally lo respinge. Johannes cammina vagando sulla spiaggia e ripensa al passato, a qualcosa avvenuto sette anni prima duranteun recupero marino. Essendo assente il capitano Blom, suo padre, egli, per tenere sotto controllo i marinai, assume il comando dell'operazione. Blom intanto se la passa tra un'osteria e l'altra e in una di questa fa scoppiare una rissa e, dopo aver corteggiato una sciantosa di nome Sally, la porta via con sé.
Nel frattempo viene diagnosticata a Blom una grave malattia agli occhi che lo porterà alla cecità.
Sally va ad abitare nella barca della famiglia Blom, ma tra il padre violento e Johannes si scatenano furiose liti. A poco a poco tra Johannes e Sally nasce l'amore e questo fa sì che la rabbia del padre diventi ancora più forte. Mentre la moglie di Blom cerca di convincere il marito a ritornare da lei, i due giovani fanno l'amore in un vecchio mulino e in seguito Sally confesserà al capitano il suo amore per Johannes. Segue una animata discussione in cui Sally dice al capitano: "Non sei altro che un fallito".
Durante la ripresa dell'operazione di recupero, dove Johannes lavora sotto la chiglia come palombaro mentre il padre è addetto alla pompa, quest'ultimo cerca di ucciderlo interrompendo il flusso d'aria che va allo scafandro. Johannes viene salvato ma il capitano, preso da un raptus di follia, fa inabissare in mare il relitto recuperato danneggiando tutto. Tornato a riva, raggiunge la garçonnière e la distrugge, ma quando arriva la polizia per arrestarlo si lancia dalla finestra.
Dopo questo sconvolgente episodio, Johannes si imbarca come marinaio e parte per l'India, mentre Sally ritorna a cantare e a ballare nello squallido locale dove lavorava prima.”

(Wikipedia)

“Il desiderio del titolo italiano è quello che si perde nel liquido amniotico, il flusso d’acque che costituisce l’elemento caratterizzante il primo Bergman. Si identifica con la liquidità genitoriale, non necessariamente ed esclusivamente la madre, la visione dell’indistinto e del collettivo, campo lungo o lunghissimo (l’incipit di Come in uno specchio) dove il sentimento si intreccia, confuso e condizionato. Baluginante come i riflessi dell’acqua sulle pareti e sui volti e intermittente al pari delle luci al neon che introducono la progressione drammatica, il momento precedente il gesto estremo, il suicidio: qui, come nel film d’esordio, Crisi.
L’acqua sospende e incanta il luogo (soprattutto narrativo), fa combaciare la partenza col ritorno, l’odio con l’amore, l’immagine fisica con quella mentale. S’infiltra nella visione perturbata, vedo ciò che penso, e in quella onirica: sogno il film, il conflitto. Il racconto sfuma nel simbolo, ciascun personaggio è costruzione e decostruzione dell’io narrante e sognante Johannes (Birger Malmsten), assopito in quell’altro luogo simbolico che divide l’acqua dalle pietre, il liquido dal solido, il mobile dall’immobile, zona liminare bergmaniana che fa il paio col crocicchio finale di Piove sul nostro amore. Una spiaggia che demarca il confine tra una condizione statica, involuta e una fluttuante, in progress.
Il sogno/segno de La terra del desiderio, titolo originale Skepp till India land, nave per le Indie (dove le Indie, più che un preciso e definito luogo geografico, appartengono al mito, rappresentando il luogo mentale della liberazione), è proprio quello della famiglia, luogo da rifondare ritrovare, da cui fuggire ritornare. Lo stile comincia a definirsi in un’articolazione di immagini-affezione, primi piani di volti integrati da dialoghi fitti, secchi e dolorosi, che disegnano un mondo interiore sempre più riconoscibile, anche quando adombrato da un soggetto non originale (in questo caso un’opera teatrale di Martin Söderhjelm), radicalmente riscritto. O dalle influenze di pre-destinazione da realismo poetico, superato da un parlare meno artificioso, di lancinante verità. Attorno, di nuovo una serie composita di esercizi di forma, che il bravo operatore Göran Strindberg riesce a spalmare con estrema fluidità, oscillante tra il biancore delle scene marine e la fitta oscurità di interni cupi e strade perdute noir (sia pure ricostruite in studio).
Il dato simbolico si costruisce attraverso il ricorrente numero magico quattro, doppio del doppio (grazie al quale, come precedentemente, A combacia con B, inizio con fine, partenza con ritorno, bene con male, crisi con risoluzione, lieto fine con tragedia), oltre che completamento di un’artificiale e supposta perfezione del tre (formata dal classico nucleo familiare: padre, madre, figlio) attraverso l’elemento oscuro e perturbatore, rivelazione di crisi. Sally (Gertrud Fridh), femme fatale rovina famiglie, la soubrette di un luogo equivoco frequentato dal capitano Alexander Blom, il padre (Holger Löwenadler). Che la porta a casa (una barca), incurante del dolore (sottomesso) della moglie e delle ire impetuose del figlio odiato, disprezzato e per questo complessato, schiacciato dal peso indotto di una mostruosità immaginaria e simbolica quanto la cecità imminente e immanente a cui è condannato il padre. Preoccupato, per tal motivo, non di non poter più vedere, ma di non aver mai visto. La sua vita è stata infatti il fallimento che ha spostato sul figlio, sin dalla nascita di quest’ultimo: simbolo di una giovinezza e di una potenzialità odiate perché perdute.
Come Sally costituisce l’elemento critico per la famiglia (sin dal suo tipico ruolo di sciantosa, che però Bergman spoglia dei luoghi comuni), Johannes è l’elemento capace di togliere il sonno al capitano Blom, a sua volta incubo del figlio, pericolosamente sospinto sul labile confine tra odio e amore, ripulsa e imitazione del modello paterno. Metaforico il lavoro in comune (il recupero di un relitto marino) e metaforica (edipica) la passione che Johannes nutrirà nei confronti della donna del padre.
La ragazza, immessa nella sua routine frigida di donna insenziente, al servizio di chi le garantisca una sopravvivenza economica, non è distante dal modello della moglie del capitano, Alice (Anna Lindahl), devota e asessuata, la quale confida esclusivamente nella malattia del marito come il mezzo estremo che finalmente possa legarle l’uomo a sé, dopo un’umiliante vita a due in cui ha dovuto sopportare la presenza di altre donne e la condivisione delle di lui fisime (persino il rifiuto per il figlio).
Ognuno è specchio perturbante dell’altro, tutti un inferno in miniatura, necessario. Il sentimento autentico d’amore che Johannes offre a Sally scuote le fondamenta dell’innaturale negazione della ragazza al desiderio, all’apertura all’altro. Pungola la sua paurosa propensione a farsi pietra, esattamente come i personaggi anziani. La ragazza reagisce con terrore, l’amore è la morte (e la morte, nei film successivi, sarà l’amore). L’acqua, il mare sono allora simbolo e promessa di scioglimento, di disincagliamento dell’anima. Richiamo, voce. In virtù dell’ancestralità amniotica che rappresenta, luogo di potenzialità tutto da esprimere, nostalgia di un’era che non ha raggiunto la solidificazione, non ancora nata. Eppure materia da cui tutto ha avuto origine, male e sviluppo errato successivo inclusi.
Le sequenze d’amore tra i due giovani, in spiaggia, in barca, nel mulino, hanno l’ariosità del Bergman delle estati d’amore, senza la consapevolezza che il temporale è in agguato, preannuncio della disilludente stagione successiva. Durante l’operazione di recupero del relitto, il padre tenta di uccidere il figlio, sprofondato sotto la chiglia. La sua ombra sembra quella di un vampiro. Scoperto, ha una violenta reazione infantile. Fa inabissare l’imbarcazione (simbolo della sua esistenza), fugge da tutto e tutti, rifugiandosi in una garçonniere interiore dove, allo stesso modo, rompe gli oggetti che la decorano, maschere e monili esotici, foto di luoghi lontani. La stanza dei sogni, delle utopie e delle falsità, dei viaggi perduti. Rifugio però dove l’odio per il figlio si rivela per quel che è davvero: disgusto di sé. Una sequenza forte ed espressiva, commovente nel mostrare il lato misero e fragile del cattivo: classico bergmaniano. All’arrivo della polizia, l’uomo si getta dalla finestra, nonostante la comprensione della moglie e del figlio; o forse proprio per questo. Amore terrore, sentimento che uccide.
Un gesto risolutivo che restituisce alla coppia ufficiale l’unità originaria, ma malata. La realizzazione del sogno meschino di Alice, con il marito, ancora più a mal partito dopo la caduta, ricondotto a un misero ovile di dipendenza reciproca. Per Johannes è la spinta verso le Indie, l’invito al viaggio verso un non luogo, zona di latenza e latitanza. Ma il film si è aperto sul suo ritorno, la vicenda ha avuto origine dal sogno-flashback. Al risveglio, dietro l’uomo, una coppia allegra sulla spiaggia, riflesso malinconico della sua stagione amorosa con Sally. Coazione a ripetere, senza stavolta alcun cupo disincanto. L’uomo è tornato per regolare davvero i conti, per portare Sally a sé e con sé. Sette anni dopo: convenzione formulare per indicare un periodo lungo e compiuto, nonché il risultato del tre celeste con il quarto incomodo terrestre. La solidificazione della ragazza è già avvenuta e tuttavia Johannes insiste, fino a scioglierla, come da un incantesimo. Nave nuovamente in partenza, viaggio a due. Mare, cielo, gabbiani. Sembrerebbe esserci adesso il compimento di un finale positivo. Nei film successivi, però, la situazione della fuga in coppia, tra il mare e le onde, col culmine di Monica e il desiderio, sarà ancora, e in maniera più netta e radicale, soltanto il principio di un’ulteriore promessa non mantenuta. L’in(d)izio di una sconfitta definitiva”.

(Leonardo Persia)

"Un mondo di purezza cinematografica abbagliante [...] che discende direttamente dal cinema svedese delle origini".

(André Bazin)

Al porto di Gotebörg, lo strano interludio tra un marinaio che ritorna dopo anni di assenza e una ragazza che ha tentato il suicidio. Per sua ammissione, Bergman pensa ancora a Carné: il film è anche un timido ricalco scandinavo del Porto delle nebbie, "un capolavoro pervaso da una luce eterna". Se non eterna, certo assai struggente è però anche la luce di questo film, tessuto di solitudine, di speranze senza domani e di atmosfera salmastra.

(pcris)

  • Il film “A Ship Bound for India” (1947), Ingmar Bergman: www.youtube.com

 

Una poesia al giorno

Ad Anna, che gli gettò della neve, di Clément des Marets, soprannominato Marot (1496-1544), poeta francese.

Anna per gioco mi gettò della neve,
che trovai fredda, senz’alcun dubbio:
ma era fuoco, e n’ebbi prova,
ché ne avvampai, di soprassalto.

Visto che il fuoco s’annida quieto
sotto la neve, quale riparo potrò
trovare dalle sue fiamme? Anna,
solo il tuo incanto potrà placarle
(io ben l’ho inteso: ghiaccio, neve,
acqua valgono a nulla) se la loro ardore
anche tu cedi, com’io ho ceduto.

Clément des Marets, poeta francese (Cahors 1496 - Torino 1544). Figlio del "rhétoriqueur" Jean, studiò a Parigi sotto la guida del padre; iniziò quindi la carriera di cortigiano e alla morte del padre ereditò la carica di "valet de chambre" del re Francesco I. A corte godé di un grande prestigio; ma accusato di eresia, e compromesso nell'affaire des placards, dové riparare prima presso Margherita di Navarra (1534), poi in Italia, a Ferrara (presso Renata di Francia) e a Venezia; quindi, dopo altre accuse e vicende, in Svizzera, e ancora in Italia, a Torino, dove morì. Fu poeta originale che nella nuova sensibilità rinascimentale seppe anche riprendere e fondere elementi tradizionali, medievali e quattrocenteschi: apprezzò Villon, delle cui opere curò un'edizione (1532); pubblicò anche un'edizione del Roman de la rose (1529), da cui aveva tratto motivi e figure per il suo poemetto allegorico Le temple de Cupido (1515); e dalla retorica paterna derivò buona parte della sua abilità di versificatore. La sua poesia trovò le espressioni più sincere e felici nel ricordo dei primi anni (Adolescence clémentine, 1532; La suite de l'Adolescence clémentine, 1533-34), nella vena epigrammatica delle epistole e delle favole, nelle note più gravi e sommesse delle meditazioni religiose, e nelle fortunate traduzioni che egli fece dei Salmi (Les Psaumes, 1541 e 1545). Più arguto che profondo, seppe controllare sempre, con un'eleganza scherzosa, le deviazioni e gli abbandoni della sua malinconia. Raccolse le sue Oeuvres nel 1538 e nel 1542”.

(Treccani)

  • La neve bollente, simbolo dell’amore, in una poesia di Clément Marot: blog.graphe.it

 

Un fatto al giorno

23 novembre 1531: scoppia la seconda guerra di Kappel in Svizzera. La seconda guerra di Kappel (in tedesco: Zweiter Kappelerkrieg) è stata un conflitto armato, del 1531, tra i cantoni svizzeri protestanti e quelli cattolici della Vecchia Confederazione durante la Riforma protestante svizzera.”

(Wikipedia)

“Kappel Centro svizzero, nel cantone di Zurigo. Guerre di K. I due conflitti, scoppiati per motivi confessionali, fra cantoni protestanti e cattolici. La prima guerra, iniziata dalla città riformata di Zurigo (1529), ebbe come protagonisti in campo protestante Berna, Bienne, Mulhouse e Basilea, e fra i cattolici i cinque cantoni alpini (Waldstätten) dell’Alleanza cristiana; la pace, sottoscritta a K. e accettata da Zurigo contro la volontà di Zwingli, segnò il successo dei protestanti. Nella seconda guerra (1531), esplosa per iniziativa dei cantoni cattolici, i protestanti furono sconfitti presso K. e a Menzingen. La pace, grazie all’intervento mediatore dei duchi di Savoia e di Milano e della stessa Francia, rappresentò l’arresto della diffusione della Riforma nel territorio svizzero (la lega fra i cantoni protestanti fu sciolta e le località oggetto di contesa sottoposte alla sovranità dei Waldstätten)”.

(Treccani)

 

Una frase al giorno

“Viviamo in un mondo così legato ai numeri e ai calcoli che è quasi difficile vivere la propria fantasia. È più semplice dedicarsi ai numeri e parlare di essi”.

(Terry Gilliam, nato nel 1940 e vivente, è attore, regista, sceneggiatore e produttore statunitense)

  • Making OF Brazil”, 1985, film di Terry Gilliam, con Jonathan Pryce, Robert De Niro, Michael Palin, Kim Greist

 

Un brano al giorno

Claude-Achille Debussy (1862 - 1918), Suite Bergamasque. Claudio Arrau, piano

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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web www.brusaporco.org