Crelia era una donna che viveva in solitudine, che evitava i contatti con gli altri. L’aspetto di questa donna era tale da far pensare che vivesse una sorta di sofferenza sentimentale e chi non la conosceva traeva dal suo comportamento delle conclusioni alquanto discordanti. Ricordo che quando la incontravo, anche da lontano, provavo un sentimento di paura e non ero il solo, tutti i ragazzi intorno alla mia età, dai primi anni di scuola fino alla terza media e anche oltre ne avevano timore. Si diceva che fosse una strega...
I nostri genitori cercavano di dissuaderci dalle ingiustificate paure, prima di tutto ci assicuravano che le streghe non esistono e che la Crelia non era proprio di quella specie. Si limitavano a dire: povera donna, un destino crudele ha segnato la sua esistenza.
Diomede Terrezzaro, professore di musica, insegnava al Conservatorio di Padova; era una persona molto impegnata socialmente e lo era particolarmente nell’ambito della scuola e nell’Oratorio della parrocchia del nostro paese che, nell’immediato dopoguerra, contava circa seimila anime. Dedicava parte del suo tempo libero ai giovani dell’Azione Cattolica di cui era il presidente. Il sabato pomeriggio lo dedicava all’Oratorio e coordinava le nostre varie attività ricreative: un’ora era immancabilmente destinata all’educazione associativa, in quella sede ci parlava di tante cose, noi giovani esprimevamo i nostri pensieri riguardo a tutto quello che ci girava intorno nella nostra quotidianità. Più volte si parlava di persone che per svariati motivi erano dei personaggi ben noti in tutto il paese per il loro modo di vivere, qualcuno anche da prendere come modello, vuoi per il lavoro che svolgevano, per la gentilezza e la generosità, vuoi per la loro cultura, per la simpatia che manifestavano e alcuni anche per la loro stravaganza.
Quando noi tutti confidammo a Diomede le nostre paure riguardo a “la Crelia”, che a causa del suo modo di vestire sembrava più vecchia della sua età, che non guardava nemmeno in faccia i clienti che si accostavano al suo banchetto per le compere, eccetera, prima di tutto egli ci tranquillizzò dicendo: voi nutrite degli ingiustificati timori e la considerate una strega, ma io la conosco molto bene, dal momento che siamo coetanei ed eravamo compagni di classe sia alle scuole elementari sia alle medie, perciò vi racconterò la sua storia.
Lei si distingueva tra tutti gli alunni - ci disse il professore - ed era una delle migliori, molto intelligente, socievole e sempre disposta a dare un suggerimento ai compagni meno perspicaci. Ricordo bene i primi anni delle elementari, con le tabelline e con le poesie non la batteva nessuno, più avanti diventò brava anche in materie più impegnative, specie in italiano e in matematica, e prendeva pagelle da fare invidia.
La sua famiglia era la più povera tra i poveri in paese, la mamma faceva la casalinga e per contribuire al bilancio familiare, a quei tempi, prestava delle ore di servizio presso le famiglie benestanti del paese ed era di grande aiuto ai miseri guadagni del padre.
Il papà di Crelia di mestiere faceva il merciaio ambulante, quindi andava nei mercatini del territorio, di buon’ora ogni mattina, estate e inverno, con la bicicletta del tipo pesante con le ruote a palloncino, munita di enormi portapacchi dietro la sella e davanti sul manubrio, bene attrezzato con due cavalletti e dei pezzi di tavole con cui formare un piano per esporre la sua merce.
I guadagni purtroppo, come già detto, erano miseri, quindi era dura tirare avanti una famiglia e far crescere i figli dignitosamente.
Crelia aveva un fratello di due anni maggiore di lei, anche lui bravissimo a scuola, si chiamava Pietro, il quale dopo la licenza media cominciò subito a lavorare come manovale presso una ditta di costruzioni edili: ogni fine settimana portava a casa il suo stipendio, quindi le condizioni economiche della famiglia cominciarono a migliorare. Pietro si distingueva nel lavoro per la sua grande volontà e capacità, non erano ancora trascorsi tre anni che il titolare della ditta lo promosse alla qualifica di muratore.
Gli anni passarono, Crelia faceva l’apprendista presso una sarta del paese, era davvero una brava ragazza e molto carina ed erano tanti i mosconi che le giravano intorno, ma lei aspettava il suo Principe Azzurro, proprio come nella fiaba di Cenerentola.
Nelle tradizioni contadine era ricorrente l’annuale festa del ringraziamento, “La Ganzega”; questa si svolgeva in una serata di fine ottobre, presso la grandissima fattoria “La Valle”, l’ammiraglia tra le 14 fattorie che dominavano un vasto territorio della bassa Padana, appartenenti al nobile casato dei Conti Morò Pisani ed in seguito proprietà morganatica del Colonnello Brogliato Bentivoglio.
Dopo la ricchissima cena ed un brindisi di buon auspicio, alla Ganzega iniziavano le danze, occasione per tanti giovani di fare nuove conoscenze. Giunse il momento tanto desiderato da Crelia, il suo principe le si avvicinò e, come usava, chiese il consenso alla madre della ragazza per invitarla a ballare. Scoccò la scintilla. Il ragazzo dei suoi sogni si chiamava Aldo ed era coetaneo del fratello Pietro; era un bel ragazzo al pari suo, insieme formavano una bella coppia, beneamata da tutto il paese. Il tempo però è tiranno e a volte crudele, la guerra scoppiò e in tutto il paese arrivarono a pioggia le cartoline di arruolamento dal Ministero della guerra. Le famiglie vivevano in uno stato di trepidazione, tutti gli uomini di una certa età ricevettero la cartolina di chiamata alle armi; restarono a casa soltanto quelli ammalati e gli anziani.
L’undici novembre 1943, anche Aldo e Pietro abbracciarono i loro cari, un saluto commovente e carico della speranza di un glorioso ritorno, che purtroppo non è mai avvenuto.
Per Crelia iniziò un calvario, le poche notizie che giungevano non erano confortanti, la guerra continuò a mietere numerose vittime. Il bollettino radio dell’assurda guerra annunciava il numero sempre crescente dei nostri soldati in prima linea caduti sotto i colpi del nemico.
La famiglia di Crelia, che da qualche tempo viveva con serenità, mettendo insieme piccoli guadagni, e che sarebbe riuscita a progettare il futuro dei figli, dove l’ordine naturale delle cose avrebbe portato alla formazione di nuove famiglie, visse l’angoscia della perdita dei propri cari.
Crelia si chiuse in sé, non comunicò più con nessuno e, allo stesso tempo, anche i suoi genitori si ammalarono. Il papà ebbe un infarto e la mamma diventò sempre più stanca. Crelia dovette assumersi l’impegno di capo famiglia e dare continuità al lavoro del padre. Di questa brava ragazza, intelligente, innamoratissima del suo principe azzurro, era rimasta solo l’immagine che a noi ragazzi metteva paura.
Il professore Diomede ci rivelò altre qualità di cui Crelia era ricca, anche se in paese non se ne sapeva nulla, come la sua generosità: pur essendo povera, faceva della beneficienza alla chiesa per quelli più poveri di lei, ma sul bollettino mensile della parrocchia, che arrivava a tutte le famiglie, tra i benefattori non ho mai letto il suo nome perché lei era tra quelli anonimi.
Il tempo passò e di molti soldati non si seppe più nulla, quando la guerra finì si sentì dire che i soldati stavano tornando a casa. Le notizie erano poche e confuse, in paese erano tante le famiglie che aspettavano i loro combattenti, la maggior parte dei quali erano finiti in Russia.
La guerra ha distrutto non solo chi ha combattuto al fronte, ma anche una miriade di famiglie e ancora oggi, dopo settant’anni, molti nostri soldati non sono identificati come caduti ma come dispersi.
Crelia non ha nemmeno potuto piangere sulla tomba del suo principe azzurro, ma ancora oggi la possiamo ricordare per il suo animo generoso, lo testimonia il suo lascito testamentario, svelato solo dopo la sua morte, pochi risparmi e una piccola casa, che è andato a sostegno dei più bisognosi.
Aldilà dell’apparenza e nonostante il dolore, Crelia conservò amore per il prossimo ed una grande fede, chi la conosceva bene capiva il suo mondo di solitudine. Il suo nome è registrato nel libro d’oro dei benefattori della chiesa a favore dei poveri.
INFORMAZIONI
Sante Mazziero, socio DLF Milano
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