“L’amico del popolo”, 25 aprile 2018

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

LA LUNGA NOTTE DEL '43 (Italia, 1960) di Florestano Vancini. Sceneggiatura: Florestano Vancini, Ennio De Concini, Pier Paolo Pasolini, liberamente tratto dal racconto Una notte del '43, della raccolta Cinque storie ferraresi, libro con il quale Giorgio Bassani vinse il Premio Strega nel 1956. Fotografia: Carlo Di Palma. Montaggio: Nino Baragli. Musiche: Carlo Rustichelli. Con: Belinda Lee, Gabriele Ferzetti, Enrico Maria Salerno, Andrea Checchi, Gino Cervi, Loris Bazzocchi, Nerio Bernardi, Alice Clemens, Raffaella Carrà, Carlo Di Maggio, Isa Querio, Gabriele Toti, Cesare Martignoni, Nino Musco, Romano Ghini, Leonello Zanchi, Franco Cobianchi, Dario Bellini, Silla Bettini, Tullio Altamura.

In una Ferrara avvolta in un clima freddo, reso ancor più tetro dal fantasma di una guerra ormai persa, nel novembre del 1943 il dottor Pino Barilari, titolare dell'omonima farmacia presso la quale ha per anni lavorato prima che una malattia venerea lo consumasse riducendolo all'invalidità, dalla finestra della sua abitazione scruta la monotona vita cittadina, facendosi beffa di chiunque passi sotto il suo sguardo. La bella e giovane Anna, moglie di Barilari, incontra per caso Franco, suo spasimante prima dell'infelice matrimonio che la costringe ad una vita da reclusa. La fiamma tra i due si riaccende e Franco, scappato dopo l'8 settembre e costantemente a rischio di cadere nelle maglie del rastrellamento, pare sinceramente interessato alla conturbante Anna.
Sul corso principale di Ferrara, sotto gli occhi vigili di Barilari, si consuma una tragedia: l'inquietante e diabolico Carlo Aretusi, detto "Sciagura", ambisce a sostituire il federale fascista di Ferrara, console Mario Bolognesi, da lui ritenuto un imbelle burocrate. Attraverso un'imboscata ordita da Aretusi e portata a termine dal fido Vincenzi, Bolognesi viene eliminato.
Subito a Ferrara accorrono le squadre fasciste da altre città, inviate direttamente da Verona, dove si sta svolgendo il congresso costitutivo del Partito Fascista Repubblicano. Su indicazione di Aretusi vengono arrestati, come capri espiatori, alcuni antifascisti ferraresi e tra questi l'avvocato Villani, padre di Franco.
Gli antifascisti vengono fucilati nella notte resa fredda e deserta dal clima rigido, il coprifuoco ed il terrore, proprio davanti al muretto del Castello Estense e sotto gli occhi di Barilari, sveglio e davanti alla sua finestra, che assiste impotente prima al massacro e poi al ritorno di Anna, reduce da una notte passata con Franco.
Anna, consapevole che Barilari ha visto tutto, gli chiede di denunciare l'accaduto gridandogli in faccia il suo disprezzo e la sua felicità ritrovata nella nuova relazione; fugge poi da Franco per raccontargli che esiste un testimone dell'assassinio di suo padre, ma Franco prima la tratta con freddezza poi, davanti alla prospettiva di conoscere la verità, la scaccia.
Anna torna a casa sconvolta, giusto in tempo per scorgere che Aretusi ha fatto visita a suo marito. L'intento di "Sciagura" è di sapere se Barilari ha visto l'accaduto ma, forse per proteggere la moglie, l'ex farmacista nega. Anna, inconsapevole del drammatico colloquio fra i due, nota solo un cenno che Aretusi fa dalla strada a Barilari e, ritenendolo uno squallido gesto d'intesa, rifiuta di salire e cambia direzione. Solamente il farmacista che lavora con lei, e che da sempre ne è segretamente innamorato, tenta di dissuaderla dall'abbandonare la sua casa, ma ogni sforzo è inutile, e la bella signora Barilari se ne va per sempre, sentendosi delusa da tutti e sconfitta.
Anni dopo Franco, fuggito e poi sposatosi all'estero, torna a Ferrara e, preso atto della morte di Barilari sin da prima della fine della guerra, cerca invano Anna della quale nessuno sa più nulla. Incontra casualmente Aretusi proprio di fronte alla lapide che ricorda il sacrificio di suo padre e, davanti ai modi gentili dell'ex gerarca, risponde con altrettanta gentilezza stringendogli la mano. Quando la moglie gli chiede chi fosse quell'anziano, Franco risponde che era un capo del fascio locale ma che riteneva "non avesse mai fatto nulla di male". Franco continua a scegliere quindi di non sapere, rimanendo indifferente anche di fronte alla sua tragedia familiare e fugge, ancora una volta e forse per sempre, da Ferrara.

“Esordio di Florestano Vancini, dopo undici anni di documentari, La lunga notte del '43 costituisce uno dei film più importanti sull'Italia fascista. Vancini adattò il racconto di Giorgio Bassani, ispirato a un episodio reale, e portò sullo schermo una storia che tratta il dopo 8 settembre rappresentando non l'occupazione nazista, ma unicamente la guerra civile fra italiani. Il tema della Resistenza è solo accennato in una breve scena (ideata dallo stesso Vancini e curata nei dialoghi da Pier Paolo Pasolini): durante una discussione, alla decisione di Franco di fuggire in Svizzera viene contrapposta una soluzione alternativa, quella di reagire allo status quo. Come Bassani, anche Vancini sceglie di servirsi di minimi scarti dalla realtà storica. Questo gli permette di prendere le distanze dal dato di cronaca e di amplificare la valenza metastorica del racconto attraverso ulteriori elementi di finzione. Traducendo la complessa organizzazione di Bassani in una struttura narrativa più lineare, Vancini apporta significative modifiche: approfondisce la psicologia dei personaggi, conferendo spessore al ruolo di Anna; con una brusca ellissi introduce un epilogo che aggiorna gli eventi al 1960, dando un giudizio sulla Storia ancor più amaro e drammatico rispetto al modello letterario. In tal senso, simbolica è la figura di Pino Barilari, la cui infermità fisica e la cui omertà denunciano la deficienza morale e il conformismo di una borghesia infettata dal fascismo sin dalla fase iniziale della sua ascesa (non a caso la malattia di Pino è stata contratta ai tempi della marcia su Roma). Ma Vancini si spinge oltre e sviluppa questa denuncia con l'invenzione del personaggio di Franco: il suo rifiuto di conoscere la verità è il rifiuto della memoria da parte di una generazione che col fascismo stabilisce un rapporto di consenso passivo e di connivenza, incapace com'è di fare i conti con le responsabilità del passato.
Tutta la vicenda è immersa nell'atmosfera fosca e angosciosa di una Ferrara autunnale, in parte reale e in parte magistralmente ricostruita da Carlo Egidi negli studi De Paolis di Roma. Splendido l'uso della profondità di campo nella fotografia di Carlo Di Palma, che spesso agisce sui volti dei personaggi per sottolineare i momenti più drammatici. Di notevole effetto l'impiego di un allegro motivo di moda (Il barattolo di Gianni Meccia) che, con un forte cambio di registro, segna il balzo temporale al presente.
Nel 1960 La lunga notte del '43 venne presentato alla Mostra di Venezia, dove ricevette il Premio Opera Prima. Nel 1961 a Enrico Maria Salerno fu assegnato il Nastro d'argento quale miglior attore non protagonista. La critica dell'epoca per la maggior parte accolse il film con entusiasmo, elogiando le doti degli attori, in particolare di Belinda Lee, e sottolineando l'originalità e il coraggio della lettura storico-politica. Alcuni critici giudicarono però ridondante la vicenda d'amore tra Anna e Franco. Oggi, riconosciuta l'importanza dell'opera, si può rilevare come già in La lunga notte del '43 fosse delineato con lucida maturità il grande tema vanciniano del valore della coscienza individuale e della memoria critica del passato, che sarebbe stato sviluppato in alcuni tra i film più significativi del regista (La banda Casaroli, 1962; Le stagioni del nostro amore, 1966; Bronte: cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato, 1972; Il delitto Matteotti, 1973).”

(Loris Lepri - Enciclopedia del Cinema, 2004, Treccani)

 

Una poesia al giorno

Sonetto VIII, di Louise Labé soprannominata La Belle Cordière, per essere figlia di un cordaio (Lione, 1524 circa - Parcieux, 15 febbraio 1566)

Io vivo, io muoio; io brucio e annego.
Ho molto caldo mentre soffro il freddo;
la vita mi è troppo dolce e troppo dura;
ho una grande tristezza mescolata di gioia.
Rido e piango nello stesso momento,
e nel mio piacere soffro molti grandi tormenti;
la mia felicità se ne va, e mai dura;
nello stesso momento sono secca e lussureggiante.
Così Amore mi conduce incostante;
e quando io penso di essere nel maggior dolore
all’improvviso mi trovo fuori da ogni pena.
Poi quando credo la mia gioia essere certa
e che sono nel punto più alto della mia desiderata felicità
ritorno nella mia sventura precedente.

Je vis, je meurs: je me brule et me noye.
J’ay chaut estreme en endurant froidure:
La vie m’est et trop molle et trop dure.
J’ay grans ennuis entremeslez de joye:
Tout à un coup je ris et je larmoye,
Et en plaisir maint grief tourment j’endure:
Mon bien s’en va, et à jamais il dure:
Tout en un coup je seiche et je verdoye.
Ainsi Amour inconstamment me meine:
Et quand je pense avoir plus de douleur,
Sans y penser je me treuve hors de peine.
Puis quand je croy ma joye estre certeine,
Et estre au haut de mon desiré heur,
Il me remet en mon premier malheur.
 

Louise Labé nasce Louise Charly, presumibilmente nel 1524 a Lione (Francia), da Pierre Charly ed Etienne Royber. Il nome Labé deriva dal fatto che il padre in prime nozze aveva sposato una vedova di un artigiano cordaio di nome Labé e che quindi per una questione di marchio questo nome resterà non solo per definire l’azienda ma anche come riferimento della famiglia, tanto che Louise lo prenderà come nomignolo.
Sia per l’attività redditizia di cordaio sia per aver ereditato diversi patrimoni nei suoi numerosi matrimoni, il padre Pierre diviene benestante e permette a Louise e alla numerosa famiglia di vivere una vita agiata.
Louise ha una buona educazione letteraria, una formazione ampia nei classici e nell’umanesimo italiano: impara il latino, lo spagnolo, l’italiano, l’arte del ricamo, la musica, e frequenta inoltre la scuola di scherma e la scuola di equitazione dei fratelli.

È tanto coinvolta nelle arti marziali e nell’equitazione che è solita partecipare ai tornei vestita da uomo, tale che anche il suo cavalcare è di stile maschile.
Sembra che partecipi, sempre vestita in abiti maschili, alla battaglia di Perpignan, accanto a Enrico II, con il nome di “Capitano Loys”.
Ancora giovane conosce poeti e scrittori della sua città, diventando un riferimento mondano nei salotti di Lione, per il suo fascino, per la sua cultura e per il suo amore per la poesia. Seduttrice, ama, è riamata, è ricercata, è corteggiata, si concede, vive la sua vita con serena trasgressione.
Nel 1545 sposa un cordaio benestante, Ennemond Perrin, con almeno venticinque anni più di lei.
Realizza nella sua ricca casa di Lione un vero e proprio laboratorio letterario “bureau d’esprit”, che diviene il punto d’incontro della società più distinta e più letterata, viene soprannominata «La Belle Cordière» (la bella cordiera) per essere figlia e moglie di un cordiere.
Artisti, avvocati, letterati e uomini di cultura, e ricchi italiani figurano come ospiti abituali, tra i quali alcuni come amanti, di questo cenacolo, come Maurice Scève, Claude de Taillemont, Antoine du Moulin, Guillaume Aubert, Jean-Antoine de Baïf, Pontus de Tyard, Jacques Pelletier du Mans, Olivier de Magny, Luigi Francesco Alamani, Antoine Fumée, e infine il suo avvocato e amico fiorentino Fortini.
L’ulteriore agiatezza, specialmente dopo la morte del marito nel 1556, le permette di vivere una vita di lusso e piacere, di spregiudicatezza e di libertinaggio tanto che spesso è additata (specialmente da ex-amanti o da uomini respinti, o gente invidiosa) come donna licenziosa, per la sua vita piena di amori, veri o presunti.
Scrive fin dal 1547, prima una opera in prosa e poi numerose poesie nello stile rinascimentale di allora.

Si conosce poco della sua vita, se non le sue opere, tanto che alcuni critici hanno rappresentato Louise in diversi modi: oltre che scrittrice, ora cortigiana, ora cavaliere, lesbica, prostituta, alimentando uno strano mistero su questa figura. Le poche notizie sulla sua esistenza ha indotto letterati a molte congetture, tanto che dopo la morte alcuni critici del XVI secolo, hanno pensato a lei come ad un personaggio inventato per goliardia dal gruppo letterario di Lione, tesi questa ripresa anche qualche anno fa (2006) da Mireille Huchon, docente ginevrina, che ipotizza tutta la storia come una finzione elaborata da alcuni poeti dell’epoca del gruppo di Maurice Scève, ovvero che Louise Labé non sia altro che una creazione immaginaria, una sorta di “creature del papier”.
Ovviamente il mondo della cultura, tra le quali la più violenta quella di Marc Fumaroli dall’ “Accadémie Francaise”, ha reagito immediatamente, contestando in modo deciso questa tesi.
Già nel 2005, in occasione del compimento dei quattro secoli e mezzo dall’uscita dell’opera, Louise ha ricevuto la consacrazione universitaria ufficiale accanto ai grandissimi nomi maschili, con l’inserimento del suo nome nel programma di “Agrégation de Lettres Modernes”, confermando la traccia indelebile, nella cultura francese, delle sue opere.
Gravemente malata si ritira nella casa di campagna di Parcieux, e dopo aver fatto testamento delle sue rilevanti ricchezze, favorendo i poveri e le giovani madri, muore il 15 febbraio 1565”.

(Con altre poesie in: donnedipoesia.wordpress.com)

 

Un fatto al giorno

25 aprile 1945: anniversario della liberazione d'Italia. “L'anniversario della liberazione d'Italia (anche chiamato festa della Liberazione, anniversario della Resistenza o semplicemente 25 aprile) è una festa nazionale della Repubblica Italiana che ricorre il 25 aprile di ogni anno. È un giorno fondamentale per la storia d'Italia ed assume un particolare significato politico e militare, in quanto simbolo della vittoriosa lotta di resistenza militare e politica attuata dalle forze partigiane durante la seconda guerra mondiale a partire dall'8 settembre 1943 contro il governo fascista della Repubblica Sociale Italiana e l'occupazione nazista”.

(it.wikipedia.org)

 

Una frase al giorno

“Voi, nella vostra stolta malvagità, detestate la solerzia delle mosche, perché con il loro proposito di ricerca filosofica non vi permettono in nessun momento di restare oziosi? O pigri e lenti, che a stento anche con il pungolo la mosca riesce a spingere all'azione, imparate i buoni costumi dalla solerte mosca, maestra di virtù!”

(Leon Battista Alberti, Genova, 18 febbraio 1404 - Roma, 25 aprile 1472, architetto, scrittore, matematico, umanista, crittografo, linguista, filosofo, musicista e archeologo italiano; fu una delle figure artistiche più poliedriche del Rinascimento)

25 Aprile 1472 muore Leon Battista Alberti.

 

Un brano musicale al giorno

Giovanni Marco Rutini, Sonata da Cimbalo e violino obbligato op. 14. n. 1: primo movimento. Riccardo Mascia al clavicembalo, Renata Sfriso al violino.

Giovanni Marco Rutini, anche Giovanni Maria o Giovanni Placido, nasce a Firenze, il 25 aprile 1723 e vi muore il 22 dicembre 1797. Il R. studiò probabilmente a Napoli presso il Conservatorio di S. Onofrio. Durante la sua carriera, varia come quella di tanti Italiani del tempo, egli ebbe modo d'illustrarsi non soltanto quale insegnante e virtuoso, ma anche quale compositore, e d'altra parte questa fama ci risulta dovuta - se esaminiamo le sue musiche - non a contingenze ma ad intrinseci valori d'arte.

(Gastone Rossi Doria, Enciclopedia Italiana, 1936)


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

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Ugo Brusaporco

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