“L’amico del popolo”, 19 marzo 2018

L'amico del popolo
Grandezza Carattere

L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

POSSESSION (Una storia romantica, USA, 2002), regia di Neil LaBute. Il film è tratto dall'omonimo romanzo di Antonia Susan Byatt del 1990. Sceneggiatura: Neil LaBute, Laura Jones, David Henry Hwang. Fotografia: Jean-Yves Escoffier. Montaggio: Claire Simpson. Musiche: Gabriel Yared. Con: Gwyneth Paltrow, Aaron Eckhart, Jeremy Northam, Jennifer Ehle, Trevor Eve, Toby Stephens, Anna Massey, Holly Aird, Lena Headey, Richard Heffer, Tom Hickey, Tom Hollander, Jeanne Marine, Graham Crowden, Roger Hammond, Christopher Good, Kate O'Toole, Georgia Mackenzie, Craig Crosbie, Elodie Frenck, Victoria Bensted, Shelley Conn, Jonty Stephens, Alexi Kaye Campbell, Hugh Simon, Felicity Brangan, Holly Earl, Meg Wynn Owen.

Due brillanti ricercatori, l'inglese Maud Bailey che studia la vita e l'opera della poetessa vittoriana Christabel LaMotte, e l'americano Roland Michell, studioso del poeta Randolph Henry Ash, proclamato poeta ufficiale della nazione dalla Regina Vittoria, cercano di evitare distrazioni e complicazioni per dedicarsi al loro lavoro. Quando però trovano deliranti lettere d'amore che sembrano scritte da Randolph a Christabel, non possono fare a meno di ripercorrere le strade dell'adulterio dei due appassionati poeti nell'Europa del XIX secolo.

"A Neil Labute piacciono le contaminazioni di generi, almeno stando al suo ultimo film Betty love, riuscito esempio di commedia satirica a tinte noir: non fa eccezione in tal senso neppure Possession - Una storia romantica, tratto dall’omonimo romanzo di Antonia Byatt, snellito con gusto per un’efficace trasposizione sul grande schermo. La trama è incentrata su due storie d’amore che si intrecciano nella vecchia Inghilterra a cavallo tra passato e presente: un amore letterario risalente alla rigida età vittoriana, finora assolutamente sconosciuto alla critica, che innesca la fatale scintilla tra i due studiosi che stanno cercando di risolverne l’intrigante mistero."

(Paolo Boschi)

POSSESSION (Una storia romantica, USA, 2002), regia di Neil LaBute

“Come il passato possa influire sul presente; la scoperta di alcune lettere, simboleggianti il passato, aiuta i due protagonisti a ritrovare se stessi, così restii ad abbandonarsi. Si compie un'operazione di "archeologia emotiva". Non solo, ma ecco profilarsi lo spiazzante paradosso: la coppia vittoriana si dimostra sicuramente più emancipata, appassionata e coraggiosa di quella odierna, carica della nostra cronica angoscia post-freudiana.

Creando un parallelo tra le due storie, il regista sceglie non la sovrapposizione ma la fusione degli eventi; il continuum scenografico e narrativo non appiattisce però le inevitabili differenze temporali. Se il periodo vittoriano è ricco di emozioni intense ma privo dell'aspetto giallistico, quello moderno lascia poco tempo per Roland e Maude, solo il tempo di innamorarsi e non toccarsi. Il passato è rivissuto nello stesso spazio, ma non nello stesso ambiente; non vi sono salti nel tempo ma soltanto mescolanze scorrevoli. I flashback rinterpretano ciò che è accaduto attraverso una sensibilità moderna. LaBute non taglia su un'altra storia, quando alterna le due epoche, ma, attraverso l'immaginazione di Maude e Roland, compie la ricostruzione. Nell'epoca di mutamenti sociali, Charles Darwin pubblicava L'origine della specie, incrinando la fede vittoriana e creando un clima di incertezza che contrapponeva scienza e religione; è in questo quadro che si muovono i due poeti travolti dalla passione. Contro ogni conformismo, Ash e LaMotte testimoniano il desiderio di ribellione verso l'evoluzione e il determinismo sociale, che in quegli nasceva e avrebbe segnato il mondo del secolo seguente. Ma quali segni sono ancora visibili oggi? Maude e Roland, forse artisti mancati, temono l'intensità dello struggimento. La poesia vittoriana, straordinaria forma d'espressione dal fascino gotico per le sue modalità libere e creative, apre le porte del passato, dove tutto è proibito, nascosto, taciuto, per riscoprire le proprie emozioni.”

(Leonardo Lardieri in www.sentieriselvaggi.it)

19 marzo 1963 nasce Neil LaBute, regista e sceneggiatore americano.

POSSESSION (Una storia romantica, USA, 2002), regia di Neil LaBute

 

Una poesia al giorno

The Fairies, di William Allingham (Ballyshannon, 1824 - Hampstead, 1889, poeta irlandese. Si inserì nei preraffaeliti e fu definito "poeta delle piccole cose e dei brevi momenti").

Up the airy mountain,
Down the rushy glen,
We daren’t go a-hunting
For fear of little men;
Wee folk, good folk,
Trooping all together;
Green jacket, red cap,
And white owl’s feather!

Down along the rocky shore
Some make their home,
They live on crispy pancakes
Of yellow tide-foam;
Some in the reeds
Of the black mountain-lake,
With frogs for their watchdogs,
All night awake.

High on the hill-top
The old King sits;
He is now so old and grey
He’s nigh lost his wits.
With a bridge of white mist
Columbkill he crosses,
On his stately journeys
From Slieveleague to Rosses;
Or going up with the music
On cold starry nights,
To sup with the Queen
Of the gay Northern Lights.

They stole little Bridget
For seven years long;
When she came down again
Her friends were all gone.
They took her lightly back,
Between the night and morrow,
They thought that she was fast asleep,
But she was dead with sorrow.
They have kept her ever since
Deep within the lake,
On a bed of fig-leaves,
Watching till she wake.

By the craggy hillside,
Through the mosses bare,
They have planted thorn trees
For my pleasure, here and there.
Is any man so daring
As dig them up in spite,
He shall find their sharpest thorns
In his bed at night.

Up the airy mountain,
Down the rushy glen,
We daren’t go a-hunting
For fear of little men;
Wee folk, good folk,
Trooping all together;
Green jacket, red cap,
And white owl’s feather!

19 marzo 1824 nasce William Allingham, Poeta, autore e studioso irlandese (morto nel 1889)

(Traduzione in italiano di Cattia Salto)

I
Su nelle montagne ventose
giù nelle valli di giunchi
Brigida cammina canticchianto
senza preoccuparsi del piccolo popolo

II
Sul fianco della collina scoscesa
e le brulle distese di torba
hanno piantato biancospini
qua e là per diletto

III
Vanno a rapire le persone
nelle fredde notte stellate,
per farli succubi della Regina
e bere per dimenticare

IV
Brigida si è fermata nel cerchio
per sette lunghi anni
e quando è ritornata
i suoi amici erano tutti morti

V
Sa tao fiose,
Ale-ar, ale-ar, ale-ar
Sa fols intolio-o
Ale-ar, ale-ar

VI
Giù per le rive dei salici
la nuova casa di Brigida
bacche scarlatte, frittelle croccanti
di gialla schiuma del mare,

VII
Altri (fanno le case) tra le canne
del Lago Scuro sul monte,
con ranocchi come guardiani
tutta la notte a vegliare.

VIII
Leggeri l’hanno portata indietro
tra la notte e il chiarore del giorno
credevano stesse dormendo,
ma lei era morta per il dolore.

IX
Da allora l’hanno custodita
nel profondo del lago
su un letto di foglie di iris
in attesa che si risvegliasse.
Riuscirà mai a svegliarsi? No
Riuscirà mai a svegliarsi? No
Riuscirà mai a svegliarsi? No
Le fate hanno rapito Brigida.

19 marzo 1824 nasce William Allingham, Poeta, autore e studioso irlandese (morto nel 1889)

 

Un fatto al giorno

19 marzo 1962: La guerra d'indipendenza algerina finisce.
“La guerra d'Algeria, o meglio guerra franco-algerina o guerra d'indipendenza algerina (in Algeria anche Rivoluzione), è il conflitto che oppose tra il 1° novembre 1954 e il 19 marzo 1962 l'esercito francese e gli indipendentisti algerini guidati dal Fronte di Liberazione Nazionale (FLN, Front de Libération Nationale), che aveva rapidamente imposto la propria egemonia sulle altre formazioni politiche. Lo scontro si svolse principalmente in Algeria ma, a partire dal 1958, il FLN decise di aprire un secondo fronte in Francia, scatenando una serie di attentati.
Nel corso del conflitto, la minoranza europea d'Algeria - i pieds noirs, installati nelle tre grandi città di Orano, Algeri e Costantina - riuscì a imporre il ritorno di de Gaulle al potere, minacciando un colpo di Stato (maggio 1958). L'inedito successo di un movimento dagli evidenti tratti eversivi determinò il crollo della pericolante IV Repubblica e l'avvento della V Repubblica, caratterizzata da una nuova Costituzione che conferiva poteri molto estesi al Presidente.
La guerra - un «episodio chiave della decolonizzazione» - fu particolarmente cruenta, con un altissimo numero di vittime, soprattutto tra i civili algerini. Tra 300 000 e 1 000 000 di algerini sono uccisi in questa guerra, e fino a 3 000 000 inviati nei campi di raggruppamenti, su una popolazione di 10 000 000 di persone.
L'esercito francese, memore della recente sconfitta subita in Indocina (maggio 1954), mise a punto una nuova strategia: la “guerra contro-sovversiva”, caratterizzata da inedite tecniche di contro-guerriglia che facevano del controllo della popolazione la posta del conflitto.
Dopo sette anni e mezzo di uno scontro senza esclusione di colpi, da una parte come dall'altra (generalizzazione della tortura, attentati, terrorismo, rappresaglie, napalm...), gli algerini conquistarono l'indipendenza che fu proclamata il 5 luglio 1962”.

(Wikipedia)

“Tra il 1954 e il 1962 la Francia fu impegnata a combattere la rivolta algerina guidata dal Front de Libération Nationale (FLN). L'esercito francese, reduce dalla sconfitta subita in Indocina nel maggio del 1954, adottò nel conflitto con gli indipendentisti algerini una strategia che considerava l'intera popolazione civile come affiancatrice dei ribelli.
La guerra fu segnata da attentati e cruente rappresaglie nonché dall'uso generalizzato della tortura e del napalm. Non mancarono numerosi stupri cui si resero responsabili i militari francesi.
Iniziato con gli attacchi della resistenza algerina del 1° novembre 1954, il conflitto si prolungò per lunghi anni senza esclusione di colpi, trasformandosi in una lotta senza quartiere. Le autorità francesi negarono qualsiasi dialogo: la sola negoziazione possibile - disse l'allora ministro degli interni François Mitterand - era la guerra.
Circa un milione tra morti e dispersi fu, alla fine, il risultato degli scontri, ma le vittime delle violenze di ogni tipo furono molte di più. Non si dimentichi, inoltre, che nella Legione Straniera si erano arruolati ex criminali delle SS i quali poterono sfogare la propria crudeltà contro i partigiani algerini catturati dopo averlo fatto già in Indocina.
Oltre alle innumerevoli tipologie di torture usate, da quelle classiche a quelle moderne con l'elettricità, gli stupri delle donne algerine furono veri e propri mezzi di una strategia di guerra repressiva e violenta.
Le truppe francesi praticarono anche un'altra infamia, quella di utilizzare alcune donne imprigionate nei campi di detenzione come schiave sessuali per soldati e ufficiali. Simone De Beauvoir, nello scrivere la prefazione al libro sul racconto di Giselle Halimi, l'avvocatessa che difese la partigiana algerina Djamila Boupacha, dopo aver parlato senza remore di "uomini, vecchi, bambini mitragliati nel corso di rastrellamenti, bruciati vivi nei loro villaggi, fatti fuori, sgozzati, sventrati, martirizzati a morte", accennò proprio a "centri di raggruppamento (.) di fatto campi di sterminio - adoperati in via subordinata come bordelli per i corpi scelti".
Moltissime furono le algerine catturate, accusate di appartenere al Front de Libération Nationale, violentate durante gli interrogatori e la detenzione. Anzi, la violenza carnale fu usata sistematicamente come mezzo di interrogatorio e tortura, potremmo quasi dire "una tortura nella tortura".
Giselle Halimi confermò che "nove volte su dieci le donne da lei interrogate avevano subito stupri di ogni tipo, ma la loro vergogna era tale che la supplicavano di nascondere la verità".
Anche Luisette Ighilahriz, catturata nel 1957, per ben tre mesi fu vittima di stupri e violenze, raccontando poi in un libro la sua drammatica esperienza. Ben 50 donne vennero poi torturate e violentate in un noto centro di interrogatori.
La storica francese Raphaelle Branche parla di due diversi tipi di stupro: quello usato come atto di tortura per ottenere informazioni dai prigionieri e quello praticato nel corso delle operazioni militari nelle campagne, dove le donne venivano violentate senza alcun motivo. La violenza carnale a volte era di gruppo, altre volte veniva realizzata "con oggetti di vario tipo".
Ci furono casi di ufficiali che si opposero a tali violenze ma, in genere, ciò non avveniva anche perché la violenza carnale era l'ultima delle preoccupazioni dei graduati francesi, "soprattutto quando smisero di considerare le donne algerine come vittime civili, iniziando invece a temerle come combattenti nemiche".
Il ricorso a tali violenze non fu, inoltre, prerogativa dei militari di carriera ma anche degli stessi soldati di leva nell'ottica di una presunzione coloniale di superiorità.
Tra il 1959 e il 1960, con l'intensificarsi dell'azione dell'esercito francese per annientare la resistenza, gli stupri assunsero un vero e proprio carattere di massa in città ma soprattutto in campagna. Le stesse perquisizioni domiciliari diventavano l'occasione ideale per sottoporre le vittime a vessazioni sessuali.
Come riportato recentemente dal quotidiano parigino Le Monde, un soldato raccontò di aver assistito a "centinaia di stupri" e che in un noto centro di tortura in Algeri "le donne venivano violentate in media nove volte su dieci, in funzione della loro età e del loro aspetto fisico".
Durante le azioni di rappresaglia lo stupro diventava strumento di punizione e terrore. Il ruolo degli ufficiali fu sempre determinante a causa dell'autonomia di cui godevano nelle azioni militari.
Naturalmente, le autorità militari francesi, pur non potendo negare l'esistenza di alcuni episodi, non ammettevano l'uso indiscriminato delle violenze e negli atti ufficiali condannavano tali fatti. Così il 1° luglio 1958 il generale Salan precisava che "de tels actes n'ont ni excuse ni justification".
Fatto sta che le truppe francesi penetravano nei villaggi algerini che mettevano e ferro e fuoco, arrestavano gli uomini, depredavano le case e violentavano le donne in un vortice di terrore.
Della frequenza delle violenze, considerate parte della strategia della cosiddetta "pacificazione" dell'Algeria, parlò anche un pastore protestante precisando che "le viol des femmes devient une manière de pacification".
Soprattutto dopo aver subito delle imboscate, i militari francesi, ritenendo complici le popolazioni civili, piombavano sui centri abitati civili uccidendo gli uomini e stuprando le donne, prima di far saltare le case con la dinamite.
Indubbiamente, come nel primo conflitto mondiale, la violenza sulle donne rappresentò anche nella guerra d'Algeria un modo per inviare messaggi al nemico, per umiliarlo attraverso la consapevolezza della sua incapacità a difendere la proprie donne.
Ma la violenza carnale rappresentò pure una chiara strategia militare imperniata sul terrorismo delle popolazioni locali viste con la presunzione coloniale dei conquistatori.”

(Michele Strazza in win.storiain.net)

 

Una frase al giorno

“Sono anch'io convinto che molta parte della responsabilità della crisi, finanziaria prima, economica poi, sociale adesso, in parte politica, che attraversa il mondo, l'Europa e l'Italia, sia dovuta a gravissimi vizi di funzionamento delle istituzioni finanziarie e dei mercati”.

(Mario Monti, Varese, 19 marzo 1943, è un economista, accademico e politico italiano)

 

Un brano musicale al giorno

Francesco Gasparini, "Amori e Ombre" (La Venexiana)

Francesco Gasperini, L'armonico pratico al cimbalo

Francesco Gasparini (Camaiore, 19 marzo 1661 - Roma, 22 marzo 1727) è stato un compositore italiano «studiò a Roma col Corelli e col Pasquini, e fu eccellente compositore di musica sacra e teatrale, buon violinista e insegnante. Nel 1700 circa si recò a Venezia, ove fu direttore di musica presso l'Ospedale (Conservatorio) della Pietà, avendovi per allievi Faustina Bordoni e Benedetto Marcello. A Roma (1725) il G. fu nominato maestro della Cappella lateranense, avendo a coadiutore fin dal luglio 1726, per la sua malferma salute, don Girolamo Chiti-Carletti da Siena.
Tra il 1702 e il 1723 il G. compose oltre 50 opere, quasi tutte per i teatri di Venezia e di Roma. Compose inoltre 7 oratorî, molte messe ed altra musica sacra, alcune cantate profane, sonate per clavicembalo, ecc., e inoltre il trattato teorico: L'armonico pratico al cimbalo, ovvero regole, osservazioni ed avvertimenti per ben suonare il basso ed accompagnare sopra il cimbalo, spinetta ed organo, pubblicato nel 1703 e ristampato più volte».

(Treccani)

 


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k