L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...
Un film al giorno
IKIRU, 生きる (Vivere, Giappone, 1952), diretto e montato da Akira Kurosawa, ispirato dalla novella “La morte di Ivan Ilych” (1886) di Leo Tolstoy. Sceneggiatura: Shinobu Hashimoto, Akira Kurosawa, Hideo Oguni. Cinematografia: Asakazu Nakai. Musica: Fumio Hayasaka. Con: Takashi Shimura (Kanji Watanabe), Shinichi Himori (Kimura), Haruo Tanaka (Sakai), Minoru Chiaki (Noguchi), Miki Odagiri (Toyo Odagiri, employee), Bokuzen Hidari (Ohara), Minosuke Yamada (Subordinate Clerk Saito), Kamatari Fujiwara (Sub-Section Chief Ono), Makoto Kobori (Kiichi Watanabe, Kanji's Brother), Nobuo Kaneko (Mitsuo Watanabe, Kanji's son), Nobuo Nakamura (Deputy Mayor), Atsushi Watanabe (Patient), Isao Kimura (Intern), Masao Shimizu (Doctor), Yunosuke Ito (Novelist).
“L'impiegato comunale Watanabe, capoufficio della sezione civile, vedovo da venticinque anni, scopre di avere un tumore allo stomaco. Tutto gli crolla addosso, e nessuno è in grado di aiutarlo, neppure il figlio Mitsuo, che anzi lo maltratta. Ritira tutti i quattrini dalla banca e decide di godersi i pochi mesi che gli restano. Con un autore di romanzi, conosciuto casualmente, gira per i night di Tokyo. Frequenta una giovane ex-collega di ufficio, che gli consiglia di dare le dimissioni e di rendersi utile con qualche iniziativa seria. Ricorda che in ufficio si era occupato della trasformazione di una zona paludosa in un parco giochi per bambini. Cinque mesi dopo, Watanabe è morto. Il parco giochi esiste. I giornalisti si chiedono se il merito spetti davvero al sindaco, come egli va dicendo, e apprendono, consultando le carte, che era stato Watanabe, con testardaggine a fare la spola da un ufficio all'altro per rimettere in moto un progetto arenato nell'incuria generale. All'inaugurazione nessuno lo ricorda: lui che si era spento seduto su un'altalena del nuovo parco, felice di aver dato un senso alla sua vita, di essere riuscito a compiere il "miracolo". I colleghi, ubriachi, giurano di prendere esempio da lui. Le madri dei bambini pensano al loro benefattore. Il giorno dopo è tutto dimenticato. Un altro impiegato ha preso il suo posto in ufficio; non si parlerà mai più di Watanabe.”
(Wikipedia)
“(...) Con un vertiginoso balzo in avanti (forse il più originale flashforward della storia del cinema) veniamo proiettati «cinque mesi dopo». «L'eroe della storia è morto», annuncia una voce-off mentre sullo schermo appare il ritratto listato a lutto di Watanabe esposto davanti a parenti e colleghi d'ufficio riuniti per la veglia funebre. C'è anche una compunta delegazione di politici capeggiati dal sindaco. Che cosa ha indotto il regista a sovvertire clamorosamente la cronologia e a cominciare, a un terzo dalla fine, un altro film? Invitandoci a ricostruire le ultime settimane di vita di Watanabe attraverso il complesso puzzle delle testimonianze (dubbi, interrogazioni) di familiari e colleghi d'ufficio, Kurosawa non fa dello sperimentalismo: evita i risvolti patetici e moralistici della vicenda (un malato grave che si batte da solo contro il Castello dei burocrati per la costruzione di un giardino d'infanzia e vi muore appena è stato inaugurato), stimola lo spirito critico dello spettatore, decuplica lo «choc» emotivo dei brevissimi (undici) flash sulla via crucis burocratica del «povero cristo che porta il suo cancro» secondo l'espressione di «Mefistofele», e per contrasto rende ancora più graffiante la satira della mentalità burocratica. Il procedimento gli consente di esprimere al tempo stesso la tesi (l'eroismo di Watanabe) e l'antitesi: il gesto del moribondo è talmente eccezionale da risultare inimitabile; scoperta la verità sul loro ex capufficio, durante la veglia funebre, gli impiegati se ne dimenticheranno subito vergognosamente. (...)
Avventura interiore di un uomo comune che lotta contro la morte e il fallimento della propria esistenza, ritratto sarcastico di una categoria sociale (la burocrazia), Vivere ci sorprende per la varietà e la profondità dei temi affrontati, l'audacia della struttura narrativa, la sconvolgente carica emotiva che lo collocano accanto ai film-bilancio più celebrati della storia del cinema (L'ultima risata, Citizen Kane, Umberto D, Il posto delle fragole). Lirismo e satira, grazia e crudeltà (la visita medica, la via crucis burocratica di Watanabe), realismo, onirismo (i flash-back) ed espressionismo (il viaggio notturno nei quartieri di piacere di Tokyo) si fondono in una sintesi prodigiosa. Uno dei miracoli di questo «Citizen Watanabe» è che riesce a trattare della malattia senza deprimerci, comunicandoci una forsennata voglia di vivere.
Nel voler fondere in un solo grande film le istanze di opere disparate come Citizen Kane (l'ultimo terzo di Vivere è l'indagine sulla reale identità di uno scomparso), Umberto D e Il cappotto di Gogol, l'autore ha peccato per troppa ambizione? Anche se c'è forse qualche scompenso, in Vivere tutto viene riscattato dall'emozione, dall'umanità delle situazioni e dei personaggi: con la sua sensibilità, la sua fisicità (le spalle ricurve, gli occhioni da cane bastonato, le grandi labbra «scimmiesche»), Takashi Shimura conferisce al personaggio del capufficio una intensità «chapliniana»; come a Emil Jannings (L'ultima risata), gli perdoniamo volentieri qualche eccesso melodrammatico. Comprendiamo e condividiamo pienamente l'entusiasmo di André Bazin: «Vivere è forse il più bello, il più intelligente (la sua sapienza strutturale mi lascia a bocca aperta) e il più emozionante fra i film giapponesi che ho potuto vedere» scriveva nel 1957. E aggiungeva: «Forse continuo a preferire la pura musica giapponese dell'ispirazione di Mizoguchi, ma debbo arrendermi davanti all'ampiezza delle prospettive intellettuali, morali, estetiche aperte da un film come Vivere, che mette in luce dei valori incomparabilmente più importanti sia nella sceneggiatura che nella forma. Mi domando se, invece di considerare il cosmopolitismo di Kurosawa come un compromesso sia pure di qualità superiore, non dobbiamo al contrario considerarlo come un progresso dialettico che indica l'avvenire del cinema giapponese».
Classificato secondo tra i migliori film giapponesi di tutti i tempi da un areopago di critici orientali, Vivere si è dovuto accontentare in occidente di un modesto Orso d'argento a Berlino. Dopo Rashòmon, Kurosawa non ha più avuto molta fortuna nei festival occidentali; per vincere una Palma d'oro a Cannes dovrà attendere il 1980 (Kagemusha).”
(Aldo Tassone in “Akira Kurosawa”, Il Castoro-L’Unità, 1995)
“Un piccolo, arcigno burocrate con trent'anni di anzianità, Watanabe detto 'Mummia', si sa condannato e, nei pochi mesi che gli rimangono da vivere, decide di dare un significato alla propria irreprensibile ma opaca esistenza. Si lega d'amicizia con una giovane impiegata che ha lasciato il suo stesso ufficio per fabbricare giocattoli, e in questo nuovo lavoro è felice. L'ultima azione della sua vita, l'unica sua vera e degna azione, sarà quella di mandare avanti una pratica per la costruzione d'un giardino d'infanzia in una zona derelitta. Ma, dopo la sua morte, il merito del progetto sarà rivendicato da un alto funzionario. Le elezioni sono vicine. Di tutti i film di Kurosawa è il più libero e disteso, si potrebbe dire il più autobiografico. È un'opera densa, affascinante e sincera, piena di risvolti imprevedibili, di umanesimo e di virilità. Il regista concentra in essa, e porta al più alto grado espressivo, lo studio del dopoguerra giapponese da lui condotto in una serie di film sui problemi dell'attualità. L'attacco alla burocrazia, alla corruzione, all'obbedienza sepolcrale, all'indifferenza e al cinismo è limpido e convincente, così come il lato ottimistico e battagliero della vicenda è trattato con finezza e con energia. La figura del piccolo funzionario che scopre la vita sulla soglia della morte è di quelle indimenticabili del cinema contemporaneo”.
(Mymovies)
“Un riepilogo del cinema di Kurosawa, l'ha definito qualcuno. Un'opera discorsiva, lunga e varia - spiegano gli storici Anderson e Ritchie - piena di svolte e mutamenti. Passa da clima a clima, dal presente al passato, dal silenzio a un frastuono assordante, e sempre nel modo meno confuso e più affascinante. Un gioco serrato fra un'azione lineare al presente, un esteso flashforward e numerosi brevi flashback incastrati nel flusso centrale del racconto consente di rivelare, di sorpresa in sorpresa, i segreti dell'odissea di Watanabe [...] e di mettere a fuoco i due temi del film: l'analisi a ciglio asciutto di una vita che si spegne; la satira feroce di una burocrazia impiegatizia che soffoca la società. [...] Il pessimismo kurosawiano stringe in un blocco espressivo di forte suggestione in un mondo intero di pensieri, di aspirazioni, di rimpianti e di illusioni. Non c'è, come altre volte, né enfasi né sfarzo. C'è soltanto l'amarezza per l'inevitabile sconfitta.»
(Giammatteo-Bragaglia, Dizionario dei capolavori del cinema, 2007, Mondadori)
Il film IKIRU (1952):
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18 aprile 1918 nasce Shinobu Hashimoto, regista, produttore e sceneggiatore giapponese.
Una poesia al giorno
Tra che stolti pensier, di Luigi Alamanni (Firenze, 6 marzo 1495 - Amboise, 18 aprile 1556), poeta, politico e agronomo italiano.
Tra che stolti pensier, tra quanti ’nganni
questa vita mortal sepolta giace,
con che cieco penar si fuggon gli anni ?
Omagnianimo Rè, l’antica pace
com’oggi è spenta et la virtù sbandita ?
Sol vive e regnia quanto a Dio dispiace,
Ma chi ’l conosce ? Ogni uom dritta et spedita
crede prender la via ch’al ciel conduce
schernendo altrui, che forse l’ha smarrita.
“Nato da Piero, mercante di lana, politico e ambasciatore, e da Ginevra Paganelli, Luigi Alamanni studiò filosofia con Francesco Cattani da Diacceto, e frequentò il circolo intellettuale fiorentino e antimediceo degli Orti Oricellari, ove conobbe il Machiavelli, che gli dedicò la sua Vita di Castruccio. Nemico giurato del cardinale Giulio de' Medici, poi papa Clemente VII, nel 1522 prese parte a una congiura per ucciderlo, alla quale parteciparono anche Zanobi Buondelmonti e Jacopo da Diacceto. Scoperta la congiura, mentre i due affiliati venivano condannati a morte, l'Alamanni fuggì a Venezia e poi in Francia. Tornò a Firenze con la cacciata dei Medici nel 1527 e prese parte al governo cittadino, con incarichi diplomatici svolti a Genova e in Francia. Dopo il ritorno dei Medici nel 1530, dovette nuovamente emigrare in Francia, dove compose la maggior parte delle sue opere. Favorito di Francesco I, fu ambasciatore presso Carlo V dopo la pace di Crepy nel 1544. In contatti con altri fiorentini fuorusciti o espatriati, fu ad esempio amico di Benvenuto Cellini: sua moglie Maddalena già Buonaiuti fu madrina al battesimo di Costanza, figlia di Cellini. Ad esempio della sua abilità diplomatica, si dice che l'Alamanni, interrotto mentre indirizzava un elogio all'imperatore, che gli ricordò come egli l'avesse descritto come "l'aquila grifagna, che per più devorar, duoi rostri porta", avesse risposto con prontezza che, come poeta, gli era permesso mentire, ma come ambasciatore, ora doveva dire la verità. Dopo la morte di Francesco I, l'Alamanni ottenne la fiducia del successore Enrico II, che nel 1551 lo fece ambasciatore francese a Genova. L'Alamanni è stato considerato per alcuni secoli uno dei maggiori poeti italiani, come prova il numero delle edizioni, che si avvicina a quello dei massimo esponenti della poesia italiana. Le storie della letteratura del ventunesimo secolo non gli assegnano il ruolo che mostrarono di riconoscergli, con il numero delle ristampe, gli editori italiani tra il Seicento e l'Ottocento; gli studiosi della letteratura agraria hanno sottolineato l'importanza de La coltivazione, il suo poema didascalico sulle opere dei campi, una delle prime espressioni della nuova agronomia della Rinascenza europea, il primo dei poemi sulle colture agrarie che si moltiplicheranno soprattutto nel Settecento, nessuno dei quali unirà, come l'opera del poeta fiorentino, armonia di versi e penetrazione delle tecniche e procedure in uso nelle campagne del suo tempo. La poetessa Isabella di Morra dedicò un sonetto all'Alamanni dal titolo Non sol il ciel vi fu largo e cortese.”
(Wikipedia)
18 aprile 1556 muore Luigi Alamanni, poeta e politico italiano, nato nel 1495.
Un fatto al giorno
18 aprile 1988: gli Stati Uniti lanciano l'Operazione "Praying Mantis" contro le forze navali iraniane nella più grande battaglia navale dalla seconda guerra mondiale.
“Operazione Mantide religiosa fu il nome in codice di un'azione bellica sostenuta il 18 aprile 1988 nell'area del Golfo Persico da forze aeree e navali della United States Navy ai danni di installazioni petrolifere e unità militari dell'Iran, parallelamente ai più vasti eventi della guerra Iran-Iraq... La giornata del 18 aprile 1988 si concluse con un bilancio pesante per le forze iraniane: oltre alla distruzione delle due piattaforme petrolifere, l'Iran dovette registrare l'affondamento di una fregata, una cannoniera missilistica e almeno tre barchini veloci, oltre al danneggiamento di una seconda fregata e di un cacciabombardiere F-4; le perdite umane per parte iraniana furono stimate in circa 60 morti e 100 feriti. Di per contro, gli statunitensi registrarono unicamente la perdita di un elicottero AH-1 Cobra con il suo equipaggio: decollato dal Wainwright in missione di ricognizione quella sera stessa, l'aeromobile si schiantò in mare 24 chilometri a sud-ovest dell'isola di Abu Musa, non è chiaro se per un incidente o perché colpito da fuoco antiaereo iraniano; i corpi dei due membri dell'equipaggio e i rottami dell'elicottero furono poi recuperati da sommozzatori statunitensi in maggio. Per numero e tipologia di unità impiegate da entrambe le parti, lo scontro del 18 aprile risultò il più grande combattimento navale sostenuto dalla United States Navy dalla fine della seconda guerra mondiale, nonché il primo della storia in cui la Marina statunitense fece uso di missili superficie-superficie antinave.
- Steve Watson Fonte: globalresearch.ca
- Link: globalresearch.ca
- Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di LAURA in www.ariannaeditrice.it
- Immagini: www.youtube.com
Una frase al giorno
"I mali di questo mondo sono causa di chi crea bisogni fittizi per voi."
(Allan Kardec, pseudonimo di Hippolyte Léon Denizard Rivail)
Allan Kardec (Lione, 3 ottobre 1804 - Parigi, 31 marzo 1869) è stato un pedagogista e filosofo francese conosciuto per essere stato il fondatore e codificatore dello spiritismo, dottrina filosofica di cui fu il principale divulgatore a livello mondiale.
- Immagini: Allan Kardec ieri e oggi e lo Spiritismo
18 aprile 1857: viene pubblicato "Il libro degli spiriti" di Allan Kardec, che segna la nascita dello spiritismo in Francia.
Un brano musicale al giorno
Jean-Fery Rebel, “Les Caracteres de la Danse”
Eseguita dal gruppo barocco Inegalite Mystique Baroque con il gruppo di danza La Maison Noble, nel Museo di storia e navigazione, Riga, 6 agosto 2014.
Jean-Féry Rebel, o Jean-Ferry Rebel (Parigi, 18 aprile 1666 - Parigi, 2 gennaio 1747), è stato un compositore e violinista francese dell'epoca barocca.
Ugo Brusaporco
Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.
INFORMAZIONI
Ugo Brusaporco
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