L’ex ferroviere Elio Biagini (1923 - 2005) ex sindaco revisore al DLF Rimini, in queste memorie raccolte dal figlio Roberto, ricorda momenti della sua giovinezza trascorsa nella frazione natale di Viserba (RN). Qui, come nella puntata precedente, si sofferma su episodi di vita estiva - Con il mio gruppo di coetanei eravamo sempre in movimento sulla spiaggia e quando a forza di correre ci veniva sete, ci si recava per trovare ristoro in Via Milano angolo Via Bezzecca, dove ora sorge un condominio; lì c’era un pozzo artesiano da dove fuoriusciva un getto d’acqua lungo alcuni metri e dopo un’abbondante bevuta, si faceva anche la doccia.
Ogni tanto faceva il suo giro per la spiaggia un tipo che veniva non so da dove e vendeva uva e banane; io lo vedevo arrivare dalla litoranea, gli correvo incontro e lui mi consegnava un grandissimo cespo di banane e un cesto di uva; subito dopo percorrevamo in lungo e largo la spiaggia per vendere frutta. Ogni tanto qualcuno comprava un frutto e mentre il fruttivendolo pesava la merce, io, svelto come una volpe, mi facevo fuori una banana.
Finito il giro, si ritornava al luogo di partenza e per paga mi dava qualche soldo e un grappolo d’uva.
Fra i venditori c’erano i toscani che portavano una gerla di alluminio contenente cialde: “brigidini freschi e fini”.
C’era un cinesino che aveva una cassa di legno con tanti cassettini in cui teneva collane di corallo e vendeva anche cravatte, fermandosi sotto tutte le tende per convincere le signore a fare compere. Noi ragazzi lo facevamo arrabbiare andandogli vicino e dicendo: ”Signole, dieci clavatte una lila”; il cinesino reagiva lasciando tutto sotto la tenda e ci rincorreva e noi, per non lasciarci prendere, via di corsa dentro l’acqua.
Noi ragazzini, i “burdel” di Viserba, eravamo i galli della spiaggia. Quando arrivavano i primi bagnanti, noi eravamo già color cioccolato e i nostri coetanei forestieri ci guardavano con un po’ d’invidia. Sapevamo nuotare, remare, andavamo sopra le cabine e ci gettavamo a terra facendo il salto mortale riscuotendo ammirazione e rispetto.
Si giocava spesso a tamburello; il campo di gioco andava dalla Fossa dei Mulini a Via Piacenza e per delle ore si sentiva il ritmo della palla che batteva sul tamburello e a fine gara, con una stretta di mano, ci si accordava per un’altra partita al giorno dopo. Ogni tanto si organizzava una scappatella oltre i confini di Viserba (per confini si intendeva la Fossa dei Mulini); si faceva un bel gruppo e via, verso “e Surcioun” le sabbie mobili di Viserbella, che erano recintate da un muretto di cemento.
Di queste sabbie mobili si raccontava che avessero inghiottito un carro con due buoi. Noi ci divertivamo a gettare sassi e questi venivano inghiottiti dalle acque ribollenti. Ora al posto della sorgente, per dare spazio al turismo, è sorta una piscina adiacente ad un albergo.
Mi ricordo anche che a una certa ora del pomeriggio arrivava in spiaggia il carretto del gelataio. Io lo aspettavo in strada per dargli un aiuto per poi, a fine corsa, avere come paga un bel gelato. Il gelataio aveva un bel carretto bianco a tre ruote, che terminava sul davanti con un bellissimo collo di cigno. Al centro del carretto c’erano due contenitori di squisito gelato, protetti da due coperchi che brillavano ai raggi del sole. All’interno del carretto vi era una stecca di ghiaccio per tenere a bassa temperatura il gelato.
D’estate veniva sistemato, a circa duecento metri dalla riva, di fronte all’Hotel Lido, un grande castello di legno che serviva da trampolino per tuffarsi e anche per stendersi al sole. Noi ragazzi lo usavamo spesso e volentieri.
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