L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...
Un film al giorno
IL GIOCO DELLE OMBRE (Italia, 1990) di Stefano Gabrini. Sceneggiatura: Stefano Gabrini, Roberto Marafante. Fotografia: Raffaele Mertes. Montaggio: Carlo Fontana. Musica: Popol Vuh. Con: Fabio Bussotti, Fiammetta Carena, Stefania Felicioli, Alberto Musacchio, Remo Remotti, Maurizio Sguotti, Isa Gallinelli, Pieter Kenealy, Mariella Valentini. Film presentato a Locarno 1990.
Storia di Luca, uno scrittore che dopo il suicidio di Marta, la donna amata, si richiude in se stesso isolandosi. Durante una delle sue passeggiate solitarie, viene attratto da una casa disabitata e decide di prenderla in affitto. Qui proietta il suo mondo fantastico, fatto di immagini, di luoghi sacrali, di angosce, nelle cose che lo circondano, di ombre e ricordi del rapporto con Marta, Fantasmi che alla fine prendono il sopravvento soffocando la realtà. Neppure l’amore solare di Alice, bellissima acrobata, strappa Luca dal tunnel in cui si trova.
“Un film bruttissimo e bellissimo allo stesso tempo, termini contrastanti fra loro ma che riassumono in un certo senso una poetica che vuole proprio giocare sui contrasti. Si è odiato la ripetitività di alcune azioni, la lentezza e pesantezza di alcune scene, la recitazione doppiata malamente. Ma, malgrado questo, è un film che come si dice "nel bene o nel male purché se ne parli", non passa certamente inosservato”.
(Rosalba Alia, in “Qui giovani”)
“Luca è un giovane scrittore in crisi a causa del suicidio della donna amata. Si rinchiude in una casa, tormentato dai sensi di colpa e da una misantropia sempre più acuta. Forse il nostro cinema è ad una svolta, che potrebbe premiare il lavoro dei trenta-quarantenni. Ma è giusto ricordarlo, si tratta di una svolta nebulosa, dai contorni non ancora precisi. Fra i tanti esordi degli ultimi tempi, crea non pochi problemi di classificazione l'opera prima di Stefano Gabrini Il gioco delle ombre. Infatti questo film si distacca nettamente dalle tematiche e dallo stile degli odierni esordienti. [...] Il lavoro di Gabrini è dignitoso, ben costruito, condotto con mano sicura e padronanza della macchina da presa. È probabile che un argomento meno difficile da affrontare avrebbe enormemente facilitato il compito di esordio del giovane regista”.
(Claudio Siniscalchi, in “La rivista del cinematografo”)
“Oppresso da un assurdo senso di colpa per il suicidio della donna che amava, Luca cerca di esorcizzarlo buttandosi nella scrittura del suo nuovo romanzo. Il libro ha per protagonista una donna, Romilly, la cui presenza fantasmatica diventa progressivamente un'ossessione. È un perfetto esempio di quello che si suole chiamare "cinema italiano d'autore". Velleitario, banale, fintamente intellettuale, mal recitato e scritto ancora peggio”.
(FilmTV)
“Parlare di Stefano Gabrini significa inevitabilmente parlare del cinema italiano degli ultimi venticinque anni e di una generazione di registi che ha mosso i primi passi negli anni '80, sull'onda di una crisi ormai conclamata, di una televisione sempre più presente e pressante, di uno spaventoso vuoto produttivo (e legislativo: l'oscura vicenda degli articoli 28), di una mancanza di prospettive, dopo decenni di crescita esponenziale di film, generi, idee, stimoli. Una generazione abbandonata a se stessa, all'interno della quale pochi sono riusciti a emergere e a ritagliarsi un proprio spazio. Gli altri, i più, sono stati costretti a sporadiche incursioni sul grande schermo e a molteplici altre esperienze. Significativa al riguardo la biografia di Gabrini, da anni docente al Centro Sperimentale di Cinematografia. Nel mondo dello spettacolo dal 1983, realizza cortometraggi, videoclip, documentari e collabora a programmi televisivi ("La notte della Repubblica", "Viaggio intorno all'uomo"). Si occupa anche di teatro come direttore di scena. Dopo un'esperienza come critico cinematografico ("Reporter"), esordisce come attore interpretando il ruolo principale del film di Beppe Cino La casa del buon ritorno. Di questo film è anche assistente del regista. Da una sua sceneggiatura, premiata al concorso Scrivere il Cinema, realizza come regista Il gioco delle ombre, opera non priva di fascino. Nel 1988 il suo documentario The Secret Music of the Plants è stato premiato in Inghilterra da sir Richard Attenborough. Due film in vent'anni, una media alla Terrence Malick, che non depone a favore del nostro cinema per la ricchezza interiore che traspare dalle opere di questo regista e per gli spunti che esse propongono all'attenzione dello spettatore in un gioco di ombre che non può non ispirare l'accostamento a un maestro come Tarkovskij. Un cinema rigorosissimo (testimoniato in modo inequivocabile dal lavoro sul suono compiuto in Jurij), che nasce da una profonda sensibilità, interamente costruito attorno, e dentro, i personaggi, abbattendo le loro deboli difese per esprimere fragilità e paure di fronte alla vita. I due film di Gabrini inevitabilmente si espongono a letture psicanalitiche e questa strada si è voluto percorrere fino in fondo invitando a moderare l'incontro lo psicanalista Fabio Castriota, sulla base anche dell'apprezzamento espresso dal padre della moderna neuropsichiatria infantile Giovanni Bollea per il secondo film dell'autore: “Spero che Jurij resti nell'anima di molti spettatori e regali materia per sognare in nome di una sorta di realismo etico”. Ma è l'occasione anche per riflettere sui destini del nostro cinema di fine e inizio millennio, in cui l'(in)visibilità, da noi tanto apprezzata nei decenni precedenti in una prospettiva di riscoperta archeologica, si pone invece negli ultimi decenni come un sintomo, fin troppo evidente, di un sistema in piena crisi”.
(Cineteca Nazionale, Scuola Nazionale di Cinema)
Stefano Gabrini è regista, sceneggiatore, docente di Regia al Centro Sperimentale. Autore dei film "Il Gioco delle Ombre" (1990) il film ha ricevuto il premio Globo d’oro della Stampa Estera, e "Jurij" (2000), vincitori di premi internazionali. Nel 2006 è Premio Flaiano (con F. Scarpelli) per la sceneggiatura "La buona Battaglia". Dal 2012 insegna regia al corso di Reportàge Cinematografico nella sede CSC de L'Aquila.
“Nel 1985, a 26 anni, ho scritto il soggetto cinematografico di quella storia di cui avevo parlato ad Antonioni, "Il gioco delle ombre", liberamente ispirato ad un racconto gotico di Oliver Onions, ma intriso di quelle atmosfere tarkovskijane che il grande maestro russo aveva profuso in me attraverso l'incanto delle sue opere, che in quel periodo vedevo e rivedevo continuamente. Una seconda benedizione la mia storia l'avrebbe ricevuta da un altro maestro putativo, Werner Herzog, che ha premiato il soggetto inedito del film al Festival Scrivere il Cinema. Trovarmi il regista di Aguirre e Fitzcarraldo inginocchiato su un palco porgendomi una targa-premio! ...A questo punto, non ci ho pensato due volte, ho scritto di getto una prima stesura di sceneggiatura e presentai domanda per l'Articolo 28. In quegli anni avevo visto un meraviglioso film georgiano, "Le montagne blu", su uno sceneggiatore smarrito nei meandri labirintici e iperburocraticizzati del Ministero della Cultura, una storia sublimemente gogoliana. Per un periodo interminabile credo di aver passato più tempo nei corridoi di via della Ferratela, al Dipartimento Spettacolo, tra carte, cartelle, bolli, esenzioni, deroghe, che sui set a rubare con gli occhi il mestiere! Però, facevo gran scorpacciate di film nei cineclub e avevo partecipato ad un seminario di Nikita Michalkov, diventando poi assistente alla regia nello spettacolo teatrale "Partitura incompleta per pianola meccanica", con Marcello Mastroianni, per tornare al mio film d'esordio, è stata dura, ma riuscii ad ottenere il finanziamento di 350 milioni: avevo appena compiuto 27 anni e sapevo per certo che avrei fatto il mio primo film, "Il gioco delle ombre", anche se in realtà avrei dovuto aspettare più di due anni prima di girare il primo ciak, durante i quali formai una cooperativa che sancì il sodalizio artistico di quasi tutta la troupe artistica e tecnica. Un mix di talento e passione, tutti: c'era una sceneggiatura definitiva, dialoghi, tra cui le due battute di Antonioni, sopralluoghi, bozzetti scenografici, costumi, provini della macchina da presa, tutto era pronto per quattro settimane secche di set ... Non sarò mai abbastanza grato a chi in quest'avventura mi è stato meravigliosamente a fianco. Un secondo dono-miracolo di Herzog, inoltre, mi ha permesso di coronare un sogno nel sogno: fondere le immagini filmiche con una musica che ne vibrasse le corde più profonde. Volevo a tutti i costi (ma ero senza budget) i Popol Vuh, i musicisti di Monaco leaders dell'elettronica fin dai Sixties, autori delle colonne sonore dei film di Herzog. E così è stato. Contattati dal regista tedesco, si sono fatti mandare il premontato del film e dopo neanche 24 ore Florian Frikke, il leader dei Popol Vuh, mi ha telefonato dicendomi che mi avrebbero aspettato a Monaco per la registrazione delle musiche, tempo un mese ... Purtroppo il film non ha mai avuto una distribuzione nelle sale, né in home video. Ha girato il mondo per festival e rassegne, raccogliendo elogi e premi, tra cui il Globo d'Oro per miglior opera prima, ed è entrato nel palinsesto di RaiTre, quello notturno. Assurdo! Avevo fatto un film per il cinema, lo avevo scritto, girato, montato, sonorizzato e musicato per essere proiettato in sala, su grande schermo, e che al cinema non è mai passato!”.
(Da un’intervista di Mario Bucci in “Buongiorno, Stefano Gabrini - Effettonotteonline”)
Una poesia al giorno
Amici, di Igino Maggiotto
Vi rivedrò tutti,
amici del mio tempo,
e vi abbraccerò forte.
Vi racconterò
cosa è stato qui
e della strada al fiume,
fonte della nostra
età di sole.
Del grande platano
con braccia larghe
ad accogliere il gioco
e indicare il passo.
Suonerò per voi
musiche nuove
dal sapore antico
e leggerò pagine
dei nostri poeti.
Ma anche vi dirò
di occhi falsi,
di mani ipocrite
sudate
nel molle saluto
del potere.
Di speranze sepolte
in villette a schiera
dai cancelli ringhianti.
Di stelle raminghe
perse nella notte,
come diceva
l’ignota canzone.
Abbracciandovi forte
tutto questo vi dirò,
amici del mio tempo.
(Dal cd “Serenata a San Giovanni)
Un fatto al giorno
29 marzo 1886: John Pemberton (Knoxville, 8 luglio 1831 - Los Angeles, 16 agosto 1888), un farmacista statunitense, noto per essere l'inventore della formula della Coca-Cola, in questo giorno fermenta il primo lotto di Coca-Cola in un cortile di Atlanta. Pemberton prestò servizio con distinzione come tenente colonnello nel 3° Gruppo Squadroni di Cavalleria della Georgia durante la guerra di secessione e fu quasi ucciso in combattimento a Columbus nell'aprile 1865: ferito al petto, come molti veterani feriti, divenne dipendente dalla morfina, che usava come antidolorifico. Essendo un farmacista e un chimico cercò di trovare una cura per contrastare la dipendenza. Iniziò a sperimentare delle cure con la coca e con i vini di coca riuscendo a creare una propria versione di Vino Mariani, contenente noce di cola e damiana, che chiamò "vino di coca francese di Pemberton". Con la preoccupazione dell'opinione pubblica per la tossicodipendenza, la depressione e l'alcolismo tra i veterani e la nevrastenia tra le donne dei paesi del Sud, il medicinale di Pemberton fu pubblicizzato come "per signore e tutti quelli il cui lavoro sedentario provoca prostrazione nervosa"
(Wikipedia)
“Coca-Cola Nome commerciale depositato di una bevanda analcolica composta di acqua, zucchero, anidride carbonica, caramello, acido fosforico, estratti vegetali (tra cui quelli di noce di cola e di foglie di coca private della cocaina) e caffeina; la sua produzione fu avviata nel 1886 dal farmacista statunitense John S. Pemberton (1831-1888), secondo una formula tuttora mantenuta segreta”.
(Enciclopedia Treccani)
“Il Dott. Angelo Mariani, chimico e farmacista francese che, a metà degli XIX sec. era diventato un mito in tutta Europa per l'invenzione di una bevanda rivoluzionaria, per certi versi tonica: il Vin Tonique Mariani ovvero un vino rosso a base di Bordeaux nel quale venivano messe a macerare foglia di cocaina. In particolare si preparava macerando 60 g delle “migliori foglie di coca” per 10 ore in un litro di “fine Bordeaux”, poteva contenere da 150 a 300 mg/litro di cocaina, cosicché un bicchiere non ne poteva contenere più di 25-50 mg. Il Vino Mariani ebbe talmente successo che diventò in breve tempo la bevanda più importante d'Europa e, tra i clienti del farmacista, si annoverano personalità importanti come re, regine, zar e tantissime celebrità dell'epoca come Thomas A. Edison ed Émile Zola che così scriveva: « J'ai à vous adresser mille remerciements, cher Monsieur Mariani, pour ce vin de jeunesse qui fait de la vie, conserve la force à ceux qui la dépensent et la rend à ceux qui ne l'ont plus» (Vi mando mille ringraziamenti, caro signor Mariani, per questo vino di giovinezza che procura la vita, conserva la forza a coloro che la dispensano e la restituisce a quelli che non l'hanno più). Addirittura il Papa del tempo, Leone XIII fu talmente entusiasta del vino, all'epoca visto come medicinale vero e proprio, che insignì Mariani della medaglia speciale accettando di comparire come testimonial in alcuni manifesti!”.
(Andrea Petrini, in Percorsi di vino)
Una frase al giorno
“Povera vita, meschina e buia, alla cui conservazione tutti tenevan tanto! Tutti s'accontentavano: mio marito, il dottore, mio padre, i socialisti come i preti, le vergini come le meretrici: ognuno portava la sua menzogna rassegnatamente. Le rivolte individuali erano sterili o dannose, quelle collettive troppo deboli ancora, ridicole quasi, di fronte alla grandezza del mostro da atterrare”.
(Sibilla Aleramo)
Un brano musicale da ascoltare
Birth Of Liquid Plejades da Zeit (1972) dei Tangerine Dream, con Florian Fricke
Ugo Brusaporco
Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.
INFORMAZIONI
Ugo Brusaporco
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web www.brusaporco.org