“L’amico del popolo”, 8 marzo 2018

L'amico del popolo
Grandezza Carattere

L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

THE FRESHMAN (Viva lo sport, USA, 1925), regia di Fred C. e Sam Taylor. Sceneggiatura: Sam Taylor, Ted Wilde, John Grey, Tim Whelan. Fotografia: Walter Lundin. Montaggio: Allen McNeil. Con: Harold Lloyd (The Freshman), Jobyna Ralston, Brooks Benedict, James Anderson, Hazel Keener, Joseph Harrington, Pat Harmon.

Nel 1990 il film è entrato nella Lista di film preservati nel National Film Registry presso la Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. Nel 2000 l'AFI lo ha inserito al 79º posto nella lista delle cento migliori commedie americane di tutti i tempi.

Harold Lloyd in THE FRESHMAN (Viva lo sport, USA, 1925), regia di Fred C. e Sam Taylor

Harold va all'Università: rispetto agli altri studenti, il giovane è molto goffo ma tutti, per prenderlo in giro, lo trattano come uno di loro. Al college, il gioco più popolare è il football. Harold, che vuole emulare il campione locale per conquistare così la bella Peggy, agli allenamenti si dà molto da fare per entrare nella squadra e poter giocare in campo. Ma è inguaribilmente imbranato. Tuttavia l'allenatore, che non ha cuore di deluderlo, lo mette in panchina. Durante la partita, Harold è smanioso di mettersi in gioco e l'allenatore lo fa giocare. Inizialmente, combina un disastro, ma poi riesce a portare la squadra alla vittoria guadagnandosi la popolarità.

“The Freshman si può praticamente riassumere in una riga”, ricordava Harold Lloyd. “Un ragazzo, ossessionato dall’idea di diventare lo studente più popolare del suo college, fa ogni sforzo per riuscirci ma sbaglia tutto.” Lloyd lavorava senza copione, ma si avvaleva di più autori di gag di qualsiasi altro comico dell’epoca. “I suoi gagmen stavano seduti in una stanza, su sedie di tela, intorno a un lungo tavolo da cucina”, raccontava Lewis Milestone, che diresse brevemente Lloyd in The Kid Brother. “Arrivavano al mattino con l’espressione cupa di chi odia il mondo; non dicevano neppure buongiorno. Se ne stavano lì a leggere riviste. Poi sentivano abbaiare i cani di Harold. Nascondevano le riviste e Harold entrava. Uno di loro si alzava in piedi e indicava un collega, dall’altra parte del tavolo, dicendo: ‘Lui ha avuto un’idea eccezionale’. ‘Benone,’ diceva Harold, ‘Sentiamo, sono tutt’orecchi.’ Naturalmente il malcapitato non aveva nessuna idea, ma era stato tirato in ballo e doveva tirar fuori qualcosa. Così cominciava a balbettare, e allora si mettevano a parlare anche gli altri: volevano far colpo sul capo, perché era Harold Lloyd. E da tutto questo veniva fuori una gag.”
“Lloyd era sempre presente,” ricordava il suo amico John Meredith. “Bisogna essere onesti, dipendeva tutto da Harold Lloyd. Se piaceva a lui, la gag si faceva; se non gli piaceva, non si faceva.”
Con tutti i suoi svantaggi, il sistema dei gagmen consentì a Lloyd di iniziare un film partendo da uno spunto che era poco più di una partita di football, per terminare poi con un’opera giudicata da molti il suo capolavoro.
“Siamo andati a Pasadena, dove si tenevano tutti gli incontri del Rose Bowl”, ricordava Lloyd, “e siamo rimasti lì a lavorare due o tre giorni; ma per qualche motivo la cosa non ha funzionato, o non ci è venuta l’ispirazione, così alla fine ho detto alla troupe, ‘Ragazzi, lasciamo perdere; non possiamo girare il film in questo modo. Devo studiare il personaggio, conoscerlo e sentirlo, altrimenti non riusciremo a esprimere quella che per me è la sostanza di questa storia’. Così abbiamo scartato il materiale che avevamo girato. Non avevamo ancora un copione, ma siamo tornati e abbiamo rifatto The Freshman completamente. Ripensandoci, è stato meglio così”.

Hal Roach rivendicò la paternità dell’idea originale. Ma un ovvio spunto di partenza è rappresentato piuttosto da un film di Charles Ray ancora esistente e intitolato The Pinch Hitter (1917), benché tra le due pellicole passi la stessa differenza che corre tra una Ford T e una Pierce-Arrow. Non fu però Charles Ray a citare in giudizio Lloyd per plagio, bensì uno scrittore di nome H. C. Witwer, autore della serie Leather Pushers della Universal. Costui aveva inviato un racconto ambientato in un college a Lloyd, il quale aveva passato il testo ai propri gagmen. Il loro giudizio fu negativo, ma non dimenticarono la storia e invitarono Witwer ad ascoltare il loro abbozzo. Egli fu prodigo di lodi, ammise la superiorità del loro lavoro e li invitò anzi ad attingere, se lo desideravano, alle gag contenute nel suo racconto. Ma quando The Freshman diventò il film comico di maggior successo mai realizzato (o quasi), Witwer intentò un’azione legale. Solo nel 1933 la Harold Lloyd Corporation ottenne un verdetto abbastanza favorevole. “Perché mai Lloyd avrebbe dovuto pagare 40.000 dollari per far lavorare al suo film uno squadra di scrittori, se il testo c’era già e si poteva acquistare e copiare per una somma assai inferiore?” si legge nella sentenza del tribunale. “Una tale possibilità non pare credibile.” Come tanta gente di cinema, Lloyd non era stato all’università; l’aveva invece frequentata uno dei suoi gagmen. Il talento di Sam Taylor (un ex Fordham) era così evidente che Lloyd lo promosse al ruolo di regista, di solito in coppia con Fred Newmeyer. Insieme realizzarono Safety Last!, Girl Shy, For Heaven’s Sake, ecc., poi Taylor passò a dirigere John Barrymore, Norma Talmadge, Mary Pickford e Douglas Fairbanks.

Harold Lloyd in THE FRESHMAN (Viva lo sport, USA, 1925), regia di Fred C. e Sam Taylor

Fra tutti i film di Lloyd, The Freshman è quello che più si avvicina alla satira vera e propria eppure non è satirico perché è chiaro che Lloyd crede nella società di cui si prende gioco. Egli riesce a persuaderci che il mondo di cui desidera entrare a far parte è assolutamente degno di fiducia e rispetto, nonostante tutti i soprusi e le crudeltà cui lo sottopone. È forse questo uno dei motivi per cui il film risultava tanto inquietante agli occhi degli studenti negli anni Sessanta e Settanta; questo, e il fatto che The Freshman assume rapidamente il respiro di un’epica dell’imbarazzo. Quando Harold saluta facendo un saltello come ha visto fare al cinema, il padre commenta con la moglie: “Temo che se Harold imiterà quell’attore quando è al college, gli spezzeranno il cuore o il collo.” È l’ultimo momento di compassione del film; da qui in poi, il trattamento riservato a Harold è feroce, soprattutto nelle sequenze di allenamento. Per queste scene Lloyd fece ricorso a veri giocatori di football, uno dei quali ci ha raccontato che Lloyd si era servito di una controfigura. Tuttavia, realizzando il documentario The Third Genius, esaminammo il film con la massima attenzione, e concludemmo senza il minimo dubbio che Lloyd aveva interpretato l’intera scena di persona (forse dopo aver osservato le controfigure). “In quella scena avevo impiegato qualcuno dei nostri ragazzi” rievocò Lloyd, “che erano veramente rudi. Quando ti colpivano te ne accorgevi; i veri giocatori di football invece non ti facevano male.” Lloyd credeva molto nelle anteprime. Nella prima di esse, tutto filò liscio fino al ballo del college, quando il vestito di Harold comincia a disintegrarsi. Mancava qualcosa. Alla seconda anteprima, risultò evidente che cosa mancava. I gagmen (e la sceneggiatrice Frances Marion, sua cara amica) insistevano perché Harold perdesse i pantaloni. “Naturalmente” raccontava Lloyd “è uno dei momenti culminanti della sequenza. È come scivolare su una buccia di banana; se non monti sulla buccia di banana, devi avere una ragione altrettanto divertente per non farlo”. Per quasi tutti i film comici il ballo sarebbe stato un adeguato punto culminante, ma Lloyd ha ancora in serbo per noi la partita di football. Una gag dopo l’altra, ci convinciamo che Harold è un idiota incurabile, fino a quando scocca l’ultimo minuto di gioco: allora egli rincorre il giocatore col pallone, gli balza in groppa, gli strappa il pallone e sfreccia via a velocità incredibile schivando gli avversari come se avesse gli stivali delle sette leghe, mentre la cinepresa attraversa il campo davanti a lui.
“Una parte della scena fu girata durante una vera partita di football”, ricordava Lloyd. “Una delle partite più importanti dell’anno, tra le università di Stanford e della California. Fu l’unica occasione in cui una troupe cinematografica ebbe il permesso di girare durante una partita di football: lavorammo prima della partita, ma con gli spettatori già presenti, e nell’intervallo tra i due tempi. Rinunciarono alle loro consuete marce, e affidarono tutto a noi; in tutte le scene che si vedono, c’è qualcosa che avevamo già provato e preparato, e poi girato durante la vera partita. Avete presente il momento in cui corro, perdo la scarpa e mi sembra di sentire il fischio dell’arbitro? Quella scena è stata effettivamente girata durante la partita.”
Le riprese del match vennero effettuate al Memorial Stadium dell’Università della California, sulle colline sopra Berkeley. Geoffrey Bell, il futuro storico del cinema, si trovava allora sulle tribune: “Si pensa sempre al cinema comico come a uno spettacolo spontaneo, che accade quasi per caso. Invece il lavoro e la pianificazione necessari per questa semplice scena, il numero dei tecnici, la quantità delle cineprese impiegate, la serietà e l’impegno che tutti dimostravano mi impressionarono molto.

“Negli anni Venti, a mio parere, Lloyd era il più grande. Per me egli superava tutti gli altri grazie alla sua accessibilità. C’era in lui una freschezza spontanea davvero amabile. Anche per questo, credo, quando entrò allo stadio fu salutato da un applauso così entusiastico: tutti si identificavano in lui”.

(Kevin Brownlow nel Catalogo 2013 delle Giornate del Cinema Muto)

8 marzo 1971 muore Harold Lloyd, attore, regista e produttore americano (nato nel 1893)

Harold Lloyd in THE FRESHMAN (Viva lo sport, USA, 1925), regia di Fred C. e Sam Taylor

 

Una poesia al giorno

Il ribelle, di Juana de Ibarbourou

Caronte: io sarò uno scandalo sulla tua barca.
Mentre le altre ombre pregheranno, gemeranno o piangeranno,
e sotto il tuo sguardo da sinistro patriarca
timide e tristi, sottovoce, supplicheranno,

io andrò come un’allodola cantando lungo il fiume
e inonderò la tua barca col mio profumo selvaggio,
e illuminerò le onde dell’oscuro ruscello
come una lanterna azzurra che illumini il cammino.

Per quanto tu non voglia, per quanti sinistri lampi
mi lancino tuoi occhi, maestri di terrore,
Caronte, io sulla tua barca sarò come uno scandalo.

Ed esausta d’ombra, di coraggio e di freddo,
quando vorrai lasciarmi sulla riva del fiume
saranno le tue braccia a depormi come conquista di vandalo.

REBELDE

Caronte: yo seré un escándalo en tu barca.
Mientras las otras sombras recen, giman o lloren,
Y bajo tus miradas de siniestro patriarca
Las tímidas y tristes, en bajo acento, oren,

Yo iré como una alondra cantando por el río
Y llevaré a tu barca mi perfume salvaje,
E irradiaré en las ondas del arroyo sombrío
Como una azul linterna que alumbrara en el viaje.

Por más que tú no quieras, por más guiños siniestros
Que me hagan tus dos ojos, en el terror maestros,
Caronte, yo en tu barca seré como un escándalo.

Y extenuada de sombra, de valor y de frío,
Cuando quieras dejarme a la orilla del río
Me bajarán tus brazos cual conquista de vándalo.

Juana de Ibarbourou 

Juana de Ibarbourou, all'anagrafe Juanita Fernández Morales (Melo, 8 marzo 1895 - Montevideo, 15 luglio 1979), è stata una poetessa e scrittrice uruguaiana.

 

Un fatto al giorno

8 marzo 1910: L'aviatore francese Raymonde de Laroche diventa la prima donna a ricevere una patente di guida. Raymonde de Laroche, pseudonimo di Élise Roche, (Parigi, 22 agosto 1882 - Le Crotoy, 18 luglio 1919), è stata un'aviatrice e attrice teatrale francese. È ricordata tra i pionieri dell'aviazione per essere stata la prima donna ad ottenere un brevetto di volo, l'8 marzo 1910.

Raymonde de Laroche, pseudonimo di Élise Roche, (Parigi, 22 agosto 1882 - Le Crotoy, 18 luglio 1919)

“Figlia di un idraulico, attrice sotto il nome di Raymonde de La Roche, dopo parecchi viaggi in mongolfiera, nel 1909 impara a pilotare un biplano da un ingegnere che lavora per il costruttore Charles Voisin. Anche se Voisin le avrebbe vietato di prendere i comandi da sola, ci prova lo stesso e resta in aria per 270 metri. La rivista «Flight» la proclama “First Aviatress of the World” (nonché baronessa, un titolo che conserverà sulla stampa internazionale). L’8 marzo 1910, a Eliopoli, in Egitto, è la prima donna a ottenere il brevetto di pilota, il trentaseiesimo rilasciato dalla Federazione aeronautica internazionale (FAI). Poco dopo ha un grave incidente a Mourmelon, vicino a Reims, ma l’anno dopo si riprende e partecipa alla riunione aviatoria di San Pietroburgo (dov’è applaudita dallo zar Nicola II), Budapest e Rouen. Nel 1913 batte il record di durata in volo e di distanza in circuito chiuso, aggiudicandosi la coppa Femina, e ha un altro incidente, di macchina questo, in cui muore Charles Voisin. Durante la guerra mondiale, alle donne è vietato volare perché sarebbe troppo pericoloso, si mette a disposizione dell’esercito e porta in automobile gli ufficiali tra le retrovie e il fronte. Nel 1919, batte due record femminili, diventa la prima donna “collaudatrice” e precipita con un prototipo all’aeroporto di Le Crotoy.
C’è la sua statua al Musée de l’Air et de l’Espace, nell’aeroporto del Bourget, vicino a Parigi, che ogni anno organizza un week-end al femminile in coincidenza con l’8 marzo”.

(Enciclopedia delle donne)

Raymonde de Laroche, pseudonimo di Élise Roche, (Parigi, 22 agosto 1882 - Le Crotoy, 18 luglio 1919)

Immagini:

 

Una frase al giorno

“L'attuale ideologia pachistana riguardante il ruolo dei sessi considera gli uomini come coloro che guadagnano il pane per la famiglia, mentre il mondo delle donne spesso è letteralmente confinato tra le pareti domestiche, dove sono madri e mogli. Le disuguaglianze tra i sessi sono indiscutibili prendendo atto delle statistiche: oggi vi sono soltanto 65 donne alfabetizzate ogni cento uomini. La tradizione ostacola l'accesso alla scuola media, secondaria e universitaria delle bambine, particolarmente nelle aree rurali. Il tessuto sociale pachistano sta sperimentando un cambiamento sostanziale: vi è una battaglia in corso per il futuro del Pakistan, paese che attualmente si trova davanti a un bivio e deve scegliere tra la strada delle riforme o la strada che riconduce al passato”.

(Benazir Bhutto, Karachi, 21 giugno 1953 - Rawalpindi, 27 dicembre 2007)

Benazir Bhutto (Karachi, 21 giugno 1953 - Rawalpindi, 27 dicembre 2007)

Benazir Bhutto è stata una politica pakistana. Ha ricoperto per due volte la carica di Primo ministro: dal 1988 al 1990 e dal 1993 al 1996. La Bhutto morì il 27 dicembre 2007 in un nuovo attacco suicida avvenuto al termine di un suo affollato comizio a Rawalpindi, a circa 30 km dalla capitale Islamabad: nell'attentato morirono almeno 20 persone e altre 30 rimasero ferite. Mentre saluta la folla affacciata al tettuccio della sua Toyota blindata, un poliziotto si avvicina e le spara con la pistola, qualche istante dopo un attentatore si fa esplodere vicino all'auto che resiste all'urto. L'esplosione fa strage fra le migliaia di persone radunate per assistere al comizio. Trasportata immediatamente in ospedale, la leader pakistana dell'opposizione morì poco dopo a causa della gravità delle ferite riportate, in parte dovute anche al violento spostamento d'aria causato dall'esplosione”.

(Wikipedia)

 

Un brano musicale al giorno

Francesca Caccini: Lasciatemi Qui Solo

Bellissimo brano musicale di Francesca Caccini, detta la Cecchina (Firenze, 18 settembre 1587 - Lucca o Firenze, dopo il giugno 1641), figlia di Giulio Caccini, fu prima autrice di un'opera completa.

Francesca Caccini, detta la Cecchina (Firenze, 18 settembre 1587 - Lucca o Firenze, dopo il giugno 1641)

“Le cantanti per lungo tempo non poterono esibirsi in pubblico: «nei primi secoli di vita della chiesa cristiana, le donne furono parte attiva nelle cerimonie, ma in seguito le autorità religiose si opposero all’utilizzazione delle voci femminili. Con la costruzione di chiese, basiliche e monasteri la musica divenne una pratica esclusiva dei monaci e dei musicisti di professione. Le suore cantavano all’interno dei loro conventi e nei secoli successivi incrementarono le attività musicali fino ad incorrere in una serie di misure restrittive attuate da numerosi papi». Solo gli uomini potevano divenire Maestro di Cappella o Maestro di corte. È solo nei conventi o nelle famiglie di musicisti che le donne vengono iniziate ad una istruzione musicale che va oltre il vezzo e il passatempo consono alle fanciulle. Inoltre la maggior parte dei manoscritti e anche molte delle prime pubblicazioni musicali del 1500 e del 1600 rimasero anonime: soltanto alla fine del 1600 le donne cominciarono a firmare le proprie opere.

Francesca Caccini rappresenta un’eccezione per il suo tempo. Nasce nella corte Medicea, primogenita in una famiglia di musicisti: il padre, Giulio Caccini, musico di corte, cantante e compositore; la sorella, Settimia, cantante; la madre, Lucia Gagnolanti, è definita valente cantatrice d’ignoto casato. Anche la donna che Giulio sposerà dopo la morte della moglie, Margherita Benevoli della Scala, sarà una cantante. La corte Medicea viene ricordata per la magnificenza degli spettacoli e per la vivacità culturale che vi si incoraggia. Firenze è la culla delle nuove forme del dramma musicale: il melodramma è nato, spetta alla corte consacrarlo. I Medici applaudirono le prime opere della Camerata Fiorentina. A loro spetta il vanto, scrive M. G. Masera, di aver protetto con eccezionale liberalità i musicisti più insigni, di aver accolto i cantanti più celebrati. All’età di tredici anni Francesca si esibisce, forse per la prima volta, in pubblico, cantando nel Concerto Caccini (formato dal padre, dalla sorella e dalla matrigna) in occasione del matrimonio di Maria dei Medici con Enrico IV, Re di Francia. Venne immediatamente notata per la sua bellissima voce e richiesta anni dopo, dalla stessa Maria dei Medici, alla corte del Re. Ma i Medici fiorentini le rifiutarono il permesso. Francesca Caccini oltre a distinguersi come cantante, viene istruita dal padre alle lettere; scrive poesie in latino e in volgare, apprende le lingue straniere: canta in francese e in spagnolo. Apre una scuola di canto, e dal 1619 già si parla delle sue discepole. Suona il liuto, il chitarrinetto e il clavicembalo e all’età di diciotto anni inizia a comporre. «La Caccini soprattutto s’impone come solista, cantando anche in francese e in spagnolo, sicché il re la loda come ottima cantatrice, ritenendola superiore a tutte le francesi e dichiara il concerto Caccini migliore di ogni altro. Enrico IV avrebbe voluto trattenere a corte la Caccini, ma sebbene suo padre avesse infine acconsentito, il granduca di Toscana - al quale Giulio aveva scritto per chiedergli il permesso di lasciare la figlia maggiore alla corte francese - non vuole privarsi di lei». Delle sue poesie nulla è giunto fino a noi, ma grande fu la sua fama ed il successo di cantante e anche di compositrice: iniziò a musicare le poesie di Michelangelo Buonarroti il Giovane, pronipote del Grande Michelangelo - amico anche di Artemisia Gentileschi, di poco più grande di Francesca, la quale si dipingerà come liutista -, il quale ricevette spesso dai Medici l’incarico di scrivere libretti per musica con Francesca Caccini. Collaborarono insieme per anni, legati da una grande amicizia, definita da alcuni amore, documentata da una fitta corrispondenza. La Caccini scrisse madrigali, ballate, variazioni, musica per voce, e la prima opera melodramma composta da una donna La liberazione di Ruggero. Attivissima collaboratrice negli spettacoli di corte, come esecutrice di musica sacra e profana, nel 1607 entra ufficialmente nell’organico di corte e diventa la musicista più pagata: passa dai 10 ai 20 Scudi mensili. Dal fitto epistolario con il Buonarroti emerge chiara la passione per la composizione: si confida, chiede consigli per eventuali pubblicazioni, informa del successo o meno delle rappresentazioni: «Non mi sono scordata del debito ch’io aveva di scrivere a V. S. ma si bene sono stata impedita da infinite occupazioni le quali mai non lascerebbono me s’io talvolta non le fuggissi. (...) Basta che in me prima mancherà la vita e il desiderio di studiare e l’affetto che ho sempre portato alla virtù perché questa vale più d’ogni tesoro e d’ogni grandezza».

Nel 1615, durante il Carnevale, rappresenta al palazzo Pitti il Ballo delle Zigane, interamente musicato da lei, di cui è pervenuto solo il libretto, ma del quale sappiamo che si alternavano brani esclusivamente strumentali a parti corali e ad arie solistiche. In quel periodo di lei si scrive: «Qui ella è udita per meravigliosa e senza contraddizione, et in pochi giorni la fama sua è sparsa». Scrive sempre la Masera: «Le virtuose soprattutto formavano il vanto di Pitti: non v’era gusto maggiore, che quello di udire una di queste leggiadre artiste... la Caccini fu veramente la regina delle cantanti medicee, segnalandosi non solo per l’angelica voce e la scuola eccezionale, ma per il suo genio che doveva assegnarle un posto nella schiera non troppo numerosa delle compositrici italiane». Nel 1618 viene pubblicato il suo primo libro di musica ad una e due voci. Si sposa con il cantante Giovan Battista Signorini, ma questo matrimonio sembra non aver avuto grande importanza nella sua vita «essendo essa stipendiata dai Medici parve opportuno di accasarla con un cantante della corte che, del resto, era uomo di scarsa genialità, faceva parte della musica da camera e guadagnava 13 scudi al mese». Indubbiamente fu forte l’influenza del padre sulle sue prime composizioni, ma nella sua prima Opera Romain Rolland riconoscerà, secoli dopo, l’espressione di una delicata individualità di insigne artista, che «riflette già l’influsso del genio di Monteverdi e per questo la Caccini rimarrà vicina a noi più degli altri compositori fiorentini dell’epoca sua». Viaggiò in tournée, accompagnata spesso dal marito, per le corti italiane ed europee, rappresentando a Varsavia, in onore del principe ereditario polacco Ladislao Sigismondo, proprio la sua prima opera La liberazione di Ruggiero dall’isola di Alcina, che porterà la dedica al futuro re. È la prima opera italiana scritta da una donna, e la prima ad essere rappresentata all’estero. Un episodio che dà conto del carattere della Cecchina viene riportato da Antonio Magliabecchi. Nei suoi ricordi inediti la dichiara valente nel cantare e nel recitare, ma la dice «altrettanto fiera ed irrequieta». È proprio in relazione a questa sua prima opera che nacquero baruffe e litigi con il poeta di corte, Andrea Salvadori, il quale rifiutò di scrivere per la Caccini il libretto. Il Salvadori scrisse versi pungenti contro Saracinelli, il nuovo librettista, e la compositrice. Lei per risposta lo mise in ridicolo come amante dai facili successi, e riuscì a far naufragare la rappresentazione di una sua favola (Jole ed Ercole) dicendo che era una satira contro il principe. Si cominciò a far deduzioni poco lusinghiere sul carattere della Caccini, che fu detta vendicativa e dispettosa. Alla fine del 1626 il marito muore e con questa morte si perdono le tracce anche della Caccini. Si sa soltanto che prestò servizio fino al 1628 nella corte medicea ma nulla di preciso si sa più della sua vita. Rimane un unico ricordo di un contemporaneo che scrive: «Ella si rimaritò in un lucchese lasciando il servizio di queste Altezze et morì di cancro alla gola.»

Dal 1640 non è più ricordata come vivente. Nonostante la fama ed il successo di cui si è detto già nel 1700 la Cecchina cade nell’oblio, rotto nel 1847 da un articolo pubblicato nella Gazzetta Musicale di Milano e da successivi studi storici e filologici”.

(In Enciclopedia delle donne)

 


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k