“L’amico del popolo”, 3 gennaio 2018

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

Omaggio a Sergio Leone (3 gennaio 1929 - 30 aprile 1989)

IL MIO NOME È NESSUNO (Italia, 1973), regia di Tonino Valerii. Sceneggiatura: Ernesto Gastaldi. Fotografia: Giuseppe Ruzzolini, Armando Nannuzzi. Montaggio: Nino Baragli. Musiche: Ennio Morricone. Con: Terence Hill, Henry Fonda, Leo Gordon, Jean Martin, Geoffrey Lewis, Piero Lulli, Benito Stefanelli, R.G. Armstrong, Alexander Allerson, Franco Angrisano, Mario Brega, Marc Mazza, Remus Peets, Antoine Saint John.

Il giovane e scanzonato Nessuno, più pronto alla beffa che all'uso della pistola (nella quale, tuttavia, è abilissimo) ha come suo modello il leggendario pistolero Jack Beauregard. Anziano, stanco, costui - che ha un conto da saldare con l'uomo che gli ha ucciso il fratello - s'accontenta di prendergli dell'oro, non desiderando ormai altro che lasciare il West e imbarcarsi per l'Europa. Quando Nessuno, che non ha mai cessato di tallonare l'uomo che ammira, scopre la deludente verità, decide di non lasciar partire Beauregard prima di avergli fatto compiere un'ultima impresa, che dovrà farlo 'entrare nella storia': lo sterminio del 'Mucchio selvaggio', centocinquanta fuorilegge che terrorizzano alcuni stati dell'Unione. Nessuno, agendo d'astuzia, tanto fa da costringere il riluttante Jack ad affrontare la banda, che cade sotto i colpi del suo fucile. In un bizzarro duello finale, destinato a dare gloria a Nessuno, Jack fingerà di lasciarsi uccidere da lui, per salire poi sulla nave che dovrà condurlo finalmente in Europa.

"La storia si impernia sul singolare rapporto fra un anziano pistolero (che rappresenta simbolicamente il 'western' classico) e un giovane spregiudicato e beffardo (che impersona il 'western' nuovo, dissacratorio, 'all'italiana'). A questo accostamento fra i 'due generi' (o varianti dello stesso genere) corrispondono nel film, nell'alternarsi di serio e faceto (anche il serio però riguardato con ironia), che se non sfocia sempre in risultati stilisticamente coerenti, rappresenta tuttavia la nota più originale del lavoro."

(Segnalazioni Cinematografiche, vol. 76, 1974)

(...) Che cosa hanno voluto dire Sergio Leone e Tonino Valerii con "Il mio nome è Nessuno"? Che il West com'era concepito una volta è ormai vuoto di significati: anche un eroe "tipico" come Henry Fonda non crede più al mito della frontiera; al suo posto subentra Terence Hill, tipico rappresentante dei tempi nuovi e anche del nuovo modo di interpretare la figura del cow-boy (non per niente Leone è l'iniziatore del western all'italiana che ha trovato imitatori anche in America). Tutto quanto si vede, pare dica Valerii, non è che finzione (il luna park in mezzo al deserto, il castello incantato, la sparatoria nel baraccone degli specchi deformanti invece che nel tradizionale saloon) e la sterminata prateria è ormai vuota (...)".

(Dario Zanelli, "Il Resto del Carlino", ottobre 1973)

“Spaghetti-Western tutt'altro che trascurabile diretto in alcune parti da Sergio Leone (non accreditato). La riflessione su Peckinpah (il cui nome compare su una tomba) è evidente, il clima crepuscolare che accompagna la morte del mito western pure. Le parti alla "Trinità" oggi stonano un po'”.

(Filmtv)

IL MIO NOME È NESSUNO (Italia, 1973), regia di Tonino Valerii

“Sono molto lieto che gli studenti del corso di laurea di cinema, musica e teatro siano impegnati in queste iniziative che permettono loro di conoscere quella parte del cinema italiano e anche internazionale che in altre maniere non avrebbero mai potuto avvicinare ma, soprattutto, di poter confrontarsi e conoscere i loro autori che ci stanno dando grande disponibilità e ci aiutano quindi a favorire il riconoscimento e la memoria del cinema italiano di cui magari, tanto si parla nei libri di storia del cinema, ma di cui oggi non si conosce niente. Questi film che appunto stiamo proiettando, sono databili intorno agli anni 70 e quindi se voi pensate che i nostri studenti, specialmente quelli dei primi corsi, sono nati nel 1980-'81, chiaramente queste pellicole non le hanno mai viste, per cui sono molto grato a Tonino Valerii di essere qui presente tra noi, i ragazzi non l'hanno detto, ma Tonino Valerii, oltre ad essere un grande autore di genere, in particolare il western italiano e non all'italiana e il cinema appunto poliziesco, è un uomo di grande cultura, cultura sia dal punto di vista figurativo, ma soprattutto cultura cinematografica. Possiede molto approfonditamente capacità non consuete di messa in quadro e di messa in scena, che gli hanno permesso di cimentarsi con il film di genere, in questo caso, il western italiano, portando diciamo delle soluzioni dal punto di vista registico, narratologico e drammaturgico, addirittura innovative. Quando, a suo tempo, è uscito questo film, Il mio nome è Nessuno, ha avuto, come voi sapete, un successo di pubblico notevole. Alcuni critici avevano notato addirittura, come dire, questo lavoro di scalpello all'interno del genere, quasi per giungere alla distruzione del mito classico del film western. Altri invece non ci hanno capito assolutamente niente e dalla loro posizione spocchiosa e arrogante, hanno preferito passare sotto silenzio o addirittura ignorare questo tipo di cinema che oggi invece è giustamente rivalutato e rivisitato con grande attenzione. Basta guardare al di là della personalità importante del regista e dell'autore Tonino Valerii, basta scorrere i titoli di testa di questo film, vedrete che sono impegnati nella lavorazione le maestranze del cosiddetto grande cinema italiano. Al montaggio c'è Nino Baragli, alle musiche Ennio Morricone, soggettisti e sceneggiatori di primissimo ordine, il direttore della fotografia, insomma è un cinema questo che, guidato da Tonino Valerii, impegna le grandi maestranze che in quel momento stavano lavorando con Fellini, con Sergio Leone, con Visconti, ecc. Quindi ecco che loro, portano al genere, un contributo notevolissimo e di alto artigianato, siamo a bottega di grande artigianato del fare cinema. La cultura, ovviamente, del film emerge anche da tante soluzioni registiche, dicevo, di messa in scena, all'interno di questo film c'è un omaggio al cinema, c'è l'omaggio a Chaplin, ci sono tutta una serie di notazioni che demitizzano il film western. C'è la citazione, appunto, della gag celeberrima di Chaplin che mangia la pasta al bambino, qui Terence Hill mangia la mela, ma la situazione è analoga. C'è addirittura un intervento intelligentissimo che va nella continuità della raffinatezza del commento sonoro del film western sperimentato naturalmente con Sergio Leone, da parte di Ennio Morricone. La colonna sonora di questo film, è conosciuta in tutto il mondo, ma, a parte questo, ci sono delle autocitazioni, sta di fatto che Morricone qualche volta autocita, insomma, richiama, specialmente nei momenti del duello, le sonorità del triello del film Il buono, il brutto e il cattivo, ecc. Poi, per esempio, quello splendido brano della cavalcata con l'inserto in chiave elettronica, un po' ironica, un po' grottesca della Cavalcata delle Valchirie, il brano celeberrimo, appunto, wagneriano, gioca un ruolo in funzione asincrona. In genere la Cavalcata delle Valchirie richiama il mito wagneriano, richiama tutta una serie di altre epopee e in questo caso sta addosso a una banda di sciagurati e quindi è decontestualizzato, un perfetto esempio di asincrono. Tutto questo per dirvi, per sottolineare, come questi atteggiamenti di prosopopea e spocchia critica, ormai lascino il tempo che trovano. Vi voglio dire che se, per esempio, avreste dovuto presentare stasera Tonino Valerii, basandovi sui classici della critica, non avreste trovato niente, perché c'è stato questo atteggiamento in difesa del cosiddetto cinema d'autore, come se questo tipo di cinema non nascondesse dietro di sé un Autore. Si faceva sempre la distinzione tra l'autore con la A maiuscola e l'autore diciamo, che fa il film cosiddetto di cassetta o di consumo. Ecco, tutto questo ragazzi lo dovete prendere con le molle, è una sonora bischerata, legata all'accademia, alla retorica universitaria, legata a tutti 'sti parrucconi di cui non si sopporta più la presenza e l'esistenza. Occorre confrontarci con i dati, occorre vedere i film, non dare niente per scontato, andare a vedere le pellicole, documentarsi, guardare con occhio critico e poi esprimere un giudizio. Non fare come quei soloni che firmandosi Vice, senza aver visto i film, si permettono di scrivere dieci righe dieci e liquidare così il problema. Voi pensate che Henry Fonda fosse un attore così sprovveduto o così, diciamo, partito di testa da, una volta letto il copione o comunque confrontatosi con Tonino Valerii, aver accettato un film di questo genere magari non so, perché aveva bisogno di soldi? Aveva capito bene, Henry Fonda, che è stato uno dei grandi protagonisti del western canonico, che questo film era un film che rompeva gli schemi, era un film che portava una sua novità, che affrontava il genere da un'altra angolazione, che spostava letteralmente di peso e sorprendeva rispetto alla consuetudine. Se Henry Fonda non era certamente il primo sprovveduto, non vedo perché dobbiamo esserlo noi.”

(Piermarco De Santi)

Intervista del professore Piermarco De Santi, docente di Storia del Cinema Italiano dell'Università di Pisa, a Tonino Valerii.

Professore: Una soluzione straordinaria è legata al momento in cui c'è la sparatoria, che in genere nel cinema western dura per 5-6 minuti. C'è appunto questo fuoco sulle cadute dei cavalli, fucilate, sparatorie, ecc. qui è risolta con la tecnica invece del fisso-immagine, dell'album di fotografie, come per far restare il personaggio, citando il film "nella storia". Rimane nella storia dell'illustrazione, dell'epopea western. Ecco, questa mi pare davvero una soluzione geniale, proprio di messa in scena. Era già in partenza nel film o è maturata, era già scritto tutto?

Tonino: sì, era tutto sul copione. L'unica cosa non scritta, era la scena nel "public orinal", quella l'ha voluta Sergio Leone.

Professore: La musica di Morricone, gioca un ruolo fondamentale?

Tonino: certo, come anche nei film di Leone. La musica di Morricone è un bell'abito messo intorno ad una persona mingherlina. Quando, per esempio, abbiamo visto la proiezione di Per qualche dollaro in più, ci siamo resi conto che, con la musica, è cambiato da così a così.

Professore: potrebbe essere un caso, però nel cimitero, quando si citano i morti, c'è anche un certo Sam Peckinpah, che è un regista, ma è un omonimia? Non è un'ironia del tipo "ora faccio morire Sam Peckinpah", vero?

Tonino: No, no assolutamente. La cosa nacque così, scrivendo la scena. A Castaldi e a me non ci venne in mente un nome americano che ci piacesse e lui disse "dovrebbe essere una cosa come Sam Peckinpah, che suoni bene", e l'abbiamo scritto così, pensando poi di trovare qualcos'altro. Quando poi abbiamo letto la scena a Sergio Leone, lui ha detto "no, no lasciatelo perché vedrete che qualche giornalista ci troverà da scriverci sopra". E' stato fatto in maniera molto ruffiana.

Professore: E' un grande regista del cinema americano, Sam Peckinpah.

Tonino: è il regista del Mucchio Selvaggio.

Professore: tant'è vero che si parla di Mucchio Selvaggio.

Tonino: ma quello non fu fatto né per demonizzare, né in maniera dispregiativa, ma unicamente perché Leone pensò "vedrai che ci troveranno delle cose da dire e ne parleranno".
Professore: quanto tempo ha impiegato per girare questo film?

Tonino: Fu girato per nove settimane in America, cinque in Spagna e tre in Italia. In America abbiamo fatto ovviamente tutti gli esterni, il pezzo del finto duello tra Nessuno e Henry Fonda al Royal Street, che è proprio la strada dove è nato il jazz. In Spagna abbiamo girato Nessuno che mangia la mela al bambino, c'è tutta la fiera esterna e l'interno del saloon dove Sergio ha girato il duello dei bicchieri. Io avevo il piano di lavorazione, lo dico come notizia, nel mio piano c'erano due giorni, in quello del produttore nove.

Professore: da dove è venuta l'idea del personaggio di Nessuno?

Tonino: la fonte principale è sempre la letteratura, è il bambino che non vuol crescere, Peter Pan, insomma. E' una letteratura alta, non è che siamo a livello basso, è una letteratura importante, questo ragazzo che non vuol crescere e che vuole attuare i sogni dell'infanzia, lui giocava a Jack Beauregard, come dice in una battuta, vuol vedere Jack Beauregard che diventa carne della sua fantasia, questa è la verità, il resto sono tutte situazioni più o meno inventate.

Professore: ha usato qualche particolare trucco nella realizzazione delle scene?

Tonino: I trucchi sono elementari, ogni volta che Terence fa gesti molto veloci, sono velocizzati, se no era impossibile. Lui faceva i movimenti addirittura inferiori al normale, lui li poteva fare più veloci, ma io glieli ho fatti fare più lenti per poterli poi velocizzare, senza che prendessero un aspetto marionettistico. Quando schiaffeggia il povero Marc Mazza, questa è una cosa da citare poverino, lui si era appena operato ad un orecchio che era diventato completamente sordo. Ovviamente gli hanno dovuto rimettere la catena degli ossicini e lui sbandava; per un certo periodo, prima che la cosa si assesti, uno sbanda. Ogni volta che Terence gli dava gli schiaffi, cascava per terra, ha fatto una fatica immensa e io gliene sono grato ancora adesso perché, veramente, per fare quel pezzo di cinema c'è voluta la mano di Dio. Mentre Jean Martin (interpreta Sullivan, ndr), famoso protagonista de La Battaglia di Algeri, grandissimo personaggio, che viene a fare lo snob, si mette in posa, pure quello è stato un momento bello, è venuto a farlo e quando io l'ho conosciuto gli ho detto "io mi vergogno a doverle dire certe cose"... e lui "no, no". Si è messo veramente a servizio completo del film”.

IL MIO NOME È NESSUNO (Italia, 1973), regia di Tonino Valerii

 

Una poesia al giorno

Sogni e favole io fingo, di Pietro Metastasio, pseudonimo di Pietro Antonio Domenico Bonaventura Trapassi (Roma, 3 gennaio 1698 - Vienna, 12 aprile 1782. Poeta, librettista, drammaturgo e presbitero italiano. È considerato il riformatore del melodramma italiano)

Sogni, e favole io fingo; e pure in carte
mentre favole, e sogni orno, e disegno,
io lor, folle ch'io son, prendo tal parte,
che del mal che inventai piango, e mi sdegno.
Ma forse, allor che non m'inganna l'arte,
più saggio io sono? È l'agitato ingegno
forse allor più tranquillo? O forse parte
da più salda cagion l'amor, lo sdegno?
Ah che non sol quelle, ch'io canto, o scrivo,
favole son; ma quanto temo, o spero,
tutto è menzogna, e delirando io vivo!
Sogno della mia vita è il corso intero.
Deh tu, Signor, quando a destarmi arrivo,
fa ch'io trovi riposo in sen del Vero.

Pietro Metastasio, pseudonimo di Pietro Antonio Domenico Bonaventura Trapassi (Roma, 3 gennaio 1698 - Vienna, 12 aprile 1782)

 

Un fatto al giorno

3 gennaio 1925: Benito Mussolini pronuncia il discorso col quale sancisce la svolta dittatoriale del regime fascista, sfidando la Camera dei Deputati a incriminarlo e rivendicando la "la responsabilità politica, morale e storica" di quanto era avvenuto di recente nel Paese ma rigettando d'essere il mandante del delitto Matteotti.

3 gennaio 1925: Benito Mussolini pronuncia il discorso col quale sancisce la svolta dittatoriale del regime fascista

L’anno 1925 s’inizia con questo discorso che segna una data fondamentale nella storia del Fascismo. Fra il novembre e gli inizî del dicembre del 1924 - come si è visto nel volume precedente - le opposizioni erano sgominate, l’Aventino cadeva nel ridicolo. A questo punto - e precisamente nella seconda metà del dicembre 1924 - l’Aventino tentò un ultimo sforzo disperato. I liberali, che al congresso di Livorno si erano dichiarati ostili al Regime riuscirono a rimorchiare anche quei liberali di destra che erano entrati a far parte della maggioranza parlamentare. Salandra, leader di questo esiguo gruppo, parve unirsi a Orlando e a Giolitti per tentare di rovesciare il Governo Fascista. Nel tempo stesso si scatenava una violentissima campagna di stampa, capeggiata dal «Corriere della Sera» di Milano, organo del sen. Albertini, e dal «Mondo» di Roma, organo dell’on. Amendola. I giornali d’opposizione cercarono un colpo di scena che doveva sembrare sensazionale: pubblicarono un calunnioso memoriale, scritto da un ex-fascista incarcerato per l’affare Matteotti. Lo sciagurato autore del memoriale, Cesare Rossi, cercava un alibi alle proprie colpe sollevando una presunta «questione morale» contro il Capo del Governo. In questa atmosfera si chiuse l’anno 1924, e poiché il Duce aveva convocato per il 31 dicembre il Consiglio dei Ministri si sparse ad arte la voce che il Governo dovesse presentarsi dimissionario alla Camera: già si parlava d’un Ministero Salandra-Giolitti, già qualche pennaiolo si preparava il terreno per ingraziarsi il nuovo Governo - mentre nelle vie, nelle piazze delle città d’Italia, l’anima popolare fremeva e i fascisti erano pronti a una reazione che sarebbe stata violentissima e inesorabile. Ma le speranze dell’Aventino furono deluse in ventiquattro ore. Il Consiglio dei Ministri prese severissime disposizioni contro la stampa; il Duce strinse disciplinatamente ed energicamente le file del Partito; e forte del consenso popolare - che si dimostrava in continue manifestazioni in ogni parte d’Italia - si presentò alla Camera (ove la secessione della destra non era riuscita che a diminuir di poco la maggioranza) e pronunciò - nella tornata del 3 gennaio 1925 - il discorso che rivelò all’opinione pubblica l’ignominia delle manovre antifasciste e la forza severa del Governo, del Regime e del partito Fascista:

 

  • Il Delitto Matteotti. Un film di Florestano Vancini. Con Mario Adorf, Vittorio De Sica, Riccardo Cucciolla, Franco Nero.
  • Il film fascista di Nico Naldini, discusso da Pier Paolo Pasolini: www-8etdemi.univ-paris8.fr

 

Una frase al giorno

“All'alba non muore soltanto la notte, | muore anche l'uomo e il suo divenire, | e il sangue caldo che bagna il selciato | è un discorso appena iniziato”.

(Riccardo Mannerini in “Ballata per un ferroviere”. Composta nel 1970, la ballata fu incisa da Mannerini assieme al Gruppo 6 di Genova)

Fabrizio De Andrè e Riccardo Mannerini

  • Il film: Giuseppe Pinelli. Regia: Nelo Risi. Casa di produzione: Comitato cineasti italiani contro la repressione. Anno: 1970

Attraverso una serie di interviste con Licia Pinelli, la compagna di Giuseppe, e con compagni ed amici dell'anarchico milanese morto nel corso delle indagini sulla strage di Piazza Fontana, il "materiale di lavoro" realizzato collettivamente da un gruppo di autori cinematografici italiani si propone di ricostruire i momenti più significativi di quel drammatico 16 dicembre 1969 che vide la morte misteriosa di Giuseppe Pinelli, precipitato dal quarto piano della questura di Milano. Insieme costruisce un ritratto umano e politico di un uomo coerente e fermo nelle proprie idee, vittima innocente del clima di tensione, di provocazione e di repressione di cui la strage di piazza Fontana è uno dei momenti centrali.

 

Un brano musicale al giorno

Arturo Benedetti Michelangeli (1920-1995) esegue di Baldassare Galuppi la Sonata in Do maggiore, primo movimento: "Adagio", settembre 1962.

Baldassare Galuppi, detto il Buranello (Burano, 18 ottobre 1706 - Venezia, 3 gennaio 1785)

Baldassare Galuppi, detto il Buranello (Burano, 18 ottobre 1706 - Venezia, 3 gennaio 1785), è stato un compositore e organista italiano. Celebre clavicembalista, fu ancora più acclamato per la sua produzione teatrale e oratoriale (112 opere, circa 20 oratorî). Fino al 1741 in Italia (Venezia), si recò poi a Londra e dal 1765 in Russia, chiamatovi da Caterina II. Dal 1768 al 1773 lavorò ancora a opere per teatri veneziani. La sua arte, di viva espressione sia nei tratti drammatici sia nei giocosi, oltrepassa stilisticamente tanto il Barocco quanto il Rococò, giungendo a posizioni già preromantiche. Fra le sue opere teatrali (parecchie delle quali scritte su libretto di C. Goldoni), Il mondo della luna (1750), Il filosofo di campagna (1754).

(Treccani)


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k