“L’amico del popolo”, 1 aprile 2018

L'amico del popolo
Grandezza Carattere

L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

NOSTOS - IL RITORNO (Italia, 1989) scritto, diretto, fotografato, montato e sonorizzato da Franco Piavoli. Musica: Luca Tessadrelli, Giuseppe Mazzuca. Con: Luigi Mezzanotte, Branca De Camargo, Paola Agosti, Giuseppe Marcoli, Alex Carozzo, Mariella Fabbris.

Alla fine della guerra, Nostos, eroe errante, con i compagni inizia il suo viaggio di ritorno in patria nelle acque del Mediterraneo. Ma vari motivi ritardano la conclusione della sua avventura: ostacoli naturali, ricordi evanescenti della sua infanzia, dei suoi genitori, dell'amore per una bellissima fanciulla, la nostalgia per il passato. Il rimpianto per ciò che non ha fatto, il silenzio profondo che tutto avvolge, la solitudine più terribile in seguito ad un naufragio in cui tutti i compagni periscono e in cui lui stesso rischia di morire. La natura nei suoi meravigliosi aspetti (il mare, gli scogli, l'acqua che zampilla pura ed invitante dalle rocce, gli animali nella loro semplicità di vita, le montagne maestose, i fiori e le piante nella loro incomparabile bellezza) sembra accogliere l'errante tormentato come una madre premurosa. Alla fine riesce fortunosamente a giungere in prossimità della sua casa, dei suoi affetti e delle cose che gli sono familiari.

NOSTOS - IL RITORNO (Italia, 1989) scritto, diretto, fotografato, montato e sonorizzato da Franco Piavoli

“Franco Piavoli è un artigiano. Di quelli che immaginiamo ricurvi per ore a perfezionare i dettagli del proprio manufatto. Di quelli che, grazie alla perfetta padronanza dei propri strumenti di lavoro e ad un sentire poetico innato di matrice naturalistica, riescono a produrre opere che vanno a toccare le corde più profonde della nostra sensibilità. Piavoli, però, non ha scelto il legno o la creta per esprimere la sua creatività, ha scelto il cinema riuscendo a piegare questo mezzo alle sue esigenze espressive, senza per questo tradire il suo personale approccio artigianale. Ne esce un cinema carico di una poetica primaria (nel senso che è espressione diretta della fascinazione naturalistica) ed estremamente riconoscibile, caratteristica questa, imprescindibile per un lavoro di matrice artigianale.

In questo suo secondo lungometraggio, come nel precedente, maneggia tutte le leve del processo creativo: scrive, dirige, fotografa, monta, produce. Sposta, però, l'oggetto del suo guardare. Se nel precedente Pianeta Azzurro la natura era al centro della narrazione (con la fascinazione per l'alternarsi delle stagioni) e l'uomo non era che elemento secondario, qui il discorso è ribaltato: il centro dell'attenzione è l'uomo (uno straordinario Luigi Mezzanotte) che, nel suo errare (il film ripercorre il viaggio omerico di Ulisse) riflette i temi cardine della vita di tutti gli uomini: la nostalgia per l'infanzia perduta, il confronto con la sofferenza (l'atrocità della guerra), il rapporto con la madre, l'incontro con l'amore che rapisce ed estrania, che non può che tenerci (isola)ti, ed infine il ritorno a casa.
Tutto questo è narrato, naturalmente, alla sua maniera: privilegiando, cioè, la forza simbolica delle immagini. I dialoghi sono pochissimi e sono espressi in una lingua che non esiste, scaturita dalla fusione di lingue arcaiche, greco soprattutto. In pratica la voce non è altro che un elemento musicale per armonizzare il “suono” dell'uomo all'interno dei suoni della natura. La natura, di nuovo, benché "comprimaria", è ancora una volta strabordante: esce fuori da ogni immagine, è l'elemento centrale di ogni simbolismo espresso (la madre è una caverna, la luna è un ovulo verso il quale nuota lo spermatozoo Nostos).”

(www.sentieriselvaggi.it)

“Non si sa davvero cosa ammirare di più, se la scansione visiva con quegli acronici accostamenti di acque, terre, fiori, animali, verde di prati e boschi, giallo di maggesi, tremolar di marine e corrusche sospensioni celesti, o il discorso sonoro e musicale, idiomatici miscugli di tempi antichissimi mediterranei o sanscriti, vibratilità di rumori, gemiti, canti, sciacquii, gracidii, campanacci, contrappunti sapientemente bilanciati ora con una bellezza che si accompagna alla sfondo sonoro ora con una musicalità' struggente che incorpora e piega ai suoi sensi anche la concretezza delle immagini”.

(Alberto Pesce, La Rivista del Cinematografo)

“Film anomalo e non etichettabile (come il precedente "Il pianeta azzurro") del cineasta indipendente Franco Piavoli. I riferimenti mitologici alla figura di Ulisse sono evidenti, ma protagonista assoluta è la Natura.”

(www.filmtv.it)

“Io, Nezhualcóyotl, chiedo: È forse vero che si vive con le radici nella terra? Non per sempre nella terra: Soltanto un po’ qui, Seppure sia di giada si spezza, Seppure sia d’oro si rompe, Seppure sia di piume di quetzal si lacera. Non per sempre nella terra: Soltanto un po’ qui desideravo che i cerchi non finissero, non finissero mai, consapevole, tuttavia, che ogni pietra è momentanea, ogni minuto fugace, ogni gioia passeggera, e che poi non rimane memoria sull’acqua.”

(Manuel Scorza, La danza immobile)

C’è un “cinema segreto”. Un “pianeta azzurro” del cinema italiano che obbedisce solo a ritmi ed avvicendamenti primordiali, che sgorga dal profondo delle cose e vi si mimetizza, vi scava, negli anni, una nicchia e vi si chiude, forse, per sempre, remota testimonianza di un’altra civiltà, microscopica, microcosmica, come un fossile del paleolitico. Non è una riserva, né un’area protetta cui si possa accedere in visite guidate. È, piuttosto, una costa barbara, selvaggia, preda degli elementi, acqua, fuoco, aria e terra, lussureggiante e pluviale, dove tutto si confonde nell’insieme, ma dove ogni parte, presa a sé, risulta inconfondibile e diversa dal tutto. Basta saper guardare. Ed è un cinema delle viscere, incontaminato ed innocente che, spesso, non conosce verbo, ma soltanto suono o gesto o delirio, ed il cui intimo ordine si misura unicamente sul divenire lento, impassibile, delle odissee umane, delle fasi lunari, delle stagioni atmosferiche. Fuori da ogni catalogazione preconcetta, da ogni possibilità di giudizio, se non etologico, in qualche modo al di là del bene e del male, del bello e del brutto. Nei confronti del quale si può assumere soltanto, in effetti, un’etica, un “costume”: quelli del collezionista di farfalle, dell’entomologo, del cercatore d’oro, dell’esploratore polare, di chi fruga nei recessi del sottosuolo, incurante di polvere e detriti, per cavarne ossa preistoriche o sarcofaghi egizi. Perché è da qui, da questo ventre amazzonico, incivile ed incolto, ostile ed ostico, scomodo e scontroso, che prendono forma opere tanto diverse tra loro, quanto accomunate dallo stesso spirito forastico, animate dalle stesse urla di ribellione, trapassate dagli stessi silenzi di pànica meditazione, come L’imperatore di Roma di Nico D’Alessandria, deambulante calvario documentale di un povero Cristo condotto al Golgota attraverso una serie infinita di esasperanti stazioni metropolitane ed infine crocifisso ai legni del proprio stesso astratto furore sociale; o La parola segreta di Stelio Fiorenza, figura allegorica delle circolarità esistenziale, dove fughe, tradimenti, esseri braccati e persecutori, coro e protagonisti, scambiano, nel rondò continuo delle vite parallele di ognuno e della Storia, i propri ruoli e le proprie mansioni, senza soluzione di continuità. Ma, soprattutto, ed innanzitutto, come Nostos/il ritorno di Franco Piavoli, sul quale il lettore ci scuserà di essere approdati solo ora, a causa di un proemio che ritenevamo doveroso, per riuscire ad avvicinarsi all’ “oggetto” partendo, come lo stesso Piavoli c’insegna, dalle sue fonde radici. Egli può essere considerato, infatti, a ragione, il poeta massimo, ed il mèntore più intransigente, di quel cinema, il primo interlocutore dell’etica. Il suo universo creativo è davvero (e non soltanto per semplice e, d’altronde, premeditata omonimia con il titolo del film che l’ha visto esordire), quel ‘pianeta azzurro’ dove esistono e pulsano solo le leggi della natura (animale, vegetale, mistica), dove ogni evento ha cadenza, e memoria, millenaria e da nient’altro che dalla propria entità più intrinseca, da ciò che è e basta, trae l’ineffabile e ardua attitudine a trasfigurarsi in qualcosa di cosmico, di metafisico: il senso del tempo, delle cose, dell’esistenza, dell’appartenenza ad un’armonia inappellabile eppure immanente, benché inconoscibile. È davvero quel “segreto” che bisogna portare alla luce, gelosamente conservato in qualche cuore di tenebra o, al contrario, generosamente sparso a piene mani sopra campagne, fiumi, mari, illuminati dai raggi del sole. Egli lo persegue in ogni fotogramma, in ogni scena, in ogni sequenza, con la pervicacia e l’afflato del narratore di poemi, del cantore omerico. Come loro, racconta le medesime avventure della carne e dell’anima, le medesime traversie dell’uomo, i medesimi interventi, benefici o avversi, del Cielo, nelle sue attività quotidiane, nei suoi gesti sempre uguali, antichi, secolari. Come loro, racconta miti e nascite, o inarrestabili tramonti, di culture, di nazioni della coscienza. Era quasi inevitabile, quindi, che tale itinerario lo conducesse ai lidi salmastri dell’Eroe classico.

La danza immobile
Così s’annuncia Nostos: una barca alla deriva, con la chiglia mollemente carezzata dalle onde schiumose e la vela appena mossa da un leggero alito di vento. I suoi passeggeri, adagiati sul fondo, le membra inerti, dormono. In un angolo una schiera di argentei elmi, emblemi di guerra, riverberano sinistramente. A tale, inequivocabile, principio (il “campione” che torna) - Ulisse e i suoi compagni? Giasone e gli Argonauti? O ancora altri guerrieri provenienti da altre latitudini e saccheggi? - dopo aver compiuto l’impresa), si sovrappone l’immagine di un cerchio che rotola giù dal declivio d’una collina, rincorso da un fanciullo e, subito, fagocitato dentro l’enorme ed infuocato globo solare. Un sogno? Una visione? Un ricordo? Un presentimento? Cerchio e fanciullo, gioco ed infanzia, scandiranno, ad intervalli regolari come battute di un solfeggio, l’intero movimento del film, donandogli il suo equilibrio, la sua misura ideale, suprema. Forma ed incanto, linea ed evocazione, geometria e chimera, riconducibili appunto a quelle due componenti iniziali, rappresentano la strumentazione essenziale attraverso cui Piavoli orchestra e regola il proprio materiale visivo e sonoro. La forma, la linea, la geometria delle stratificazioni geologiche negli abissi di una caverna, si tramutano nelle voci di una sibilla maternale arbitra del Fato; quelle di un grande albero frondoso, nel miraggio d’aver rivelata la via per il ritorno in Patria; quelle, ancora, dell’acqua che scolpisce la superficie marina d’increspature dorate o di trasparenti, dolci, volute, nell’incantesimo di un paradiso terrestre dove regna l’oblio; quelle del trapezio finale attraverso la cui volta “Nostos” dovrà passare, per riemergere dal proprio mitico viaggio, nell’illusione d’essere arrivato; ed infine quelle, architettoniche, della Casa, nella rievocazione di un tempo immobile ed immutabile entro cui i vecchi genitori attendono il figlio seduti sulla soglia. Ma persino la geometria delle parole diventa suono informe, musicalità senza alcun significato logico se non quello di trasmettere emozioni, sentimenti, passioni. Perché Nostos stesso, probabilmente, è (anche) un’immensa metafora, un simbolo (quindi una favola, un incanto, un’evocazione, una chimera) delle odissee umane regolate dalle fasi lunari e dalle stagioni atmosferiche. E l’Eroe non è Ulisse, né Giasone, né altri, ma soltanto il fluire degli stati naturali, l’avvicendarsi degli affetti, dei desideri e dei bisogni elementari, come, appunto, “l’andare errando”, il conquistare nuove frontiere, nuovi orizzonti, portando anche, spesso, morte e distruzione, il mantenere, comunque e contro lo stesso anelito all’ “andar vagando”, saldi legami con i luoghi e le persone della propria storia e del proprio passato. In realtà, è tutto il cinema di Piavoli a farsi “creato”, memoria, poesia epica del “creato”: per lui è più importante uno stormire di fronde, un cangiare repentino di colori, una tonalità della terra, un insetto mimetizzato tra fitti steli d’erba. Egli sa mutare tali piccoli fatti nella Storia, sa vedere anche là dove nessuno troverebbe niente d’interessante da vedere e registrare. Il suo è cinema ‘degli elementi’, terrigno eppure spirituale, panteista eppure soprannaturale, elementare, appunto, eppure filosofico, ed è cinema di elementi primari, quelli che compongono il globo terrestre, ma anche le galassie, così come l’animo umano. Tutto insieme, regolato come una danza, più popolare e più diretta di una sinfonia (cui Piavoli ama richiamarsi), la danza (apparentemente) immobile della Natura, dove «Seppure sia di giada si spezza, / Seppure sia d’oro si rompe, / Seppure sia di piume di quetzal si lacera» e dove «ogni pietra è momentanea, ogni minuto fugace, ogni gioia passeggera», la Natura consapevole che, poi, non rimarrà memoria sull’acqua. C’è da sperare che Nostos non rimanga inascoltato, c’è da sperare che la sua lezione socratica riesca ad instaurare il regno dell’etica, contro quello della “ragion pura”, del puro giudizio e dell’ecumenismo. Che il “pianeta azzurro”, che il “cinema segreto”, vengano finalmente scoperti e strappati al ruolo di pura e remota testimonianza fossile di un’altra civiltà”.

(Claver Salizzato, Cineforum n. 293, aprile 1990)

NOSTOS - IL RITORNO (Italia, 1989) scritto, diretto, fotografato, montato e sonorizzato da Franco Piavoli 

 

Una poesia al giorno

L'étoile, di Edmond Eugène Alexis Rostand (Marsiglia, 1º aprile 1868 - Parigi, 2 dicembre 1918, poeta e drammaturgo francese, celebre soprattutto per aver scritto l'opera teatrale Cyrano de Bergerac).

Ils perdirent l'Etoile, un soir; pourquoi perd-on
L'Etoile? Pour l'avoir parfois trop regardée.
Les deux rois blancs étant des savants de Chaldée,
Tracèrent sur le sol des cercles au bâton.

Ils firent des calculs, grattèrent leur menton.
Mais l'étoile avait fui, comme fuit une idée.
Et ces hommes dont l'âme eut soif d'être guidée
Pleurèrent, en dressant des tentes de coton.

Mais le pauvre Roi noir, méprisé des deux autres
Se dit: "Pensons aux soifs qui ne sont pas les nôtres,
Il faut donner quand même à boire aux animaux. "

Et, tandis qu'il tenait son seau par son anse,
Dans l'humble rond de ciel où buvaient les chameaux
Il vit l'Etoile d'or, qui dansait en silence.

La stella

Perdettero la stella un giorno.
Come si fa a perdere la stella?
Per averla troppo a lungo fissata...
I due re bianchi, ch’erano due sapienti di Caldea,
tracciarono al suolo dei cerchi, col bastone.

Si misero a calcolare, si grattarono il mento...
Ma la stella era svanita come svanisce un’idea,
e quegli uomini, la cui anima
aveva sete di essere guidata,
piansero innalzando le tende di cotone.

Ma il povero re nero, disprezzato dagli altri, si disse:
"Pensiamo alla sete che non è la nostra.
Bisogna dar da bere, lo stesso, agli animali".

E mentre sosteneva il suo secchio per l’ansa,
nello specchio di cielo
in cui bevevano i cammelli
egli vide la stella d’oro che danzava in silenzio.

Edmond Rostand, poeta francese, nacque a Marsiglia il 1° aprile 1868, morì a Parigi il 2 dicembre 1918

Edmond Rostand, poeta francese, nacque a Marsiglia il 1° aprile 1868, morì a Parigi il 2 dicembre 1918. Dopo un primo volume di versi, Les Musardises (1890), salì le scene con una commedia in versi, Les Romanesques (1894), d'intonazione mussettiana, che piacque molto. Seguì La Princesse lointaine (1895), in cui riprese, complicandone con studiato artificio la vicenda, il noto tema di Jaufré Rudel. Ne La Samaritaine (1897) non esitò a svolgere, con profano e dilettantesco estetismo, il tema evangelico dell'incontro di Gesù con la Samaritana. Immenso successo ebbe l'anno seguente Cyrano de Bergerac (1898), "commedia eroica" in cinque atti, che fu rappresentata dai più celebri attori di tutto il mondo. Seguì, interpretato da Sarah Bernhardt, e poi da molte attrici europee, l'Aiglon (1900), dramma in sei atti, che si propone d'esprimere tragicamente la figura dell'"aquilotto", il duca di Reichstadt, figlio di Napoleone I e di Maria Teresa. Minore successo ebbe la favola scenica di Chantecler (1910), i cui personaggi sono tutti animali di cortile. Opera postuma fu La dernière nuit de don Juan (1921). Nel 1901, il R. fu chiamato a far parte dell'Académie française.
Tutte le opere del R. sono in versi; ma, meglio che un poeta, il R. (il quale componeva con grande stento) è un verseggiatore acrobatico, sul gusto di certe poesie di V. Hugo giovine e di Th. de Banville. Intimamente arido e frigido, e senza vera personalità, il R. ha dato il suo miglior lavoro nel Cyrano, dove è riuscito a presentare un romantico tipo di eroe guascone e popolare, originario dei romanzi di Dumas padre, con vernice preziosa e brillante, grazie all'ambiente e allo stile secentesco, che in questo caso si prestavano singolarmente a giustificare le sue virtuosità metriche e dialogiche.”

(Silvio D'Amico - Enciclopedia Italiana, 1936)

 

Un fatto al giorno

1° aprile 1955: La ribellione dell'EOKA contro l'impero britannico inizia a Cipro, con l'obiettivo di unificarsi con la Grecia. L'EOKA (greco Εθνική Οργάνωσις Κυπρίων Αγωνιστών, Ethniki Organosis Kyprion Agoniston, "Organizzazione Nazionale dei Combattenti Ciprioti") è stata un'organizzazione paramilitare anticomunista e filo-greca che combatté per metter fine alla presenza coloniale britannica a Cipro, per l'autodeterminazione della componente maggioritaria greca dei ciprioti e per l'Enosis (Unione) dell'isola alla Grecia, considerata madrepatria.
Fu attiva dal 1955 al 1959. Il suo fondatore e capo fu l'alto ufficiale greco Georgios Grivas. Durante i quattro anni di attività armata, essa impiegò metodi di guerriglia, specialmente contro la comunità turco-cipriota e la sua organizzazione, chiamata Movimento di Resistenza Turco, MRT (in lingua turca Türk Mukavemet Teşkilatı, TMT), che le si contrapponeva. L'EOKA fu sciolta nel marzo del 1959.

L'alto ufficiale greco Georgios Grivas, fondatore dell'EOKA

Il 5 novembre 1914, la Gran Bretagna annetté l'isola di Cipro, che amministrava col consenso dell'Impero ottomano dal 1878. Presto i greco-ciprioti pretesero l'unione di Cipro alla Grecia e il contenzioso tra quest'ultima e la Turchia (una minoranza turca era presente a Cipro dal XVI secolo) si accrebbe vistosamente e assunse una dimensione internazionale nel 1954 quando la Grecia presentò alle Nazioni Unite una mozione in cui chiedeva l'autodeterminazione di Cipro che, inevitabilmente, avrebbe leso i diritti secolari della comunità turca, visto l'acceso sentimento nazionalistico greco, fortemente ostile alla comunità turca, anch'essa caratterizzata da un acceso sentimento nazionalistico di stampo kemalista. Prese avvio da allora un sanguinoso conflitto interetnico.Nel 1955, l'EOKA aumentò le sue azioni violente contro i britannici e i turco-ciprioti, considerati tra l'altro collusi con la potenza coloniale.
Nel 1959 Cipro fu trasformata in repubblica presidenziale indipendente nell'ambito del Commonwealth, con un presidente identificato nella figura dell'arcivescovo greco-cipriota Makarios e un vicepresidente turco-cipriota, il dott. Fazil Kuçuk. Ma le tensioni intercomunitarie non cessarono, malgrado la presenza dei Caschi blu dell'ONU.
Nel 1971, l'ormai generale Georgios Grivas, antico leader militare della lotta per l'indipendenza dell'isola e fondatore dell'EOKA, creò l'EOKA B, una nuova organizzazione paramilitare, che si proponeva il medesimo fine dell'Enosis.
Essa partecipò al colpo di Stato guidato dalla Guardia Nazionale Cipriota, composta da elementi greci, favorevole a replicare quanto avvenuto in Grecia (dove il potere era stato assunto dai militari, che avevano avviato il cosiddetto regime dei colonnelli) e il 15 luglio 1974 rovesciò Makarios, fedele al Trattato di Zurigo e Londra che avrebbe dovuto garantire l'equilibrata indipendenza dell'isola. Come reazione, e in base al disposto di quel Trattato, l'esercito turco intervenne con quella che fu denominata in codice "Operazione Atilla", al termine della quale una parte più ampia di quella logicamente spettante ai turco-ciprioti, fu incamerata come Repubblica Turca di Cipro Nord, formalizzata solo nel 1983, che ottenne però il solo riconoscimento della Turchia”.
(Wikipedia)

Immagini:

 

Una frase al giorno

“La musica è abbastanza per una vita, ma una vita non è abbastanza per la musica.”

(Sergej Vasilevic Rachmaninov, Tenuta di Semenovo, 1 aprile 1873 - Beverly Hills, 28 marzo 1943, compositore, pianista e direttore d'orchestra russo naturalizzato statunitense)

Sergej Vasilevic Rachmaninov, Tenuta di Semenovo, 1 aprile 1873 - Beverly Hills, 28 marzo 1943

 

Un brano musicale al giorno

Zephire et Flore”, suite per balletto, di Louis Lully (Parigi, 4 agosto 1664 - 1 aprile 1734)

Louis Lully fu un musicista francese e il figlio maggiore di Jean-Baptiste Lully. Quasi diseredato dal padre a causa del suo comportamento dissoluto, Louis non ebbe la brillante carriera prevista per lui, non solo per il suo comportamento ma anche per la sua mancanza di talento. Il successo che ebbe come compositore d'opera fu principalmente legato a lavori scritti in collaborazione con altri. Ad esempio, ha collaborato con suo fratello Jean-Louis e con Pierre Vignon su Zéphire et Flore (balletto, 1688), e con Marin Marais su Alcide (tragedia lirica, 1693). L'unica opera da lui composta, Orphée (tragedia lirica, 1690), non ebbe successo, anche se gli storici la ritengono importante per la preminenza data in essa al recitativo accompagnato.”

(Wikipedia)


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k