“L’amico del popolo”, 4 luglio 2023

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno VII. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

UN BELLISSIMO NOVEMBRE (Italia, 1969). Regia: Mauro Bolognini. Soggetto: Ercole Patti, tratto dall'omonimo romanzo. Sceneggiatura: Lucia Drudi Demby, Antonio Altoviti e Henry Vaughan. Produttore: Antonio Altoviti. Fotografia: Armando Nannuzzi. Montaggio: Roberto Perpignani e Aldo Boshoff. Musiche: Ennio Morricone (dirette da Bruno Nicolai).

Cast

Gina Lollobrigida: Cettina. André Lawrence: Sasà. Gabriele Ferzetti: Biagio. Paolo Turco: Nino. Danielle Godet: Elisa. Margarita Lozano: Amalia. Isabella Savona: Giulietta. Jean Maucorps: Mimì. Corrado Gaipa: Alfio. Ettore Ribotta: Concetto. Grazia Di Marzà: Assunta. lleana Riganò: Rosana. Pasquale Fortunato: Umberto. Franco Abbina: Enzo.
 

Nino è un irrequieto adolescente di diciassette anni, che vive alle pendici dell'Etna a Catania in una famiglia dell'alta borghesia. Tutta la famiglia e i parenti si spostano in una masseria nei pressi di Catania e qui Nino cova una sfrenata passione d'amore per la zia Cettina, la sorella della mamma. La matura donna, che è sposata a Biagio, ricambia in parte l'attenzione del nipote Nino ma allo stesso tempo è interessata ad un socio del marito, Sasà, giovane ed aitante. Il marito pare spingerla verso il socio per motivi di convenienza. Cettina, accortasi delle attenzioni di Nino, lo provoca con alcuni atteggiamenti, finché una sera gli si concede. Ma la donna non ha intenzione di cambiare il suo modo di vivere, e qualche giorno dopo Nino la sorprende in una casetta in campagna che fa l'amore con Sasà: quando il socio dello zio se ne va, lasciando da sola Cettina, Nino entra e la prende a schiaffi. Il ragazzo si sposa quindi con la cugina Giulietta, sua coetanea, ma la sua passione per la zia è tutt'altro che sopita.

 

“Sul finire dei '60 la parabola artistica della Lollo era perlopiù compiuta (anche se la mitica fata turchina dello sceneggiato televisivo Pinocchio era ancora da venire), pellicole che passeranno alla storia dopo quella data non ce ne saranno, fatta eccezione per Buona Sera, Mrs Campbell per la quale viene nominata ai Golden Globe (poi vinto dalla Streisand) e riceve un David di Donatello. Quando Mauro Bolognini la scrittura per Un Bellissimo Novembre dunque è una mezza scommessa, per svariati motivi. Vuoi perché il blasone era pur sempre di peso, vuoi perché la pellicola aveva spiccati accenti erotici; non solo, il principale partner della Lollo nella vicenda è un diciassettenne interpretato da Paolo Turco, quindi un terreno scabroso poiché scivola verso l'amore minorenne e adolescenziale. Da questo punto di vista la Lollo, per coraggio o per disperazione, fece una scelta anche azzardata ma, a mio modesto parere, sia lei che Bolognini vinsero con merito la scommessa. Il film è tratto dall'omonimo libro di Ercole Patti (che però ha un finale diverso).

Nella campagna catanese, per il giorno dei morti, una famiglia borghese si ritrova per celebrare la scomparsa del marito di Elisa (Danielle Godet), nonché padre di Nino (Paolo Turco). I parenti ci sono tutti, di ogni ordine e grado. Alla masseria di famiglia tra gli ultimi ad arrivare c'è zia Cettina (Gina Lollobrigida), la sorella di Elisa, con suo marito Biagio (Gabriele Ferzetti). Nino ha una predilezione per Cettina, della quale ha ricordi molto nostalgici (in particolare una notte di Pasqua di 4 anni prima quando dormì insieme a Cettina e sua madre nello stesso letto). Durante la permanenza alla masseria, Nino sviluppa un rapporto possessivo di forte gelosia nei confronti di Cettina, arrivando a dichiararsi e a strapparle un incontro d'amore. Cettina da parte sua è la "pecora nera" della famiglia, poco incline a formalismi e a rituali ipocriti e perbenisti, libera nell'amore e nei sentimenti; nonostante sia sposata con Biagio infatti (col quale a suo tempo fuggì per amore, a dispetto delle regole), flirta con Sasà (André Laurence), socio di Biagio in una società edile nonché suo principale finanziatore. E' proprio Biagio strumentalmente a spingere Cettina nella braccia di Sasà ogni volta che può. Nino, testimone della tresca, non può sopportare la situazione, che per altro gli evoca quella della madre, vedova eppure amante dello zio. Nino identifica inconsciamente sua madre con Cettina e, in un tripudio di complessi edipici, intende possedere e dominare l'una per l'altra.

 

Un Bellissimo Novembre - chiamato così perché ambientato nel mese di novembre, ma quel novembre sarà tutto fuorché "bellissimo" - paga un debito samperiano molto evidente. Bolognini dirige il suo personale Grazie Zia, pur riveduto e corretto sulla scorta del testo di Patti. Sia a livello di plot che di sapori e sensazioni sono parecchie le similitudini tra le due pellicole. Naturalmente Bolognini ha la sua sensibilità e la sua cifra registica, tuttavia è quasi impossibile non sentire l'eco del film di Samperi in questa pellicola che la segue di appena un anno. Il clima familiare è morboso e distruttivo, tutti i singoli personaggi passati in rassegna sono moralmente abbietti, conformisti, farisei; tutti covano segreti, chi giace nottetempo con la cameriera, chi ha l'amante, chi gestisce un menage a trois, chi cerca il tornaconto economico, chi signoreggia con arroganza e strafottenza sugli altri, chi si è rifugiato nella follia per sfuggire alla realtà. Le figure più interessanti sono tre: quella di Nino, apparentemente un puro di cuore, dalle emozioni violente e totalizzanti, che sul finire della storia si trasformerà nella sua nemesi, ovvero proprio uno di quei borghesi ipocriti della sua famiglia che tanto detestava; Cettina, più fedele e rispettosa di se stessa e dei propri sentimenti rispetto all'asfissiante contesto familiare al quale appartiene, ma allo stesso tempo anche talmente schiava del piacere da non potere appartenere (affettivamente) a nessuno se non a se stessa; Giulietta, una coetanea di Nino, sinceramente innamorata del ragazzo, non ricambiata. Al culmine della Götterdämmerung orchestrata da Nino, Giulietta riuscirà a farsi sposare da Nino, anche se il ragazzo ha assunto oramai i connotati pestilenziali dei suoi familiari, preparandosi già ad una vita coniugale di tradimenti, menzogne e adulteri.

Mereghetti boccia il film (ma va? Che novità...) adducendo anche una inadeguatezza recitativa della Lollobrigida. Veramente curioso pensare a che razza di film vedano i critici quando si lanciano in disamine così diametralmente opposte dalla tua, che hai appena finito di vedere il film e la pensi nel modo contrario. Durante la visione di Un Bellissimo Novembre, non ho potuto fare a meno di notare come la Lollo - inaspettatamente, questo è vero - fosse l'attrice giusta al posto giusto. Non solo, proprio la sua espressività, il suo cinguettare malizioso con i vari Biagio, Sasà e Nino sono del tutto convincenti, naturali, appropriati. Indiscutibile anche la sensualità della sua presenza scenica (nel '68 la Lollo, quarantunenne, era ancora di una bellezza radiosa); i momenti di seduzione con Paolo Turco trasmettono una carica erotica pazzesca nonostante il film sia una pellicola dai forti colori drammatici più che un erotico cercato e consapevole. Bolognini è bravissimo nel creare con eleganza un clima di disagio quasi epidermico; c'è un macigno di sgradevolezza in ogni personaggio, in ogni situazione, e la voglia di fuggire, anche all'estero (in Inghilterra), dei giovani della famiglia è più che comprensibile. Rimanere in quel fango significa morire, spegnersi lentamente ogni giorno, o divenire come loro (sorte che toccherà al ribelle Nino, contrariamente all'epilogo del libro, liberatorio e funereo al contempo).

Tutto il cast è lodevole ma la Lollobrigida in particolare è eccelsa; per altro nient'affatto a disagio pur trattandosi del film più "erotico" girato dall'attrice in carriera (diverse le scene in cui appare in vestaglia, compresa una nella quale, facendosi versare delle brocche d'acqua fredda addosso, ha i seni in evidenza). Bolognini ebbe a ridire che il montaggio finale fu manipolato a sua insaputa; ed un altro fatto bizzarro è il doppiaggio multiplo di alcuni attori. Rita Savignone ad esempio presta la sua voce sia alla Lollo che alla Godet (e le due hanno anche scene di dialogo assieme), così come pure Pino Colizzi doppia due personaggi contemporaneamente. In Un Bellissimo Novembre non faticherete a cogliere suggestioni già avvertite in altre pellicole del periodo (anno più, anno meno), al netto delle stringenti ed eventuali similitudini di trama. Da Malizia a La Seduzione, da Con La Zia Non E' Peccato a Grazie Zia, passando per molto del cinema samperiano, il film di Bolognini rientra in quel calderone denso e viscoso della sicilianità conservatrice e delle pulsioni borghesi e ipocrite (leggi malsane, tragiche, opprimenti, rovinose) della società italiana del dopoguerra, con tanto di sottintesi psicanalitici declinati nel classico binomio eros/tanathos.”

(In www.cineraglio.it)

 

 

4 luglio 1927 nasce Gina Lollobrigida, attrice e fotografa italiana (morta nel 2023)

Attrice cinematografica, nata a Subiaco (Roma) il 4 luglio 1927, Gina Lollobrigida è stata una delle dive italiane più popolari del periodo postbellico (dapprima in concorrenza con Silvana Pampanini, quindi con Sophia Loren), negli anni in cui il Paese si avviava a una vigorosa ripresa dopo le distruzioni della seconda guerra mondiale. Bella, allegra e combattiva, perfettamente a suo agio in ruoli di zingare o contadinelle al centro di trame avventurose o di piccole storie paesane - come in Fanfan la Tulipe (1952) di Christian-Jaque o in Pane, amore e fantasia (1953) di Luigi Comencini -, ha dimostrato in molti film di poter affrontare con successo anche ruoli drammatici, come per es. in Mare matto (1963) di Renato Castellani. Apprezzata all'estero per la sua tipica bellezza mediterranea, ha lavorato con registi come John Huston, René Clair e King Vidor. È stata più volte premiata per le sue interpretazioni e nel 1996 ha ricevuto il David di Donatello alla carriera insieme a Vittorio Gassman.

Frequentò il liceo artistico e studiò canto per diventare soprano, ma approdò presto al cinema. Battuta da Lucia Bosè al concorso per l'elezione di Miss Italia 1947, lavorò come generica a Cinecittà, finché Mario Costa le affidò il ruolo di Dora in Follie per l'opera (1948). Malgrado il suo temperamento vivace, le furono assegnate parti di ragazza ritrosa e timida, come l'attricetta Margherita in Vita da cani (1950) di Steno e Mario Monicelli o la dolce Stella in Enrico Caruso, leggenda di una voce (1951) di Giacomo Gentilomo. Solo Pietro Germi intuì le sue potenzialità e le affidò il ruolo della delatrice Daniela in La città si difende (1951). Chiamata in Francia, dove fu affettuosamente soprannominata Lollo, incontrò finalmente il suo personaggio ideale: la zingara Adeline, innamorata e dispettosa protagonista di Fanfan la Tulipe, da lei interpretata con enorme successo al fianco di Gérard Philipe. Dopo aver preso parte nel 1952 a Il processo di Frine, ultimo episodio di Altri tempi (Zibaldone n. 1) di Alessandro Blasetti, dove è una popolana che viene assolta dall'accusa di omicidio grazie alla sua bellezza e all'astuzia del suo avvocato (Vittorio De Sica), recitò di nuovo con Gérard Philipe in Les belles de nuit (1952; Le belle della notte) di R. Clair, nelle succinte vesti di un'odalisca, e fu con Humphrey Bogart e Jennifer Jones nel cast di Beat the devil (1953; Il tesoro dell'Africa) di J. Huston. Ancora nel 1953, mentre rivelava insospettate doti drammatiche in La provinciale di Mario Soldati, tratto da un romanzo di A. Moravia, dava prova di una recitazione immediata e spontanea nel ruolo in cui più spesso viene identificata: quello dell'impertinente Bersagliera in Pane, amore e fantasia, che ne decretò definitivamente il successo e le valse nel 1954 il Nastro d'argento come migliore attrice protagonista. Successo e notorietà che si consolidarono grazie ai successivi lavori, La romana (1954) di Luigi Zampa, dal romanzo di A. Moravia, e Pane, amore e gelosia (1954) di Comencini, cosicché, ormai diva indiscussa di quegli anni, la L. poté permettersi di rifiutare progetti come Pane, amore e… (1955) di Dino Risi (e se ne avvantaggiò la sua 'rivale' Sophia Loren).

Nel 1956 vinse il David di Donatello, appena istituito, per l'interpretazione della cantante Lina Cavalieri in La donna più bella del mondo (1955) di Robert Z. Leonard, in cui canta un'aria della Tosca. Il suo impegno all'estero proseguì con film comeTrapeze (1956; Trapezio) di Carol Reed, con Burt Lancaster e Tony Curtis, e il plumbeo Notre-Dame de Paris (1956) di Jean Delannoy, dal romanzo di V. Hugo, in cui ha la parte di Esmeralda, ancora una volta una zingara, accanto ad Anthony Quinn (Quasimodo). Recatasi a Hollywood, recitò al fianco di Frank Sinatra in Never so few (1959; Sacro e profano) di John Sturges, nel biblico Solomon and Sheba (1959; Salomone e la regina di Saba) di K. Vidor, con Tyrone Power (morto improvvisamente durante le riprese e sostituito da Yul Brynner), e in due commedie della Universal, Come September (1961; Torna a settembre) di Robert Mulligan e Strange bedfellows (1965; Strani compagni di letto) di Melvin Frank, entrambe accanto a Rock Hudson. Dopo il personaggio di Paolina Borghese in Venere imperiale, noto anche come Vénus impériale (1962), di Delannoy, che le valse nel 1963 un secondo Nastro d'argento e un secondo David di Donatello, poche furono le sue interpretazioni significative: la sfiorita e dolente Margherita, sfruttata dal Livornese (Jean-Paul Belmondo), in Mare matto di Castellani; l'amante ricattata da un bieco e affascinante opportunista (Sean Connery) in Woman of straw (1964; La donna di paglia) di Basil Dearden; la bella e scaltra italiana nello statunitense Buona sera, Mrs. Campbell (1968; Buonasera, signora Campbell) di M. Frank (che le valse il terzo David di Donatello nel 1969); infine la fata turchina nel televisivo Le avventure di Pinocchio (1972) di L. Comencini. Abbandonata la carriera di attrice, la L. si è dedicata alla fotografia e alla scultura. Ha pubblicato il libro fotografico Italia mia (1972) e ha diretto due documentari, Le Filippine (1972) e Ritratto di Fidel (1975).”

(Francesco Costa - Enciclopedia del Cinema - 2003 in www.treccani.it)

 

Notre-Dame de Paris, distribuito in Italia anche come Il gobbo della cattedrale, è un film del 1956 diretto da Jean Delannoy, prima trasposizione cinematografica a colori e unica in CinemaScope del popolare romanzo di Victor Hugo Notre-Dame de Paris. Delle numerose versioni è forse la più fedele al romanzo originale, soprattutto per la scelta di rispettare il finale tragico.

Il film, co-prodotto tra Francia e Italia, è interpretato, tra gli altri, da Anthony Quinn nel ruolo del protagonista e Gina Lollobrigida in quello di Esmeralda.

 

La donna di paglia è un film del 1964 diretto da Basil Dearden. Il soggetto è tratto da un romanzo di Catherine Arley; i protagonisti sono Gina Lollobrigida e Sean Connery.

Charles Richmond, un facoltoso e sgradevole anziano inglese, poiché molto malato viene affidato alle cure dell'infermiera Maria. La bella ragazza, seppur inizialmente poco convinta a prestare servizio presso un anziano tanto odioso, cambia idea dopo le insistenze dell'affascinante nipote di Charles, Anthony, che la convince a restare proponendole un piano per far cambiare testamento all'anziano e potersi spartire il suo patrimonio. Dopo qualche tempo Charles chiede alla donna di sposarlo. Lei accetta e con il tempo comincia ad affezionarsene. Durante una gita in barca l'anziano uomo muore: proprio il giorno dopo aver cambiato il testamento in favore della moglie. Si scoprirà poi che Charles è stato assassinato. Il colpevole verrà alla fine incastrato grazie ad una prova schiacciante.

 

Una poesia al giorno

Anita (Canto XI), di Giuseppe Garibaldi

Morte, io sorrisi al tuo cospetto! e questa
certamente non fu la prima volta.
Il volto mio, ben noto alla sventura,
nel tremendo frangente di mia vita
s'atteggiava al dolore... e che dolore!

Nell'agonia l'amata donna! e un sorso
d'acqua negato a quell'inaridite
l'abbia!... Io sorrisi! Ma da disperato,
ma di demon fu quel sorriso. Il fuoco
dell'Inferno m'ardeva, e pur io vissi!

Solo compagno di sventura allato
mi sedeva Leggiero; alla scoperta,
perché ignari del sito, egli s'accinse,
e trovò un coraggioso: era Bonetti.

Dalla falange dei proscritti, inerme,
abitator di quei dintorni, il birro
avea deluso e sulle terre sue
dalle città appartate, inosservato
da profugo vivea. Il caro amico
com'Iride apparì nella tempesta.
Io lo seguia, non conscio della vita,
lei sorreggendo all'ospital dimora.
Ivi un giaciglio la raccolse e, mentre
corcata, il pugno mi stringea... di ghiaccio
si fé la man della mia donna! e l'alma
s'involava all'Eterno!

Io brancolando,
baciai la fredda fronte e del mio pianto
l'inumidiva! "Oh! perché una lacrima
non spargerò su tanta donna! e quanto
io perdo, nol sapete, o circostanti!"
Furon le sole mie parole a loro,
che m'accennavan di fuggir i fieri
non lontani segugi, ed inselvarmi.

Itala terra è che ti copre, Anita!
E terra schiava! La vagante, incerta
vita trascinerò nelle foreste
e l'Oceàn risolcherò; ma l'ossa
tue, quasi insepolte, alla birraglia
non lascerò dello straniero! I campi
ove ramingo e perseguito, appena
io scamperò, risuoneran del pianto
e rantolar di mercenari e spie
trafitti e moribondi. Al santuario
venduto de' miei padri avranno stanza
le tue reliquie, e d'altra donna amata
madre ad entrambi, adornerai l'avello.

 

“Patriota, generale e uomo politico, Giuseppe Garibaldi (Nizza 1807 - Caprera 1882), dopo aver aderito alla Giovine Italia e preso parte a moti insurrezionali in Italia, visse alcuni anni (1835-48) in America, combattendo per l’indipendenza in vari paesi. Rientrato in Italia, partecipò al governo provvisorio di Milano e, dopo la proclamazione della Repubblica romana, nonostante i dissidi nati con Mazzini circa l’atteggiamento da tenere nei confronti di Casa Savoia, ricevette l’incarico della difesa di Roma. Sconfitto dai francesi, fuggì nuovamente all’estero (1849). Al rientro in Italia (1854) si allontanò ulteriormente dalle idee di Mazzini, accondiscendendo a divenire sostenitore della monarchia sabauda finché questa dimostrasse di credere fermamente nella causa italiana e assumendo la guida dell’esercito sardo contro l’Austria (1858-59). Dopo l'annessione da parte del Piemonte di Lombardia, Emilia, Toscana e Romagna, G. riavviò il processo di unificazione d’Italia, che sembrava essersi bloccato nell’impossibilità di prendere Roma, con l’impresa dei Mille, che consentì di unire il Mezzogiorno al Piemonte (1860) e quindi di giungere alla costituzione del Regno d’Italia (1861). Per le sue imprese, nelle quali dimostrò di avere non solo rare doti militari ma anche indiscutibile acume politico, G. è considerato uno dei più grandi artefici del Risorgimento italiano.

La giovinezza. Secondogenito di Domenico, capitano mercantile, e di Rosa Raimondi; attratto dalla passione per il mare, fu dapprima mozzo sul brigantino Costanza, poi navigò col padre e con altri armatori in Oriente. Comandava una nave propria, quando nel 1833 in una locanda di Taganrog, sul Mar Nero, informato da G. B. Cuneo di Oneglia dell'azione politica mazziniana fu "iniziato", come disse egli stesso, ai "sublimi misteri della patria", e decise di dedicarsi alla causa nazionale iscrivendosi alla Giovine Italia. Imbarcatosi come semplice marinaio con il nome di Cleombroto sulla fregata Des Geneys, per collaborare alla rivolta che avrebbe dovuto facilitare la spedizione mazziniana in Savoia, fallito il moto nel febbraio 1834, fu costretto a fuggire; riparato a Marsiglia vi apprese la sua condanna a morte (3 giugno). Si imbarcò allora per il Mar Nero; poi si arruolò nella flottiglia del bey di Tunisi. Ritornato alla metà del 1835 a Marsiglia, vi ottenne il comando in seconda di un brigantino diretto a Rio de Janeiro, dove giunse fra il dic. 1835 e il genn. 1836.

L'eroe dei due mondi. A Rio de Janeiro partecipò con altri italiani esuli alle riunioni della Giovine Italia. In seguito accettò col suo amico L. Rossetti di far guerra di corsa a favore dello stato di Rio Grande do Sul ribellatosi al governo brasiliano, e ne comandò poi la flotta da guerra. Al principio del 1842, costretto a riparare a Montevideo, portò con sé Anita, già compagna di vita e d'ideali, che divenne sua sposa. Ma subito riprese a combattere a favore di Fructuoso Rivera contro M. Oribe, sostenuto dal dittatore argentino J. M. de Rosas. Al comando di una flottiglia fu costretto dalla flotta argentina, presso Nueva Cava (15 ago. 1842), a cercar scampo a terra. G. ebbe il comando di una nuova flottiglia e, organizzata una legione italiana, risalì il Plata; l'8 febbr. 1846 si segnalava brillantemente a S. Antonio del Salto. Richiamato a Montevideo (sett. 1846), gli giunse dall'Italia, significativa del maturarsi dei tempi propizi per la libertà, la notizia della rivoluzione di Palermo, che lo persuase a imbarcarsi, il 12 apr. 1848, con parte della legione. A Gibilterra, apprendendo che il re di Sardegna si preparava a intervenire contro l'Austria, decise di approdare a Nizza, dove, con sorpresa dei suoi compagni mazziniani, dichiarò "di non essere repubblicano, ma italiano".

La guerra del 1848-49. Accolto freddamente dal governo sardo, nel corso della prima guerra d'indipendenza al comando di un gruppo di volontari si batté a Luino (15 ago.) e conquistò Varese, che poco dopo dovette abbandonare; resistette a Morazzone (26 ago.), e poi, premuto dalle soverchianti forze austriache, riparò in Svizzera. Tornato a Nizza, il 24 ottobre ne ripartì con alcune centinaia di volontari per la Sicilia, inviato da Paolo Fabrizi; ma, fermatosi in Toscana (25 ott. - 8 nov.), offrì alla Repubblica Romana la sua spada; tenuto dapprima in disparte, a Macerata, che lo nominò deputato alla Costituente, e poi a Rieti, fu chiamato a Roma per l'ultima difesa contro i Francesi. Dopo il sanguinoso scontro del 30 apr. 1849 seguirono la breve campagna contro l'esercito napoletano, interrotta per volere di G. Mazzini, e l'assedio, conclusosi con la caduta della Repubblica. Garibaldi sfuggì all'accerchiamento e riparò a S. Marino (31 luglio), donde tentò di raggiungere Venezia ancora libera. Ma attaccato da navi austriache sbarcò sulla costa di Magnavacca (ora Porto Garibaldi), e, nel tragico inseguimento, vide morire la moglie Anita (4 agosto). Attraverso Romagna e Toscana riuscì a raggiungere il territorio piemontese, dal quale, senza proteste, accettò l'espulsione. Cominciava il suo secondo esilio (16 settembre). Ospite prima del console piemontese di Tangeri (nov. 1849 - giugno 1850), poi operaio in una fabbrica di candele a New York, riprese finalmente a navigare nell'America Centrale, e tra il Perù, la Cina, l'Australia.

Per l'Italia con Vittorio Emanuele. Conquistato dalla politica realistica del governo sardo, nel 1854 G. tornò in Europa e, in seguito a un colloquio segreto con Cavour (13 ago. 1856), pubblicamente dichiarò di voler mettere a base dell'unità italiana la monarchia, aderendo alla Società Nazionale. Alla vigilia della seconda guerra d'indipendenza, il 2 marzo 1859 s'incontrò con Cavour per accordarsi sull'organizzazione dei volontari; e in quell'occasione conobbe Vittorio Emanuele. Al comando dei cacciatori delle Alpi, vinse il gen. Urban sotto Varese (26 maggio) e a S. Fermo (27 maggio); protesse i fianchi dei Franco-Piemontesi ed entrò trionfalmente in Brescia (13 giugno). Gli avvenimenti che seguirono alla pace di Villafranca raffreddarono i rapporti fra G. e il governo sardo. Comandante in seconda delle truppe della lega militare formatasi fra Toscana, Romagna, Parma e Modena, passò nelle Marche per estendere colà il movimento rivoluzionario, ma, richiamato dallo stesso Vittorio Emanuele, depose il comando, ritirandosi a Caprera, dopo aver lanciato a Genova un manifesto agli Italiani di violenta critica alla politica piemontese.

L'impresa dei Mille. Giuntagli nell'aprile del 1860 notizia della rivolta scoppiata a Palermo, col consenso almeno tacito del governo si pose a capo della missione nota come spedizione dei Mille, che partì da Quarto nella notte dal 5 al 6 maggio 1860. Tappe dell'impresa furono: lo sbarco a Marsala (11 maggio), la battaglia di Calatafimi (15 maggio), la presa di Palermo (27 maggio), la battaglia di Milazzo (20 luglio), il passaggio dello Stretto di Messina (19 agosto), la trionfale marcia attraverso la Calabria, l'ingresso in Napoli (7 sett.), la decisiva battaglia del Volturno (1-2 ott.), l'incontro col re a Teano (26 ott.). Il 7 novembre entrò con Vittorio Emanuele a Napoli; sacrificando ogni ambizione alla soluzione sabauda, che sentiva necessaria per l'unità, il giorno seguente gli consegnò i risultati del plebiscito e il 9 ripartì per Caprera, rifiutando la nomina a generale e le ricompense concessegli. L'impresa che univa il Mezzogiorno al Piemonte per formare di lì a poco il Regno d'Italia, apparve subito come l'azione politicamente risolutiva del processo risorgimentale; anche dal punto di vista tecnicamente militare, sia nello stratagemma della marcia avvolgente su Palermo, sia nella dislocazione e nella manovra delle forze al Volturno, G. rivelò le sue grandi qualità di comandante, esaltate dall'ascendente che esercitava sui suoi uomini. Intanto la morte di Cavour parve allontanare il giorno del compimento dell'unità italiana. Le forze rivoluzionarie guardavano di nuovo a G. come all'uomo che sapeva osare, mentre U. Rattazzi cercava di ripetere, in modi assai più ambigui, la politica svolta con tanto successo da Cavour nel 1860. Dopo un vano tentativo di invasione del Trentino (Sarnico, maggio 1862), G. si recò a Palermo (28 giugno), lanciò un proclama contro la Francia, e al grido di "Roma o morte" marciò verso Roma; nell'Aspromonte (29 ago.) fu ferito e fatto prigioniero da soldati italiani. Amnistiato, nel marzo 1864 lasciò Caprera per Londra, dove ebbe incontri con Mazzini e con A. I. Herzen, oltre che col Palmerston, e misurò la propria straordinaria popolarità.

Gli ultimi anni. Scoppiata la terza guerra d'indipendenza nel 1866, accettò il comando dei volontari; entrò con essi nel Trentino e li condusse alla vittoria (Monte Suello, 3 luglio; Bezzecca, 21 luglio). Dopo l'annessione del Veneto, G. sentì ancor più urgente la conquista di Roma. Fermato a Sinalunga (24 sett. 1867) da soldati italiani mentre organizzava una spedizione contro Roma, fu ricondotto a Caprera, ma, sfuggendo alla sorveglianza della flotta italiana, ritornò sul continente e il 23 ottobre passò il confine con i volontari accorsi all'impresa: a Mentana (3 novembre) le truppe francesi e pontificie lo costrinsero alla ritirata. Arrestato a Figline e condotto nella fortezza del Varignano, il 25 novembre fu imbarcato, virtualmente prigioniero, per Caprera, donde salpò solo per partecipare alla difesa della Francia (1870), ottenendo una vittoria a Digione (21-23 genn. 1871). Negli ultimi anni della sua vita inclinò sempre più a un socialismo di tipo umanitario e aderì all'Internazionale. In questo periodo aggiornò le sue Memorie autobiografiche, cominciate a Tangeri tra il 1849 e il 1850, aggiungendovi una redazione in versi sciolti, e scrisse (1869-74) tre romanzi: Clelia o il governo del monaco, Cantoni il volontario, I mille, e compose versi in lingua italiana e francese.”

(In www.treccani.it)

 

Immagini:

Documentario: Barbero smonta i neoborbonici - LA VERITÀ SU GARIBALDI

 

Il 4 luglio 1807 nasce Giuseppe Garibaldi (morto nel 1882)

 

Un fatto al giorno

4 luglio 362 a.C.: Battaglia di Mantinea. I Tebani, guidati da Epaminonda, sconfiggono gli Spartani.

“Fu una delle più logoranti e complesse guerre della storia quella che si combatté dal 431 a.C. al 404 a.C. tra Atene, Sparta e relativi alleati. Oggi conosciuta come Guerra del Peloponneso, dall’omonima opera dello storico Tucidide che ne è la fonte più dettagliata e affidabile. In questo articolo analizzeremo il complessissimo periodo diplomatico che portò dalla firma della Pace di Nicia (421 a.C.) fino all’importantissima battaglia campale combattuta a Mantinea (418 a.C.).

Pace di Nicia

La fase Archidamica della guerra si concluse nel 421 a.C. con la firma, da parte dell’ateniese Nicia e del re spartano Plistonatte, della cosiddetta Pace di Nicia, la quale imponeva un periodo di 50 anni di tregua tra le due potenze, la restituzione da entrambe le parti dei centri precedentemente conquistati (in particolare Pilo e Anfipoli), l’impossibilità sia per Sparta che per Atene di negoziare autonomamente accordi con altre città e un’alleanza difensiva in caso di minacce esterne. A favorire la pace era stata principalmente la morte dei due generali che più si erano impegnati nelle operazioni belliche degli anni precedenti, ossia lo spartano Brasida e l’ateniese Cleone, entrambi deceduti nella Battaglia di Anfipoli. Inoltre sia Sparta che Atene si stavano ancora riprendendo dalle umilianti sconfitte ricevute rispettivamente nella Battaglia di Sfacteria (425 a.C.) e nella Battaglia di Delio (424 a.C.), tuttavia fu presto chiaro che nessuna delle parti aveva intenzione di attenersi alle clausole dell’accordo; ad Atene fu l’intraprendente Alcibiade ad impegnarsi maggiormente per la ripresa della guerra, mentre a Sparta, re Agide II, pur cercando di evitare il conflitto in ogni modo fu costretto dal susseguirsi degli eventi a prendere le parti degli alleati rimasti fedeli, ponendosi coraggiosamente alla testa della sua armata.

Primi attriti

I primi attriti tra le due potenze si vennero a creare per i temporeggiamenti di Sparta con la restituzione di Anfipoli, e di Atene, che si rifiutava di rendere agli Spartani Pilo (città costiera occupata nel 425 dagli Ateniesi). Inoltre le varie città legate a Sparta manifestarono il loro malcontento per una tregua che non pareva giovare a nessuno e lasciava molte questioni in sospeso. Il Peloponneso fremeva. Mentre Corinto vedeva sempre meno di buon occhio gli Spartani, Argo, sollecitata da ambasciatori Corinzi, istituì un assemblea che potesse negoziare accordi con qualunque città lo desiderasse (eccetto Sparta e Atene, ancora vincolate dalle clausole della Pace), al fine di creare un sistema di alleanze abbastanza grande e compatto da poter strappare ai Lacedemoni la leadership sul Peloponneso, infatti la tregua trentennale pattuita tra Sparta e Argo era prossima a terminare. I primi ad accordarsi con Argo furono i Mantinesi (Mantinea era una città del Peloponneso centrale), che avevano occupato in modo illegittimo dei territori dell’Arcadia scatenando l’ira degli spartani. Li imitarono gli Elei (l’Elide è una regione del Peloponneso nord-occidentale), i quali erano in pessimi rapporti con Sparta a causa di una disputa riguardo città di Lepero. Nel mentre i Corinzi, disillusi dal rifiuto di Tegea di unirsi all’alleanza, decisero iniziare a prendere le distanze da Argo. Durante quell’estate gli spartani condussero un’incursione in Arcadia per strappare ai mantinesi le terre di cui si erano appropriati, a nulla valse l’alleanza con Argo, infatti quelle città furono liberate e rese indipendenti senza che Mantinea potesse opporre un’efficace resistenza.

Eserciti in campo

Col passare dei mesi le relazioni tra le varie città greche si inasprirono ulteriormente e iniziarono le prime mobilitazioni di vere e proprie armate. In questa fase al centro dell’attenzione generale c’era Argo, una delle poche potenze a non aver subito gli effetti devastanti e il logorio della Guerra Archidamica (a cui non aveva preso parte). Sia Sparta che Atene volevano guadagnarsi la sua alleanza e gli Argivi, inizialmente, intavolarono trattative con entrambe. Intanto gli Spartani negoziarono con i Beoti la cessione di Panatto (forte sul confine tra la Beozia e l’Attica) e dei prigionieri ateniesi detenuti in Beozia, da scambiare con Atene per la restituzione di Pilo, tuttavia questo accordo siglato da Sparta di sua sola iniziativa andava a violare le clausole della Pace di Nicia. Inoltre, prima di cederla ai legati Spartani, i Beoti rasero al suolo Panatto, perché non finisse nelle mani dei vicini Ateniesi. Questi si sentirono oltraggiati a tal punto che il giovane politico Alcibiade ebbe buon gioco nel persuaderli a stipulare un’alleanza difensiva con Argo (i Corinzi pur essendo ancora formalmente alleati degli Argivi non sottoscrissero il patto, a differenza di quanto fecero gli Elei e i Mantinesi). A nulla valsero gli sforzi di Nicia che inviato in ambasceria presso gli Spartani non riuscì a convincerli ad annullare il trattato con i Beoti. Una disputa tra Argo ed Epidauro (città fedele a Sparta) portò all’invasione da parte degli argivi del territorio di Epidauro che venne devastato e saccheggiato. Al contempo gli Spartani si misero in marcia con l’intera armata, cosa non da poco considerando che questa costituiva il più temibile e efficace esercito della storia pre-romana, tuttavia rimpatriarono a causa dei responsi negativi ai sacrifici. Si erano rotti gli indugi e le prime armate si mettevano in movimento pronte a scontrarsi sul campo: la guerra era ufficialmente ricominciata.

Alle porte di Argo

Gli Argivi condussero nuovamente incursioni sul territorio di Epidauro, devastandolo per circa un terzo, dopodiché rimpatriarono. Nel frattempo una nuova marcia degli Spartani era stata interrotta per segni nuovamente sfavorevoli, così si ritirarono anche i 1000 opliti ateniesi che Alcibiade stava conducendo per aiutare Argo a tener testa ai Lacedemoni. Durante quell’inverno Sparta riuscì a far giungere via mare 300 opliti a Epidauro, questo permise alla città di continuare a resistere alle offensive argive. L’estate successiva gli spartani si decisero a chiamare a raccolta gli alleati per condurre una spedizione punitiva contro Argo, comandata da Agide II, re di Sparta. I Tegeati e gli Arcadi fedeli a Sparta si unirono all’esercito lacedemone, mentre gli altri alleati si radunavano presso Fliunte (città del Peloponneso nord-orientale). Venuti a conoscenza di questi preparativi, gli Argivi si riunirono con i Mantinesi e con gli Elei (che fornivano 3000 opliti), e si misero in marcia riuscendo a intercettare le forze spartane prime che si ricongiungessero con gli alleati a Fliunte. Agide con una rapida marcia notturna riuscì a eludere l’armata argiva già pronta per la battaglia. Quando gli Argivi si resero conto di ciò tornarono in Argolide (regione di Argo) per poter contrastare l’imminente invasione. Agide fu molto abile, una volta riunitosi con gli alleati, a condurre l’attacco dividendo l’esercito in tre parti che dilagando nella piana di Argo da direzioni diverse portarono gli argivi a radunarsi su una collina, circondati da 3 lati e con la città alle loro spalle. La battaglia sarebbe stata il più importante scontro campale dai tempi della guerra contro Serse ed entrambe le parti giudicavano la loro posizione favorevole, confidando in un’epica vittoria. Tuttavia Agide decise di scendere a patti con gli argivi per la pace per non rischiare di perdere troppi Spartiati (gli indispensabili guerrieri di professione che rendevano temibile l’armata lacedemone). Gli eserciti si sciolsero e l’operato di Agide venne duramente criticato sia dagli alleati che dagli stessi Spartani, per rimediare il re si propose per condurre una nuova campagna tenendosi pronto ad uno scontro sul campo con gli avversari. Allo stesso tempo gli Ateniesi giudicarono non valida la pace stipulata tra Argivi e Spartani in quanto andava contro le clausole dell’alleanza con Argo, dunque entrambe le parti si prepararono a scendere nuovamente in campo per combattere la grande battaglia che ormai troppo a lungo era stata evitata.

La Grande Battaglia di Mantinea

La coalizione di Argo, Mantinea, Elide e Atene tornò all’attacco. Questa volta Orcomeno (città dell’Arcadia fedele a Sparta) fu il bersaglio designato, e in breve tempo venne costretta alla resa. Forti della vittoria, gli alleati si lanciarono contro Tegea, fatta eccezione per gli Elei che, delusi dal come erano state ignorate le loro richieste di attaccare Lepero, rimpatriarono. L’armata spartana di contro, dopo aver chiamato a raccolta gli alleati, invase la regione di Mantinea e qui si trovò nuovamente faccia a faccia con i nemici, ma Agide resosi conto che questi occupavano una posizione favorevole si ritirò cercando di stanarli dalle colline su cui si erano appostati. I soldati, facendo pressione sugli strateghi argivi, li convinsero ad iniziare l’inseguimento e il giorno seguente le due armate si fronteggiavano, per l’ennesima volta, pronte a darsi battaglia. Entrambi gli eserciti contavano circa 8000 uomini, ma il numero degli Spartani era leggermente superiore. Trovandosi inaspettatamente davanti all’esercito di Argo, Atene e Mantinea già schierato, gli Spartani dovettero prendere posizione in tutta fretta; sulla sinistra si disposero gli Sciriti (fanti leggeri provenienti dal territorio di Tegea) assieme ai reduci della campagna di Brasida in Tracia e ai Neodamodi (iloti liberati), al centro gli Arcadi, gli Spartiati e i Tegeati, mentre sulla destra si schierò un ulteriore manipolo di Spartiati. Sul fronte Argivo-Ateniese presero posizione, da sinistra verso destra: Ateniesi, alleati vari, Argivi, un corpo scelto di 1000 Argivi addestrati a spese pubbliche, Arcadi e Mantinesi (è bene precisare che la presenza di Arcadi su entrambi i fronti era dovuta alla frammentazione politica delle città dell’Arcadia). Le cavallerie disposte alle ali di entrambe le armate non ebbero, come consuetudine nelle battaglie oplitiche, un ruolo determinante. “A questo punto gli eserciti avanzarono i primi passi; gli Argivi e gli alleati si spingevano avanti con il cuore in tumulto, fremendo: “gli Spartani avanzavano con fredda disciplina al suono regolato di molti flautisti.” (Tucidide, “La Guerra Del Peloponneso”).

Le due armate continuarono ad avvicinarsi e la tensione data dalle proporzioni della battaglia, eccezionali per il mondo greco, accentuò il naturale movimento, tipico di ogni esercito oplitico, verso destra, causato dalla ricerca della protezione dello scudo del compagno vicino sul proprio fianco scoperto. Temendo che i reparti sulla sinistra spartana finissero in questo modo per essere accerchiati dai Mantinesi Agide ordinò agli sciriti e agli ex soldati di Brasida di distaccarsi dal corpo principale dell’esercito per fronteggiare direttamente gli opliti di Mantinea, nella falla così creatasi il re inviò due lochi di Spartiati. Il movimento dei contingenti tuttavia non avvenne in tempo, così Mantinesi e Argivi scelti penetrarono tra le fila dei Lacedemoni costringendone parte alla fuga. Nel mentre sul fianco destro gli Spartiati si trovarono in una posizione vantaggiosa sugli Ateniesi che non avevano in alcun modo limitato il movimento del loro esercito verso destra e vennero dunque accerchiati e schiacciati. Anche al centro i Tegeati e gli altri Spartiati erano riusciti ad avere la meglio sugli Argivi, grazie ad un’abilità nettamente superiore nel combattimento oplitico. Vinti i nemici in questi settori Agide decise di rinunciare all’inseguimento e volse le sue forze contro Mantinesi e Argivi scelti che ancora stavano avendo la meglio sulla sinistra. Quando anche questi furono accerchiati e costretti alla fuga la vittoria fu finalmente degli Spartani. I Lacedemoni contarono solo 300 caduti mentre la coalizione Argivo-Ateniese lasciò sul campo più di mille uomini: un numero non così modesto se si considera che non vi fu alcun inseguimento dopo la battaglia. Con questa vittoria, ottenuta senza il supporto dei grandi contingenti degli alleati Beoti e Corinzi, Sparta si riconfermò l’assoluta potenza terrestre tra le città greche e troncò le ali ai sogni di gloria e di dominio della rivale Argo una volta per tutte. La Battaglia di Mantinea inaugurò la ripresa della Guerra del Peloponneso nella sua fase Deceleica, che portò il centro delle operazioni belliche dai colli della Grecia continentale, alle acque solcate di onde dell’Egeo.”

(Mattia Rossi in www.renovatioimperii.org)

 

Una frase al giorno

“«Ma io non voglio andare fra i matti», osservò Alice.
«Be', non hai altra scelta», disse il Gatto «Qui siamo tutti matti. Io sono matto. Tu sei matta.»
«Come lo sai che sono matta?» disse Alice.
«Per forza,» disse il Gatto: «altrimenti non saresti venuta qui.»”

(Lewis Carroll, da Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie. Lewis Carroll, pseudonimo di Charles Lutwidge Dodgson, Daresbury, 27 gennaio 1832 - Guildford, 14 gennaio 1898, fu scrittore, poeta, fotografo, logico, matematico e prete anglicano britannico dell'età vittoriana)

 

L'ideatore del meraviglioso mondo di Alice

Il reverendo inglese Charles Lutwidge Dodgson, autore di Alice nel paese delle meraviglie e Attraverso lo specchio, è conosciuto sotto lo pseudonimo di Lewis Carroll. Uomo religioso e rispettabile, insegnava matematica nell'illustre università di Oxford; fu anche instancabile fotografo e inventore di giochi, storie e indovinelli e sembrava preferire di gran lunga l'infanzia alla seriosità degli adulti

UNA DOPPIA VITA

Lewis Carroll, nato a Daresbury nel 1832, è stato uno degli uomini più curiosi del suo tempo nel cercare i misteri e i segreti che si nascondono dietro la realtà. Dalle fotografie che lo ritraggono, con il suo viso di eterno ragazzo e lo sguardo perso in fantasticherie, si intuisce che ci troviamo di fronte a una person a poco convinta che il mondo possa essere solo come lo pensiamo di solito. In fondo, tutta la sua vita è stata doppia come un'immagine riflessa nello specchio, appunto lo specchio di Alice.

In quell'epoca capitava spesso che le persone fossero 'divise in due': era il tempo in cui regnava in Inghilterra la regina Vittoria che aveva imposto regole di comportamento così rigide che era difficile poterle rispettare per davvero. Capitava così che anche gli uomini più stimati avessero segreti da nascondere dietro un comportamento apparentemente conformista. Non a caso proprio in quell'epoca Stevenson inventò il personaggio del dottor Jekyll, illustre medico di giorno, assassino folle (sotto le sembianza di mister Hyde) di notte.

Il reverendo Dodgson, uomo abitudinario e quasi noioso, diventò professore di matematica all'università di Oxford dove visse tutta la vita, senza mai spostarsi troppo. Questa carriera era un vero successo, ma a lui non bastava. Era come se si sentisse addosso un vestito scomodo, che lo facesse inciampare di continuo. E infatti 'inciampava', nel senso che quando faceva lezione, o parlava ai fedeli o chiacchierava con i suoi colleghi era timidissimo e balbettava continuamente. Ma c'erano momenti in cui, invece, le sue parole uscivano veloci e fluide, senza nessun balbettio, e questo accadeva sempre quando si trovava in compagnia dei bambini.

METAMORFOSI DI UN SERIO MATEMATICO

Giochi e bambini. Con i bambini, e in particolare con le bambine, il reverendo Dogson si trovava più a suo agio e si divertiva a fare passeggiate sul fiume o nei giardini o a prendere il tè. Il serio reverendo Dodgson si trasformava allora in Lewis Carroll, l'uomo più divertente del suo tempo. Era capace di inventare lì per lì scherzi, storie e indovinelli, aveva una valigetta sempre piena di giocattoli e una camera piuttosto strana per un professore: c'erano tantissimi carillon e una pianola, uno specchio deformante, una collezione di bambole e pupazzi automatici, compreso un pipistrello finto che volava per davvero, senza contare gli scacchi e i giochi di sua invenzione. Le stesse lettere, che scriveva numerosissime alle sue piccole amiche, erano veri rompicapo: alcune volte erano scritte all'inverso e bisognava leggerle dal fondo, altre contenevano disegni per risolvere rebus.

Queste stranezze erano viste con un certo stupore dai colleghi dell'università meravigliati che un adulto, autore di numerosi studi di matematica, preferisse la compagnia dei bambini. Ancora in quell'epoca le esigenze dei bambini non erano molto considerate: l'essenziale era controllarli e farli crescere secondo regole precise. Carroll invece si prendeva gioco proprio delle regole e delle convenzioni: ne sono testimonianza i personaggi assurdi di Alice nel paese delle meraviglie (1865) e di Attraverso lo specchio (1872), dedicati all'amica preferita Alice Liddell, o le poesie 'senza senso' di La caccia allo snark (1876), dedicata alla piccola Gertrude Chataway. L'unica eccezione è il suo ultimo romanzo Sylvie e Bruno che è meno stravagante, forse più vicino allo spirito di Dodgson che a quello di Carroll.

LA MAGIA DELLE FOTO

Carroll considerò sempre l'infanzia come l'età preferita, tanto che si dedicò a ritrarla per tanti anni anche con la fotografia, invenzione recente e sua altra grande passione. Carroll fu uno dei più importanti fotografi del suo tempo e sicuramente il primo a dedicarsi così tanto a ritrarre bambini e bambine. Queste foto si possono ancora vedere: sono ormai molto vecchie, ma conservano inalterata un'atmosfera magica e misteriosa, proprio come quel mondo ignoto che Carroll inseguì per tutta la vita, da entrambi i lati dello specchio.”

(Emilio Varrà - Enciclopedia dei ragazzi, 2005 - www.treccani.it)

 

Il 4 luglio 1862 Lewis Carroll racconta ad Alice Liddell una storia che diventerà Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie e i suoi seguiti.

 

Un brano musicale al giorno

Maximilian Steinberg - Sinfonia n. 2 in si bem. min. Op. 8 (1909, dedicata alla memoria di Rimsky-Korsakov)

  1. Moderato. Allegro moderato
  2. Allegro non troppo
  3. Lento. Allegro

Orchestra Sinfonica di Göteborg. Direttore: Neeme Järvi.

 

Maximilian Steinberg (1883-1946), compositore russo, genero di Nikolaj Rimskij-Korsakov, oggi è ricordato soprattutto per la sua attività d’insegnante svolta presso il Conservatorio di San Pietroburgo; Dmitri Shostakovich, il suo allievo prediletto, gli dedicherà lo Scherzo per orchestra in Fa diesis Op. 1.

Maximilian Osseyevich Steinberg nasce a Vilnius, allora parte dell’Impero russo, in una famiglia di origine ebraica. A San Pietroburgo studia biologia, laureandosi nel 1906; al Conservatorio frequenta inoltre le classi di armonia e contrappunto di Lyadov, Glazunov e Rimsky-Korsakov che lo esorta a dedicarsi alla composizione. Si diploma al Conservatorio nel 1908; in quello stesso anno sposa Nadežda, figlia di Rimsky-Korsakov, completa, pubblicandoli poi a Parigi, i “Principi d’orchestrazione” di suo suocero, deceduto il 21 giugno, e gli subentra nei suoi incarichi al Conservatorio, mantendoli anche durante la Rivoluzione d’Ottobre e la successiva Guerra Civile.

L’opera di Maximilian Steinberg comprende diverse composizioni per orchestra, tra cui la Seconda Sinfonia e il Preludio Sinfonico Op. 7, dedicati alla memoria di Nikolai Rimsky-Korsakov, l’Ouverture Solenne su canti rivoluzionari, quartetti per archi, altra musica da camera e composizioni vocali. Il suo stile conservatore, ispirato anche al folclore musicale e letterario, non lo pone in contrasto con i dettami del Partito Comunista. Tuttavia, tra il 1921 e il 1926, in pieno svolgimento della Seconda Campagna Anti-Religiosa Sovietica, spinto dal rinnovato interesse per l’eredità religiosa della cultura russa, Steinberg si dedica alla composizione della “Settimana della Passione”, brano corale basato su antiche monodie bizantine, che, per evitare sicure, gravi rappresaglie nei suoi confronti e verso la sua famiglia, fa pubblicare a Parigi nel 1927 con il titolo “La Semaine de la Passione d’après les vieux chants religieux russes pour choeur mixte a cappella”. Questa edizione, oltre al testo cantato in antico slavo ecclesiastico, presenta le rispettive traduzioni in latino e inglese.”

(In diesisebemolle.wordpress.com)

 

Страстная Седмица М. Штейнберга / M. Steinberg’s Passion Week

Le metamorfosi, suite dal balletto Op. 10 (da Ovidio)

  1. Introduzione
  2. Incoronazione della statua di Giove – Danza degli schiavi fenici
  3. Pan
  4. Apollo - Danza delle Muse
  5. La trasformazione di Adone - Girotondo delle divinità silvestri

The American Symphony Orchestra. Direttore: Leon Botstein.

 

 


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

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Ugo Brusaporco

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