Quando andavamo a trovare i miei nonni, prendevamo un Espresso da Lecce ad Ariano Irpino ed io non vedevo l’ora di partire. Per me il viaggio cominciava già il giorno precedente, ero euforico al solo pensiero di salire sul treno. Dovendo svegliarci molto presto, preparavamo le valigie (quelle di cartone) la sera prima. Ne avevamo una verde coi bordi neri ed una più piccola tutta marrone.
La prima era foderata con della carta bianca con gigli neri, l’altra aveva tante sfere con raggi color ruggine che ricordavano la forma del sole. Ricordo che aiutavo mia madre a mettere tutto dentro e mi divertivo a sistemare le cose ad incastro, sfruttando tutto lo spazio possibile.
Mio padre faceva il ferroviere quindi per noi era un’autorità a bordo del treno. Una volta, insieme a mia sorella, avevamo preparato dei bigliettini da utilizzare il giorno seguente durante il viaggio. Servivano a chiedere a nostro padre il permesso per fare qualsiasi cosa. “Si chiede al signor ... di poter aprire il finestrino”. “Si chiede al signor ... di poter andare al bagno”. “Si chiede al signor ... di poter mangiare un panino”, eccetera. Lui stette al gioco, a volte ci negava il permesso con una scusa ma ce lo concedeva pochi minuti dopo e noi ci divertimmo tanto.
A Bari il treno restava fermo un quarto d’ora per cambiare il locomotore da diesel a elettrico. Scendevo sempre insieme a papà per osservare la manovra, quando mancavano pochi minuti alla partenza mi diceva di salire ed andare nel nostro compartimento ma io lo osservavo dal finestrino perché temevo che rimanesse a terra! La stessa scena si ripeteva a Foggia dove il locomotore veniva sganciato e messo dal lato opposto per cambiare il senso di marcia. Quando ripartivamo, mio padre diceva scherzando che stavamo tornando indietro, la prima volta gli credetti.
Nel viaggio di ritorno sembravamo emigranti: due valigie, beauty-case, una latta con l’olio e due col vino, scatolone di cartone legato con la corda, scatola di scarpe piena di uova fresche, busta coi panini e termos del caffè infine la borsa di mia madre! Nella prima classe c’erano sei sedili in velluto rosso, mio fratello più grande ne occupava due, si sdraiava e dormiva per gran parte del viaggio. Io rimanevo quasi sempre sveglio, per me la ferrovia era un’emozione da vivere intensamente. Il tu-tun tu-tun delle ruote che ormai non si sente più, il carretto con le bibite e i panini, il paesaggio che scorre. Quelle rare volte che l’Irpinia era coperta di neve mi incollavo al finestrino e mi sentivo in paradiso!
Poi comprammo due valigie morbide in finta pelle. Non avevano mai la forma di un parallelepipedo ma piuttosto di un uovo perché le riempivamo fino all’inverosimile e diventavano convesse! Quando si rompevano le maniglie per il troppo peso, mio padre le aggiustava finché saltava la chiusura lampo ed erano proprio da buttare. Ora è tutto diverso e questi sono solo bei ricordi di viaggi in treno che non si possono ripetere… ma nemmeno dimenticare.
INFORMAZIONI
Tommaso Torsello
RFI SpA, Viterbo
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