“L’amico del popolo”, 6 settembre 2017

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

APARAJITO (L'invitto, India, 1956), regia di Satyajit Ray. Tratto dai romanzi Pather Panchali e Aparajito di Bibhutibhusan Banerjee. Sceneggiatura: Satyajit Ray. Fotografia: Subrata Mitra. ontaggio: Dulal Dutta. Musica: Ravi Shankar. Con: Kanu Banerjee (Harihar, padre di Apu), Karuna Banerjee (Sarbajaya, madre di Apu), Pinaki Sengupta (Apu studente), Smaran Ghosal (Apu adolescente), Ramani Sengupta (Bhabataran), Charuprakash Ghosh (Nanda-babu), Subodh Ganguli (il preside), Moni Srimani (l’ispettore scolastico), Hemanta Chatterjee (l’insegnante).

Aparajito è la seconda parte della cosiddetta Trilogia di Apu (fra Pather Panchali e Apur Sansar), del regista indiano Satyajit Ray. Racconta del passaggio all'adolescenza di Apu, della sua partenza per Calcutta per andare a studiare e dei dolori che dovrà affrontare.
Una famiglia indiana, composta dal padre Harithar e dalla madre Sarbojaya, è costretta a lasciare col figlio Apu il villaggio natìo per superare il dolore per la morte della figlia Durga. I tre superstiti si trasferiscono nella città santa di Benares, della quale vanno scoprendo i misteri e i miracoli. La morte di Harithar costringe la madre a ogni sacrificio pur di provvedere ad Apu, finché ritornano nel villaggio natale. Apu decide di voler studiare poi, raggiunta la maggiore età, decide di recarsi a Calcutta per prendere la laurea e lascia, quindi, la madre, la quale, mentre egli è lontano, muore. Richiamato d'urgenza, Apu non arriva in tempo per raccogliere l'estremo sospiro di Sarbojaya: non gli resta quindi che radunare le poche cose rimaste e tornare a Calcutta con la speranza di poter soddisfare le sue aspirazioni che lo portano verso un mondo nuovo.

"Film dalle due anime: da una parte, la figuratività della messinscena e l'iconografica plasticità dell'azione sono proprie dello stile orientale, dall'altra la rappresentazione spoglia e cruda della realtà deriva dal gusto occidentale e, precisamente, neorealista, se non addirittura verista. E', in nuce, la versione cinematografica della famosa "morale dell'ostrica" verghiana: come l'ostrica che si stacca dallo scoglio muore, così l'uomo che abbandona il proprio nucleo familiare è perduto. A differenza di Verga, però, Ray crede nel progresso, anche se questo implica inevitabilmente fatti dolorosi e scelte drastiche: non a caso, il titolo significa l'invitto."

(centraldocinema.it)

"...attraverso la storia di Apu e della sua famiglia traccia un affresco dell'India degli anni Venti e del suo travaglio evolutivo. Influenzato dal neorealismo italiano, Ray racconta la vita, la morte, il dolore delle madri, l'egoismo dei figli con un ritmo lento ma senza indugi, con cura figurativa di classico rigore ma senza compiacimenti estetizzanti, con la sobria forza di una semplicità che rende familiare un ambiente a noi lontano."

(il Morandini)

"La magia di Ray, la semplice poesia delle sue immagini ed il loro impatto emotivo, rimarranno per sempre con me... Le sue opere sono in compagnia di quelle di contemporanei viventi come Ingmar Bergman, Akira Kurosawa e Federico Fellini."

(Martin Scorsese, 1991)

"Lo sguardo calmo ma profondo, la comprensione e l'amore per la razza umana, che sono caratteristiche di tutti i suoi film, mi hanno impressionato moltissimo... credo che sia un "gigante" del cinema. Non aver visto il cinema di Ray vuol dire stare al mondo senza vedere il sole o la luna. "

(Akira Kurosawa, 1987)

“Pensare a qualcuno significa farne tornare un’immagine su uno sfondo di assenza (il suo corpo). È un primo modo per Ray - e soprattutto in Aparajito, tra la madre e il figlio, la campagna e la città - di riparare un vuoto, di colmare il divario delle distanze, reali e affettive, tra il corpo lontano (l’esterno) e la sua immagine vicina (all’interno). È un modo di far tornare l’altro, di renderlo presente, ma è anche, tramite il gioco di sostituzione tra il dentro e il fuori (un’immagine al posto del corpo), il compimento di una prima elaborazione del lutto. In Aparajito, il volto severo e pensoso della madre emerge sempre in chiusura di un movimento di macchina che abbraccia il corpo nella sua interezza. Al primo piano del volto non si giunge mai attraverso il montaggio ma grazie alla cinepresa, che ne fa il punto di sospensione narrativo in cui si dissolve sistematicamente il flusso di una sequenza (la sua conclusione aperta), come se il pensiero del personaggio (rivolto ad Apu, altrove) si sciogliesse placidamente e amaramente in una lunga dissolvenza al nero, annunciatrice della sua stessa scomparsa. Per Ray, fare un’immagine - meglio: avere un’immagine - è pensare a qualcuno, è proporre un mondo che, nel prolungamento naturale di tale operazione, fa sentire stranamente vicino chi si è perso di vista. La carica sensibile delle immagini di Aparajito consiste in quella leggera e discreta piega del pensiero che presiede a qualsiasi inscrizione di un’immagine nel reale. Se in Ray si incontra il reale, non è tanto perché ci si pensa prima di andarci (la ritrosia prudente) quanto perché l’esperienza del mondo (celebrare la sua presenza) fa che prima o poi ci si metta a pensarlo: un altro modo per il soggetto di storicizzarsi in esso attraverso l’esperienza della morte. Perché partire, perdere di vista l’altro nella prospettiva di un lungo viaggio, è davvero sentir passare dentro di sé il flusso della morte che solo il pensiero può riassorbire. Se un personaggio si abbandona al pensiero, la sensazione della morte è già in lui. Per Ray, l’elaborazione del lutto, all’inizio del pensiero, è il legame tra il soggetto e il mondo”.

(Charles Tesson)

 

Una poesia al giorno

Su l’Appia, di Corrado Govoni (Tàmara, 29 ottobre 1884 - Lido dei Pini, 20 ottobre 1965)

Questo vento che fiuta fra i ruderi
dove si sveglia già l'amore ignaro
delle fredde lucertole
l'odore nascosto
delle prime viole!
Fanno i pini ombrelloni
un dolce rumore di mare,
e l'aria serena
è ruvida e bionda come la rena.
Con millenaria pigrizia,
Roma, cupole e torri di piombo,
giù nella valle del Tevere umido fuma.
Mentre contro le mura
sanguigne di stragi e tramonti
invan come una neve nera
s'abbattono le nuvole dei corvi.

 

Un fatto al giorno

6 settembre 1901: l'anarchico americano Leon Czolgosz spara e ferisce mortalmente il presidente statunitense William McKinley, all'Esposizione Panamericana di Buffalo. Leon Czolgosz nacque ad Alpena, nel Michigan, nel maggio del 1873, da una coppia di immigrati polacchi. Negli ultimi anni della sua vita fu influenzato da anarchici come Emma Goldman (che conobbe di persona a Cleveland, nel 1901) e Aleksandr Berkman. Fu influenzato dall'azione dell'italiano Gaetano Bresci, che il 29 luglio 1900 uccise Umberto I, re d'Italia. Nell'ambiente anarchico non fu ben visto, a causa delle sue idee troppo estreme. Il 6 settembre 1901, a Buffalo, New York, sparò con un revolver e colpì due volte il presidente William McKinley, che morì il 14 settembre per le ferite riportate. Emma Goldman fu arrestata come sospetta di coinvolgimento nell'assassinio, ma fu rilasciata per mancanza di indizi. Il 29 ottobre 1901 fu giustiziato mediante sedia elettrica, con tre scosse di 1700 volt ciascuna, nella prigione di Auburn ad Auburn, New York. L'esecuzione fu filmata da Thomas Alva Edison. Dopo l'esecuzione, il corpo di Czolgosz fu distrutto con calce viva e acido direttamente presso il Cimitero di Soule a Sennett, New York”.

(Wikipedia)

McKinley, William. Uomo politico statunitense (Niles, Ohio, 1843 - Buffalo, New Nork, 1901), rappresentante repubblicano al Congresso (1876-90); convinto protezionista, presentò una legge (McK. bill, 1890) che colpiva le importazioni straniere, specialmente francesi e tedesche. Come governatore dell'Ohio (1892-96), realizzò utili riforme. Rieletto al Congresso (1893), nel 1896 fu nominato presidente degli USA, venticinquesimo della serie. Come tale diede nuovo impulso alla politica estera; con la guerra contro la Spagna annesse Portorico, le Filippine e Guam (1898) e, poco dopo, le isole Hawaii; alla politica di espansione si accompagnarono utili accordi internazionali. Rieletto (1900), fu assassinato dall'anarchico Leon Czolgosz”.

(Treccani)

 

Una frase al giorno

"I have never been in doubt since I was old enough to think intelligently that I would someday be made President” (Non sono mai stato in dubbio, dal momento che ero abbastanza vecchio da poter pensare intelligentemente, che avrei fatto un giorno il Presidente).

(William McKinley)

 

Un brano al giorno

Sylvie Vartan, La Maritza (1972) 

La Maritza o Merich (Meriç) è un fiume della penisola balcanica che bagna la Bulgaria prima di servire come confine tra la Grecia e la Turchia d'Europa.

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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web www.brusaporco.org